ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Elettra.
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Notte! funesta,
atroce, orribil notte,
presente
ognora al mio pensiero! ogni anno,
oggi ha due
lustri, ritornar ti veggio
vestita d'atre
tenebre di sangue;
eppur quel
sangue, ch'espiar ti debbe,
finor non
scorre. - Oh rimembranza! Oh vista!
Agamennón,
misero padre! in queste
soglie svenato
io ti vedea; svenato;
e per qual
mano! - O notte, almen mi scorgi
non vista, al
sacro avello. Ah! pur ch'Egisto,
pria che
raggiorni, a disturbar non venga
il mio pianto,
che al cenere paterno
misera reco in
annual tributo!
Tributo, il
sol ch'io dar per or ti possa,
di pianto, o
padre, e di non morta speme
di possibil
vendetta. Ah! sí: tel giuro:
se in Argo io
vivo, entro tua reggia, al fianco
d'iniqua
madre, e d'un Egisto io schiava,
null'altro
fammi ancor soffrir tal vita,
che la
speranza di vendetta. È lungi,
ma vivo,
Oreste. Io ti salvai, fratello;
a te mi serbo;
infin che sorga il giorno,
che tu, non
pianto, ma sangue nemico
scorrer farai
sulla paterna tomba.
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SCENA SECONDA
Clitennestra, Elettra.
CLITENNESTRA |
Figlia. |
ELETTRA |
Qual voce? Oh
ciel! tu vieni?... |
CLITENNESTRA |
O figlia,
deh! non
sfuggirmi; io la sant'opra teco
divider
voglio; invan lo vieta Egisto:
ei nol saprá.
Deh! vieni; andiam compagne
alla tomba. |
ELETTRA |
Di chi? |
CLITENNESTRA |
... Del... tuo... infelice...
padre. |
ELETTRA |
Perché non dir, del tuo consorte?
Non l'osi; e
ben ti sta. Ma il piè ver esso
come ardirai
tu volgere? tu lorda
ancor del sangue suo? |
CLITENNESTRA |
Scorsi due lustri
son da quel
dí fatale; il mio delitto
due lustri interi or piango. |
ELETTRA |
E qual può tempo
bastare a
ciò? fosse anco eterno il pianto,
nulla saria.
Nol vedi? ancor rappreso
sta su queste
pareti orride il sangue,
che tu
spargesti: ah! fuggi: al tuo cospetto,
mira, ei
rosseggia, e vivido diventa.
Fuggi, o tu,
cui né posso omai, né debbo
madre nomar:
vanne; dell'empio Egisto
riedi al
talamo infame. Al fianco suo
tu sua
consorte sta: né piú inoltrarti
a perturbar le
quete ossa d'Atride.
Giá giá
l'irata sua terribil ombra
sorge a noi contro, e te respinge
addietro. |
CLITENNESTRA |
Fremer mi fai...
Tu giá mi amasti,... o figlia...
Oh rimorsi!...
oh dolore!... ahi lassa!... E pensi,
ch'io con Egisto sia felice forse? |
ELETTRA |
Felice? E il
merti? Oh! ben provvide il cielo,
ch'uom per
delitti mai lieto non sia.
Eternamente
nell'eterno fato
sta tua
sventura scritta. Ancor non provi,
che i primi
tuoi martíri: il premio intero
ti si riserba
di Cocíto all'onda.
Lá sostener
del trucidato sposo
dovrai
gl'irati minacciosi sguardi:
lá, al tuo
giunger, vedrai fremer degli avi
l'ombre
sdegnose: udrai de' morti regni
lo inesorabil
giudice dolersi,
che niun tormento al tuo fallir si
adegui. |
CLITENNESTRA |
Misera me! Che
dir poss'io?... pietade...
ma, non la
merto... Eppur, se in core, o figlia,
se tu in cor
mi leggessi... Ah! chi lo sguardo
può rivolger
senz'ira entro il mio core
contaminato
d'infamia cotanta?
L'odio non
posso in te dannar, né l'ira.
