XVI. Il trionfo degli
strangolatori.
I sotterranei di Raimangal, abitati dai settari di Kâlì,
erano vasti quanto mai, forse assai più dei famosi
sotterranei di Mavalipuran e di Ellora.
Infinite gallerie solcavano il sottosuolo in mille
direzioni, alcune tanto basse da non tenervisi in piedi un
uomo, altre altissime e vaste, alcune diritte, altre tortuose
che salivano a toccare la superficie pantanosa dell'isola o
che scendevano nelle viscere della terra.
Qua antri orribili, umidi, freddi, oscurissimi, da secoli e
secoli disabitati; colà caverne, spelonche, pagode adorne di
mostruose e bizzarre figure della mitologia indiana e ingombre
di colonnati, e più oltre pozzi che mettevano in sotterranei
ancor più tenebrosi e forse ancora ignorati dagli
strangolatori.
Tremal-Naik, fatto il colpo, s'era slanciato sotto le nere
volte della prima galleria trovatasi a lui dinanzi, seguito da
Kammamuri e dalla tigre.
Non sapeva dove andava a terminare, ma non se ne curava
più che tanto.
Non ci vedeva, ma non si dava, almeno pel momento, pensiero
alcuno.
A lui bastava fuggire, a lui bastava frapporre fra sé e
gli strangolatori il maggiore spazio possibile, prima che si
riavessero dalla sorpresa e dal terrore cagionato
dall'improvvisa comparsa della tigre, e che organizzassero la
caccia all'uomo.
Aveva gettato una parte delle sue munizioni per essere più
leggiero e correva colla massima velocità, senza deviare.
Fra le braccia stringeva sempre la giovanetta svenuta e,
ponendo ogni cura a salvaguardarla da qualsiasi urto, ripeteva
di quando in quando:
- Salva! Salva!... Io divento pazzo!...
E nel suo eccitamento ritrovava sempre maggiori forze; quel
fardello gli sembrava più leggiero e precipitava la
rapidissima corsa, pauroso di essere raggiunto dai suoi feroci
nemici.
Kammamuri gli teneva dietro con grande fatica, brancolando
fra l'oscurità, fiancheggiato dalla fedele Darma che fendeva
lo spazio con slanci immensi, emettendo di quando in quando un
sordo miagolìo.
- Frenati, padrone, - ripeteva il povero maharatto. - Io mi
perdo.
Tremal-Naik invece raddoppiava sempre la corsa e rispondeva
invariabilmente:
- Più avanti!... più avanti!... Salva!... Salva!... io
divento pazzo!...
Correva da dieci minuti, quando urtò furiosamente contro
una parete che sbarravagli il passo. L'urto fu così forte,
che cadde pesantemente a terra trascinando seco Ada.
Si rialzò prontamente tenendo sempre stretta fra le
braccia la giovanetta e diede di cozzo contro Kammamuri, il
quale trasportato dallo slancio, stava per rompersi il cranio
contro la parete.
- Padrone! - esclamò il maharatto, atterrito. Cosa
succede?
- La via è sbarrata! - esclamò Tremal-Naik volgendo
all'intorno uno sguardo feroce.
- Fermiamoci, padrone.
Tremal-Naik stava per rispondere, quando in lontananza si
udirono urla spaventevoli. Fece un salto indietro emettendo un
grido di rabbia e di disperazione.
- I thugs!
- Padrone!...
- Corri, Kammamuri, corri!...
Volse a destra e riprese la corsa, ma dopo dieci passi
tornò ad urtare. Gli si rizzarono i capelli sul capo.
- Maledizione! - tuonò. - Siamo adunque rinchiusi? -
Si precipitò a sinistra e urtò contro una terza parete.
La tigre, che si era pure scagliata contro le roccie, fece
udire un miagolìo che si cangiò ben presto in un formidabile
ruggito.
