XV. Nella pagoda sotterranea.
Scesi senza aver destato l'allarme, nei sotterranei, non
restava che cercare il gran tempio della dea Kâlì, piombare
improvvisamente sull'orda e rapire la vittima, approfittando
della confusione e dello sgomento che avrebbe provocato la
comparsa della tigre.
Non era però facile guidarsi fra quella profonda oscurità
e fra i corridoi dell'mmenso sotterraneo. Né Tremal-Naik, né
il maharatto conoscevano la via, né sapevano in quale luogo
fosse scavato il tempio. Tuttavia non erano uomini da dare
indietro né da esitare un sol momento, quantunque mille e
mille pericoli li minacciassero.
Appoggiate le mani ai muri, cominciarono ad avanzare l'un
dietro l'altro, tastando coi piedi il terreno, per non cadere
in qualche apertura, e nel più profondo silenzio, non sapendo
se erano soli e se qualche sentinella si trovasse vicina.
In breve trovarono un'ampia apertura, una specie di porta,
sulla cui soglia sostarono tendendo gli orecchi.
- Odi nessun rumore? - chiese con un filo di voce
Tremal-Naik al compagno.
- Nessuno, padrone, all'infuori dei tuoni.
- È segno che il supplizio non è cominciato.
- Lo credo, padrone. Gl'indiani praticano l'onugonum con
grande strepito.
- Eppure il mio cuore batte come volesse spezzarsi.
- È l'emozione, padrone.
- Credi tu che noi giungeremo alla pagoda?
- E perché no?
- Temo di smarrirmi in questi corridoi. To', si direbbe che
in questo supremo istante, io ho paura.
- È impossibile. Paura tu!
- Eppure è così. Non so se sia la febbre o la profonda
emozione che si è impadronita di me.
- Coraggio, padrone, e andiamo innanzi adagio, adagio. Se
qualcuno ci ode potrebbe dare l'allarme e far piombare su di
noi tutti i misteriosi abitanti di queste tenebrose cavità.
- Lo so, Kammamuri; tieni la tigre.
Tremal-Naik posò i piedi su di un gradino viscido e
cominciò a discendere colle mani tese innanzi a sé, per non
urtare contro qualche ostacolo, e gli occhi bene aperti.
Dopo dieci gradini trovò il piano di una galleria che
s'abbassava dolcemente.
- Vedi nulla? - chiese a Kammamuri.
- Nulla; mi pare di essere diventato cieco. Sarà questa,
la via che conduce alla pagoda?
- Non lo so, Kammamuri. Darei mezzo del mio sangue per
accendere un po' di fuoco. Quale spaventevole situazione!
- Avanti, padrone. Temo che la mezzanotte sia vicina.
Tremal-Naik sentì le carni raggrinzarsi e il cuore battere
con veemenza furiosa.
- Orrore! - esclamò con voce soffocata. - La mezzanotte!
- Zitto, padrone, potrebbero udirci.
Tremal-Naik ammutolì soffocando un gemito e si slanciò
risolutamente innanzi, brancolando come un ubriaco, cercando
colle mani le pareti.
Man mano che procedeva sentivasi preso da uno strano
stordimento. Sentivasi il sangue sibilare agli orecchi, il
cuore battere ognor più
precipitosamente ed ardere. Vi erano dei momenti in cui gli
sembrava di udire in lontananza delle voci, delle grida
strazianti come di persone torturate, e che gli pareva di
scorgere dei lumicini, delle fiammelle e persino delle ombre
muoversi d'intorno e volteggiar fra le tenebre. Aveva
abbandonato ogni prudenza e camminava rapidamente, a
balzelloni, coi pugni chiusi, gli occhi sbarrati, in preda a
una specie di delirio. Non udiva nemmeno la voce di Kammamuri,
che lo supplicava di frenare la sua esaltazione. Per fortuna
lo scrosciare delle folgori si ripercuoteva sempre sotto le
cupe arcate, soffocando il rumore dei passi.
D'improvviso il cacciatore di serpenti urtò contro un
oggetto acuminato che gli traforò la veste toccandogli le
carni. S'arrestò di botto indietreggiando.
- Chi è là? - chiese egli con voce stridula, impugnando
il coltellaccio e alzandolo.
