ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Oreste, Pilade.
ORESTE |
Pilade, sí;
questa è mia reggia. - Oh gioja!
Pilade amato,
abbracciami: pur sorge,
pur sorge il
dí, ch'io ristorar ti possa
de' lunghi tuoi per me sofferti affanni. |
PILADE |
Amami, Oreste; i
miei consigli ascolta;
questo è il ristoro, ch'io per me ti
chieggo. |
ORESTE |
Al fin, siam
giunti. - Agamennón qui cadde
svenato; e
regna Egisto qui! - Mi stanno
in mente
ancor, bench'io fanciul partissi,
queste mie
soglie. Il giusto cielo in tempo
mi vi rimena.
- Oggi ha due lustri appunto,
era la orribil
notte sanguinosa,
in cui mio
padre a tradimento ucciso
fea rintronar
di dolorose grida
tutta intorno
la reggia. Oh! ben sovviemmi:
Elettra a
fretta, per quest'atrio stesso
lá mi
portava, ove pietoso in braccio
prendeami
Strofio, assai men tuo, che mio
padre in
appresso. Ed ei mi trafugava
per quella
porta piú segreta, tutto
tremante: e
dietro mi correa sull'aure
lungo un
rimbombo di voci di pianto,
che mi fean
pianger, tremare, ululare,
e il perché
non sapea: Strofio piangente
con la sua man
vietando iva i miei stridi;
e mi
abbracciava, e mi rigava il volto
d'amaro
pianto; e alla romita spiaggia,
dove or ora
approdammo, ei col suo incarco
giungea
frattanto, e disciogliea felice
le vele al
vento. - Adulto io torno, adulto
al fin; di
speme, di coraggio, d'ira
torno ripieno,
e di vendetta, donde
fanciullo inerme lagrimando io mossi. |
PILADE |
Qui regna Egisto,
e ad alta voce parli
qui di
vendetta? Incauto, a cotant'opra
tal principio
dai tu? Vedi; giá albeggia;
e s'anco
eterne qui durasser l'ombre,
mura di reggia
son; sommesso parla:
ogni parete un
delator nel seno
nasconder
può. Deh! non perdiamo or frutto
dei voti
tanti, e dell'errar sí lungo,
che a questi lidi al fin ci tragge a
stento. |
ORESTE |
O sacri liti, è
ver, parea che ignota
forza da voi
ci respingesse: avversi,
da che
l'ancore sciolto abbiam di Crissa,
i venti
sempre, la natal mia terra
parean
vietarmi. A mille a mille insorti
nuovi ostacoli
ognor, perigli nuovi,
mi fean
tremar, che il dí mai non giungesse
di porre in
Argo il piè. Ma giunto è il giorno;
in Argo sto. -
S'ogni periglio ho vinto,
Pilade
egregio, all'amistá tua forte,
a te lo
ascrivo. Anzi ch'io qui venissi
vendicator di
sí feroce oltraggio,
forse a prova
non dubbia il ciel volea
porre in me l'ardimento, in te la fede. |
PILADE |
Ardir? ne hai
troppo. Oh! quante volte e quante
tremai per te!
Presto a divider teco
ogni vicenda
io sono, il sai; ma pensa,
che nulla è
fatto, a quanto imprender resta.
Finor
giungemmo, e nulla piú. Dei molti
mezzi a
tant'opra, ora conviensi ad uno,
al migliore,
attenerci; e fermar quale
scerrem
pretesto, e di qual nome velo
faremo al
venir nostro: a tanta mole
convien dar base. |
ORESTE |
La giustizia eterna
fia l'alta
base. A me dovuto è il sangue,
ond'io vengo
assetato. - Il miglior mezzo?
Eccolo; il brando. |
PILADE |
Oh giovenil bollore!