Tremal-Naik si volse indietro. Ebbe per un istante l'idea
di ritornare sui propri passi per cercare un'altra galleria,
ma il timore di trovarsi improvvisamente dinanzi ai settari,
lo trattenne.
Se fosse stato solo, non avrebbe esitato a scagliarsi in
mezzo all'orda che stava per rinchiuderlo nell'antro, fosse
pur stato sicuro di uscire ferito dalla pugna ineguale.
Ma cimentarsi, ora che aveva strappato dalla morte colei
che amava; cimentarsi ora che aveva raggiunto il suo scopo, lo
spaventava.
E nondimeno bisognava uscire a ogni costo da quella
caverna, che poteva diventare, fra brevi istanti, una tomba.
- Ma sono io adunque maledetto dai numi? - esclamò egli
furente - Dovrò io adunque perire ora che stringo fra le mie
braccia colei che mi doveva far felice? Ah no! no, Ada, non ti
avranno quegli uomini, dovessi lasciare la vita nella pugna!
Si mise a indietreggiare a lenti passi, cogli occhi fissi
sotto la galleria e gli orecchi tesi, poi si curvò e depose
dolcemente a terra la giovanetta. Si strappò con rapido gesto
le pistole dalla cintola e le armò.
- Darma! - disse. La tigre gli si avvicinò.
- Rimani presso questa donna, - comandò Tremal-Naik. - Non
ti muovere se non quando ti chiamerò. Se qualcuno s'avvicina,
sbranalo senza pietà.
- Cosa vuoi fare, padrone? - chiese Kammamuri.
- Bisogna uscire da qui, - disse Tremal-Naik. - Andremo a
cercare una galleria che ci permetta di ritirarci in un luogo
sicuro. Vieni, Kammamuri.
Il maharatto, dopo di aver vagato per qualche minuto fra le
tenebre lo raggiunse. Si udì il rumore delle pistole che
armava.
- Sono pronto, padrone, - disse.
- Andiamo, mio prode amico.
- E se incontriamo i thugs?
- Ci ritireremo e daremo battaglia.
I due indiani riguadagnarono la galleria, e non senza una
viva emozione s'incamminarono. Tremal-Naik, voltandosi, scorse
fra l'oscurità gli occhi verdi della tigre.
- Posso fidarmi, - mormorò. - Non temere, Ada, che noi ti
salveremo. Soffocò un sospiro e tirò innanzi, camminando
curvo e sulla punta dei piedi, tastando con una mano la parete
di sinistra. Kammamuri, cinque passi più indietro, tastava la
parete di destra. Si avanzarono per pochi minuti, poi
s'arrestarono entrambi, trattenendo il respiro. Si udiva nel
fondo della galleria un lieve rumore, come un fremito. Si
avrebbe detto che una o più persone venivano avanti,
strisciando come serpenti.
Tremal-Naik attraversò la galleria e andò ad urtare
Kammamuri, il quale trasalì vivamente.
- Chi sei? - chiese questi sottovoce, puntandogli sul petto
una pistola.
- Hai udito? - domandò Tremal-Naik.
- Ah! sei tu, padrone? Sì, ho udito un lieve rumore.
Qualcuno si avanza strisciando.
- Gli strangolatori, forse?
- Credo che siano loro, padrone.
Tremal-Naik fremette dal capo ai piedi e si volse verso la
spelonca.
Gli occhi della tigre non luccicavano più. Una vaga
inquietudine s'impadronì di lui.
- Cosa accadrà! mormorò.
Fece qualche passo indietro come se volesse ritornare, ma
si arrestò subito, udendo a poca distanza un lieve respiro.
Afferrò la mano di Kammamuri e la strinse forte forte.
- Nulla? - mormorò una voce.
- Nulla, - rispose un'altra voce appena distinta.
- Abbiamo smarrita la via?
- Lo temo.
- Sai dove andiamo?
- Credo di sì.
- Vi sono dei passaggi?
- Non mi pare.
