Canto
secondo
(28-54)
28
E
come quel che gran
tesori uniti
avea
d’esazioni e di
rapine,
et
avea i sacri
argenti convertiti
in
uso suo da le cose
divine;
con
doni e con
proferte e gran
partiti
colligò
molte nazion
vicine,
come
già il conte di
Pontier gli
scrisse
prima
che da la corte si
partisse.
29
Tutta
avea Gano questa
tela ordita,
che
‘l Longobardo
dovea tesser poi;
e
quella poi non era
oltre seguita,
e
fin qui stava
ne’ principii
suoi.
Or
la mente, d’un
stimolo ferita
piggior
di quel che caccia
asini e buoi,
conchiuse
e fece nascer
com’un fungo
quel
che più giorni
avea menato in
lungo.
30
Fe’
in pochi dì che
Tassillone,
ch’era
suo
genero e cugin del
duca Namo,
tutta
la stirpe sua fuor
di Bavera
cacciò,
senza lasciarvene
un sol ramo:
fe’
similmente
ribellar la fera
Sansogna,
e ritornar a re
Gordamo;
e
trasse, per por
Carlo in maggior
briga,
con
gli Ungheri Boemi
in una liga;
31
e
‘l re di Dazia e
il re de le due
Marche
pór
tra la Frisa e il
termine d’Olanda
tante
fuste, galee,
carache e barche,
per
gir ne
l’Inghilterra e
ne l’Irlanda,
che
per fuggir avean
le some carche
molte
terre da mar da
quella banda.
Da
un’altra parte
si sentiva il
vecchio
nimico
in Spagna far
grande
apparecchio.
32
Tutto
seguì ciò ch’avea
ordito Gano,
ch’era
d’insidie e
tradimenti il
padre.
Fu
suscitato Unnuldo
l’aquitano
a
soldar genti
faziose e ladre:
mettendo
terre a sacco,
capitano
di
ventura era detto
da le squadre;
nascosamente
da Lupo aiutato,
di
Bertolagi di
Baiona nato.
33
Fér
queste nove, per
diversi avisi
venute,
a Carlo abbandonar
le feste,
e
a donne e a
cavallieri i
giochi e’ risi,
e
mutar le leggiadre
in scure veste.
De’
saccheggiati
populi et uccisi
per
ferro, fiamme,
oppressioni e
peste,
le
memorie percosse
ad ora ad ora
prometteano
altrotanto e
peggio ancora.
34
O
vita nostra di
travaglio piena,
come
ogni tua
allegrezza poco
dura!
Il
tuo gioir è come
aria serena,
ch’alla
fredda stagion
troppo non dura:
fu
chiaro a terza il
giorno, e a vespro
mena
sùbita
pioggia, et ogni
cosa oscura.
Parea
ai Franchi esser
fuor d’ogni
periglio,
morto
Agramante e rotto
il re Marsiglio;
35
et
ecco un’altra
volta che ‘l
ciel tuona
da
un’altra parte,
e tutto arde de
lampi,
sì
che ogni speme i
miseri abbandona
di
poter frutto cor
de li lor campi.
E
così avvien
ch’una novella
buona
mai
più di venti o
trenta dì non
campi,
perché
vien dietro
un’altra che
l’uccide;
e
piangerà doman
l’uom ch’oggi
ride.
36
Per
le cittadi uomini
e donne errando,
con
visi bassi e
d’allegrezza
spenti,
andavan
taciturni
sospirando,
né
si sentiano ancor
chiari lamenti:
qual
ne le case
attonite avvien,
quando
mariti
o figli o più
cari parenti
si
veggon travagliar
ne l’ore
estreme,
ch’infinito
è il timor, poca
è la speme.
37
E
quella poca pur
spegnere il gelo
vuol
de la tema, e
dentro il cor si
caccia:
ma
come può d’un
piccolin candelo
fuoco
scaldar dov’alta
neve agghiaccia?
Chi
leva a Dio, chi
leva a’ Santi in
cielo
le
palme giunte e la
smarrita faccia,
pregandoli
che, senza più
martìre,
basti
il passato a
disfogar lor ire.
38
Come
che il popul
timido per tema
disperi,
e perda il cor e
venga manco,
nel
magnanimo Carlo
non iscema
l’ardir,
ma cresce, e nei
paladini anco:
ché
la virtù di
grande fa suprema,
quanto
travaglia più,
l’animo franco;
e
gloria et immortal
fama ne nasce,
che
me’ d’ogn’altro
cibo il guerrier
pasce.
39
Carlo,
a cui ritrovar
difficilmente,
la
terra e ‘l mar
cercando a parte a
parte,
si
potria par di
santa e buona
mente,
e
d’ogni finzion
netta e d’ogn’arte
(e
lasso ancor oltre
l’età presente
volgi
l’antique e più
famose carte);
a
Dio raccomandò
sé, i figli e il
stato,
né
più curò
ch’esser di fede
armato.
40
Né
men saggio che
buono, poi
ch’avuto
ebbe
ricorso alla
Maggior Possanza,
che
non mancò né
mancherà
d’aiuto
ad
alcun mai che
ponga in lei
speranza,
fece
che, senza
indugio, proveduto
fu
a tutti i luoghi
ov’era più
importanza:
gli
capitani suoi per
ogni terra
mandò
a far scelta
d’uomini da
guerra.