Sete di
sangue? altri pur l'ha del tuo;
ma brandi ha mille. |
ORESTE |
Ad avvilir costui,
per sé giá
vile, il sol mio nome or basta;
troppo è il
mio nome. E di qual ferro usbergo,
qual scudo avrá, ch'io nol trapassi,
Egisto? |
PILADE |
Scudo egli ha
forte, impenetrabil, fero,
la innata sua
viltade. A sé dintorno
in copia avrá
satelliti: tremante,
ma salvo, ei stassi in mezzo a lor... |
ORESTE |
Nomarmi,
ed ogni vil disperdere, fia un punto. |
PILADE |
Nomarti, ed esser
trucidato, è un punto:
e di qual
morte! Anco i satelliti hanno
lor fede, e
ardire: han dal tiranno l'esca;
né spento il vonno, ove nol spengan
essi. |
ORESTE |
Il popol dunque a favor mio... |
PILADE |
Che speri?
che in cor di
serva plebe odio od amore
possa
eternarsi mai? Dai lunghi ceppi
guasta
avvilita, or l'un tiranno vede
cadere, or
sorger l'altro; e nullo n'ama,
e a tutti
serve; ed un Atride obblia,
e d'un Egisto trema. |
ORESTE |
Ah! vero parli...
Ma non ti sta,
come a me sta, su gli occhi
un padre
ucciso, sanguinoso, inulto,
che anela, e chiede, e attende, e vuol
vendetta. |
PILADE |
Quindi a disporla
io piú son atto. - M'odi.
Qui siam del
tutto ignoti; è in noi sembianza
di stranieri:
d'ogni uomo e l'opre e i passi,
sia vaghezza o
timor, spiar son usi
gl'inquieti
tiranni. Il sol giá spunta;
visti appena,
trarranci a Egisto innanzi:
dirgli... |
ORESTE |
Ferir; centuplicare i colpi
dobbiam nell'empio; e nulla dirgli. |
PILADE |
A morte
certa venisti, od a vendetta certa? |
ORESTE |
Purché sian
certe entrambe; uccider prima,
e morir poscia. |
PILADE |
Oreste, or sí ten prego,
per l'amistá,
pel trucidato padre,
taci: poche
ore al senno mio tu dona;
al tuo furor
l'altre darò: con l'arte,
pria che col
ferro, la viltá si assale.
Messi del
padre mio ne creda Egisto,
e di tua morte apportatori in Argo. |
ORESTE |
Mentir mio nome? ad un Egisto? io? |
PILADE |
Dei
tacerti tu,
nulla mentire; io parlo:
è tutto mio
l'inganno: a tal novella
udrem che dica
Egisto: intanto chiaro
ne fia il destin d'Elettra. |
ORESTE |
Elettra! Ah! temo
che in vita
piú non sia. Di lei non ebbi
mai piú
novella io, mai. Sangue d'Atride,
certo, costui nol risparmiò. |
PILADE |
La madre
forse
salvolla: e se ciò fosse, pensa
che del
tiranno ella sta in man; che puote
esser sua
morte il sol nomarla noi.
Sai, che in
tutt'altro aspetto in Argo trarti
Strofio ei
stesso potea con gente ed arme;
ma guerra
aperta, anco felice, il regno,
e nulla piú,
ti dava: intanto il vile
traditor ti
sfuggiva; e alla sua rabbia,
(se giá
svenata ei non l'avea) restava
Elettra; la
sua amata unica suora;
quella, cui
dei l'aure che spiri. Or vedi,
se vuolsi ir
cauti: alto disegno è il tuo;
piú che di
regno assai: deh! tu primiero
nol rompere.
Chi sa? pentita forse
la madre tua... |
ORESTE |
Di lei, deh, non
parlarmi. |
PILADE |
Di lei, né
d'altri. - Or non ti chieggo io nulla,
che d'ascoltar
mio senno. Il ciel, che vuolmi
a te compagno, avverso avrai, se il
nieghi. |
ORESTE |
Fuorché il
ferir, tutto a te cedo; io 'l giuro.
Vedrò del
padre l'uccisore in volto,
vedrollo, e il
brando io tratterrò: sia questo
di mia virtude
il primo sforzo, o padre,
che a te consacro. |
PILADE |
Taci; udir mi parve
lieve
rumore... Oh! vedi? in bruno ammanto
esce una donna
della reggia. Or vieni
meco in disparte. |
ORESTE |
Ella ver noi si
avanza. |
SCENA SECONDA
Elettra, Oreste, Pilade.
ELETTRA |
Lungi una volta
è per brev'ora Egisto;
libera andar
posso ad offrir... Che veggio?
Due, che
all'abito, al volto io non ravviso...
Osservan me; paion stranieri. |
ORESTE |
Udisti?
