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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA
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I MISTERI DELLA JUNGLA NERA

di: Emilio Salgari

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PARTE PRIMA

XVI. Il trionfo degli strangolatori.

I sotterranei di Raimangal, abitati dai settari di Kâlì, erano vasti quanto mai, forse assai più dei famosi sotterranei di Mavalipuran e di Ellora.

Infinite gallerie solcavano il sottosuolo in mille direzioni, alcune tanto basse da non tenervisi in piedi un uomo, altre altissime e vaste, alcune diritte, altre tortuose che salivano a toccare la superficie pantanosa dell'isola o che scendevano nelle viscere della terra.

Qua antri orribili, umidi, freddi, oscurissimi, da secoli e secoli disabitati; colà caverne, spelonche, pagode adorne di mostruose e bizzarre figure della mitologia indiana e ingombre di colonnati, e più oltre pozzi che mettevano in sotterranei ancor più tenebrosi e forse ancora ignorati dagli strangolatori.

Tremal-Naik, fatto il colpo, s'era slanciato sotto le nere volte della prima galleria trovatasi a lui dinanzi, seguito da Kammamuri e dalla tigre.

Non sapeva dove andava a terminare, ma non se ne curava più che tanto.

Non ci vedeva, ma non si dava, almeno pel momento, pensiero alcuno.

A lui bastava fuggire, a lui bastava frapporre fra sé e gli strangolatori il maggiore spazio possibile, prima che si riavessero dalla sorpresa e dal terrore cagionato dall'improvvisa comparsa della tigre, e che organizzassero la caccia all'uomo.

Aveva gettato una parte delle sue munizioni per essere più leggiero e correva colla massima velocità, senza deviare.

Fra le braccia stringeva sempre la giovanetta svenuta e, ponendo ogni cura a salvaguardarla da qualsiasi urto, ripeteva di quando in quando:

- Salva! Salva!... Io divento pazzo!...

E nel suo eccitamento ritrovava sempre maggiori forze; quel fardello gli sembrava più leggiero e precipitava la rapidissima corsa, pauroso di essere raggiunto dai suoi feroci nemici.

Kammamuri gli teneva dietro con grande fatica, brancolando fra l'oscurità, fiancheggiato dalla fedele Darma che fendeva lo spazio con slanci immensi, emettendo di quando in quando un sordo miagolìo.

- Frenati, padrone, - ripeteva il povero maharatto. - Io mi perdo.

Tremal-Naik invece raddoppiava sempre la corsa e rispondeva invariabilmente:

- Più avanti!... più avanti!... Salva!... Salva!... io divento pazzo!...

Correva da dieci minuti, quando urtò furiosamente contro una parete che sbarravagli il passo. L'urto fu così forte, che cadde pesantemente a terra trascinando seco Ada.

Si rialzò prontamente tenendo sempre stretta fra le braccia la giovanetta e diede di cozzo contro Kammamuri, il quale trasportato dallo slancio, stava per rompersi il cranio contro la parete.

- Padrone! - esclamò il maharatto, atterrito. Cosa succede?

- La via è sbarrata! - esclamò Tremal-Naik volgendo all'intorno uno sguardo feroce.

- Fermiamoci, padrone.

Tremal-Naik stava per rispondere, quando in lontananza si udirono urla spaventevoli. Fece un salto indietro emettendo un grido di rabbia e di disperazione.

- I thugs!

- Padrone!...

- Corri, Kammamuri, corri!...

Volse a destra e riprese la corsa, ma dopo dieci passi tornò ad urtare. Gli si rizzarono i capelli sul capo.

- Maledizione! - tuonò. - Siamo adunque rinchiusi? -

Si precipitò a sinistra e urtò contro una terza parete. La tigre, che si era pure scagliata contro le roccie, fece udire un miagolìo che si cangiò ben presto in un formidabile ruggito.

Tremal-Naik si volse indietro. Ebbe per un istante l'idea di ritornare sui propri passi per cercare un'altra galleria, ma il timore di trovarsi improvvisamente dinanzi ai settari, lo trattenne.

Se fosse stato solo, non avrebbe esitato a scagliarsi in mezzo all'orda che stava per rinchiuderlo nell'antro, fosse pur stato sicuro di uscire ferito dalla pugna ineguale.

Ma cimentarsi, ora che aveva strappato dalla morte colei che amava; cimentarsi ora che aveva raggiunto il suo scopo, lo spaventava.

