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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
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DIDONE ABBANDONATA |
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Pietro Metastasio |
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ATTO SECONDO
Appartamenti reali con tavolino e sedia. |
SEL. Chi fu che all'inumano |
disciolse le catene? |
ARA. A me, bella Selene, il chiedi in vano. |
Io prigioniero e reo, |
libero ed innocente in un momento, |
sciolto mi vedo, e sento |
fra' lacci il mio signor: il passo muovo |
a suo prò nella reggia, e vel ritrovo. |
SEL. Ah contro Enea v'è qualche frode ordita. |
Difendi la sua vita. |
ARA. E` mio nemico: |
pur se brami che Araspe |
dall'insidie il difenda, |
tel prometto: sin qui |
l'onor mio nol contrasta: |
ma ti basti così. |
SEL. Così mi basta. |
ARA. Ah non toglier sì tosto |
il piacer di mirarti agli occhi miei. |
SEL. Perché? |
ARA. Tacer dovrei ch'io sono amante: |
ma reo del mio delitto è il tuo sembiante. |
SEL. Araspe, il tuo valore, |
il volto tuo, la tua virtù mi piace; |
ma già pena il mio cor per altra face. |
ARA. Quanto son sventurato! |
SEL. E` più Selene. |
Se t'accende il mio volto, |
narri almen le tue pene, ed io le ascolto. |
Io l'incendio nascoso |
tacer non posso, e palesar non oso. |
ARA. Soffri almen la mia fede. |
SEL. Sì, ma da me non aspettar mercede. |
Se può la tua virtude |
amarmi a questa legge, io tel concedo: |
ma non chieder di più. |
ARA. Di più non chiedo. |
SEL. Ardi per me fedele, |
serba nel cor lo strale, |
ma non mi dir crudele, |
se non avrai mercé. |
Hanno sventura eguale |
la tua, la mia costanza: |
per te non v'è speranza, |
non v'è pietà per me. |
ARA. Tu dici ch'io non speri, |
ma nol dici abbastanza; |
l'ultima, che si perde, è la speranza. |
DID. Già so che si nasconde |
de' Mori il re sotto il mentito Arbace. |
Ma, sia qual più gli piace, egli m'offese: |
e senz'altra dimora, |
o suddito o sovrano, io vuo' che mora. |
OSM. Sempre in me de' tuoi cenni |
il più fedele esecutor vedrai. |
DID. Premio avrà la tua fede. |
OSM. E qual premio, o regina? Adopro in vano |
per te fede e valore: |
occupa solo Enea tutto il tuo core. |
DID. Taci, non rammentar quel nome odiato. |
E` un perfido, è un ingrato, |
è un'alma senza legge e senza fede. |
Contro me stessa ho sdegno, |
perché finor l'amai. |
OSM. Se lo torni a mirar, ti placherai. |
DID. Ritornarlo a mirar! Per fin ch'io viva |
mai più non mi vedrà quell'alma rea. |
SEL. Teco vorrebbe Enea |
parlar, se gliel concedi. |
DID. Enea! Dov'è? |
SEL. Qui presso |
che sospira il piacer di rimirarti. |
DID. Temerario! Che venga. Osmida, parti. |
OSM. Io non tel dissi? Enea |
tutta del cor la libertà t'invola. |
DID. Non tormentarmi più; lasciami sola. |
DID. Come! Ancor non partisti? Adorna ancora |
questi barbari lidi il grande Enea? |
E pure io mi credea |
che, già varcato il mar, d'Italia in seno |
in trionfo traessi |
popoli debellati e regi oppressi. |
ENEA Quest'amara favella |
mal conviene al tuo cor, bella regina. |
Del tuo, dell'onor mio |
sollecito ne vengo. Io so che vuoi |
del moro il fiero orgoglio |
con la morte punir. |
DID. E questo è il foglio. |
ENEA La gloria non consente |
ch'io vendichi in tal guisa i torti miei: |
se per me lo condanni... |
