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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
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DIDONE ABBANDONATA |
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Pietro Metastasio |
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ATTO PRIMO
SCENA PRIMA |
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze, con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine, che sta edificandosi. |
ENEA. No, principessa, amico, |
sdegno non è, non è timor che move |
le frigie vele e mi trasporta altrove. |
So che m'ama Didone; |
pur troppo il so; né di sua fé pavento. |
L'adoro, e mi rammento |
quanto fece per me: non sono ingrato. |
Ma ch'io di nuovo esponga |
all'arbitrio dell'onde i giorni miei |
mi prescrive il destin, voglion gli dei; |
e son sì sventurato, |
che sembra colpa mia quella del fato. |
SELENE Se cerchi al lungo error riposo e nido, |
te l'offre in questo lido |
la germana, il tuo merto e il nostro zelo. |
ENEA Riposo ancor non mi concede il Cielo. |
SEL. Perché? |
OSMIDA. Con qual favella |
il lor voler ti palesaro i numi? |
ENEA Osmida, a questi lumi |
non porta il sonno mai suo dolce obblio, |
che il rigido sembiante |
del genitor non mi dipinga innante. |
"Figlio" ei dice, e l'ascolto "ingrato figlio, |
questo è d'Italia il regno, |
che acquistar ti commise Apollo ed io? |
L'Asia infelice aspetta |
che in un altro terreno, |
opra del tuo valor, Troia rinasca: |
tu il promettesti; io nel momento estremo |
del viver mio la tua promessa intesi, |
allor che ti piegasti |
a baciar questa destra e mel giurasti. |
E tu frattanto ingrato |
alla patria, a te stesso, al genitore, |
qui nell'ozio ti perdi e nell'amore? |
Sorgi: de' legni tuoi |
tronca il canape reo, sciogli le sarte". |
Mi guarda poi con torvo ciglio, e parte. |
SEL. Gelo d'orror. |
OSM. (Quasi felice io sono. |
Se parte Enea, manca un rivale al trono). |
SEL. Se abbandoni il tuo bene, |
morrà Didone (e non vivrà Selene). |
OSM. La regina s'appressa. |
ENEA (Che mai dirò?) |
SEL. (Non posso |
scoprire il mio tormento). |
ENEA (Difenditi, mio core, ecco il cimento). |
DIDONE Enea, d'Asia splendore, |
di Citerea soave cura e mia, |
vedi come a momenti, |
del tuo soggiorno altera, |
la nascente Cartago alza la fronte. |
Frutto de' miei sudori |
son quegli archi, que' templi e quelle mura: |
ma de' sudori miei |
l'ornamento più grande, Enea, tu sei. |
Tu non mi guardi, e taci? In questa guisa |
con un freddo silenzio Enea m'accoglie? |
Forse già dal tuo core |
di me l'immago ha cancellata Amore? |
ENEA Didone alla mia mente, |
giuro a tutti gli dei, sempre è presente: |
né tempo o lontananza |
potrà sparger d'obblio, |
questo ancor giuro ai numi, il foco mio. |
DID. Che proteste! Io non chiedo |
giuramenti da te: perch'io ti creda, |
un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro. |
OSM. (Troppo s'inoltra). |
SEL. (Ed io parlar non oso). |
ENEA Se brami il tuo riposo, |
pensa alla tua grandezza, |
a me più non pensar. |
DID. Che a te non pensi? |
Io, che per te sol vivo? Io, che non godo |
i miei giorni felici, |
se un momento mi lasci? |
ENEA Oh Dio, che dici! |
