Canto
primo
(85-111)
85
E
benché, più che
onor, biasmo si
tegna
pigliar
in casa sua
ch’in lei si
fida,
et
a Gloricia tanto
men convegna,
che
fa del suo
splendor sparger
le grida;
pur
non le par che
questo il suo onor
spegna:
ché
tòrre al ladro e
uccider
l’omicida
tradir
il traditor, ha
degni esempi,
ch’anco
si pon lodar,
secondo i tempi.
86
Quando
dormia la notte più
suave,
Gano
e i compagni suoi
tutti fur presi,
e
serrati in un
ceppo duro e
grave,
l’un
presso
all’altro,
trenta Maganzesi.
Gloricia
in terra disegnò
una nave
capace
e grande con
tutt’i suo’
arnesi,
e
fece gli pregion
legare in quella,
sotto
la guardia d’una
sua donzella.
87
Sparge
le chiome, e qua e
là si volve
tre
volte e più, fin
che mirabilmente
la
nave ivi dipinta
ne la polve
da
terra si levò
tutta ugualmente.
La
vela al vento la
donzella solve,
per
incanto allor nata
parimente;
e
verso il ciel ne
va, come per
l’onda
suol
ir nocchier che
l’aura abbia
seconda.
88
Gano
e i compagni, che
per l’aria
tratti
da
terra si vedean
tanto lontani,
com’assassini
istranamente
attratti
nel
lungo ceppo per
piedi e per mani,
tremando
di paura, e
stupefatti
di
maraviglia de’
lor casi strani,
volavan
per Levante in sì
gran fretta
che
non gli avrebbe
giunti una saetta.
89
Lasciando
Ptolomaide e
Berenice
e
tutt’Africa
dietro, e poi
l’Egitto,
e
la deserta Arabia
e la felice,
sopra
il mar Eritreo
fecion traghitto.
Tra
Persi e Medi, e là
dove si dice
Batra,
passan, tenendo il
corso dritto
tuttavia
fra oriente e
tramontana,
e
lascian Casia a
dietro e Sericana.
90
E
sì come aveduti
eran da molti,
di
sé davano a molti
maraviglia:
facean
tener levati al
cielo i volti
con
occhi immoti e con
arcate ciglia.
Vedendoli
passar alcuni
stolti
da
terra alti lo
spazio di due
miglia,
e
non potendo ben
scorgere i visi,
ebbon
di lor diversi e
strani avisi.
91
Alcuni
imaginar che di
Carone,
lo
nocchiero infernal,
fosse la barca,
che
d’anime dannate
a perdizione
alla
via di Cocito
andasse carca.
Altri
diceano, d’altra
opinione:
Questa è la santa nave ch’al ciel varca,
che
Pietro tol da
Roma, acciò ne
l’onde
di
stupri e simonie
non si profonde.
92
Et
altra cosa altri
dicean dal vero
molto
diversa e senza
fin remota.
Passava
intanto il navilio
leggiero
per
la contrada a’
nostri poco nota,
fra
l’India avendo e
Tartaria il
sentiero,
quella
di città piena e
questa vuota,
fin
che fu sopra la
bella marina
ch’ondeggia
intorno
all’isola
d’Alcina.
93
Ne
la città
d’Alcina, nel
palagio,
dentro
alle logge la
donzella pose
la
nave, e tutti li
prigioni adagio,
e
l’ambasciata di
Gloricia espose.
Nei
ceppi, come
stavano, a disagio
Alcina
in una torre al
sol ascose
i
Maganzesi, avendo
riferite
del
dono a chi ‘l
donò grazie
infinite.
94
La
sera fuor di
carcere poi Gano
fe’
a sé condurre, e
a ragionare il
messe
de
lo stato di
Francia e del
romano,
di
quel che Orlando e
che Ruggier
facesse.
Ebbe
l’astuto conte
chiaro e piano
quanto
la donna Carlo in
odio avesse,
Ruggiero,
Orlando e gli
altri; e tosto
prese
l’util
partito, et a
salvarsi attese.
95
S’aver, donna, volete ognun nimico,
disse
che
de la corte sia di
Carlo,
me
in odio avrete
ancora, ché ‘l
mio antico
seggio
è tra’ Franchi,
e non potrei
negarlo;
ma
se più tosto
odiate chi gli è
amico
e
di sua volontà
vuol seguitarlo,
me
non avrete in
odio, ch’io non
l’amo,
ma
il danno e biasmo
suo più di voi
bramo.
96
E
s’ebbe alcun mai
da bramar vendetta
di
tiranno che gli
abbia fatt’oltraggio,
bramar
di Carlo e di
tutta sua setta
vendetta
inanzi a tutti i
sudditi aggio;
come
di re da cui
sempre negletta
la
gloria fu di tutto
il mio lignaggio,
e
che, per sempre al
cor tenermi un
telo,
con
favor alza i miei
nimici al cielo.
97
Il
mio figliastro
Orlando, che mia
morte
procurò
sempre e ad altro
non aspira,
contra
me mille volte ha
fatto forte;
per
lui m’ha mille
volte avuto in
ira:
Rinaldo,
Astolfo et ogni
suo consorte
di
giorno in giorno a
maggior grado
tira;
tal
che sicuro, per
lor gran possanza,
non
che in corte non
son, ma né in
Maganza.
98
Or,
per maggior mio
scorno, un
fuggitivo
del
sfortunato figlio
di Troiano,
Ruggier,
che m’ha un
fratel di vita
privo
et
un nipote con la
propria mano,
tiene
in più onor che
mai non fu Gradivo
Marte
tenuto dal popul
romano:
tal
che levato indi mi
son, con tutto
il
sangue mio, per
non restar
distrutto.
