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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
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DIDONE ABBANDONATA |
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Pietro Metastasio |
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ATTO TERZO
ENEA Compagni invitti, a tollerare avvezzi |
e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire, |
destate il vostro ardire, |
che per l'onda infedele |
è tempo già di rispiegar le vele. |
Andiamo, amici, andiamo. |
Ai troiani navigli |
fremano pur venti e procelle intorno; |
saran glorie i perigli; |
e dolce fia di rammentarli un giorno. |
IARBA Dove rivolge, dove |
quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi? |
Vuol portar guerra altrove? |
O da me col fuggir cerca lo scampo? |
ENEA Ecco un novello inciampo. |
IARBA Per un momento il legno |
può rimaner sul lido. |
Vieni, se hai cor; meco a pugnar ti sfido. |
ENEA Vengo. Restate, amici, |
che ad abbassar quel temerario orgoglio |
altri che il mio valor meco non voglio. |
Eccomi a te. Che pensi? |
IARBA Penso che all'ira mia |
la tua morte sarà poca vendetta. |
ENEA Per ora a contrastarmi |
non fai poco se pensi. All'armi. |
IARBA All'armi. |
ENEA Venga tutto il tuo regno. |
IARBA Difenditi, se puoi. |
ENEA Non temo, indegno. |
Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi, |
o trafiggo quel core. |
IARBA In van lo chiedi. |
ENEA Se al vincitor sdegnato |
non domandi pietà... |
IARBA Siegui il tuo fato. |
ENEA Sì, mori... Ma che fo? No, vivi. In vano |
tenti il mio cor con quell'insano orgoglio. |
No; la vittoria mia macchiar non voglio. |
IARBA Son vinto sì, ma non oppresso. Almeno |
oggetto all'ire tue, sorte incostante, |
Iarba sol non sarà. |
La caduta d'un regnante |
tutto un regno opprimerà. |
OSM. Già di Iarba in difesa |
lo stuol de' Mori a queste mura è giunto. |
Ecco vicino il punto |
della grandezza mia. D'essere infido |
ad una donna ingrata |
no, non sento rossor. Così punisco |
l'ingiustizia di lei, che mai non diede |
un premio alla mia fede. |
IARBA Seguitemi, o compagni: |
alla reggia, alla reggia. |
OSM. Odi, signore: |
le tue schiere son pronte: è tempo al fine |
che vendichi i tuoi torti. |
IARBA Amici, andiamo; |
non soffre indugi il mio furor. |
OSM. T'arresta. |
IARBA Che vuoi? |
OSM. Deh non scordarti |
che deve alla mia fede |
l'amor tuo vendicato una mercede. |
IARBA E` giusto: anzi preceda |
la tua mercede alla vendetta mia. |
OSM. Generoso monarca... |
IARBA Olà, costui |
si disarmi, s'annodi, e poi s'uccida. |
OSM. Come! Questo ad Osmida? |
Qual ingiusto furore... |
IARBA Quest'è il premio dovuto a un traditore. |
ENEA Siam tutti al fin raccolti. Alcun non manca |
de' dispersi compagni. E ben si tronchi |
ogni dimora al fin. Sereno è il cielo; |
l'aure e l'onde son chiare: |
alle navi, alle navi: al mare, al mare. |
OSM. Invitto eroe. |
ENEA Che avvenne? |
OSM. In questo stato |
Iarba, il barbaro re... |
ENEA Comprendo. Amici, |
si ponga Osmida in libertà. (L'indegno |
da chi men può sperarlo abbia soccorso, |
ed apprenda virtù dal suo rimorso). |
OSM. Ah lascia, eroe pietoso, |
che grato a sì gran don... |
ENEA Sorgi, ed altrove |
rivolgi i passi tuoi. |
OSM. Grato a virtù sì rara... |
ENEA Se grato esser mi vuoi, |
ad esser fido un'altra volta impara. |
OSM. Quando l'onda, che nasce dal monte, |
al suo fonte ritorni dal prato, |
sarò ingrato a sì bella pietà. |
Fia del giorno la notte più chiara, |
se a scordarsi quest'anima impara |
di quel braccio, che vita mi dà. |
ENEA Principessa, ove corri? |
SEL. A te. M'ascolta. |
ENEA Se brami un'altra volta |
rammentarmi l'amor, t'adopri in vano. |
SEL. Ma che farà Didone? |
ENEA Al partir mio |
manca ogni suo periglio. |
La mia presenza i suoi nemici irrìta. |