E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo |
generosa tu sei per un ingrato. |
DID. Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa |
ti sarà la mia fiamma. |
ENEA Anzi giammai |
con maggior tenerezza io non t'amai. |
Ma... |
DID. Che? |
ENEA La patria, il Cielo... |
DID. Parla. |
ENEA Dovrei... ma no... |
L'amore... Oh Dio! la fé... |
Ah! che parlar non so. |
Spiegalo tu per me. |
DID. Parte così, così mi lascia Enea! |
Che vuol dir quel silenzio? In che son rea? |
SEL. Ei pensa abbandonarti. |
Contrastano in quel core, |
né so chi vincerà, gloria ed amore. |
DID. E` gloria abbandonarmi? |
OSM. (Si deluda). Regina, |
il cor d'Enea non penetrò Selene. |
Dalla reggia de' Mori |
qui giunger dee l'ambasciatore Arbace... |
DID. Che perciò? |
OSM. Le tue nozze |
chiederà il re superbo; e teme Enea |
che tu ceda alla forza e a lui ti doni. |
Perciò, così partendo, |
fugge il dolor di rimirarti... |
DID. Intendo. |
Vanne, amata germana, |
dal cor d'Enea sgombra i sospetti, e digli |
che a lui non mi torrà se non la morte. |
SEL. (A questo ancor tu mi condanni, o Sorte!) |
Dirò che fida sei; |
su la mia fé riposa: |
sarò per te pietosa; |
(per me crudel sarò). |
Sapranno i labbri miei |
scoprirgli il tuo desio. |
(Ma la mia pena, oh Dio! |
come nasconderò?) |
DID. Venga Arbace qual vuole, |
supplice, o minaccioso; ei viene in vano. |
In faccia a lui, pria che tramonti il sole, |
ad Enea mi vedrà porger la mano. |
Solo quel cor mi piace: |
sappialo Iarba. |
OSM. Ecco s'appressa Arbace. |
ARASPE (Vedi, mio re... |
IARBA T'accheta. |
Finché dura l'inganno, |
chiamami Arbace, e non pensare al trono: |
per ora io non son Iarba, e re non sono). |
Didone, il re de' Mori |
a te de' cenni suoi |
me suo fedele apportator destina. |
Io te l'offro qual vuoi, |
tuo sostegno in un punto, o tua ruina. |
Queste, che miri intanto, |
spoglie, gemme, tesori, uomini e fere, |
che l'Africa soggetta a lui produce, |
pegni di sua grandezza in don t'invia. |
Nel dono impara il donator qual sia. |
DID. Mentre io ne accetto il dono |
larga mercede il tuo signor riceve. |
Ma s'ei non è più saggio, |
quel, ch'ora è don, può divenire omaggio. |
(Come altiero è costui!) Siedi e favella. |
ARA. (Qual ti sembra, o signor?) |
IARBA (Superba e bella). |
Ti rammenta, o Didone, |
qual da Tiro venisti, e qual ti trasse |
disperato consiglio a questo lido. |
Del tuo germano infido |
alle barbare voglie, al genio avaro |
ti fu l'Africa sol schermo e riparo. |
Fu questo, ove s'inalza |
la superba Cartago, ampio terreno, |
dono del mio signore, e fu... |
DID. Col dono |
la vendita confondi... |
IARBA Lascia pria ch'io favelli, e poi rispondi. |
DID. (Che ardir!) |
OSM. (Soffri). |
IARBA Cortese |
Iarba il mio re le nozze tue richiese: |
tu ricusasti: ei ne soffrì l'oltraggio, |
perché giurasti allora |
che al cener di Sicheo fede serbavi. |
Or sa l'Africa tutta |
che dall'Asia distrutta Enea qui venne: |
sa che tu l'accogliesti; e sa che l'ami: |
né soffrirà che venga |
a contrastar gli amori |
un avanzo di Troia al re de' Mori. |
DID. E gli amori e gli sdegni |
fian del pari infecondi. |
IARBA Lascia pria ch'io finisca, e poi rispondi. |
Generoso il mio re di guerra in vece, |