E nondimeno bisognava uscire a ogni costo da quella caverna, che poteva diventare, fra brevi istanti, una tomba.

- Ma sono io adunque maledetto dai numi? - esclamò egli furente - Dovrò io adunque perire ora che stringo fra le mie braccia colei che mi doveva far felice? Ah no! no, Ada, non ti avranno quegli uomini, dovessi lasciare la vita nella pugna!

Si mise a indietreggiare a lenti passi, cogli occhi fissi sotto la galleria e gli orecchi tesi, poi si curvò e depose dolcemente a terra la giovanetta. Si strappò con rapido gesto le pistole dalla cintola e le armò.

- Darma! - disse. La tigre gli si avvicinò.

- Rimani presso questa donna, - comandò Tremal-Naik. - Non ti muovere se non quando ti chiamerò. Se qualcuno s'avvicina, sbranalo senza pietà.

- Cosa vuoi fare, padrone? - chiese Kammamuri.

- Bisogna uscire da qui, - disse Tremal-Naik. - Andremo a cercare una galleria che ci permetta di ritirarci in un luogo sicuro. Vieni, Kammamuri.

Il maharatto, dopo di aver vagato per qualche minuto fra le tenebre lo raggiunse. Si udì il rumore delle pistole che armava.

- Sono pronto, padrone, - disse.

- Andiamo, mio prode amico.

- E se incontriamo i thugs?

- Ci ritireremo e daremo battaglia.

I due indiani riguadagnarono la galleria, e non senza una viva emozione s'incamminarono. Tremal-Naik, voltandosi, scorse fra l'oscurità gli occhi verdi della tigre.

- Posso fidarmi, - mormorò. - Non temere, Ada, che noi ti salveremo. Soffocò un sospiro e tirò innanzi, camminando curvo e sulla punta dei piedi, tastando con una mano la parete di sinistra. Kammamuri, cinque passi più indietro, tastava la parete di destra. Si avanzarono per pochi minuti, poi s'arrestarono entrambi, trattenendo il respiro. Si udiva nel fondo della galleria un lieve rumore, come un fremito. Si avrebbe detto che una o più persone venivano avanti, strisciando come serpenti.

Tremal-Naik attraversò la galleria e andò ad urtare Kammamuri, il quale trasalì vivamente.

- Chi sei? - chiese questi sottovoce, puntandogli sul petto una pistola.

- Hai udito? - domandò Tremal-Naik.

- Ah! sei tu, padrone? Sì, ho udito un lieve rumore. Qualcuno si avanza strisciando.

- Gli strangolatori, forse?

- Credo che siano loro, padrone.

Tremal-Naik fremette dal capo ai piedi e si volse verso la spelonca.

Gli occhi della tigre non luccicavano più. Una vaga inquietudine s'impadronì di lui.

- Cosa accadrà! mormorò.

Fece qualche passo indietro come se volesse ritornare, ma si arrestò subito, udendo a poca distanza un lieve respiro. Afferrò la mano di Kammamuri e la strinse forte forte.

- Nulla? - mormorò una voce.

- Nulla, - rispose un'altra voce appena distinta.

- Abbiamo smarrita la via?

- Lo temo.

- Sai dove andiamo?

- Credo di sì.

- Vi sono dei passaggi?

- Non mi pare.

- Dei nascondigli?

- Un pozzo, se ben ricordo.

- Che siano laggiù?

- Impossibile saperlo.

- Vuoi proseguire?

- Preferisco ritornare.

- Chi ci segue?

- Nessuno, ma a trecento passi, fermi sull'angolo abbiamo dei fratelli.

- Non potranno uscire di qui, adunque?

- No, perché i nostri fratelli vegliano.

- Ritorniamo e più tardi rovisteremo la caverna.

Si udì un lieve strofinìo che a poco a poco divenne più leggiero, fino a che cessò del tutto.

Tremal-Naik tornò ad afferrare la mano di Kammamuri.

- Hai udito?

- Tutto, padrone, - rispose il maharatto.

- Ogni uscita ci è chiusa.

- Ci conviene indietreggiare, padrone.

- Ma più tardi ritorneranno e forse ci scopriranno.

- Non so cosa dire.

- Se forzassimo il passo? Trecento passi si possono percorrere senza essere uditi.

- E Ada?

- La porterò io e nessuno ardirà toccarla.

- Ma alla prima archibusata avremo addosso tutti i settari. L'eco si propaga rapidamente in queste gallerie.

Tremal-Naik si lacerò il petto colle unghie.