Iarba al trono l'invita; |
stenda a Iarba la destra, e si consoli. |
SEL. Senti: se a noi t'involi, |
non sol Didone, ancor Selene uccidi. |
ENEA Come? |
SEL. Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante, |
celai timida amante |
l'amor mio, la mia fede; |
ma vicina a morir chiedo mercede; |
mercé, se non d'amore, |
almeno di pietà; mercé... |
ENEA Selene, |
ormai più del tuo foco |
non mi parlar, né degli affetti altrui. |
Non più amante, qual fui, guerriero or sono. |
Torno al costume antico. |
Chi trattien le mie glorie è mio nemico. |
A trionfar mi chiama |
un bel desio d'onore; |
e già sopra il mio core |
comincio a trionfar. |
Con generosa brama, |
fra i rischi e le ruine, |
di nuovi allori il crine |
io volo a circondar. |
SEL. Sprezzar la fiamma mia, |
togliere alla mia fede ogni speranza, |
esser vanto potria di tua costanza: |
ma se né pur consenti |
che sfoghi i suoi tormenti un core amante, |
ah! sei barbaro, Enea, non sei costante. |
Io d'amore, oh Dio! mi moro, |
e mi niega il mio tiranno |
anche il misero ristoro |
di lagnarmi e poi morir. |
Che costava a quel crudele |
l'ascoltar le mie querele, |
e donare a tanto affanno |
qualche tenero sospir! |
DID. Va crescendo |
il mio tormento; |
io lo sento |
e non l'intendo: |
giusti dei, che mai sarà! |
OSM. Deh regina, pietà! |
DID. Che rechi, amico? |
OSM. Ah no, così bel nome |
non merta un traditore, |
d'Enea, di te nemico e del tuo amore. |
DID. Come! |
OSM. Con la speranza |
di posseder Cartago, |
m'offersi a Iarba: ei m'accettò: si valse |
fin or di me: poi per mercé volea |
l'empio svenarmi; e mi difese Enea. |
DID. Reo di tanto delitto hai fronte ancora |
di presentarti a me? |
OSM. Sì, mia regina. |
Tu vedi un infelice, |
che non spera il perdono e nol desia: |
chiedo a te per pietà la pena mia. |
DID. Sorgi. Quante sventure! |
Misera me, sotto qual astro io nacqui! |
Manca ne' miei più fidi... |
SEL. Oh Dio, germana! |
Al fine Enea... |
DID. Partì? |
SEL. No, ma fra poco |
le vele scioglierà da' nostri lidi. |
Or ora io stessa il vidi |
verso i legni fugaci |
sollecito condurre i suoi seguaci. |
DID. Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei! |
Un esule infelice |
Un mendìco stranier... Ditemi voi |
se più barbaro cor vedeste mai? |
E tu, cruda Selene, |
partir lo vedi, ed arrestar nol sai? |
SEL. Fu vana ogni mia cura. |
DID. Vanne, Osmida; e procura |
che resti Enea per un momento solo. |
M'ascolti; e parta. |
OSM. Ad ubbidirti io volo. |
SEL. Ah non fidarti: Osmida |
tu non conosci ancor. |
DID. Lo so pur troppo. |
A questo eccesso è giunta |
la mia sorte tiranna: |
deggio chiedere aita a chi m'inganna. |
SEL. Non hai, fuor che in te stessa, altra speranza. |
Vanne a lui, prega e piangi; |
chi sa, forse potrai vincer quel core. |
DID. Alle preghiere, ai pianti |
Dido scender dovrà! Dido, che seppe |
dalle sidonie rive |
correr dell'onde a cimentar lo sdegno, |
altro clima cercando ed altro regno! |
Son io, son quella ancora, |
che di nuove cittadi Africa ornai, |
che il mio fasto serbai |
fra le insidie, fra l'armi e fra i perigli; |
ed a tanta viltà tu mi consigli? |
SEL. O scordati il tuo grado, |
o abbandona ogni speme. |
Amore e maestà non vanno insieme. |
DID. Araspe in queste soglie! |
ARA. A te ne vengo |
pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato |
di Cartagine i tetti arde e ruina. |
Vedi, vedi, o regina, |
le fiamme, che lontane agita il vento. |
Se tardi un sol momento |
a placare il suo sdegno, |
un sol giorno ti toglie e vita e regno. |
DID. Restano più disastri |
per rendermi infelice? |
SEL. Infausto giorno! |
DID. Osmida. |
OSM. Arde d'intorno... |
DID. Lo so: d'Enea ti chiedo. |
Che ottenesti da Enea? |
OSM. Partì. Lontano |
è già da queste sponde. Io giunsi appena |