t'offre pace se vuoi: |
e in ammenda del fallo |
brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto, |
vuol la testa d'Enea. |
DID. Dicesti? |
IARBA Ho detto. |
DID. Dalla reggia di Tiro |
io venni a queste arene |
libertade cercando e non catene. |
Prezzo de' miei tesori, |
e non già del tuo re Cartago è dono. |
La mia destra, il mio core |
quando a Iarba negai, |
d'esser fida allo sposo allor pensai. |
Or più quella non son... |
IARBA Se non sei quella... |
DID. Lascia pria ch'io risponda, e poi favella. |
Or più quella non son. Variano i saggi |
a seconda de' casi i lor pensieri. |
Enea piace al mio cor, giova al mio trono, |
e mio sposo sarà. |
IARBA Ma la sua testa... |
DID. Non è facil trionfo; anzi potrebbe |
costar molti sudori |
questo avanzo di Troia al re de' Mori. |
IARBA Se il mio signore irrìti, |
verranno a farti guerra |
quanti Getuli e quanti |
Numidi e Garamanti Africa serra. |
DID. Purché sia meco Enea, non mi confondo. |
Vengano a questi lidi |
Garamanti, Numidi, Africa e il mondo. |
IARBA Dunque dirò... |
DID. Dirai |
che amoroso nol curo, |
che nol temo sdegnato. |
IARBA Pensa meglio, o Didone. |
DID. Ho già pensato. |
Son regina e sono amante; |
e l'impero io sola voglio |
del mio soglio e del mio cor. |
Darmi legge in van pretende |
chi l'arbitrio a me contende |
della gloria e dell'amor. |
IARBA Araspe, alla vendetta. |
ARA. Mi son scorta i tuoi passi. |
OSM. Arbace, aspetta. |
IARBA (Da me che bramerà?) |
OSM. Posso a mia voglia |
libero favellar? |
IARBA Parla. |
OSM. Se vuoi, |
m'offro agli sdegni tuoi compagno e guida. |
Didone in me confida, |
Enea mi crede amico, e pendon l'armi |
tutte dal cenno mio. Molto potrei |
a' tuoi disegni agevolar la strada. |
IARBA Ma tu chi sei? |
OSM. Seguace |
della tiria regina, Osmida io sono. |
In Cipro ebbi la cuna, |
e il mio core è maggior di mia fortuna. |
IARBA L'offerta accetto, e, se fedel sarai, |
tutto in mercé ciò, che domandi, avrai. |
OSM. Sia del tuo re Didone, a me si ceda |
di Cartago l'impero. |
IARBA Io tel prometto. |
OSM. Ma chi sa se consente |
il tuo signore alla richiesta audace? |
IARBA Promette il re, quando promette Arbace. |
OSM. Dunque... |
IARBA Ogni atto innocente |
qui sospetto esser può: serba i consigli |
a più sicuro loco e più nascoso. |
Fidati; Osmida è re, se Iarba è sposo. |
OSM. Tu mi scorgi al gran disegno: |
al tuo sdegno, al tuo desio |
l'ardir mio ti scorgerà. |
Così rende il fiumicello, |
mentre lento il prato ingombra, |
alimento all'arboscello; |
e per l'ombra umor gli dà. |
IARBA Quanto è stolto, se crede |
ch'io gli abbia a serbar fede. |
ARA. Il promettesti a lui. |
IARBA Non merta fé chi non la serba altrui. |
Ma vanne, amato Araspe, |
ogn'indugio è tormento al mio furore; |
vanne: le mie vendette |
un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida. |
ARA. Vado: e sarà fra poco |
del suo, del mio valore |
in aperta tenzone arbitro il fato. |
IARBA No, t'arresta: io non voglio |
che al caso si commetta |
l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta. |
Improvviso l'assali, usa la frode. |
ARA. Da me frode! Signor, suddito io nacqui, |
ma non già traditor. Dimmi ch'io vada |
nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi, |