- Dovrò io dunque perderla? - mormorò egli con accento disperato.

- E se si scendesse nel pozzo? - disse Kammamuri.

- Nel pozzo?

- Sì, non li hai uditi parlare d'un pozzo? Forse mette in qualche galleria che ci condurrà all'aperto.

- Se fosse vero?

- Ritorniamo, padrone.

Tremal-Naik non se lo fece ripetere due volte. Raggiunse il muro e lo seguì fino a che trovossi nell'antro. La tigre fece udire il suo sordo brontolio.

- Taci, Darma, - diss'egli.

Le si avvicinò e s'abbassò verso terra.

- Ada, Ada, - ripeté con viva ansietà.

Nessuno rispose alla chiamata, ma sentì sottomano il corpo gelido della giovanetta.

Frugò in direzione del cuore e lo sentì battere. Un gran sospiro gli uscì dalle labbra.

- Non sarà nulla, - diss'egli. - Ritornerà in sé.

- Lo credi, padrone? - chiese Kammamuri.

- Sì, ritornerà in sé, e fra pochi minuti. L'emozione che provò deve essere stata forte. Orsù, cerchiamo il pozzo, Kammamuri.

- Lascia fare a me, padrone. Tu pensa alla tua Ada, ed impedisci che qualcuno entri nella spelonca.

Si mise a cercare, andando un po' a dritta e un po' a sinistra, a tentoni, avanzando, retrocedendo e spesso abbassandosi. Quattro volte andò ad urtare contro le pareti senza aver nulla trovato e altrettante volte tornò presso il padrone. Già disperava di poterlo rintracciare, quando si trovò addosso ad un parapetto, il quale, secondo i suoi calcoli, doveva sorgere quasi nel mezzo della spelonca.

- Questo dev'essere il pozzo, - mormorò.

Si alzò facendo scorrere le mani sul muricciuolo e sentì che a qualche metro dal suolo piegavasi. Girò attorno, poi si chinò sul parapetto e guardò giù. Non iscorse che tenebre.

Prese una palla di carabina e la lasciò cadere. Dopo due secondi udì un sordo rumore.

- Bene, il pozzo non ha acqua e non è tanto profondo. Padrone! - chiamò egli.

Tremal-Naik sollevò con precauzione la giovanetta e lo raggiunse.

- Ebbene? - chiese questi.

- La fortuna è con noi. Possiamo scendere.

- Vi è qualche gradinata?

- Non mi sembra. Scenderò io pel primo.

Si legò attraverso il corpo una fune che aveva portato con sé, pose l'estremità nelle mani di Tremal-Naik e si calò intrepidamente nel pozzo agitando le gambe nel vuoto. La discesa durò un quarto di minuto al più, dopo di che Kammamuri posò i piedi su di un terreno ben levigato che risuonò come se sotto fosse vuoto.

- Alto, padrone, - diss'egli.

- Odi nulla? chiese Tremal-Naik, curvandosi sul parapetto.

- Non vedo, né odo nulla. Calami la giovanetta, poi lasciati cader giù. Non vi sono più di otto piedi.

Ada, legata sotto le ascelle, passò fra le braccia di Kammamuri, poi Tremal-Naik si lasciò cadere giù portando seco la corda.

- Credi che ci troveranno qui? - chiese il maharatto.

- Forse, ma io ritengo che la difesa sarà facile.

- Che vi siano dei passaggi?

- Non lo credo, a ogni modo ci assicureremo più tardi. Tu rimani qui colla tigre; io accenderò una torcia che ho portata e tenterò di far tornare in sé Ada.

Riprese la giovanetta e la trasportò cinquanta passi più lontano, mentre che la tigre con un gran salto precipitavasi nel pozzo, sdraiandosi a fianco del maharatto.

Si strappò di dosso la larga fascia di cachemire, la stese per terra, vi depose sopra la giovanetta e le si inginocchiò accanto, poi diede fuoco ad una piccola torcia resinosa. Tosto una luce azzurrognola illuminò il sotterraneo. Era questo assai vasto, colle pareti di pietra qua e là screpolate e scolpite bizzarramente. La volta era pure adorna di sculture rappresentanti teste d'elefanti e divinità indiane e s'alzava, nel mezzo, verso la bocca del pozzo, formando una specie di gigantesco imbuto rovesciato.

