Canto
secondo
(1-27)
1
Pensar
cosa miglior non
si può al mondo,
d’un
signor giusto e in
ogni parte buono,
che
del debito suo non
getti il pondo,
benché
talor ne vada
curvo e prono;
che
curi et ame i
populi, secondo
che
da’ lor padri
amati i figli
sono;
che
l’opre e le
fatiche pei
figliuoli
fan
quasi sempre, e
raro per sé soli:
2
ponga
ai perigli et alle
cose strette
il
petto inanzi, e
faccia agli altri
schermo:
che
non sia il
mercenario il qual
non stette,
poi
che venir vide a sé
il lupo, fermo;
ma
sì bene il pastor
vero, che mette
la
vita propria pel
suo gregge
infermo,
il
qual conosce le
sue pecorelle
ad
una ad una, e lui
conoscono elle.
3
Tal
fu in terra
Saturno, Ercole e
Giove,
Bacco,
Poluce, Osiri e
poi Quirino,
che
con giustizia e
virtuose prove,
e
con soave e a
tutti ugual
domino,
fur
degni in Grecia,
in India, in Roma,
e dove
corse
lor fama, aver
onor divino;
che
riputar non si
potrian defunti,
ma
a più degno
governo in cielo
assunti.
4
Quando
il signor è
buono, i sudditi
anco
fa
buoni; ch’ognun
imita chi regge:
e
s’alcun pur
riman col vizio,
manco
lo
mostra fuor, o in
parte lo corregge.
O
beati gli regni a
chi un uom franco
e
sciolto da ogni
colpa abbi a dar
legge!
Così
infelici ancora e
miserandi,
ove
un ingiusto, ove
un crudel commandi;
5
che
sempre accresca e
più gravi la
soma,
come
in Italia molti
a’ giorni
nostri,
de’
quali il biasmo in
questo e l’altro
idioma
faran
sentir anco i
futuri inchiostri:
che
migliori non son
che Gaio a Roma,
o
Neron fosse, o
fosser gli altri
mostri:
ma
se ne tace, perché
è sempre meglio
lasciar
i vivi, e dir del
tempo veglio.
6
E
dir qual sotto
Fallari Agrigento,
qual
fu sotto i Dionigi
Siracusa,
qual
Fere in man del
suo tiran cruento;
dai
quali e senza
colpa e senza
accusa
la
gente ogni dì
quasi a cento a
cento
era
troncata, o in
lungo esiglio
esclusa.
Ma
né senza martìr
sono essi ancora,
ch’al
cor lor sta non
minor pena ognora.
7
Sta
lor la pena de la
qual si tacque
il
nome dianzi, e de
la qual dicea
che
nacque quando la
brutt’Ira
nacque,
la
Crudeltade e la
Rapina rea:
e
quantunque in un
ventre con lor
giacque,
di
tormentarle mai
non rimanea.
Or
dirò il nome,
ch’io non l’ho
ancor detto:
nomata
questa pena era il
Sospetto.
8
Il
Sospetto, piggior
di tutti i mali,
spirto
piggior d’ogni
maligna peste
che
l’infelici menti
de’ mortali
con
venenoso stimolo
moleste;
non
le povere o
l’umili, ma
quali
s’aggiran
dentro alle
superbe teste
di
questi scelerati,
che per opra
di
gran fortuna agli
altri stan di
sopra.
9
Beato
chi lontan da
questi affanni
nuoce
a nessun, perché
a nessun è
odioso!
Infelici
altretanto e più
i tiranni,
a
cui né notte mai
né dì riposo
dà
questa peste, e
lor ricorda i
danni,
e
morti date od in
palese o ascoso!
Quinci
dimostra che timor
sol d’uno
han
tutti gli altri,
et essi n’han
d’ognuno.
10
Non
v’incresca di
starmi un poco a
udire,
ché
non però dal mio
sentier mi scosto;
anzi
farò questo
ch’or narro
uscire
dove
poi vi parrà che
sia a proposto.
Uno
di questi, il qual
prima a nudrire
usò
la barba, per
tener discosto
chi
gli potea la vita
a un colpo tòrre,
nel
suo palazzo edificò
una torre,
11
che,
d’alte fosse
cinta e grosse
mura,
avea
un sol ponte che
si leva e cala;
fuor
ch’un balcon,
non v’era altra
apertura,
ove
a pena entra il
giorno e l’aria
esala:
quivi
dormia la notte,
et era cura
de
la moglier di
mandar giù la
scala:
di
quella entrata è
un gran mastin
custode,
ch’altri
mai che lor due
non vede et ode.
12
Non
ha ne la moglier
però sì grande
fede
il meschin, che
prima ch’a lei
vada,
quand’uno
e quando un altro
suo non mande,
che
cerchi i luoghi
onde a temer gli
accada.
Ma
ciò poco gli val,
ché le nefande
man
de la donna, e la
sua propria spada,
fér
d’infinito mal
tarda vendetta,
e
all’inferno volò
il suo spirto in
fretta.
13
E
Radamanto, giudice
del loco,
tutto
il cacciò sotto
il bollente
stagno,
dove
non pianse e non
gridò: — I’
mi cuoco —,
come
gridava
ogn’altro suo
compagno;
e
la pena mostrò
curar sì poco,
che
disse il
giustiziere: —
Io te la cagno
—;
e
lo mandò ne le più
oscure cave,
dov’è
un martìr
d’ogni martìr
più grave.