tutto farò. Tu sei |
signor della mia vita: in tua difesa |
non ricuso cimento, |
ma da me non si chieda un tradimento. |
IARBA Sensi d'alma volgare. A me non manca |
braccio del tuo più fido. |
ARA. E come, oh dei! |
La tua virtude... |
IARBA Eh che virtù? Nel mondo |
o virtù non si trova, |
o è sol virtù quel che diletta e giova. |
Fra lo splendor del trono |
belle le colpe sono, |
perde l'orror l'inganno, |
tutto si fa virtù. |
Fuggir con frode il danno |
può dubitar se lice |
quell'anima infelice, |
che nacque in servitù. |
ARA. Empio! L'orror, che porta |
il rimorso d'un fallo anche felice, |
la pace fra' disastri, |
che produce virtù, come non senti? |
O sostegno del mondo, |
degli uomini ornamento e degli dei, |
bella virtù, la scorta mia tu sei. |
Se dalle stelle tu non sei guida |
fra le procelle dell'onda infida, |
mai per quest'alma calma non v'è. |
Tu m'assicuri ne' miei perigli; |
nelle sventure tu mi consigli, |
e sol contento sento per te. |
ENEA Già tel dissi, o Selene, |
male interpreta Osmida i sensi miei. |
Ah piacesse agli dei |
che Dido fosse infida; o ch'io potessi |
figurarmela infida un sol momento! |
Ma saper che m'adora, |
e doverla lasciar, questo è il tormento. |
SEL. Sia qual vuoi la cagione, |
che ti sforza a partir, per pochi istanti |
t'arresta almeno, e di Nettuno al tempio |
vanne: la mia germana |
vuol colà favellarti. |
ENEA Sarà pena l'indugio. |
SEL. Odila e parti. |
ENEA Ed a colei, che adoro, |
darò l'ultimo addio? |
SEL. (Taccio, e non moro!) |
ENEA Piange Selene! |
SEL. E come, |
quando parli così, non vuoi ch'io pianga? |
ENEA Lascia di sospirar. Sola Didone |
ha ragion di lagnarsi al partir mio. |
SEL. Abbiam l'istesso cor Didone ed io. |
ENEA Tanto per lei t'affliggi? |
SEL. Ella in me così vive, |
io così vivo in lei, |
che tutti i mali suoi son mali miei. |
ENEA Generosa Selene, i tuoi sospiri |
tanta pietà mi fanno, |
che scordo quasi il mio nel vostro affanno. |
SEL. (Se mi vedessi il core, |
forse la tua pietà saria maggiore). |
IARBA Tutta ho scorsa la reggia |
cercando Enea, né ancor m'incontro in lui. |
ARA. Forse quindi partì. |
IARBA Fosse costui? |
Africano alle vesti ei non mi sembra. |
Stranier, dimmi: chi sei? |
ARA. (Quanto piace quel volto agli occhi miei!) |
ENEA Troppo, bella Selene... |
IARBA Olà non odi? |
ENEA Troppo ad altri pietosa... |
SEL. Che superbo parlar! |
ARA. (Quanto è vezzosa!) |
IARBA O palesa il tuo nome, o ch'io... |
ENEA Qual dritto |
hai tu di domandarne? A te che giova? |
IARBA Ragione è il piacer mio. |
ENEA Fra noi non s'usa |
di rispondere a stolti. |
IARBA A questo acciaro... |
SEL. Su gli occhi di Selene, |
nella reggia di Dido, un tanto ardire? |
IARBA Di Iarba al messaggiero |
sì poco di rispetto? |
SEL. Il folle orgoglio |
la regina saprà. |
IARBA Sappialo. Intanto |
mi vegga ad onta sua troncar quel capo, |
e a quel d'Enea congiunto, |
dell'offeso mio re portarlo a' piedi. |
ENEA Difficile sarà più che non credi. |
IARBA Tu potrai contrastarlo? o quell'Enea, |
che per glorie racconta |
tante perdite sue? |
ENEA Cedono assai |
in confronto di glorie |
alle perdite sue le tue vittorie. |
IARBA Ma tu chi sei, che tanto |