- Dei nascondigli?
- Un pozzo, se ben ricordo.
- Che siano laggiù?
- Impossibile saperlo.
- Vuoi proseguire?
- Preferisco ritornare.
- Chi ci segue?
- Nessuno, ma a trecento passi, fermi sull'angolo abbiamo
dei fratelli.
- Non potranno uscire di qui, adunque?
- No, perché i nostri fratelli vegliano.
- Ritorniamo e più tardi rovisteremo la caverna.
Si udì un lieve strofinìo che a poco a poco divenne più
leggiero, fino a che cessò del tutto.
Tremal-Naik tornò ad afferrare la mano di Kammamuri.
- Hai udito?
- Tutto, padrone, - rispose il maharatto.
- Ogni uscita ci è chiusa.
- Ci conviene indietreggiare, padrone.
- Ma più tardi ritorneranno e forse ci scopriranno.
- Non so cosa dire.
- Se forzassimo il passo? Trecento passi si possono
percorrere senza essere uditi.
- E Ada?
- La porterò io e nessuno ardirà toccarla.
- Ma alla prima archibusata avremo addosso tutti i settari.
L'eco si propaga rapidamente in queste gallerie.
Tremal-Naik si lacerò il petto colle unghie.
- Dovrò io dunque perderla? - mormorò egli con accento
disperato.
- E se si scendesse nel pozzo? - disse Kammamuri.
- Nel pozzo?
- Sì, non li hai uditi parlare d'un pozzo? Forse mette in
qualche galleria che ci condurrà all'aperto.
- Se fosse vero?
- Ritorniamo, padrone.
Tremal-Naik non se lo fece ripetere due volte. Raggiunse il
muro e lo seguì fino a che trovossi nell'antro. La tigre fece
udire il suo sordo brontolio.
- Taci, Darma, - diss'egli.
Le si avvicinò e s'abbassò verso terra.
- Ada, Ada, - ripeté con viva ansietà.
Nessuno rispose alla chiamata, ma sentì sottomano il corpo
gelido della giovanetta.
Frugò in direzione del cuore e lo sentì battere. Un gran
sospiro gli uscì dalle labbra.
- Non sarà nulla, - diss'egli. - Ritornerà in sé.
- Lo credi, padrone? - chiese Kammamuri.
- Sì, ritornerà in sé, e fra pochi minuti. L'emozione
che provò deve essere stata forte. Orsù, cerchiamo il pozzo,
Kammamuri.
- Lascia fare a me, padrone. Tu pensa alla tua Ada, ed
impedisci che qualcuno entri nella spelonca.
Si mise a cercare, andando un po' a dritta e un po' a
sinistra, a tentoni, avanzando, retrocedendo e spesso
abbassandosi. Quattro volte andò ad urtare contro le pareti
senza aver nulla trovato e altrettante volte tornò presso il
padrone. Già disperava di poterlo rintracciare, quando si
trovò addosso ad un parapetto, il quale, secondo i suoi
calcoli, doveva sorgere quasi nel mezzo della spelonca.
- Questo dev'essere il pozzo, - mormorò.
Si alzò facendo scorrere le mani sul muricciuolo e sentì
che a qualche metro dal suolo piegavasi. Girò attorno, poi si
chinò sul parapetto e guardò giù. Non iscorse che tenebre.
Prese una palla di carabina e la lasciò cadere. Dopo due
secondi udì un sordo rumore.
- Bene, il pozzo non ha acqua e non è tanto profondo.
Padrone! - chiamò egli.
Tremal-Naik sollevò con precauzione la giovanetta e lo
raggiunse.
- Ebbene? - chiese questi.
- La fortuna è con noi. Possiamo scendere.
- Vi è qualche gradinata?
- Non mi sembra. Scenderò io pel primo.