a ravvisar le fuggitive antenne. |
DID. Ah stolta! io stessa, io sono |
complice di sua fuga. Al primo istante |
arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida; |
corri, vola sul lido; aduna insieme |
armi, navi, guerrieri: |
raggiungi l'infedele, |
lacera i lini suoi, sommergi i legni: |
portami fra catene |
quel traditore avvinto; |
e, se vivo non puoi, portalo estinto. |
OSM. Tu pensi a vendicarti, e cresce intanto |
la sollecita fiamma. |
DID. E` ver, corriamo. |
Io voglio... Ah no... Restate... |
Ma la vostra dimora... |
Io mi confondo... E non partisti ancora? |
OSM. Eseguisco i tuoi cenni. |
ARA. Al tuo periglio |
pensa, o Didone. |
SEL. E pensa |
a ripararne il danno. |
DID. Non fo poco s'io vivo in tanto affanno. |
Va tu, cara Selene; |
provvedi, ordina, assisti in vece mia. |
Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono. |
SEL. Ah che di te più sconsolata io sono! |
ARA. E tu qui resti ancor? Né ti spaventa |
l'incendio, che s'avanza? |
DID. Perduta ogni speranza, |
non conosco timor. Ne' petti umani |
il timore e la speme |
nascono in compagnia, muoiono insieme. |
ARA. Il tuo scampo desio. Vederti esposta |
a tal rischio mi spiace. |
DID. Araspe, per pietà lasciami in pace. |
DID. I miei casi infelici |
favolose memorie un dì saranno: |
e forse diverranno |
soggetti miserabili e dolenti |
alle tragiche scene i miei tormenti. |
OSM. E` perduta ogni speme. |
DID. Così presto ritorni? |
OSM. In vano, oh Dio! |
tentai passar dal tuo soggiorno al lido: |
tutta del Moro infido |
il minaccioso stuol Cartago inonda. |
Fra le strida e i tumulti |
agl'insulti degli empi |
son le vergini esposte, aperti i tempii: |
né più desta pietade |
o l'immatura o la cadente etade. |
DID. Dunque alla mia ruina |
più riparo non v'è? |
SEL. Fuggi, o regina. |
Son vinti i tuoi custodi; |
non ci resta difesa. |
Dalla cittade accesa |
passan le fiamme alla tua reggia in seno, |
e di fumo e faville è il ciel ripieno. |
DID. Andiam. Si cerchi altrove |
per noi qualche soccorso. |
OSM. E come? |
SEL. E dove? |
DID. Venite, anime imbelli; |
se vi manca valore, |
imparate da me come si muore. |
IARBA Fermati. |
DID. Oh dei! |
IARBA Dove così smarrita? |
Forse al fedel troiano |
corri a stringer la mano? |
Va pure, affretta il piede, |
che al talamo reale ardon le tede. |
DID. Lo so, questo è il momento |
delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno |
or che ogni altro sostegno il Ciel mi fura. |
IARBA Già ti difende Enea; tu sei sicura. |
DID. E ben sarai contento. |
Mi volesti infelice? Eccomi sola, |
tradita, abbandonata, |
senza Enea, senza amici, e senza regno. |
Debole mi volesti? Ecco Didone |
ridotta al fine a lagrimar. Non basta? |
Mi vuoi supplice ancor? Sì, de' miei mali |
chiedo a Iarba ristoro: |
da Iarba per pietà la morte imploro. |
IARBA (Cedon gli sdegni miei). |
SEL. (Giusti numi, pietà!) |
OSM. (Soccorso, o dei!) |
IARBA E pur, Didone, e pure |
sì barbaro non son, qual tu mi credi. |
Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni. |
L'offese io ti perdono, |
e mia sposa ti guido al letto e al trono. |
DID. Io sposa d'un tiranno, |
d'un empio, d'un crudel, d'un traditore, |
che non sa che sia fede, |
non conosce dover, non cura onore? |
S'io fossi così vile, |
saria giusto il mio pianto. |
No, la disgrazia mia non giunse a tanto. |
IARBA In sì misero stato insulti ancora! |
Olà, miei fidi, andate: |
s'accrescano le fiamme. In un momento |
si distrugga Cartago; e non vi resti |
orma d'abitator che la calpesti. |
SEL. Pietà del nostro affanno! |
IARBA Or potrai con ragion dirmi tiranno. |
Cadrà fra poco in cenere |
il tuo nascente impero, |
e ignota al passeggiero |
Cartagine sarà. |
Se a te del mio perdono |
meno è la morte acerba, |
non meriti, superba, |
soccorso né pietà. |