Tremal-Naik, estremamente commosso, pallido, tremante si curvò sulla giovanetta e le slacciò la corazza d'oro i cui diamanti mandavano sprazzi di luce viva. Quella bella creatura era fredda come un marmo e bianca come l'alabastro. Aveva gli occhi chiusi e circondati da un cerchio azzurro, i lineamenti alterati e le labbra semi-aperte che lasciavano a nudo i candidissimi denti: si sarebbe detto che era morta.

Tremal-Naik le rialzò delicatamente i lunghi e neri capelli che le cadevano sulla nivea fronte e la contemplò per alcuni istanti, rattenendo persino il respiro.

Indi a poco la toccò in fronte e quel contatto strappò alla giovanetta un lieve sospiro.

- Ada!... Ada!... esclamò l'indiano.

La testa della giovanetta chinata su di una spalla, si alzò lentamente, poi le palpebre si aprirono e lo sguardo si fissò sul volto di Tremal-Naik. Un grido uscì da quelle labbra.

- Mi riconosci, Ada? - chiese Tremal-Naik.

- Tu... tu qui, Tremal-Naik! - esclamò ella con voce fioca. - No... non è possibile... Dio, fa' che non sia un sogno!...

Chinò la testa sul petto e scoppiò in lagrime.

- Ada! - mormorò Tremal-Naik, atterrito. - Perché piangi?... Non mi ami più adunque?...

- Ma sei tu, proprio tu, Tremal-Naik?

- Sì, Ada, io, giunto in tempo per salvarti.

Ella rialzò il viso bagnato di lagrime. Le sue manine strinsero affettuosamente quelle del prode indiano.

- No, non è un sogno! - esclamò ella ridendo e piangendo ad un tempo. - Sì, sei tu, proprio tu!... Ma dove sono io?... Perché queste umide pareti?... Perché quella torcia?... Ho paura, Tremal-Naik...

- Sei presso di me, Ada, al sicuro dai colpi dei nemici. Non aver paura che io ti difendo.

Ella lo guardò per alcuni istanti con strana fissazione, poi divenne più pallida d'una morta e tremò in tutte le membra.

- Ho sognato? - mormorò ella.

- Non hai sognato, - disse Tremal-Naik che indovinò il suo pensiero.- Essi stavano per sacrificarti alla loro spaventevole divinità.

- Sacrificarmi... Sì, sì, mi ricordo di tutto. M'avevano offuscata la ragione, m'avevano promesso felicità nel paradiso di Kâlì... sì, sì, mi ricordo che mi trascinavano sotto le gallerie... che mi stordivano colle loro urla; il fuoco ardeva a me dinanzi... stavano per gettarmi sulle fiamme... orrore!... Ho paura!... ho paura, Tremal-Naik!

L'indiano le rispose con voce commossa.

- Non tremare, vaga vergine della pagoda, sei a me vicina, presso il cacciatore di serpenti che giammai ebbe paura, difesa dal forte braccio di Kammamuri e dagli artigli della mia fedele Darma.

- No, non avrò paura, al tuo fianco, valoroso Tremal-Naik. Ma come sei qui tu? Come mai giungesti in tempo per salvarmi? Cos'è accaduto dopo quella notte orribile che fui strappata dalla pagoda? Quanto ho sofferto, Tremal-Naik, da quel tempo. Quante lagrime, quante angoscie, quanti tormenti! Credevo che i miserabili ti avessero assassinato ed aveva già perduto ogni speranza di rivedere colui che m'aveva promesso di salvarmi.

- Ed io, credi che non abbia sofferto nella mia jungla, lontano da te?

Credi tu che non abbia provato dei tormenti, quando colpito al petto dal pugnale degli assassini, languivo impotente nel fondo di un'amaca?

- Che?... Tu pugnalato?

- Sì, ma ora non porto che la cicatrice.

- E tu sei venuto ancora in quest'isola maledetta?

- Sì, Ada, e ci sarei venuto anche se avessi saputo di non ritornare mai più vivo nella mia jungla. Un miserabile mi aveva confessato che tu correvi il pericolo di venire sacrificata alla divinità di questi uomini. Poteva io rimanere nella jungla nera? Partii, anzi volai, scesi in queste caverne e piombai in mezzo all'orda. Appena ti ebbi strappata dai loro artigli fuggii e qui mi nascosi coi miei compagni.

- Non siamo adunque soli qui?

- No, abbiamo il prode Kammamuri e Darma.

- Oh! io voglio vederli questi tuoi compagni.

- Kammamuri! Darma!

Il maharatto e la tigre s'accostarono al padrone.