meco per lui contrasti? |
ENEA Son un che non ti teme, e ciò ti basti. |
Quando saprai chi sono |
sì fiero non sarai, |
né parlerai così. |
Brama lasciar le sponde |
quel passeggiero ardente: |
fra l'onde poi si pente, |
se ad onta del nocchiero |
dal lido si partì. |
IARBA Non partirà, se pria... |
SEL. Da lui che brami? |
IARBA Il suo nome. |
SEL. Il suo nome |
senza tanto furor da me saprai. |
IARBA A questa legge io resto. |
SEL. Quell'Enea, che tu cerchi, appunto è questo. |
IARBA Ah! m'involasti un colpo, |
che al mio braccio offeriva il Ciel cortese. |
SEL. Ma perché tanto sdegno? In che t'offese? |
IARBA Gli affetti di Didone |
al mio signor contende; |
t'è noto, e mi domandi in che m'offende? |
SEL. Dunque supponi, Arbace, |
che scelga a suo talento il caro oggetto |
un cor che s'innamora? |
Nella scuola d'amor sei rozzo ancora. |
IARBA Non è più tempo, Araspe, |
di celarmi così. Troppa finora |
sofferenza mi costa. |
ARA. E che farai? |
IARBA I miei guerrier, che nella selva ascosi |
quindi non lungi al mio venir lasciai, |
chiamerò nella reggia: |
distruggerò Cartago, e l'empio core |
all'indegno rival trarrò... |
OSM. Signore, |
già di Nettuno al tempio |
la regina s'invia. Su gli occhi tuoi |
al superbo troiano, |
se tardi a riparar, porge la mano. |
IARBA Tanto ardir! |
OSM. Non è tempo |
d'inutili querele. |
IARBA E qual consiglio? |
OSM. Il più pronto è il migliore. Io ti precedo: |
ardisci. Ad ogni impresa |
io sarò tuo sostegno e tua difesa. |
ARA. Dove corri, o signore? |
IARBA Il rivale a svenar. |
ARA. Come lo speri? |
Ancora i tuoi guerrieri |
il tuo voler non sanno. |
IARBA Dove forza non val, giunga l'inganno. |
ARA. E vuoi la tua vendetta |
con la taccia comprar di traditore? |
IARBA Araspe, il mio favore |
troppo ardito ti fé. Più franco all'opre |
e men pronto ai consigli io ti vorrei. |
Chi son io ti rammenta, e chi tu sei. |
Son quel fiume, che gonfia d'umori, |
quando il gelo si scioglie in torrenti, |
selve, armenti, capanne e pastori |
porta seco, e ritegno non ha. |
Se si vede fra gli argini stretto, |
sdegna il letto, confonde le sponde, |
e superbo fremendo sen va. |
OSM. Come! Da' labbri tuoi |
Dido saprà che abbandonar la vuoi? |
Ah! taci per pietà, |
e risparmia al suo cor questo tormento. |
ENEA Il dirlo è crudeltà, |
ma sarebbe il tacerlo un tradimento. |
OSM. Benché costante, io spero |
che al pianto suo tu cangerai pensiero. |
ENEA Può togliermi di vita, |
ma non può il mio dolore |
far ch'io manchi alla patria e al genitore. |
OSM. Oh generosi detti! |
Vincere i propri affetti |
avanza ogni altra gloria. |
ENEA Quanto costa però questa vittoria! |
IARBA Ecco il rival; né seco |
è alcun de' suoi seguaci... |
ARA. Ah pensa che tu sei... |
IARBA Sieguimi e taci. |
Così gli oltraggi miei... |
ARA. Fermati. |
IARBA Indegno, |
al nemico in aiuto? |
ENEA Che tenti, anima rea? |
OSM. (Tutto è perduto). |
OSM. Siam traditi, o regina. |
Se più tarda d'Arbace era l'aita, |
il valoroso Enea |
sotto colpo inumano oggi cadea. |
DID. Il traditor qual è, dove dimora? |
OSM. Miralo: nella destra ha il ferro ancora. |
DID. Chi ti destò nel seno |
sì barbaro desio? |
ARA. Del mio signor la gloria e il dover mio. |