Nomato ha Egisto. |
PILADE |
Ah! taci. |
ELETTRA |
O voi, stranieri
(tali
v'estimo) dite; a queste mura
che vi guida? |
PILADE |
Parlar me lascia; statti.
Stranieri, è
ver, siam noi; d'alta novella
qui ne veniamo apportatori. |
ELETTRA |
A Egisto
voi la recate? |
PILADE |
Sí. |
ELETTRA |
Qual mai novella?...
Dunque i passi
inoltrate. Egisto è lungi:
infin ch'ei
torni, entro la reggia starvi
potrete ad aspettarlo. |
PILADE |
E il tornar
suo?... |
ELETTRA |
Sará dentr'oggi,
infra poch'ore. A voi
grazie, onori,
mercé, qual vi si debbe,
dará, se grata è la novella. |
PILADE |
Grata
Egisto
avralla, benché assai pur sia
per se stessa funesta. |
ELETTRA |
Il cor mi balza.
Funesta?... È tale, ch'io saper la
possa? |
PILADE |
Deh! perdona. Tu
in ver donna mi sembri
d'alto affare:
ma pur, debito parmi,
che il re
n'oda primiero... Al parlar mio
turbar ti
veggio?... e che? potria spettarti
nuova recata di lontana terra? |
ELETTRA |
Spettarmi?... no... Ma, di qual terra sete? |
PILADE |
Greci pur noi: di
Creta ora sciogliemmo.
Ma in te, piú
che alle vesti, agli atti, al volto,
ai detti io
l'orme d'alto duol ravviso.
Chieder poss'io?... |
ELETTRA |
Che parli?... in me? - Tu sai,
che lievemente
la pietá si desta
in cor di
donna. Ogni non fausta nuova,
benché non
mia, mi affligge: ora saperla
vorrei; ma
udita, mi dorrebbe poscia.
Umano core! |
PILADE |
Ardito troppo io forse
sarei, se a te il tuo nome?... |
ELETTRA |
A voi l'udirlo
giovar non
puote; e al mio dolor sollievo
(poiché dolor
tu vedi in me) per certo
non fora il
dirlo. - È ver, che d'Argo fuori...
spettarmi
forse... alcuna cura,... alcuno
pensiero ancor
potria. - Ma no: ben veggio
che a me non
spetta il venir vostro in nulla.
Involontario
un moto è in me, qualora
straniero
approda a questi liti, il core
sentirmi
incerto infra timore e brama
agitato
ondeggiare. - Anch'io conosco
che a me
svelar l'alta ragion non dessi
del venir
vostro. Entrate: i passi miei
proseguirò ver quella tomba. |
ORESTE |
Tomba!
quale? dove? di chi? |
ELETTRA |
Non vedi? a destra?
d'Agamennón la tomba. |
ORESTE |
Oh vista! |
ELETTRA |
E fremi
a cotal vista
tu? Fama pur anco
dunque a voi
giunse della orribil morte,
che in Argo egli ebbe? |
PILADE |
Ove non giunse? |
ORESTE |
O sacra
tomba del re
dei re, vittima aspetti?
L'avrai. |
ELETTRA |
Che dice? |
PILADE |
Io non l'intesi. |
ELETTRA |
Ei parla
di vittima?
perché? Sacra d'Atride
gli è la memoria? |
PILADE |
... Orbato egli è del padre,
da non gran
tempo: ogni lugúbre aspetto
quindi nel cor
gli rinnovella il duolo;
spesso ei
vaneggia. - In te rientra. - Ahi folle!
in te fidar doveva io mai? |
ELETTRA |
Gli sguardi
fissi ei tien
sulla tomba, immoti, ardenti;
e terribile in
atto... - O tu, chi sei,
che generoso ardisci?... |
ORESTE |
A me la cura
lasciane, a me. |
PILADE |
Giá piú non t'ode. O donna,
scusa i
trasporti insani: ai detti suoi
non badar
punto: è fuor di sé. - Scoprirti
vuoi dunque a forza? |
ORESTE |
Immergerò il mio brando
nel traditor
tante fiate e tante,
quante
versasti dalla orribil piaga
stille di sangue. |
ELETTRA |
Ei non vaneggia.
Un padre... |
ORESTE |
Sí, mi fu tolto
un padre. Oh rabbia! E inulto
rimane ancora? |
ELETTRA |
E chi sarai tu dunque,
se Oreste non sei tu? |
PILADE |
Che ascolto? |
ORESTE |
Oreste!