DID. Condannarlo per te! Troppo t'inganni. |
Passò quel tempo, Enea, |
che Dido a te pensò. Spenta è la face, |
è sciolta la catena, |
e del tuo nome or mi rammento appena. |
ENEA Pensa che il re de' Mori |
è l'orator fallace. |
DID. Io non so qual ei sia, lo credo Arbace. |
ENEA Oh Dio! Con la sua morte |
tutta contro di te l'Africa irrìti. |
DID. Consigli or non desio: |
tu provvedi a' tuoi regni, io penso al mio. |
Senza di te finor leggi dettai; |
sorger senza di te Cartago io vidi. |
Felice me, se mai |
tu non giungevi, ingrato, a questi lidi! |
ENEA Se sprezzi il tuo periglio, |
donalo a me: grazia per lui ti chieggio. |
DID. Sì, veramente io deggio |
il mio regno e me stessa al tuo gran merto. |
A sì fedele amante, |
ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi |
di tanto intercessor nulla si nieghi. |
Inumano! tiranno! E` forse questo |
l'ultimo dì che rimirar mi dèi: |
vieni su gli occhi miei; |
sol d'Arbace mi parli, e me non curi! |
T'avessi pur veduto |
d'una lagrima sola umido il ciglio! |
Uno sguardo, un sospiro, |
un segno di pietade in te non trovo: |
e poi grazie mi chiedi? |
Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora? |
Perché tu lo vuoi salvo, io vuo' che mora. |
ENEA Idol mio, che pur sei |
ad onta del destin l'idolo mio, |
che posso dir? Che giova |
rinnovar co' sospiri il tuo dolore? |
Ah! se per me nel core |
qualche tenero affetto avesti mai, |
placa il tuo sdegno e rasserena i rai. |
Quell'Enea tel domanda, |
che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti; |
quel che sinora amasti |
più della vita tua, più del tuo soglio; |
quello... |
DID. Basta; vincesti: eccoti il foglio. |
Vedi quanto t'adoro ancora, ingrato! |
Con un tuo sguardo solo |
mi togli ogni difesa e mi disarmi. |
Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi? |
Ah! non lasciarmi, no, |
bell'idol mio: |
di chi mi fiderò, |
se tu m'inganni? |
Di vita mancherei |
nel dirti addio; |
che viver non potrei |
fra tanti affanni. |
ENEA Io sento vacillar la mia costanza |
a tanto amore appresso; |
e mentre salvo altrui, perdo me stesso. |
IARBA Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora |
del passato timore i segni in volto. |
ENEA Iarba da' lacci è sciolto! |
Chi ti diè libertà? |
IARBA Permette Osmida |
che per entro la reggia io mi raggiri: |
ma vuol ch'io vada errando |
per sicurezza tua senza il mio brando. |
ENEA Così tradisce Osmida |
il comando real? |
IARBA Dimmi, che temi? |
Ch'io fuggendo m'involi a queste mura? |
Troppo vi resterò per tua sventura. |
ENEA La tua sorte presente |
fa pietà, non timore. |
IARBA Risparmia al tuo gran core |
questa pietà. D'una regina amante |
tenta pure a mio danno, |
cerca pur d'irritar gli sdegni insani. |
Con altr'armi non sanno |
le offese vendicar gli eroi troiani. |
ENEA Leggi. La regal donna in questo foglio |
la tua morte segnò di propria mano. |
Se Enea fosse africano, |
Iarba estinto saria. Prendi ed impara, |
barbaro, discortese, |
come vendica Enea le proprie offese. |
IARBA Così strane venture io non intendo. |
Pietà nel mio nemico, |
infedeltà nel mio seguace io trovo. |
Ah forse a danno mio |
l'uno e l'altro congiura. |
Ma di lor non ho cura. |
Pietà finga il rivale, |
sia l'amico fallace, |
non sarà di timor Iarba capace. |
Fosca nube il sol ricopra, |
o si scopra il ciel sereno, |