99
Se
me e quest’altri
ch’avete qui
meco,
che
sono il fior di
casa da Pontiero,
uccidete
o dannate a carcer
cieco,
di
perpetuo timor
sciolto è
l’Impero;
ch’ogni
nimico suo
ch’abbia noi
seco
per
noi può entrar in
Francia di
leggiero;
ché
ci avemo la parte
in ogni terra,
fortezze
e porti e luoghi
atti a far guerra.
100
E
seguitò il parlar
astuto e pieno
di
gran malizia,
sempre mai
toccando
quel
che vedea di
gaudio empirle il
seno,
che
le vuol dar
Ruggier preso et
Orlando.
Alcina
ascolta, e ben
nota il veleno
che
l’Invidia in lui
sparse ir
lavorando:
commanda
allora allora che
sia sciolto,
e
sia con tutti i
suoi di prigion
tolto.
101
Volse
che poi le
promettesse Gano,
con
giuramenti stretti
e d’orror pieni,
di
non cessar, fin
che legato in mano
Ruggier
col suo figliastro
non le meni:
ma
per poter non
darli impresa in
vano,
oltr’oro
e gemme e aiuti
altri terreni
promise
ella
all’incontro di
far quanto
potea
sopra natura oprar
l’incanto.
102
E
gli diè ne la
gemma d’uno
anello
un
di quei spirti che
chiamiam folletti,
che
gli ubedisca, e
così possa avello
com
un suo servitor
de’ più
soggetti:
Vertunno
è il nome, che in
fiera, in ucello,
in
uomo, in donna e
in tutti gli altri
aspetti,
in
un sasso, in
un’erba, in una
fonte
mutar
vedrete in un
chinar di fronte.
103
Or
perché Malagigi
non aiuti,
com’altre
volte ha fatto, i
Paladini,
gli
spiriti infernal
tutti fe’ muti,
gli
terrestri, gli aérii
e gli marini;
eccetto
alcuni pochi
c’ha tenuti
per
uso suo, non
franchi né
latini,
ma
di lingua dagli
altri sì rimota
ch’a
nigromante alcun
non era nota.
104
Quel
ch’alla fata il
traditor promise,
promiser
gli altri ancor
ch’eran con lui.
Fermato
il patto, Gano si
rimise
nel
fantastico legno
con gli sui.
Il
vento, come Alcina
gli commise,
fra
i lucidi Indi e
gli Cimerii bui
soffiando,
ferì in guisa ne
l’antenna,
ch’in
aria alzò la nave
come penna.
105
Né,
men che ratto, lo
portò quieto
per
la medesma via che
venut’era;
sì
che, fra spazio di
sett’ore, lieto
si
ritrovò ne la sua
barca vera,
di
pan, di vin, di
carne e infin
d’aceto
fornita
e d’insalata per
la sera:
fe’
dar le vele al
vento, e venne a
filo
ad
imboccar
sott’Alessandria
il Nilo.
106
E
già da l’armiraglio
avendo avuto
salvocondotto,
al Cairo andò
diritto,
con
duo compagni, in
un legno minuto,
secretamente,
e in abito di
Egitto.
Dal
calife per Gano
conosciuto,
ché
molte volte inanzi
s’avean scritto,
fu
di carezze sì
pieno e d’onore,
che
ne scoppiò quasi
il ventoso core.
107
In
questo mezo che
l’Invidia ascosa
il
traditor rodea di
chi io vi parlo,
come
l’altrui bontà
fu da lui rosa,
ché
poco dianzi il
simigliavo a un
tarlo;
ira,
odio, sdegno, amor
facea angosciosa
Alcina,
e un fier disio di
strugger Carlo;
e
quanto più credea
di farlo in breve,
tant’ogn’indugio
le parea più
greve.
108
Il
conte di Pontier
le avea narrato
che,
prima che di
Francia si
partisse,
da
lui fu Desiderio
confortato,
per
ambasciate e
lettere che
scrisse,
che
con Tedeschi et
Ungheri da un
lato,
che
facil fòra che a
sue genti unisse,
saltasse
in Francia; e che
Marsiglio ispano
saltar
faria da
l’altro, e l’Aquitano.
109
E
che quel glien’avea
dato speranza;
venia
lento a metterla
in effetto,
o
che tema di Carlo
la possanza,
o
sia mal di sua
lega il nodo
astretto.
Alcina,
che si mor di
desianza
di
por Francia e
l’Impero in male
assetto,
adopra
ogni saper, ogni
suo ingegno,
per
dar colore a così
bel disegno.
110
Et
è bisogno al fin
ch’ella ritruovi,
per
far muover di
passo il
Longobardo,
sproni
che siano aguzzi
più che chiovi:
tanto
le par a questa
impresa tardo!
E
come fece far
disegni nuovi
dianzi
l’Invidia a quel
cochin pagliardo,
così
spera trovar
un’altra peste
che
‘l pigro re de
la sua inerzia
deste.
111
Conchiuse
che nessuna era
meglio atta
a
stimularlo e far
più risentire,
d’una
che nacque quando
anco la matta
Crudeltà
nacque, e le
Rapine e l’Ire.
Che
nome avesse e come
fosse fatta,
ne
l’altro Canto mi
riserbo a dire,
dove
farò, per quanto
è mio potere,
cose
sentir
maravigliose e
vere.

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