- Cos'hai trovato? - domandò il maharatto, che si
preparava ad avventare innanzi Darma.
- Qualcuno sta presso di noi, Kammamuri. Sta' in guardia.
- Hai visto qualche ombra?
- No, ma fui urtato da una lancia. La punta mi toccò il
petto e per poco non mi ferì.
- Eppure Darma non dà segni d'inquietudine.
- Che mi sia ingannato? Non è possibile.
- Ritorniamo?
- Giammai. Mezzanotte forse sta per iscoccare. Avanti,
Kammamuri.
Fece per slanciarsi innanzi e sentì la stessa punta acuta
che gli penetrò, questa volta, nelle carni. Egli gettò una
sorda imprecazione e allungò la man dritta, afferrando una
specie di lancia tesa orizzontalmente all'altezza del suo
petto.
Si provò a tirar a sé, ma resistette; tentò di torcerla
ma non fu capace. Tremal-Naik si lasciò sfuggire
un'esclamazione di sorpresa.
- Cosa significa ciò? - mormorò egli.
- Ebbene, padrone? - chiese Kammamuri. - Che ostacolo è?
- Una lancia irremovibile, forse infissa nel muro: deviamo.
Si volse a destra e dopo qualche passo incontrò una
seconda lancia pure irremovibile. La sua sorpresa giunse al
colmo.
- Forse è un'opera di difesa, - pensò, - e forse qualche
strumento di tortura. Volgiamo a sinistra. Qualche via la
troverò per tirare innanzi.
Camminò per qualche tratto, poi urtò colla testa sotto
una volta assai bassa, e mise i piedi su di un gradino. Ne
discese con precauzione quattro o cinque, poi si fermò. La
sua mano s'incontrò con quella di Kammamuri e gliela strinse
fortemente.
- Odi, padrone? - chiese il maharatto.
- Sì, odo, - rispose Tremal-Naik sommessamente.
- Cos'è questo mormorìo?
- Non lo so, taci ed ascolta.
Tesero l'orecchio trattenendo il respiro. Cosa invero
strana, sulle loro teste udivasi una specie di gorgoglìo che
l'eco della galleria ripeteva.
Un momento dopo, sotto la volta, apparve un disco
lievemente illuminato che si spense quasi subito. Un cupo
boato vi tenne dietro. Kammamuri e Tremal-Naik si sentirono
invadere da una viva inquietudine ed afferrarono le pistole.
Passò qualche minuto, poi il disco riapparve e tornò a
scomparire seguìto ancora dal rimbombo misterioso.
- Comprendi qualche cosa? - chiese il maharatto.
- Credo di sì - rispose Tremal-Naik. - Questo sgocciolare
e questo gorgoglìo fanno sospettare la presenza dell'acqua..
Forse sul nostro capo scorre un fiume.
- E quel disco che appare e scompare?
- Forse è una lente di vetro o di quarzo. Il chiarore
proviene dai lampi e il boato è il tuono che scroscia al di
fuori.
- Lo credi, padrone?
- Vero o no, non farò un passo indietro. Mezzanotte è
vicina.
- Siamo in un luogo orribile, padrone. Io tremo come se
avessi freddo.
Questo silenzio e queste tenebre mi fanno paura.
- È inquieta Darma?
- No, padrone, è tranquilla.
- È segno che il nemico non è ancora vicino. Andiamo
avanti.
Ripresero la marcia fra le tenebre fredde ed umide, salendo
e discendendo, urtando spesso la testa sotto le volte,
camminando a casaccio seguiti sempre dalla tigre, che non dava
ancora segno alcuno d'inquietudine.
Passarono così altri dieci minuti lunghi come dieci ore. I
due indiani già credevano di aver preso una falsa via e
stavano per ritornare, quando ad una svolta videro una grande
fiamma ardere in mezzo alla galleria. Tremal-Naik scorse
vicino ad essa un indiano semi-nudo, appoggiato ad una specie
di zagaglia, sormontata dal misterioso serpente. Un sospiro di
sollievo gli uscì dalle labbra.
- Finalmente! - mormorò egli. - Cominciavo a temere di
essermi inoltrato in una caverna disabitata. Attento,
Kammamuri.
- Abbiamo il nemico in vista?
- Sì, c'è un indiano.