non si cangia il cor nel seno, |
non si turba il mio pensier. |
Le vicende della sorte |
imparai con alma forte |
dalle fasce a non temer. |
ENEA Fra il dovere e l'affetto |
ancor dubbioso in petto ondeggia il core. |
Pur troppo il mio valore |
all'impero servì d'un bel sembiante. |
Ah una volta l'eroe vinca l'amante. |
ARA. Di te finora in traccia |
scorsi la reggia. |
ENEA Amico, |
vieni fra queste braccia. |
ARA. Allontanati, Enea; son tuo nemico. |
Snuda, snuda quel ferro: |
guerra con te, non amicizia io voglio. |
ENEA Tu di Iarba all'orgoglio |
prima m'involi, e poi |
guerra mi chiedi, ed amistà non vuoi? |
ARA. T'inganni. Allor difesi |
la gloria del mio re, non la tua vita. |
Con più nobil ferita |
rendergli a me s'aspetta |
quella, che tolsi a lui, giusta vendetta. |
ENEA Enea stringer l'acciaro |
contro il suo difensore! |
ARA. Olà! che tardi? |
ENEA La mia vita è tuo dono, |
prendila pur se vuoi; contento io sono. |
Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano, |
generoso guerrier, lo speri in vano. |
ARA. Se non impugni il brando |
a ragion ti dirò codardo e vile. |
ENEA Questa ad un cor virile |
vergognosa minaccia Enea non soffre. |
Ecco per soddisfarti io snudo il ferro. |
Ma prima i sensi miei |
odan gli uomini tutti, odan gli dei. |
Io son d'Araspe amico: |
io debbo la mia vita al suo valore. |
Ad onta del mio core |
discendo al gran cimento, |
di codardia tacciato; |
e per non esser vil, mi rendo ingrato. |
SEL. Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate. |
Così mi serbi fé? Così difendi, |
Araspe traditor, d'Enea la vita? |
ENEA No, principessa, Araspe |
non ha di tradimenti il cor capace. |
SEL. Chi di Iarba è seguace, |
esser fido non può. |
ARA. Bella Selene, |
puoi tu sola avanzarti |
a tacciarmi così. |
SEL. T'accheta, e parti. |
ARA. Tacerò, se tu lo brami; |
ma fai torto alla mia fede, |
se mi chiami traditor. |
Porterò lontano il piede; |
ma di questi sdegni tuoi |
so che poi tu avrai rossor. |
ENEA Allorché Araspe a provocar mi venne, |
del suo signor sostenne |
le ragioni con me. La sua virtude |
se condannar pretendi, |
troppo quel core ingiustamente offendi. |
SEL. Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo |
di favellar di lui. Brama Didone |
teco parlar. |
ENEA Poc'anzi |
dal suo real soggiorno io trassi il piede. |
Se di nuovo mi chiede |
ch'io resti in questa arena, |
in van s'accrescerà la nostra pena. |
SEL. Come fra tanti affanni, |
cor mio, chi t'ama abbandonar potrai? |
ENEA Selene, a me "cor mio"? |
SEL. E` Didone che parla, e non son io. |
ENEA Se per la tua germana |
così pietosa sei, |
non curar più di me, ritorna a lei. |
Dille che si consoli, |
che ceda al fato e rassereni il ciglio. |
SEL. Ah no! Cangia, mio ben, cangia consiglio. |
ENEA Tu mi chiami tuo bene? |
SEL. E` Didone che parla, e non Selene. |
Vieni e l'ascolta. E` l'unico conforto, |
ch'ella implora da te. |
ENEA D'un core amante |
quest'è il solito inganno: |
va cercando conforto, e trova affanno. |
Tormento il più crudele |
d'ogni crudel tormento |
è il barbaro momento, |
che in due divide un cor. |
E` affanno sì tiranno, |
che un'alma nol sostiene. |
Ah! nol provar, Selene, |
se nol provasti ancor. |
SEL. Stolta! per chi sospiro? Io senza speme |
perdo la pace mia. Ma chi mi sforza |
in vano a sospirar? Scelgasi un core |