Giá in vita
tutti i rei tormenti io provo
del tenebroso
Averno. Il colpo appena
dalla man mi
sfuggia, che il pentimento
tosto, ma
tardo, mi assalia tremendo.
Dal punto in
poi, quel sanguinoso spettro
e giorno e
notte orribilmente sempre
sugli occhi
stammi. Ov'io pur muova, il veggo
di sanguinosa
striscia atro sentiero
precedendo
segnarmi: a mensa, in trono,
mi siede a
lato: infra le acerbe piume,
se pure avvien
che gli occhi al sonno io chiuda,
tosto, ahi
terribil vista! ecco mostrarsi
nel sogno
l'ombra; e il giá squarciato petto
dilaniar con
man rabida, e trarne
piene di negro
sangue ambe le palme,
e gittarmelo
in volto. - A orrende notti,
dí sottentran
piú orrendi: in lunga morte
cosí men
vivo. - O figlia, (qual ch'io sia,
mi sei pur tale) al pianger mio non
piangi? |
ELETTRA |
Piango,...
sí,... piango. - Ma tu, di'; non premi,
tuttor non
premi l'usurpato trono?
teco tuttora
Egisto vil non gode
comune il
frutto del comun misfatto?
Pianger di te,
nol deggio; e meno io deggio
credere al
pianger tuo. Vanne, rientra;
lascia ch'io sola a compier vada... |
CLITENNESTRA |
O figlia,
deh! m'odi;...
aspetta... Io son misera assai.
Mi abborro
piú, che tu non m'odj... Egisto,
tardi il
conobbi... Oimè!... che dico? appena
estinto
Atride, atroce appien quant'era
conobbi
Egisto; eppure ancor lo amai.
Di rimorso e
d'amor miste ad un tempo
provai le
furie,... e provo. Oh degno stato
di me
soltanto!... Qual mercé mi renda
del suo
delitto Egisto, appien lo veggo:
veggo il
disprezzo in falso amor ravvolto:
ma, a tal son
io, che omai qual posso ammenda
far del misfatto, che non sia misfatto? |
ELETTRA |
Alto morire ogni
misfatto ammenda.
Ma, poiché al
petto tuo tu non torcesti
l'acciar del
sangue marital fumante;
poiché in te
stessa il braccio parricida
l'usato ardir
perdea; perché il tuo ferro
non
rivolgesti, o non rivolgi, al seno
di
quell'empio, che a te l'onor, la pace,
la fama toglie, ed al tuo Oreste il
regno? |
CLITENNESTRA |
Oreste?... oh
nome! Entro mie vene il sangue
tutto in udirlo agghiacciasi. |
ELETTRA |
Ribolle,
d'Oreste al
nome, entro ogni vena il mio.
Di madre amor,
qual dee tal madre, or provi.
Ma, Oreste vive. |
CLITENNESTRA |
E lunga vita il cielo
gli dia: sol
ch'ei mai non rivolga incauto
ad Argo il
piè. Misera madre io sono;
tolto a me
stessa anco per sempre ho il figlio;
e forza m'è,
per quanto io l'ami, ai Numi
porger voti,
affinché mai piú davanti
non mel traggano. |
ELETTRA |
Amor tutt'altro io provo.
Bramo, che in
Argo ei torni, e il ciel ne ho stanco;
e di sí cara
ardente brama io vivo.
Spero, che un
giorno ei qui mostrarsi ardisca,
qual figlio il debbe del trafitto Atride. |
SCENA TERZA
Egisto, Clitennestra, Elettra.
EGISTO |
L'intero giorno
al dolor tuo par dunque
breve, o
regina? a lai novelli sorgi
giá
dell'aurora pria? Dona una volta
il passato
all'obblio; fa' che piú lieti
teco io viva i miei dí. |
CLITENNESTRA |
Regnar, non altro,
volevi,
Egisto; e regni. Or, qual ti prende
di mie cure
pensiero? Eterno è il duolo
entro il mio core; il sai. |
EGISTO |
Ben so qual fonte
dolor perenne
a te ministra: in vita
costei volesti
ad ogni costo; e viva
io la serbai,
per tua sventura, e mia.