Si legò attraverso il corpo una fune che aveva portato con
sé, pose l'estremità nelle mani di Tremal-Naik e si calò
intrepidamente nel pozzo agitando le gambe nel vuoto. La
discesa durò un quarto di minuto al più, dopo di che
Kammamuri posò i piedi su di un terreno ben levigato che
risuonò come se sotto fosse vuoto.
- Alto, padrone, - diss'egli.
- Odi nulla? chiese Tremal-Naik, curvandosi sul parapetto.
- Non vedo, né odo nulla. Calami la giovanetta, poi
lasciati cader giù. Non vi sono più di otto piedi.
Ada, legata sotto le ascelle, passò fra le braccia di
Kammamuri, poi Tremal-Naik si lasciò cadere giù portando
seco la corda.
- Credi che ci troveranno qui? - chiese il maharatto.
- Forse, ma io ritengo che la difesa sarà facile.
- Che vi siano dei passaggi?
- Non lo credo, a ogni modo ci assicureremo più tardi. Tu
rimani qui colla tigre; io accenderò una torcia che ho
portata e tenterò di far tornare in sé Ada.
Riprese la giovanetta e la trasportò cinquanta passi più
lontano, mentre che la tigre con un gran salto precipitavasi
nel pozzo, sdraiandosi a fianco del maharatto.
Si strappò di dosso la larga fascia di cachemire, la stese
per terra, vi depose sopra la giovanetta e le si inginocchiò
accanto, poi diede fuoco ad una piccola torcia resinosa. Tosto
una luce azzurrognola illuminò il sotterraneo. Era questo
assai vasto, colle pareti di pietra qua e là screpolate e
scolpite bizzarramente. La volta era pure adorna di sculture
rappresentanti teste d'elefanti e divinità indiane e
s'alzava, nel mezzo, verso la bocca del pozzo, formando una
specie di gigantesco imbuto rovesciato.
Tremal-Naik, estremamente commosso, pallido, tremante si
curvò sulla giovanetta e le slacciò la corazza d'oro i cui
diamanti mandavano sprazzi di luce viva. Quella bella creatura
era fredda come un marmo e bianca come l'alabastro. Aveva gli
occhi chiusi e circondati da un cerchio azzurro, i lineamenti
alterati e le labbra semi-aperte che lasciavano a nudo i
candidissimi denti: si sarebbe detto che era morta.
Tremal-Naik le rialzò delicatamente i lunghi e neri
capelli che le cadevano sulla nivea fronte e la contemplò per
alcuni istanti, rattenendo persino il respiro.
Indi a poco la toccò in fronte e quel contatto strappò
alla giovanetta un lieve sospiro.
- Ada!... Ada!... esclamò l'indiano.
La testa della giovanetta chinata su di una spalla, si
alzò lentamente, poi le palpebre si aprirono e lo sguardo si
fissò sul volto di Tremal-Naik. Un grido uscì da quelle
labbra.
- Mi riconosci, Ada? - chiese Tremal-Naik.
- Tu... tu qui, Tremal-Naik! - esclamò ella con voce
fioca. - No... non è possibile... Dio, fa' che non sia un
sogno!...
Chinò la testa sul petto e scoppiò in lagrime.
- Ada! - mormorò Tremal-Naik, atterrito. - Perché
piangi?... Non mi ami più adunque?...
- Ma sei tu, proprio tu, Tremal-Naik?
- Sì, Ada, io, giunto in tempo per salvarti.
Ella rialzò il viso bagnato di lagrime. Le sue manine
strinsero affettuosamente quelle del prode indiano.
- No, non è un sogno! - esclamò ella ridendo e piangendo
ad un tempo. - Sì, sei tu, proprio tu!... Ma dove sono io?...
Perché queste umide pareti?... Perché quella torcia?... Ho
paura, Tremal-Naik...
- Sei presso di me, Ada, al sicuro dai colpi dei nemici.
Non aver paura che io ti difendo.
Ella lo guardò per alcuni istanti con strana fissazione,
poi divenne più pallida d'una morta e tremò in tutte le
membra.