più grato a' voti miei. Scelgasi un volto |
degno d'amor. Scelgasi... Oh Dio! la scelta |
nostro arbitrio non è. Non è bellezza, |
non è senno o valore, |
che in noi risvegli amore: anzi talora |
il men vago, il più stolto è che s'adora. |
Bella ciascuna poi finge al pensiero |
la fiamma sua, ma poche volte è vero. |
Ogni amator suppone |
che della sua ferita |
sia la beltà cagione, |
ma la beltà non è. |
E` un bel desio, che nasce |
allor che men s'aspetta; |
si sente che diletta, |
ma non si sa perché. |
DID. Incerta del mio fato |
io più viver non voglio. E` tempo ormai |
che per l'ultima volta Enea si tenti. |
Se dirgli i miei tormenti, |
se la pietà non giova, |
faccia la gelosia l'ultima prova. |
ENEA Ad ascoltar di nuovo |
i rimproveri tuoi vengo, o regina. |
So che vuoi dirmi ingrato, |
perfido, mancator, spergiuro, indegno: |
chiamami come vuoi: sfoga il tuo sdegno. |
DID. No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato, |
perfido, mancator più non ti chiamo; |
rammentarti non bramo i nostri ardori: |
da te chiedo consigli, e non amori. |
Siedi. |
ENEA (Che mai dirà?) |
DID. Già vedi, Enea, |
che fra nemici è il mio nascente impero. |
Sprezzai fin ora, è vero, |
le minacce e 'l furor; ma Iarba offeso, |
quando priva sarò del tuo sostegno, |
mi torrà per vendetta e vita e regno. |
In così dubbia sorte |
ogni rimedio è vano: |
deggio incontrar la morte, |
o al superbo african porger la mano. |
L'uno e l'altro mi spiace, e son confusa. |
Al fin femmina, e sola, |
lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio: |
e non è meraviglia |
s'io risolver non so: tu mi consiglia. |
ENEA Dunque fuor che la morte, |
o il funesto imeneo, |
trovar non si potria scampo migliore? |
DID. V'era pur troppo. |
ENEA E quale? |
DID. Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo, |
l'Africa avrei veduta |
dall'Arabico seno al mar d'Atlante |
in Cartago adorar la sua regnante: |
e di Troia e di Tiro |
rinnovar si potea... Ma che ragiono? |
L'impossibil mi fingo, e folle io sono. |
Dimmi, che far degg'io? Con alma forte |
come vuoi, sceglierò Iarba, o la morte. |
ENEA Iarba, o la morte! E consigliarti io deggio? |
Colei, che tanto adoro, |
all'odiato rival vedere in braccio! |
Colei... |
DID. Se tanta pena |
trovi nelle mie nozze, io le ricuso: |
ma, per tormi agl'insulti, |
necessario è il morir. Stringi quel brando; |
svena la tua fedele: |
è pietà con Didone esser crudele. |
ENEA Ch'io ti sveni? Ah! più tosto |
cada sopra di me del Ciel lo sdegno: |
prima scemin gli dei, |
per accrescer tuoi giorni, i giorni miei. |
DID. Dunque a Iarba mi dona. Olà. |
ENEA Deh ferma. |
Troppo, oh Dio! per mia pena |
sollecita tu sei. |
DID. Dunque mi svena. |
ENEA No, si ceda al destino: a Iarba stendi |
la tua destra real. Di pace priva |
resti l'alma d'Enea, purché tu viva. |
DID. Giacché d'altri mi brami, |
appagarti saprò. Iarba si chiami. |
Vedi quanto son io |
ubbidiente a te. |
ENEA Regina, addio. |
DID. Dove, dove? T'arresta. |
Del felice imeneo |
ti voglio spettatore. |
(Resister non potrà). |
ENEA (Costanza, o core). |
IARBA Didone, a che mi chiedi? |
Sei folle, se mi credi |
dall'ira tua, da tue minacce oppresso. |
Non si cangia il mio cor; sempre è l'istesso. |
ENEA (Che arroganza!) |
DID. Deh placa |
il tuo sdegno, o signor. Tu, col tacermi |
il tuo grado e il tuo nome, |