- Oh! - esclamò il maharatto, rabbrividendo. - Quell'uomo
ci sbarra la via.
- Lo uccideremo.
- Non si può evitarlo?
- Sì, ritornando, ma Tremal-Naik non ritorna.
- Farai rumore, egli griderà e gli avremo tutti addosso.
- Quell'uomo ci volge le spalle e Darma ha il passo
silenzioso.
- Sta' in guardia, padrone.
- Sono deciso a tutto, anche a pugnare contro mille uomini.
Si chinò verso la tigre che fissava ferocemente l'indiano,
mostrando le acute zanne ed i lunghi artigli.
- Guarda quell'uomo, Darma, - disse Tremal-Naik.
La tigre emise un sordo brontolìo.
- Va' e sbranalo, amica mia.
Darma guardò il padrone, poi l'indiano. I suoi occhi si
dilatarono e parve che s'incendiassero. Aveva compreso ciò
che il cacciatore di serpenti desiderava. Si abbassò fino a
toccare col ventre la terra, guardò un'ultima volta
Tremal-Naik che le additava l'indiano e s'allontanò con passo
silenzioso, ondeggiando lievemente la coda, come un gatto in
collera. L'indiano nulla avea udito né veduto, volgendo la
schiena al fuoco. Si avrebbe detto anzi che si era assopito
appoggiato alla lancia.
Tremal-Naik e il maharatto, colle carabine in mano,
seguivano ansiosamente i movimenti di Darma, la quale fissava
con occhio ardente la vittima, avanzando con precauzione. I
loro cuori battevano fortemente di timore. Bastava un grido
dell'indiano, perché l'allarme si spargesse nei sotterranei e
l'audace impresa crollasse come un castello di carta
- Riuscirà? - bisbigliò il maharatto, all'orecchio di
Tremal-Naik.
- Darma è intelligente, - rispose il cacciatore di
serpenti.
- E se fallisse? -
Tremal-Naik provò un forte brivido.
- Daremo battaglia, - disse poi con ferma voce. - Taci e
guarda!
L'indiano non aveva ancora udito nulla, tanto era
silenzioso il passo del feroce animale; d'un tratto questi si
arrestò, raccogliendosi su se stesso.
Tremal-Naik strinse fortemente la mano di Kammamuri. La
tigre non era che a dieci passi dall'indiano.
Passarono due secondi, poi la tigre fece un balzo
spaventevole. Uomo e animale caddero entrambi per terra e
s'udì un sordo scricchiolìo, come di ossa che s'infrangono.
Tremal-Naik e Kammamuri si slanciarono verso il fuoco,
drizzando le carabine verso il corridoio.
- Brava, Darma, - disse Tremal-Naik passandole una mano
sulla robusta schiena. S'avvicinò all'indiano e lo sollevò.
Il poveretto non dava più segno di vita ed era inondato di
sangue. La tigre gli aveva schiacciato la testa fra i denti.
- È proprio morto, - disse Tremal-Naik, lasciandolo
ricadere. - Darma non poteva eseguire il colpo con maggior
destrezza. Vedrai, Kammamuri, che con questa brava compagna
noi faremo grandi cose. Mi pare che la salvezza di colei che
amo, sia ora una cosa facile.
- Lo credo anch'io, padrone. Sarà un bel colpo, quando
Darma si scaglierà in mezzo all'orda: metteremo in fuga
tutti.
- E noi approfitteremo per rapire Ada.
- E dove la trasporteremo?
- Alla capanna innanzi tutto; poi vedremo se sarà meglio
condurla a Calcutta o più lontano.
- Zitto, padrone!
- Cosa c'è?
- Ascolta!
In lontananza s'udì un'acuta nota. I due indiani la
riconobbero subito.
- Il ramsinga! - esclamarono.
Un colpo sordo e formidabile echeggiò sotto i corridoi e
si ripercosse parecchie volte. Era un boato simile a quello
udito la notte che avevano approdato a Raimangal per cercare
Hurti, e che li aveva tanto sorpresi.
Tremal-Naik fremette da capo a piedi e gli sembrò che le
forze si centuplicassero. Fece un salto da tigre alzando la
carabina.
- Mezzanotte! - esclamò egli, con un tuono di voce che
più nulla aveva d'umano.- Ada!... Oh! mia fidanzata!...