OSM. Cedi a Iarba, o Didone. |
SEL. Conserva con la tua la nostra vita. |
DID. Solo per vendicarmi |
del traditore Enea, |
che è la prima cagion de' mali miei, |
l'aure vitali io respirar vorrei. |
Ah! faccia il vento almeno, |
facciano almen gli dei le mie vendette. |
E folgori e saette, |
e turbini e tempeste |
rendano l'aure e l'onde a lui funeste. |
Vada ramingo e solo; e la sua sorte |
così barbara sia, |
che si riduca ad invidiar la mia. |
SEL. Deh modera il tuo sdegno. Anch'io l'adoro, |
e soffro il mio tormento. |
DID. Adori Enea! |
SEL. Sì, ma per tua cagione... |
DID. Ah disleale! |
Tu rivale al mio amor? |
SEL. Se fui rivale, |
ragion non hai... |
DID. Dagli occhi miei t'invola; |
non accrescer più pene |
ad un cor disperato. |
SEL. (Misera donna, ove la guida il fato!) |
OSM. Crescon le fiamme, e tu fuggir non curi? |
DID. Mancano più nemici? Enea mi lascia, |
trovo Selene infida, |
Iarba m'insulta, e mi tradisce Osmida. |
Ma che feci, empi numi? Io non macchiai |
di vittime profane i vostri altari: |
né mai di fiamma impura |
feci l'are fumar per vostro scherno. |
Dunque perché congiura |
tutto il Ciel contro me, tutto l'inferno? |
OSM. Ah pensa a te; non irritar gli dei. |
DID. Che dei? Son nomi vani, |
son chimere sognate, o ingiusti sono. |
OSM. (Gelo a tanta empietade, e l'abbandono). |
DID. Ah che dissi, infelice! A qual eccesso |
mi trasse il mio furore? |
Oh Dio, cresce l'orrore! Ovunque io miro, |
mi vien la morte e lo spavento in faccia: |
trema la reggia e di cader minaccia. |
Selene, Osmida! Ah! tutti, |
tutti cedeste alla mia sorte infida: |
non v'è chi mi soccorra, o chi m'uccida. |
Vado... Ma dove? Oh Dio! |
Resto... Ma poi... Che fo? |
Dunque morir dovrò |
senza trovar pietà? |
E v'è tanta viltà nel petto mio? |
No no, si mora; e l'infedele Enea |
abbia nel mio destino |
un augurio funesto al suo cammino. |
Precipiti Cartago, |
arda la reggia; e sia |
il cenere di lei la tomba mia. |
Dicendo l'ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia: e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo, che si sollevano alla sua caduta. |
Nel tempo medesimo su l'ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell'avvicinarsi all'incendio, a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza delle acque. Il furioso alternar dell'onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell'incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de' tuoni, l'interrotto lume de' lampi, e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l'ostinato contrasto dei due nemici elementi. |
Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l'orrida in lieta sinfonia; e dal seno dell'onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume, che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore. |
NETTUNO Se alla discordia antica |
ritornar gli elementi, astri benigni |
del ciel d'Iberia, in questo dì vedete, |
non vi rechi stupor. Di merto eguali, |
bella gara d'onor ci fa rivali. |
Se l'emulo Vulcano |
qui degl'incendi suoi |
fa spettacolo a voi, per qual cagione |
dovrà sì nobil peso |
a me nume dell'acque esser conteso? |
Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo |
talor da' cavi bronzi, |
dell'ira vostra esecutor fedele; |
della vostra giustizia |
fedele ognora esecutore anch'io |
porto a' mondi remoti |
le vostre leggi; e ne riporto i voti. |
Onde a ragion pretesi |
parte alla gloria; onde a ragion costrinsi |
nell'illustre contesa |
a fremer le procelle in mia difesa. |
Tacete, o mie procelle, |
di questo soglio al piè, |
or che il rivale a me |
cedé la palma. |
E dell'ibere stelle |
al fausto balenar |
tutti i regni del mar |
tornino in calma. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.29.08 |
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