Chi, chi mi appella? |
PILADE |
Or sei perduto. |
ELETTRA |
Elettra
ti appella;
Elettra io son, che al sen ti stringo
fra le mie braccia... |
ORESTE |
Ove son io? Che dissi?...
Pilade oimè!... |
ELETTRA |
Pilade, Oreste, entrambi
sgombrate ogni
timor; non mento il nome.
Al tuo furor,
te riconobbi, Oreste;
al duolo, al
pianto, all'amor mio, conosci
Elettra tu. |
ORESTE |
Sorella; oh ciel!... tu vivi?
tu vivi? ed io t'abbraccio? |
ELETTRA |
Oh giorno!... |
ORESTE |
Al petto
te dunque io
stringo? Oh inesplicabil gioja!
Oh fera vista! la paterna tomba?... |
ELETTRA |
Deh! ti acqueta per ora. |
PILADE |
Elettra, oh quanto
sospirai di
conoscerti! tu salvo
Oreste m'hai,
che di me stesso è parte;
pensa s'io t'amo. |
ELETTRA |
E tu cresciuto l'hai;
fratel secondo a me tu sei. |
PILADE |
Deh! meco
dunque i tuoi
preghi unisci; ah! meco imprendi
a rattener di
questo ardente spirto
i ciechi moti.
Oreste, a duro passo
vuoi tu
ridurci a forza? ad ogni istante
vuoi, ch'io
tremi per te? Finora in salvo
qui ci han
scorti pietate, amor, vendetta;
ma, se cosí prosiegui... |
ORESTE |
È ver; perdona,
Pilade
amato;... io fuor di me... Che vuoi?...
Qual senno mai
regger potea?... Quai moti,
a una tal
vista inaspettata!... - Io 'l vidi,
sí, con
questi occhi io 'l vidi. Ergea la testa
dal negro
avello: il rabbuffato crine
dal viso si
togliea con mani scarne;
e sulle guance
livide di morte
il pianto, e
il sangue ancor rappreso stava.
Né il vidi
sol; che per gli orecchi al core
flebil mi
giunse, e spaventevol voce,
che in mente
ancor mi suona. «O figlio imbelle,
che piú
indugi a ferire? adulto sei,
il ferro hai
cinto, e l'uccisor mio vive?»
Oh
rampogna!... Ei cadrá per me svenato
sulla tua
tomba; dell'iniquo sangue
non serberá
dentro a sue vene stilla:
tu il berai tutto, ombra assetata; e
tosto. |
ELETTRA |
Deh! l'ire
affrena. Anch'io spesso rimiro
l'ombra del
padre squallida affacciarsi
a quei gelidi
marmi; eppur mi taccio.
Vedrai le
impronte del sangue paterno
ad ogni passo
in questa reggia; e forza
ti fia mirarle
con asciutto ciglio,
finché con nuovo sangue non l'hai tolte. |
ORESTE |
Elettra, oh
quanto, piú che il dir, mi fora
grato l'oprar!
Ma, fin che il dí ne giunga,
starommi io
dunque. Intanto, a pianger nati,
insieme almen
piangerem noi. Fia vero
ciò ch'io
piú non sperava? entro al tuo seno,
d'amor, d'ira,
e di duol, lagrime io verso?
Non seppi io
mai di te piú nulla: spenta
ti credea dal
tiranno: a vendicarti,
piú che a stringerti al sen, presto
veniva. |
ELETTRA |
Vivo, e ti
abbraccio; e il primo giorno è questo,
che il viver
non mi duole. Il rio furore
del crudo
Egisto, che fremea piú sempre
di non poter
farti svenar, mi fea
certa del
viver tuo: ma, quando udissi,
che tu di
Strofio l'ospitale albergo
lasciato avevi, oh qual tremore!... |
PILADE |
Ad arte
sparse il
padre tal grido, affin che in salvo
dalle insidie
d'Egisto, ei rimanesse
cosí vieppiú
sicuro. Io mai pertanto,
mai nol lasciai, né il lascierò. |
ORESTE |
Sol morte
partir ci può. |
PILADE |
Né lo potria
pur morte. |
ELETTRA |
Oh, senza esempio
al mondo, unico amico!