Non seppe dire di più. Emise un urlo strozzato e
s'avventò furiosamente sotto la galleria seguito da Kammamuri
e dalla tigre.
Pareva una belva, anziché un uomo. Aveva gli occhi
iniettati di sangue, la spuma alle labbra e brandiva nella
dritta il coltellaccio pronto a sfondare qualsiasi ostacolo.
Non aveva più paura di nessuno. Mille indiani non lo
avrebbero arrestato nella sua pazza corsa.
L'hauk continuava a rullare, destando tutti gli echi delle
caverne e delle gallerie, chiamando a raccolta i settari della
misteriosa dea, e in lontananza s'udivano le acute note del
ramsinga ed un confuso mormorìo di voci. Il momento terribile
s'avvicinava; la mezzanotte stava per iscoccare.
Tremal-Naik raddoppiava la velocità, poco calendogli che
venissero uditi i suoi precipitosi passi.
- Ada!... Ada!... - lo si udiva rantolare e si scagliava
colla furia d'un toro sotto le gallerie, le quali si
succedevano le une alle altre.
Un chiarore immenso apparve nel fondo ed uno scoppio di
grida rintronò nei sotterranei.
- Eccoli! - urlò Tremal-Naik con voce strozzata.
Kammamuri si slanciò su di lui e radunando tutte le sue
forze lo arrestò.
- Non un passo! - gli disse.
Tremal-Naik gli si volse contro digrignando i denti.
- Cosa vuoi dire? - gli chiese con feroce accento.
- Se ti è cara la vita della tua Ada, non un passo di
più, - gli ripeté Kammamuri avvinghiandosi a lui.
- Lasciami, maharatto, lasciami! Ho la febbre... m'assale
il delirio!
- È ben perché sei fuori di te stesso, che non voglio che
tu vada innanzi. Se tu irrompi in quella caverna prima del
tempo, ci perderai.
Frenati, padrone, e noi la salveremo egualmente.
- Lo credi? - chiese Tremal-Naik. - Ho il cuore che mi
balza furiosamente in petto e il sangue che mi bolle. Mi sento
tanto forte da scuotere queste mura e seppellire sotto le
macerie tutti quei mostri. Odi!... Non hai udito quel grido
straziante?
- Non ho udito nulla; ti sei ingannato.
- Mi era sembrato di avere udita la sua voce.
- È il delirio. Sii calmo, padrone, se vuoi salvarla.
- Sarò calmo, ma non arrestiamoci qui, Kammamuri.
- No, non ci arresteremo. Vieni con me, ma se commetti
un'imprudenza, io ti abbandono. Dammi la mano.
Kammamuri afferrò la sinistra di Tremal-Naik e si
inoltrarono verso la caverna. Poco dopo si arrestavano dietro
una enorme colonna donde potevano vedere senz'essere scoperti.
Uno strano spettacolo s'offerse tosto ai loro occhi.
Dinanzi a loro si apriva una vastissima caverna scavata nel
granito rosso come i famosi templi di Ellora, sostenuta da
ventiquattro colonne adorne di sculture più o meno bizzarre,
di teste di elefanti, di teste di leoni e di divinità. Ai
piedi di essi si scorgevano Parvadi, dea della morte, seduta
su di un leone, e la dea Ganesa colle sue otto braccia, seduta
fra due elefanti che congiungevano le loro trombe sopra la sua
testa.
Ai quattro angoli c'erano le statue di Siva e nel mezzo una
dea mostruosa con una lingua rossa che le usciva dalla bocca,
una cintura di mani e una collana di crani, una dea simile a
quella che Tremal-Naik aveva veduta nella pagoda.
Dalla volta, coperta di altirilievi, rappresentanti i
combattimenti di Rama col tiranno Ravana, rapitore della bella
Sita e le guerre dei Kurù e dei Pandù, che contesero per
lungo tempo pel possedimento di Babrata Varca, pendevano
numerose lampade di bronzo, le quali spandevano all'intorno
una luce azzurrognola, livida, cadaverica.