- Ecco Kammamuri, - disse Tremal-Naik, - un vero valoroso.

Il maharatto cadde ai piedi della giovanetta baciandole la mano che le porgeva.

- Grazie, mio buon amico, diss'ella.

- Padrona, - rispose Kammamuri, - mia buona padrona, io sono tuo schiavo. Fa' di me quello che tu vuoi. Sarò felice di perdere la mia vita per la tua libertà e...

S'arrestò di botto balzando in piedi. Tremal-Naik, malgrado il suo straordinario coraggio, rabbrividì.

Un lontano fragore erasi improvvisamente udito e andava avvicinandosi rapidamente.

- Giungono? - si chiese Tremal-Naik, stringendo colla sinistra la mano della fidanzata ed afferrando colla destra una pistola.

La tigre mandò un sordo brontolìo

Il rumore s'avvicinava sempre. Passò sopra le loro teste facendo tremare le volte della spelonca, poi cessò tutto d'un colpo. Padrone, - mormorò Kammamuri, - spegni il fuoco! -

Tremal-Naik ubbidì e tutti e quattro si seppellirono nelle tenebre. Il medesimo fragore tornò a ripetersi, ripassò sulle loro teste e come prima cessò presso al pozzo. Ada tremò così forte, che l'indiano se ne accorse.

- Sono qui io a difenderti, - le disse. - Nessuno scenderà quaggiù.

- Ma cos'è? - chiese Kammamuri.- Ne sai nulla, Ada?

- Questo rumore l'ho udito ancora, - rispose con un filo di voce la giovanetta. - Non seppi mai cosa significasse, né chi lo producesse.

La tigre emise un secondo brontolìo e guardò fisso fisso la gola del pozzo.

- Kammamuri, - disse Tremal-Naik - qualcuno si avvicina.

- Sì, la tigre lo ha udito.

- Rimani presso Ada. Io vado a vedere se scendono.

La giovanetta s'aggrappò a lui, tremando per fortissimo spavento e: - Tremal-Naik! Tremal-Naik! - mormorò con voce appena percettibile. - Non temere, Ada, - rispose l'indiano, che in quell'istante avrebbe pugnato contro mille uomini.

Si svincolò dalle braccia della fidanzata, e s'avvicinò al pozzo col coltellaccio fra i denti e la carabina armata. La tigre lo seguiva, brontolando.

Non aveva fatto dieci passi che udì in alto un lieve crepitìo. Passò la mano sulla testa di Darma come per raccomandarle silenzio, e s'avvicinò con maggior precauzione, arrestandosi sotto l'apertura del pozzo.

Guardò su, ma l'oscurità era troppo fitta per distinguere qualche cosa. Tendendo bene l'orecchio, raccolse un lieve bisbiglio. Si sarebbe detto che alcune persone parlavano presso il muricciuolo.

- Eccoli, - mormorò egli. - A noi due, Suyodhana. -

Non aveva ancora terminato che un bagliore illuminò la sovrastante spelonca.

Per quanto fosse stato rapido, Tremal-Naik scorse, chinati sul pozzo, sei o sette indiani.

Puntò rapidamente la carabina e drizzò la canna verso il parapetto che stavagli di fronte.

- Sono qui sotto, - disse una voce.

- Ho scorto il nostro uomo, - disse un'altra.

Tremal-Naik premette il grilletto. La detonazione fu coperta da un clamore spaventevole.

Uno scroscio rimbombò sul pozzo e ogni fragore improvvisamente cessò. Tremal-Naik scaricò una delle sue pistole. Un'esclamazione di rabbia gli sfuggì.

- Ah miserabili! - gridò.

Kammamuri e Ada si slanciarono, di comune accordo, verso di lui.

- Tremal-Naik! - esclamò la giovanetta, prendendogli una mano.- Sei ferito?

- No, Ada, non sono ferito - rispose l'indiano forzandosi di parere calmo.

- Quello scroscio?...

- Hanno rinchiuso il pozzo, ma usciremo di qui, o mia Ada, te lo prometto.

Accese la torcia e trasse la fidanzata lontano, facendola sedere sul cachemire.

- Sei stanca, - le disse dolcemente. - Cerca di riposare, mentre noi cerchiamo un passaggio. Finché ci siamo noi, non correrai pericolo alcuno.

La giovanetta affranta da tante emozioni, malgrado l'imminenza del pericolo, lo ubbidì e si coricò sullo scialle. Tremal-Naik ed il maharatto si diressero verso le pareti e si misero a scandagliare con profonda attenzione, colla speranza di trovare qualche passaggio che permettesse a loro la fuga.