Ma questo
aspetto d'insoffribil lutto
vo' torti omai
dagli occhi: omai la reggia
vo' serenar; con lei sbandirne il pianto. |
ELETTRA |
Me caccia pur;
fia reggia ognor di pianto
quella, ove
stai. Qual risuonar può voce
altra che il
pianto, ove un Egisto ha regno?
Ma, viva gioja
di Tiéste al figlio
fia, il veder lagrimar figli d'Atréo. |
CLITENNESTRA |
O figlia,... ei
m'è consorte. - Egisto, ah! pensa
ch'ella m'è figlia... |
EGISTO |
Ella? d'Atride è
figlia. |
ELETTRA |
Costui? d'Atride è l'uccisore. |
CLITENNESTRA |
Elettra!...
Egisto, abbi
pietá... La tomba... vedi,
la orribil tomba,... e non sei pago? |
EGISTO |
O donna,
men da te
stessa omai discorda. Atride,
di', per qual mano in quella tomba giace? |
CLITENNESTRA |
Oh rampogna
mortal! Ch'altro piú manca
alla infelice
misera mia vita?
Chi mi vi ha spinto, or mi rimorde il
fallo. |
ELETTRA |
Oh nuova gioja!
oh sola gioja, ond'io
il cor beassi,
or ben due lustri! Entrambi
vi veggio
all'ira, ed ai rimorsi in preda.
Di sanguinoso
amore al fin pur odo,
quali esser
denno, le dolcezze: al fine
ogni prestigio
è tolto; appien l'un l'altro
conosce omai.
Possa lo sprezzo trarvi
all'odio; e l'odio a nuovo sangue. |
CLITENNESTRA |
Oh fero,
ma meritato augurio! oh ciel!... Deh,...
figlia... |
EGISTO |
Sol da te nasce
ogni discordia nostra.
Ben può una
madre perder cotal figlia,
né dirsi orba
per ciò. Potrei ritorti
quant'io mal
diedi a' preghi suoi; ma i doni
io ripigliar
non soglio: il non vederti,
basta alla
pace nostra. Oggi n'andrai
del piú
negletto de' miei servi sposa;
lungi con lui
ne andrai: fra lo squallore
d'infame
povertá, dote gli arreca
le tue lagrime eterne. |
ELETTRA |
Egisto, parli
tu d'altra
infamia mai, che di te stesso?
Qual mai tuo
servo fia di te piú vile?
Piú scellerato, quale? |
EGISTO |
Esci. |
ELETTRA |
Serbata
mi hai viva,
il so, per maggior pena darmi:
ma, sia che
vuol, questa mia man, che il cielo
forse destina ad alta impresa... |
EGISTO |
Or esci;
tel ridico. |
CLITENNESTRA |
Per or, deh!... taci,... o figlia:...
esci, ten prego:... io poscia... |
ELETTRA |
Da voi lungi,
pena non è, che il veder voi pareggi. |
SCENA QUARTA
Egisto, Clitennestra.
CLITENNESTRA |
Rampogne udir per
ogni parte atroci,
e
meritarle!... Oh vita! a te qual morte
fu pari mai? |
EGISTO |
Giá tel diss'io: di pace
aura spirar,
finché costei dintorno
ci sta, nol
potrem noi: ch'ella s'uccida,
gran tempo è
giá, ragion di stato il vuole,
e il mio
riposo, e il tuo: dannata a un tempo
è dal suo
stolto orgoglio: ma il tuo pianto
vuol ch'io
l'assolva. Al suo partir tu dunque
cessa di
opporti: io 'l voglio, e indarno affatto
vi ti opporresti. |
CLITENNESTRA |
Ah! tel diss'io piú volte:
qual che
d'Elettra il destin sia, mai pace,
mai non sará
con noi: tu fra 'l sospetto,
io fra'
rimorsi, e in rio timore entrambi,
trarrem noi
sempre incerta orrida vita.