- Ho sognato? - mormorò ella.
- Non hai sognato, - disse Tremal-Naik che indovinò il suo
pensiero.- Essi stavano per sacrificarti alla loro
spaventevole divinità.
- Sacrificarmi... Sì, sì, mi ricordo di tutto. M'avevano
offuscata la ragione, m'avevano promesso felicità nel
paradiso di Kâlì... sì, sì, mi ricordo che mi trascinavano
sotto le gallerie... che mi stordivano colle loro urla; il
fuoco ardeva a me dinanzi... stavano per gettarmi sulle
fiamme... orrore!... Ho paura!... ho paura, Tremal-Naik!
L'indiano le rispose con voce commossa.
- Non tremare, vaga vergine della pagoda, sei a me vicina,
presso il cacciatore di serpenti che giammai ebbe paura,
difesa dal forte braccio di Kammamuri e dagli artigli della
mia fedele Darma.
- No, non avrò paura, al tuo fianco, valoroso Tremal-Naik.
Ma come sei qui tu? Come mai giungesti in tempo per salvarmi?
Cos'è accaduto dopo quella notte orribile che fui strappata
dalla pagoda? Quanto ho sofferto, Tremal-Naik, da quel tempo.
Quante lagrime, quante angoscie, quanti tormenti! Credevo che
i miserabili ti avessero assassinato ed aveva già perduto
ogni speranza di rivedere colui che m'aveva promesso di
salvarmi.
- Ed io, credi che non abbia sofferto nella mia jungla,
lontano da te?
Credi tu che non abbia provato dei tormenti, quando colpito
al petto dal pugnale degli assassini, languivo impotente nel
fondo di un'amaca?
- Che?... Tu pugnalato?
- Sì, ma ora non porto che la cicatrice.
- E tu sei venuto ancora in quest'isola maledetta?
- Sì, Ada, e ci sarei venuto anche se avessi saputo di non
ritornare mai più vivo nella mia jungla. Un miserabile mi
aveva confessato che tu correvi il pericolo di venire
sacrificata alla divinità di questi uomini. Poteva io
rimanere nella jungla nera? Partii, anzi volai, scesi in
queste caverne e piombai in mezzo all'orda. Appena ti ebbi
strappata dai loro artigli fuggii e qui mi nascosi coi miei
compagni.
- Non siamo adunque soli qui?
- No, abbiamo il prode Kammamuri e Darma.
- Oh! io voglio vederli questi tuoi compagni.
- Kammamuri! Darma!
Il maharatto e la tigre s'accostarono al padrone.
- Ecco Kammamuri, - disse Tremal-Naik, - un vero valoroso.
Il maharatto cadde ai piedi della giovanetta baciandole la
mano che le porgeva.
- Grazie, mio buon amico, diss'ella.
- Padrona, - rispose Kammamuri, - mia buona padrona, io
sono tuo schiavo. Fa' di me quello che tu vuoi. Sarò felice
di perdere la mia vita per la tua libertà e...
S'arrestò di botto balzando in piedi. Tremal-Naik,
malgrado il suo straordinario coraggio, rabbrividì.
Un lontano fragore erasi improvvisamente udito e andava
avvicinandosi rapidamente.
- Giungono? - si chiese Tremal-Naik, stringendo colla
sinistra la mano della fidanzata ed afferrando colla destra
una pistola.
La tigre mandò un sordo brontolìo
Il rumore s'avvicinava sempre. Passò sopra le loro teste
facendo tremare le volte della spelonca, poi cessò tutto d'un
colpo. Padrone, - mormorò Kammamuri, - spegni il fuoco! -
Tremal-Naik ubbidì e tutti e quattro si seppellirono nelle
tenebre. Il medesimo fragore tornò a ripetersi, ripassò
sulle loro teste e come prima cessò presso al pozzo. Ada
tremò così forte, che l'indiano se ne accorse.