Cosa strana, incomprensibile: al di là della parete s'udiva di quando in quando un cupo fragore, eguale a quello poco prima udito e che faceva mugolare la tigre.

Era da una mezz'ora che cercavano, percuotendo le rocce col coltello e scrostandole, quando s'accorsero che la temperatura dell'antro erasi cangiata, diventando assai calda. Tremal-Naik e il maharatto sudavano come se fossero in una stufa.

- Cosa vuol dir ciò? - si chiedeva il cacciatore di serpenti, assai inquieto. Scorse un'altra mezz'ora, durante la quale la temperatura continuò ad elevarsi. Pareva che dalle roccie uscissero vampe di fuoco. In breve, quel calore divenne insopportabile.

- Ma che vogliano arrostirci? - domandò il maharatto.

- Non capisco più nulla, - rispose Tremal-Naik, liberandosi del dubgah.

- Ma da dove viene questo calore? Se continua così, cuoceremo.

- Affrettiamoci.

Ripresero gli scandagli, ma fecero il giro della caverna senza avere scoperto passaggi.

Tuttavia, in un angolo, la roccia risuonava come se fosse vuota. Si poteva intaccarla coi coltelli e scavare una galleria.

I due indiani tornarono presso la giovanetta, ma questa dormiva. Si consigliarono brevemente sul da farsi e decisero di procedere immediatamente alla loro liberazione. Impugnati i coltelli assalirono vigorosamente la roccia, ma ben presto dovettero sostare. La temperatura era diventata ardente e morivano di sete. Cercarono se vi fosse qualche pozza d'acqua, ma non ne trovarono una sola goccia.

Ebbero paura.

- Dovremo morire in questa spelonca? - si chiese Tremal-Naik, gettando uno sguardo disperato su quelle rupi, che a poco a poco si calcinavano.

In quell'istante un misterioso mormorio si fece udire sopra le loro teste ed un enorme pezzo di rupe si staccò dalla volta, cadendo a terra con grande fracasso. Quasi subito, da quel crepaccio, piombò giù furiosamente un largo sprazzo d'acqua.

- Siamo salvi! - urlò Kammamuri.

- Tremal-Naik, - mormorò la giovanetta, svegliata dal precipitare della cascata. L'indiano si lanciò verso di lei.

- Cosa vuoi? - le chiese.

- Soffoco... l'aria mi manca. Cos'è questo intenso calore che mi dissecca? Un sorso d'acqua, Tremal-Naik, dammi un sorso d'acqua. -

Il cacciatore di serpenti la prese fra le sue robuste braccia e la portò presso alla cascata, dove il maharatto e la tigre bevevano a lunghi sorsi.

Colle mani fece una specie di conca che riempì di acqua e l'accostò alle labbra della giovanetta, dicendole:

- Bevi, Ada, ve n'è per tutti.

Le porse parecchie volte da bere e poi, a sua volta, si dissetò.

D'improvviso la tigre emise un rauco miagolio, indi cadde pesantemente al suolo, dibattendosi furiosamente. Kammamuri, spaventato, si slanciò verso la belva, ma le forze tutto d'un tratto gli mancarono e cadde supino cogli occhi stravolti, le mani raggrinzate e le labbra coperte di bava sanguigna.

- Pa...drone!... - balbettò, con voce spenta.

- Kammamuri! - gridò Tremal-Naik, - grande Siva!... Ada!... Oh mia Ada!...

La giovanetta come la tigre e Kammamuri aveva gli occhi sbarrati, la spuma alle labbra e la faccia spaventosamente alterata. Agitò le mani cercando di aggrapparsi al collo dell'indiano, aprì la bocca come se volesse parlare, poi chiuse gli occhi e si irrigidì.. Tremal-Naik la sostenne e mandò un urlo straziante.

- Ada!... Aiuto!... Aiuto!...

Fu l'ultimo suo grido. La vista gli si offuscò, i muscoli gli si irrigidirono, una violenta commozione lo scosse dal capo alle piante, vacillò, si raddrizzò, indi cadde come fulminato sulle ardenti pietre della caverna, trascinando seco la fidanzata.

Quasi nel medesimo istante sopra il pozzo s'udì uno schianto, ed una turba d'indiani precipitò nella spelonca, gettandosi sui quattro fulminati.

 

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Ultimo Aggiornamento:
17/07/2005 20.47

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