Quaranta indiani seminudi col serpente tatuato sul petto,
il laccio di seta stretto attorno le reni e ii pugnale in
mano, erano seduti all'ingiro a mo' dei mussulmani, cioè
colle gambe incrociate, fissando la mostruosa divinità di
bronzo. Uno di loro aveva vicino un enorme tamburo, un hauk,
ornato di piume e di crini e di quando in quando lo percuoteva
facendo rimbombare le volte della caverna.
Tremal-Naik, come si disse, si era arrestato dietro alla
colossale colonna, sorpreso ed atterrito ad un tempo, ma
stringendo convulsivamente le armi.
- Ada!... - mormorò egli, percorrendo con un solo sguardo
tutta la caverna. - Dov'è la mia Ada?...
Un raggio di gioia brillò negli occhi del povero indiano.
- Il sacrificio non è ancora incominciato! esclamò. -
Siva sia benedetto.
- Non parlare così forte, padrone - disse Kammamuri,
stringendo il collo della tigre. - Se tutti gli indiani che
abitano il sotterraneo sono questi, rapire la tua donna sarà
cosa non impossibile.
- Sì, sì, la salveremo, Kammamuri! - esclamò Tremal-Naik
con esaltazione. - Faremo un'orribile strage.
- Zitto...
L'hauk batteva dodici colpi e i quaranta indiani si erano
alzati come un sol uomo. Tremal-Naik provò una stretta al
cuore e s'aggrappò alla colonna, come se temesse di non
sapersi frenare.
- Mezzanotte! - diss'egli, con voce soffocata.
- Calma, padrone, - disse per l'ultima volta Kammamuri,
afferrandolo per la cintola.
Una porta si aprì con grande strepito ed un indiano di
alta statura magrissimo, col volto ornato da una lunga e nera
barba, gli occhi scintillanti e avvolto in un ricco dootèe di
seta gialla, entrò nella caverna.
- Salve a Suyodhana, figlio delle sacre acque del Gange! -
esclamarono in coro i quaranta indiani.
- Salve a Kâlì ed ai suoi figli, - rispose l'indiano con
voce cupa.
Tremal-Naik, nel mirare quell'uomo, emise una sorda
imprecazione e fe' atto di slanciarsi nella caverna. Kammamuri
lo trasse indietro.
- Non muoverti, padrone, - gli sussurrò.
- Guarda quell'uomo! - esclamò Tremal-Naik coi denti
stretti.
- Sì, lo so, è il capo di questi uomini.
- È lo stesso che mi pugnalò.
- Ah! miserabile!
Suyodhana entrò rapidamente nel tempio, s'inchinò dinanzi
alla mostruosa divinità di bronzo e volgendosi verso
gl'indiani gridò con voce tonante:
- L'estrema ora della vergine della pagoda è suonata,
fratelli. Manciadi è morto.
Un mormorìo minaccioso percorse le file degli indiani.
- Si dia fiato ai tarè, - comandò il terribile capo degli
strangolatori.
Due indiani presero due lunghe trombe e trassero alcune
note tristi, lamentevoli.
Cento indiani carichi di legne irruppero nella caverna e
rizzarono, di fronte alla dea, ai piedi di un colonnato, un
gigantesco rogo versandovi sopra torrenti d'olio profumato.
Un drappello di devadasì si slanciò, piroettando, nella
sala, facendo tintinnare campanelluzzi e cerchietti d'argento
e circondò la dea Kâlì.
I loro abbigliamenti erano sfarzosi, leggiadri, i più
acconci che si possa immaginare a far spiccare la bellezza e
le grazie. Corazze sottilissime d'oro tempestate di diamanti
della più bell'acqua brillavano sui loro petti; corte
gonnelline di seta rossa, pendevano sotto la larga fascia di
cachemire che stringeva i loro fianchi, e pantaloni bianchi
scendevano fino al collo del piede. Anelli di argento e
campanellini d'egual metallo portavano alle braccia ed alle
gambe, e leggieri veli, dai colori vivissimi, coprivano le
loro teste.
Al suono dell'hauk e dei funebri tarè cominciarono,
attorno alla dea Kâlì, una danza scapigliata, facendo
volteggiare in aria i loro veli di seta azzurra o rossa, e
formando un intreccio di effetto magico, sorprendente.