41
Non
si sentiva allor
questo rumore
de’
tamburi,
com’oggi, andar
in volta,
invitando
la gente di più
core,
o
forse (per dir
meglio) la più
stolta,
che
per tre scudi e
per prezzo minore
vada
ne’ luoghi ove
la vita è tolta:
stolta
più tosto la
dirò che ardita,
ch’a
sì vil prezzo
venda la sua vita.
42
Alla
vita l’onor
s’ha da
preporre;
fuor
che l’onor non
altra cosa alcuna:
prima
che mai lasciarti
l’onor tòrre
déi
mille vite
perdere, non
ch’una.
Chi
va per oro e vil
guadagno a porre
la
sua vita in
arbitrio di
fortuna,
per
minor prezzo
crederò che dia,
se
troverà chi
compri, anco la
mia.
43
O,
com’io dissi,
non sanno che
vaglia
la
vita quei che sì
l’estiman poco;
o
c’han disegno,
inanzi alla
battaglia,
che
‘l piè gli
salvi a più
sicuro loco.
La
mercenaria mal
fida canaglia
prezzar
li antiqui
imperatori poco:
de
la lor nazion più
tosto venti
volean,
che cento di
diverse genti.
44
Non
era a quelli tempi
alcun escluso
che
non portasse
l’armi e andasse
in guerra,
fuor
che fanciul da
sedici anni in
giuso,
o
quel che già
l’estrema etade
afferra:
ma
tal milizia solo
era per uso
di
bisogno e d’onor
de la sua terra:
sempre
sua vita
esercitando sotto
buon
capitani, in arme
era ognun dotto.
45
Carlo
per tutta Francia
e per la Magna,
per
ogni terra a’
suoi regni
soggetta,
fa
scriver gente, e
poi la piglia e
cagna
secondo
che gli par atta
et inetta;
sì
che fa in pochi
giorni alla
campagna
un
esercito uscir di
gente eletta,
da
far che Marte fin
su nel ciel treme,
non
che a’ nimici
l’impeto non
sceme.
46
Gli
elmi, gli arnesi,
le corazze e
scudi,
che
poco dianzi fur
messi da parte,
e
de lor fatte ampie
officine ai studi
de
l’ingegnose
aragne era gran
parte,
sì
che forse tornar
in su gli incudi
temeano,
e farsi ordigni a
più vil arte;
or
imbruniti, fuor
d’ogni timore,
godeano
esser riposti al
primo onore.
47
Sonan
di qua, di là
tanti martelli,
che
n’assorda di
strepito ogni
orecchia:
quei
batton piastre e
le rifanno, e
quelli
vanno
acconciando
l’armatura
vecchia;
altri
le barde torna
alli penelli,
coprirle
altri di drappo
s’apparecchia:
chi
cerca questa cosa,
e chi ritrova
quell’altra;
altri racconcia,
altri rinuova.
48
Poi
che Carlo al tesor
ruppe il
serraglio,
ebbon
da travagliar
tutti i mestieri:
ma
né maggior né
più commun
travaglio
era
però, che di
trovar destrieri:
ché
gli disagi e de le
spade il taglio
tolto
n’avean da le
decine i zeri:
quali
si fosson (ché i
buon eran rari),
come
il sangue e la
vita erano cari.
49
Carlo,
oltra
l’ordinario che
solea
aver
d’uomini
d’armi alle
frontiere,
e
de la gente che a
piè combattea,
che
per pace era usato
anco tenere,
de
l’un canto e de
l’altro fatto
avea
che
pieno era ogni
cosa di bandiere:
trenta
sei mila armati in
su l’arzoni,
e
quattro tanto e
più furo i
pedoni.
50
E
per gli molti
esempi che già
letto
de’
capitani avea del
tempo veglio,
com’uom
ch’amava sopra
ogni diletto
d’udir
istorie e farne al
viver speglio;
e
più perché
vedutone
l’effetto
per
propria
esperienzia, il
sapea meglio;
conobbe
al tempo la
prestezza usata
aver
più volte la
vittoria data;
51
e
ch’era molto
meglio ch’egli
andasse
i
nimici a trovar ne
la lor terra,
e
sopra gli lor
campi
s’alloggiasse,
e
desse lor de’
frutti de la
guerra;
che
dentro alle
confine gli
aspettasse
che
l’Alpi e ‘l
Pireneo fra dui
mar serra.
Fatta
la mostra, i
populi divise
in
molte parti, e
a’ suoi capi i
commise.
52
In
quel tempo era in
Francia il
cardinale
di
Santa Maria in
Portico venuto,
per
Leon terzo e pel
seggio papale
contra
Lombardi a
domandarli aiuto;
ché
mal era tra spada
e pastorale,
e
con gran
disvantaggio
combattuto.
L’imperator,
dunque, il primier
stendardo
che
fe’ espedir, fu
contra il
Longobardo.
53
Era
Carlo amator sì
de la Chiesa,
sì
d’essa protettor
e di sue cose,
che
sempre l’augumento
e la difesa,
sempre
l’util di quella
al suo prepose:
però,
dopo molt’altre,
questa impresa
nome
di Cristianissimo
gli pose,
e
dal santo Pastor
meritamente
sacrato
imperador fu di
Ponente.
54
Mandò
il nipote Orlando,
e mandò fanti
seco,
a cavallo e una
gran schiera
d’archi.
Subito
Orlando a pigliar
l’Alpi inanti
fece
ir gli suoi più
d’armatura
scarchi;
ma
trovar ch’i
nemici vigilanti
avean
prima di lor
pigliato i varchi,
e
fur constretti
d’aspettar il
Conte
con
tutto l’altro
campo a piè del
monte.

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