a gran rischio esponesti il tuo decoro. |
Ed io... Ma qui t'assidi, |
e con placido volto |
ascolta i sensi miei. |
IARBA Parla, t'ascolto. |
ENEA Permettimi che ormai... |
DID. Fermati e siedi. |
Troppo lunghe non fian le tue dimore. |
(Resister non potrà). |
ENEA (Costanza, o core). |
IARBA Eh vada. Allor che teco |
Iarba soggiorna, ha da partir costui. |
ENEA (Ed io lo soffro?) |
DID. In lui |
in vece d'un rival trovi un amico. |
Ei sempre a tuo favore |
meco parlò: per suo consiglio io t'amo. |
Se credi menzognero |
il labbro mio, dillo tu stesso. |
ENEA E` vero. |
IARBA Dunque nel re de' Mori |
altro merto non v'è che un suo consiglio? |
DID. No, Iarba; in te mi piace |
quel regio ardir, che ti conosco in volto: |
amo quel cor sì forte, |
sprezzator de' perigli e della morte. |
E se il Ciel mi destina |
tua compagna e tua sposa... |
ENEA Addio, regina. |
Basta che fin ad ora |
t'abbia ubbidito Enea. |
DID. Non basta ancora. |
Siedi per un momento. |
(Comincia a vacillar). |
ENEA (Questo è tormento!) |
IARBA Troppo tardi, o Didone, |
conosci il tuo dover. Ma pure io voglio |
donar gli oltraggi miei |
tutti alla tua beltà. |
ENEA (Che pena, o dei!) |
IARBA In pegno di tua fede |
dammi dunque la destra. |
DID. Io son contenta. |
A più gradito laccio Amor pietoso |
stringer non mi potea. |
ENEA Più soffrir non si può. |
DID. Qual ira, Enea? |
ENEA E che vuoi? Non ti basta |
quanto fin or soffrì la mia costanza? |
DID. Eh taci. |
ENEA Che tacer? Tacqui abbastanza. |
Vuoi darti al mio rivale, |
brami ch'io tel consigli; |
tutto faccio per te; che più vorresti? |
Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia? |
Dimmi che mi vuoi morto, e non ch'io taccia. |
DID. Odi. A torto ti sdegni. |
Sai che per ubbidirti... |
ENEA Intendo, intendo; |
io sono il traditor, son io l'ingrato; |
tu sei quella fedele, |
che per me perderebbe e vita e soglio: |
ma tanta fedeltà veder non voglio. |
DID. Senti. |
IARBA Lascia che parta. |
DID. I suoi trasporti |
a me giova calmar. |
IARBA Di che paventi? |
Dammi la destra, e mia |
di vendicarti poi la cura sia. |
DID. D'imenei non è tempo. |
IARBA Perché? |
DID. Più non cercar. |
IARBA Saperlo io bramo. |
DID. Giacché vuoi, tel dirò: perché non t'amo: |
perché mai non piacesti agli occhi miei; |
perché odioso mi sei; perché mi piace, |
più che Iarba fedele, Enea fallace. |
IARBA Dunque, perfida, io sono |
un oggetto di riso agli occhi tuoi! |
Ma sai chi Iarba sia? |
Sai con chi ti cimenti? |
DID. So che un barbaro sei, né mi spaventi. |
IARBA Chiamami pur così. |
Forse pentita un dì |
pietà mi chiederai, |
ma non l'avrai da me. |
Quel barbaro, che sprezzi, |
non placheranno i vezzi: |
né soffrirà l'inganno |
quel barbaro da te. |
DID. E pure in mezzo all'ire |
trova pace il mio cor. Iarba non temo; |
mi piace Enea sdegnato, ed amo in lui, |
come effetti d'amor, gli sdegni sui. |
Chi sa. Pietosi numi, |
rammentatevi almeno |
che foste amanti un dì, come son io; |
ed abbia il vostro cor pietà del mio. |
Va lusingando Amore |
il credulo mio core: |
gli dice, "sei felice"; |
ma non sarà così. |
Per poco mi consolo; |
ma più crudele io sento |
poi ritornar quel duolo, |
che sol per un momento |
dall'alma si partì. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.28.07 |
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