Altra sperar ne lice? |
EGISTO |
Addietro il guardo
non volgo; io
penso all'avvenir: non posso
esser felice
io mai, finché d'Atride
seme rimane:
Oreste vive; in lui
l'odio per noi
cresce cogli anni; ei vive
del feroce desio d'alta vendetta. |
CLITENNESTRA |
Misero! ei vive;
ma lontano, ignoto,
oscuro,
inerme. - Ahi crudo! ad una madre
ti duoli tu, che il suo figliuol respiri? |
EGISTO |
Con una madre,
che il consorte ha spento,
men dolgo io,
sí. Quello immolavi al nostro
amor; non dei
questo immolar del pari
alla mia sicurezza? |
CLITENNESTRA |
Oh tu, di sangue
non sazio mai,
né di delitti!... Oh detti!...
Di finto amor
me giá cogliesti al laccio:
tuoi duri modi
poscia assai mel fero
palese,
oimè!... Pur nel mio petto io nutro
pur troppo
ancor verace e viva fiamma;
e il sai, pur
troppo!... Argomentar puoi quindi,
s'io potrei
non amare uno innocente
unico figlio
mio. Qual cor sí atroce
può non pianger di lui?... |
EGISTO |
Tu, che d'un colpo
due
n'uccidesti. Un ferro stesso al padre
troncò la
vita, e in note atre di sangue
vergò del
figlio la mortal sentenza.
Il mio troppo
indugiar, la sorte, e scaltro
l'antiveder
d'Elettra, Oreste han salvo.
Ma che
perciò? nomi innocente un figlio,
cui tu pria 'l padre, e il regno poscia
hai tolto? |
CLITENNESTRA |
Oh parole di
sangue!... Oh figliuol mio,
privo di
tutto, a chi tutto ti spoglia
nulla tu desti, se non dai tua vita? |
EGISTO |
E finch'ei vive,
di', securo stassi
chi di sue
spoglie gode? Ognor sul capo
ti pende il
brando suo. Figlio d'Atride,
ultimo seme di
quell'empia stirpe
ch'ogni
delitto aduna, il furor suo
non fia pago
in me solo. Omai mi stringe,
piú che di
me, di te pensiero. Udisti
le fatidiche
voci, ed i tremendi
oracoli, che
Oreste un dí fatale
vaticinaro ai
genitori suoi?
Ciò spetta a
te, misera madre; io deggio,
ove il pur
possa, accelerar sua morte;
tu soffrirlo, e tacerti. |
CLITENNESTRA |
Oimè!... il mio
sangue... |
EGISTO |
Non è tuo sangue
Oreste: impuro avanzo
è del sangue
d'Atréo: sangue, che nasce
ad ogni empio
delitto. Il padre hai visto,
mosso da
iniqua ambizion, la figlia
svenarti
sull'altar: d'Atride figlio,
l'orme paterne
ricalcando Oreste,
ucciderá la
madre. Oh cieca troppo,
troppo pietosa
madre! Il figlio in atto
giá di ferirti sta: miralo; trema... |
CLITENNESTRA |
E in questo petto
a vendicare il padre
lascia ch'ei
venga. Altro maggior delitto,
se maggior
v'ha, forse espiar de' il mio.
Ma, qual
destin che a me sovrasti, Egisto,
ten prego,
deh! per lo versato sangue
d'Agamennón,
d'insidiare Oreste
cessa: da noi
lontano, esule ei viva;
ma viva.
Oreste il piè volgere ad Argo
non ardirebbe;
e s'ei venisse, io scudo
col mio petto
ti fora... Ma, s'ei viene,
il ciel vel
tragge; e contro il ciel chi vale?
Qual dubbio allor? vittima chiesta io
sono. |
EGISTO |
Per or di pianger
cessa. Oreste è in vita
e speme ho
poca, che in mie mani ei caggia.
Ma, se il dí
vien, che a compier pure io basti
necessitá,
che invan delitto nomi,
quel dí, se il vuoi, ripiglierai tu il
pianto. |
|