- Sono qui io a difenderti, - le disse. - Nessuno scenderà
quaggiù.
- Ma cos'è? - chiese Kammamuri.- Ne sai nulla, Ada?
- Questo rumore l'ho udito ancora, - rispose con un filo di
voce la giovanetta. - Non seppi mai cosa significasse, né chi
lo producesse.
La tigre emise un secondo brontolìo e guardò fisso fisso
la gola del pozzo.
- Kammamuri, - disse Tremal-Naik - qualcuno si avvicina.
- Sì, la tigre lo ha udito.
- Rimani presso Ada. Io vado a vedere se scendono.
La giovanetta s'aggrappò a lui, tremando per fortissimo
spavento e: - Tremal-Naik! Tremal-Naik! - mormorò con voce
appena percettibile. - Non temere, Ada, - rispose l'indiano,
che in quell'istante avrebbe pugnato contro mille uomini.
Si svincolò dalle braccia della fidanzata, e s'avvicinò
al pozzo col coltellaccio fra i denti e la carabina armata. La
tigre lo seguiva, brontolando.
Non aveva fatto dieci passi che udì in alto un lieve
crepitìo. Passò la mano sulla testa di Darma come per
raccomandarle silenzio, e s'avvicinò con maggior precauzione,
arrestandosi sotto l'apertura del pozzo.
Guardò su, ma l'oscurità era troppo fitta per distinguere
qualche cosa. Tendendo bene l'orecchio, raccolse un lieve
bisbiglio. Si sarebbe detto che alcune persone parlavano
presso il muricciuolo.
- Eccoli, - mormorò egli. - A noi due, Suyodhana. -
Non aveva ancora terminato che un bagliore illuminò la
sovrastante spelonca.
Per quanto fosse stato rapido, Tremal-Naik scorse, chinati
sul pozzo, sei o sette indiani.
Puntò rapidamente la carabina e drizzò la canna verso il
parapetto che stavagli di fronte.
- Sono qui sotto, - disse una voce.
- Ho scorto il nostro uomo, - disse un'altra.
Tremal-Naik premette il grilletto. La detonazione fu
coperta da un clamore spaventevole.
Uno scroscio rimbombò sul pozzo e ogni fragore
improvvisamente cessò. Tremal-Naik scaricò una delle sue
pistole. Un'esclamazione di rabbia gli sfuggì.
- Ah miserabili! - gridò.
Kammamuri e Ada si slanciarono, di comune accordo, verso di
lui.
- Tremal-Naik! - esclamò la giovanetta, prendendogli una
mano.- Sei ferito?
- No, Ada, non sono ferito - rispose l'indiano forzandosi
di parere calmo.
- Quello scroscio?...
- Hanno rinchiuso il pozzo, ma usciremo di qui, o mia Ada,
te lo prometto.
Accese la torcia e trasse la fidanzata lontano, facendola
sedere sul cachemire.
- Sei stanca, - le disse dolcemente. - Cerca di riposare,
mentre noi cerchiamo un passaggio. Finché ci siamo noi, non
correrai pericolo alcuno.
La giovanetta affranta da tante emozioni, malgrado
l'imminenza del pericolo, lo ubbidì e si coricò sullo
scialle. Tremal-Naik ed il maharatto si diressero verso le
pareti e si misero a scandagliare con profonda attenzione,
colla speranza di trovare qualche passaggio che permettesse a
loro la fuga.
Cosa strana, incomprensibile: al di là della parete
s'udiva di quando in quando un cupo fragore, eguale a quello
poco prima udito e che faceva mugolare la tigre.
Era da una mezz'ora che cercavano, percuotendo le rocce col
coltello e scrostandole, quando s'accorsero che la temperatura
dell'antro erasi cangiata, diventando assai calda. Tremal-Naik
e il maharatto sudavano come se fossero in una stufa.