Ma, dite
intanto: al sospettoso, al crudo
tiranno, or
come appresentarvi innanzi?
Celarvi qui, giá nol potreste. |
PILADE |
A lui
mostrar
vogliamci apportator mentiti
della morte d'Oreste. |
ORESTE |
È vile il
mezzo. |
ELETTRA |
Men vil,
ch'Egisto. Altro miglior, piú certo,
non havvi, no:
ben pensi. Ove introdotti
siate a
costui, pensier fia mio, del tutto,
il darvi e
loco, e modo, e tempo, ed armi
per
trucidarlo. Io serbo, Oreste, ancora,
quel ferro io
serbo, che al marito in petto
vibrò colei,
cui non osiam piú madre
nomar dappoi. |
ORESTE |
Che fa quell'empia? in quale
stato
viv'ella? ed il non tuo delitto
come a te fa scontar, d'esserle figlia? |
ELETTRA |
Ah! tu non sai,
qual vita ella pur tragge.
Fuor che
d'Atride i figli, ognun pietade
ne avria...
L'avremmo anche pur troppo noi.
Di terror
piena, e di sospetto sempre;
a vil tenuta
dal suo Egisto istesso;
d'Egisto
amante, ancor che iniquo il sappia;
pentita, eppur
di rinnovare il fallo
capace forse,
ove la indegna fiamma,
di cui si
adira ed arrossisce, il voglia:
or madre, or
moglie; e non mai moglie, o madre:
aspri rimorsi
a mille a mille il core
squarcianle il
dí; notturne orride larve
tolgonle i sonni. - Ecco qual vive. |
ORESTE |
Il cielo
fa di lei
lunga, terribil vendetta;
quella che a
noi natura non concede.
Ma pure ella
debb'oggi, o madre, o moglie
essere, il
de'; quando al suo fianco, a terra
cader vedrá
da me trafitto il reo
vile adultero suo. |
ELETTRA |
Misera madre!
vista non l'hai;... chi sa?... in
vederla... |
ORESTE |
Udito
ho il padre; e basta. |
ELETTRA |
Eppure un cotal misto
ribrezzo in
cor tu proverai, che a forza
pianger
faratti, e rimembrar che è madre.
Ella è mite
per me; ma Egisto vile,
che a' preghi
suoi sol mi serbò la vita,
quanto piú
può mi opprime. Il don suo crudo
io pur
soffrii, per aspettare il giorno,
che il ferro
lordo del paterno sangue
rendessi a te.
Questa mia destra armarne
piú volte io
volli, abbenché donna: al fine
tu giungi,
Oreste; e assai tu giungi in tempo;
ch'oggi
Egisto, per torre a sé il mio aspetto,
mi vuol d'un de' suoi schiavi a forza
sposa. |
ORESTE |
Non invitato,
all'empie nozze io vengo:
vittima avran non aspettata i Numi. |
ELETTRA |
Si oppon, ma invano, Clitennestra. |
ORESTE |
In lei,
dimmi, fidar nulla potremmo? |
ELETTRA |
Ah! nulla.
Benché fra 'l
vizio e la virtude ondeggi,
si attiene al
vizio ognora. Egisto al fianco
piú non le
stando,... allor,... forse.... Fa d'uopo
vederla poi.
Meco ella piange, è vero;
ma, col
tiranno sta. Sua vista sfuggi,
finché non torni Egisto. |
PILADE |
E dove i passi
portò quel vile? |
ELETTRA |
Empio, ei festeggia il giorno
della morte d'Atride. |
ORESTE |
Oh rabbia! |
ELETTRA |
I Numi
ora
oltraggiando ei sta. Di qui non lunge,
sulla via di
Micene al re dell'ombre
vittime
impure, e infami voti ei porge:
né a lungo
andar può molto il rieder suo.
Ma noi qui
assai parlammo: io nella reggia
rientrerò non
vista: ad aspettarlo
statevi lá
dell'atrio fuor del tutto.
Pilade, affido
a te il fratello. Oreste,
se m'ami, oggi
il vedrò: per l'amor nostro,
per la memoria
dell'ucciso padre,
l'amico
ascolta, e il tuo bollor raffrena:
che la
vendetta sospirata tanto
cader può a
vuoto, per volerla troppo.
|
|