D'un tratto la danza cessò. Le devadasì sfilarono dinanzi
alla dea, toccando la terra colla fronte e si ritrassero da
parte, unendosi in un gruppo superbo, pittoresco. Gli indiani
che erano tornati a sedersi, ad un cenno di Suyodhana si
rialzarono. Tremal-Naik comprese che il supplizio stava per
cominciare.
- Kammamuri, - balbettò l'infelice appoggiandosi alla
colonna, Kammamuri!...
- Calma e coraggio, padrone, - disse il maharatto che
batteva i denti.
- La testa mi gira, il cuore mi scoppia... Ada!... Ada!...
In lontananza echeggiò una scarica di tamburi. Tremal-Naik
si raddrizzò cogli occhi in fiamme ed i pugni chiusi attorno
alle pistole.
- Eccoli! - ruggì egli, con indefinibile accento d'odio.
I tamburi s'avvicinavano e il loro rullo si ripercuoteva
indefinitivamente sotto le nere volte della caverna e dentro i
tenebrosi corridoi. Ben presto si udirono delle voci scordate
e selvagge accompagnate dal suono dei tam-tam.
- Eccoli!- esclamò una seconda volta Tremal-Naik.
La tigre mandò un sordo brontolìo e agitò la coda.
Una larga porta si aprì ed entrarono dieci strangolatori
con dei grandi vasi di terra cotta coperti di pelle, chiamati
dagli indiani mirdengs. Poi dietro a quei dieci ne entrarono
altri venti, con dei grandi gautha, sorta di campanelli di
bronzo, e quindi altri dodici muniti di ramsinga, di tarè e
di tam-tam.
Finalmente dietro a quegli uomini, che percuotendo i
mirdengs ed i tam-tam, agitando i gautha e soffiando nei
ramsinga e nei tarè formavano un baccano spaventevole,
apparve l'infelice Ada colla sua corazza d'oro tempestata di
diamanti d'inestimabile prezzo, la sottana e calzoni di seta
bianca ed i capelli sciolti sulle spalle. La vittima, che
quegli spietati uomini si preparavano a scagliare in mezzo al
rogo, era pallida come un cadavere, sfinita dai lunghi digiuni
e istupidita dalle bevande oppiate fattele prima inghiottire.
Due strangolatori coperti da una lunga tonaca di seta
gialla la sostenevano, ed altri dieci la seguivano cantando
elogi pel suo eroismo e promettendole infinite felicità nel
paradiso di Kâlì, in ricompensa delle sue virtù.
Il momento terribile era vicino. Già Suyodhana aveva dato
fuoco alla pira e le fiamme s'alzavano, a guisa d'immani
serpenti, verso la volta della caverna; già gli
strangolatori, assordandola con mille urli la trascinavano;
già i tamburi e i tarè intuonavano la marcia della morte.
D'un tratto la vittima ritornò in sé. Vide la pira che
fiammeggiava dinanzi a lei e il pericolo che correva.
Attraverso l'ebbrezza dell'oppio, si rammentò della condanna
pronunciata dal truce Suyodhana. Un urlo straziante le lacerò
il petto.
- Tremal-Naik!... Oh Tremal-Naik!...
In fondo al nero corridoio rimbombò un urlo feroce:
- Sbrana, Darma!... Sbrana!... -
La gran tigre del Bengala non attendeva che quel comando.
Uscì dal nascondiglio colla bocca aperta e gli artigli tesi,
s'allungò, s'accorciò emise un rauco ruggito, indi spiccò
un balzo gigantesco piombando in mezzo alla folla degli
strangolatori. Un grido di terrore sfuggì da tutti i petti
alla vista del feroce carnivoro che aveva di già atterrati,
con due potenti colpi d'artiglio, due uomini.
- Sbrana, Darma!... Sbrana!... - ripeté la stessa voce di
prima.
Poi rimbombarono quattro detonazioni che mandarono a gambe
levate quattro indiani e fecero cadere in ginocchio tutti gli
altri e in mezzo alla nube di fumo apparve il cacciatore di
serpenti della jungla nera colla faccia stravolta ed il
coltello in pugno. Sfondare con irresistibile slancio le file
degli atterriti indiani, afferrare la giovanetta che era
caduta a terra priva di sensi, stringerla fra le braccia e
scomparire sotto la galleria con Kammamuri e la tigre alle
calcagna. fu cosa di un sol momento.
|