- Cosa vuol dir ciò? - si chiedeva il cacciatore di
serpenti, assai inquieto. Scorse un'altra mezz'ora, durante la
quale la temperatura continuò ad elevarsi. Pareva che dalle
roccie uscissero vampe di fuoco. In breve, quel calore divenne
insopportabile.
- Ma che vogliano arrostirci? - domandò il maharatto.
- Non capisco più nulla, - rispose Tremal-Naik,
liberandosi del dubgah.
- Ma da dove viene questo calore? Se continua così,
cuoceremo.
- Affrettiamoci.
Ripresero gli scandagli, ma fecero il giro della caverna
senza avere scoperto passaggi.
Tuttavia, in un angolo, la roccia risuonava come se fosse
vuota. Si poteva intaccarla coi coltelli e scavare una
galleria.
I due indiani tornarono presso la giovanetta, ma questa
dormiva. Si consigliarono brevemente sul da farsi e decisero
di procedere immediatamente alla loro liberazione. Impugnati i
coltelli assalirono vigorosamente la roccia, ma ben presto
dovettero sostare. La temperatura era diventata ardente e
morivano di sete. Cercarono se vi fosse qualche pozza d'acqua,
ma non ne trovarono una sola goccia.
Ebbero paura.
- Dovremo morire in questa spelonca? - si chiese
Tremal-Naik, gettando uno sguardo disperato su quelle rupi,
che a poco a poco si calcinavano.
In quell'istante un misterioso mormorio si fece udire sopra
le loro teste ed un enorme pezzo di rupe si staccò dalla
volta, cadendo a terra con grande fracasso. Quasi subito, da
quel crepaccio, piombò giù furiosamente un largo sprazzo
d'acqua.
- Siamo salvi! - urlò Kammamuri.
- Tremal-Naik, - mormorò la giovanetta, svegliata dal
precipitare della cascata. L'indiano si lanciò verso di lei.
- Cosa vuoi? - le chiese.
- Soffoco... l'aria mi manca. Cos'è questo intenso calore
che mi dissecca? Un sorso d'acqua, Tremal-Naik, dammi un sorso
d'acqua. -
Il cacciatore di serpenti la prese fra le sue robuste
braccia e la portò presso alla cascata, dove il maharatto e
la tigre bevevano a lunghi sorsi.
Colle mani fece una specie di conca che riempì di acqua e
l'accostò alle labbra della giovanetta, dicendole:
- Bevi, Ada, ve n'è per tutti.
Le porse parecchie volte da bere e poi, a sua volta, si
dissetò.
D'improvviso la tigre emise un rauco miagolio, indi cadde
pesantemente al suolo, dibattendosi furiosamente. Kammamuri,
spaventato, si slanciò verso la belva, ma le forze tutto d'un
tratto gli mancarono e cadde supino cogli occhi stravolti, le
mani raggrinzate e le labbra coperte di bava sanguigna.
- Pa...drone!... - balbettò, con voce spenta.
- Kammamuri! - gridò Tremal-Naik, - grande Siva!...
Ada!... Oh mia Ada!...
La giovanetta come la tigre e Kammamuri aveva gli occhi
sbarrati, la spuma alle labbra e la faccia spaventosamente
alterata. Agitò le mani cercando di aggrapparsi al collo
dell'indiano, aprì la bocca come se volesse parlare, poi
chiuse gli occhi e si irrigidì.. Tremal-Naik la sostenne e
mandò un urlo straziante.
- Ada!... Aiuto!... Aiuto!...
Fu l'ultimo suo grido. La vista gli si offuscò, i muscoli
gli si irrigidirono, una violenta commozione lo scosse dal
capo alle piante, vacillò, si raddrizzò, indi cadde come
fulminato sulle ardenti pietre della caverna, trascinando seco
la fidanzata.
Quasi nel medesimo istante sopra il pozzo s'udì uno
schianto, ed una turba d'indiani precipitò nella spelonca,
gettandosi sui quattro fulminati.
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