14
Né
quivi parve ancor
che si dogliesse;
e
domandato, disse
la cagione:
che
quando egli vivea,
tanto l’oppresse
e
tal gli diè il
Sospetto
afflizione
(che
nel capo quel
giorno se gli
messe,
che
si fece signor
contra ragione),
che
sol ora il pensar
d’esserne fuore
sentir
non gli lasciava
altro dolore.
15
Si
consigliaro i
saggi de
l’inferno
come
potesse aver degno
tormento;
che
saria contra l’instituto
eterno
se
peccator là giù
stesse contento;
e
di nuovo mandarlo
al caldo, al verno
concluso
fu da tutto il
parlamento;
e
di nuovo al
Sospetto in preda
darlo,
ch’entrasse
in lui senza più
mai lasciarlo.
16
Così
di novo entrò il
Sospetto in questa
alma,
e di sé e di lei
fece tutt’uno,
come
in ceppo salvatico
s’inesta
pomo
diverso, e ‘l
nespilo sul pruno;
o
di molti colori un
color resta,
quando
un pittor ne
piglia di ciascuno
per
imitar la carne, e
ne riesce
un
differente a tutti
quei che mesce.
17
Di
sospettoso che
‘l tiràn fu in
prima,
or
divenuto era il
Sospetto istesso;
e,
come morte la
ragion di prima
avesse
in lui, gli parea
averla appresso.
Ma
ritornando al mio
parlar di prima,
ché
per questo in
oblio non l’avea
messo,
Alcina
se ne va dove sul
tergo
d’un
alto scoglio ha
questo spirto
albergo.
18
Lo
scoglio ove ‘l
Sospetto fa
soggiorno
è
dal mar alto da
seicento braccia,
di
rovinose balze
cinto intorno,
e
da ogni canto di
cader minaccia.
Il
più stretto
sentier che vada
al Forno,
là
dove il Grafagnino
il ferro caccia,
la
via Flamminia o
l’Appia nomar
voglio
verso
quel che dal mar
va in cima al
scoglio.
19
Prima
che giunghi alla
suprema altezza,
sette
ponti ritrovi e
sette porte:
tutte
hanno con lor
guardie una
fortezza;
la
settima de
l’altre è la più
forte.
Là
dentro, in grande
affanno e in gran
tristezza,
ché
gli par sempre
a’ fianchi aver
la morte,
il
Sospetto meschin
solo s’annida;
nessun
vuol seco e di
nessun si fida.
20
Grida
da’ merli e tien
le guardie deste,
né
mai riposa al sol
né al cielo
oscuro;
e
ferro sopra ferro
e ferro veste:
quanto
più s’arma, è
tanto men sicuro.
Muta
et accresce or
quelle cose or
queste
alle
porte, al
serraglio, al
fosso, al muro:
per
darne altrui,
munizion gli
avanza;
e
non gli par che
mai n’abbia a
bastanza.
21
Alcina,
che sapea
ch’indi il
Sospetto
né
a prieghi né a
minacce vorria
uscire,
e
trarlone era forza
al suo dispetto,
tutto
pensò ciò che
potea seguire.
Avea
seco arrecato a
questo effetto
l’acqua
del fiume che fa
l’uom dormire,
et
entrando invisibil
ne la rocca,
con
essa ne le tempie
un poco il tocca.
22
Quel
cade addormentato;
Alcina il prende,
e
scongiurando gli
spirti infernali
fa
venir quivi un
carro, e su vel
stende,
che
tiran duo serpenti
c’hanno l’ali;
poi
verso Italia in
tanta fretta
scende,
che
con la più non
van di Giove i
strali.
La
medesima notte è
in Lombardia,
in
ripa di Ticin
dentro a Pavia:
23
là
dove il re de’
Longobardi allora
l’antiquo
seggio, Desiderio,
avea.
Nel
ciel oriental
sorgea l’aurora
quando
perdé il vigor
l’acqua letea:
lasciò
il sonno il
Sospetto; e quel,
che fuora
e
lontan dal castel
suo si vedea,
morto
saria, se non
fosse già morto;
ma
la fata ebbe
presta al suo
conforto.
24
Gli
promesse ella
indietro
rimandarlo
senza
alcun danno; e in
guisa gli
promesse,
che
poté in qualche
parte assicurarlo,
non
sì però ch’in
tutto le credesse;
ma
prima in
Desiderio, che di
Carlo
temea
le forze, entrasse
gli commesse,
e
che non se gli
levi mai del seno
fin
che tutto di sé
non l’abbia
pieno.
25
Mentre
fu Carlo i giorni
inanzi astretto
dal
re d’Africa a un
tempo e da
Marsiglio,
il
re de’
Longobardi, per
negletto
e
per perduto avendo
posto il giglio,
non
curando né papa né
interdetto
alla
Romagna avea dato
di piglio;
po’
entrando ne la
Marca, con
battaglia
e
Pesaro avea preso
e Sinigaglia.
26
Indi
sentendo ch’era
il foco spento,
morto
Agramante e il re
Marsiglio rotto,
de
la temerità sua
mal contento
si
riputò a mal
termine condotto.
Or
viene Alcina, e
accresceli
tormento:
ché
fa ‘l rio spirto
entrar in lui di
botto,
che
notte e dì l’afflige,
crucia et ange,
e
più che sopra un
sasso in letto il
frange.
27
Gli
par veder che
lassi il Reno e
l’Erra
il
popul già troiano
e poi sicambro,
et
apra l’Alpi e
scenda ne la terra
che
riga il Po,
l’Ada, il Ticino
e l’Ambro:
veder
s’aspetta in
casa sua la
guerra,
e
sua ruina più
chiara che un
ambro;
né
più certo rimedio
al suo mal truova,
che
contra Francia
ogni vicin commova.

|