DID. Come! L'istesso Arbace |
disapprova... |
ARA. Lo so ch'ei mi condanna: |
il suo sdegno pavento; |
ma il mio non fu delitto, e non mi pento. |
DID. E né meno hai rossore |
del sacrilego eccesso? |
ARA. Tornerei mille volte a far l'istesso. |
DID. Ti preverrò. Ministri, |
custodite costui. |
ENEA Generoso nemico, |
in te tanta virtude io non credea. |
Lascia che a questo sen... |
IARBA Scostati, Enea. |
Sappi che il viver tuo d'Araspe è dono: |
che il tuo sangue vogl'io: che Iarba io sono. |
DID. Tu Iarba! |
ENEA Il re de' Mori! |
DID. Un re sensi sì rei |
non chiude in seno: un mentitor tu sei. |
Si disarmi. |
IARBA Nessuno |
avvicinarsi ardisca, o ch'io lo sveno. |
OSM. Cedi per poco almeno, |
fin ch'io genti raccolga: a me ti fida. |
IARBA E così vil sarò? |
ENEA Fermate, amici; |
a me tocca il punirlo. |
DID. Il tuo valore |
serba ad uopo miglior. Che più s'aspetta? |
O si renda, o svenato al piè mi cada. |
OSM. Serbati alla vendetta. |
IARBA Ecco la spada. |
DID. Frenar l'alma orgogliosa |
tua cura sia. |
OSM. Su la mia fé riposa. |
DID. Enea, salvo già sei |
dalla crudel ferita. |
Per me serban gli dei sì bella vita. |
ENEA Oh Dio, regina! |
DID. Ancora |
forse della mia fede incerto stai? |
ENEA No: più funeste assai |
son le sventure mie. Vuole il destino... |
DID. Chiari i tuoi sensi esponi. |
ENEA Vuol... (mi sento morir) ch'io t'abbandoni. |
DID. M'abbandoni! Perché? |
ENEA Di Giove il cenno, |
l'ombra del genitor, la patria, il Cielo, |
la promessa, il dover, l'onor, la fama |
alle sponde d'Italia oggi mi chiama. |
La mia lunga dimora |
pur troppo degli dei mosse lo sdegno. |
DID. E così fin ad ora, |
perfido, mi celasti il tuo disegno? |
ENEA Fu pietà. |
DID. Che pietà? Mendace il labbro |
fedeltà mi giurava, |
e intanto il cor pensava |
come lunge da me volgere il piede! |
A chi, misera me! darò più fede? |
Vil rifiuto dell'onde, |
io l'accolgo dal lido; io lo ristoro |
dalle ingiurie del mar: le navi e l'armi |
già disperse io gli rendo; e gli do loco |
nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco. |
Di cento re per lui, |
ricusando l'amor, gli sdegni irrìto: |
ecco poi la mercede. |
A chi, misera me! darò più fede? |
ENEA Fin ch'io viva, o Didone, |
dolce memoria al mio pensier sarai: |
né partirei giammai, |
se per voler de' numi io non dovessi |
consacrare il mio affanno |
all'impero latino. |
DID. Veramente non hanno |
altra cura gli dei che il tuo destino. |
ENEA Io resterò, se vuoi |
che si renda spergiuro un infelice. |
DID. No: sarei debitrice |
dell'impero del mondo a' figli tuoi. |
Va pur: siegui il tuo fato: |
cerca d'Italia il regno: all'onde, ai venti |
confida pur la speme tua; ma senti. |
Farà quell'onde istesse |
delle vendette mie ministre il Cielo: |
e tardi allor pentito |
d'aver creduto all'elemento insano, |
richiamerai la tua Didone in vano. |
ENEA Se mi vedessi il core... |
DID. Lasciami, traditore! |
ENEA Almen dal labbro mio |
con volto meno irato |
prendi l'ultimo addio. |
DID. Lasciami, ingrato. |
ENEA E pur con tanto sdegno |
non hai ragion di condannarmi. |
DID. Indegno! |
Non ha ragione, ingrato, |
un core abbandonato |
da chi giurogli fé? |
Anime innamorate, |
se la provaste mai, |
ditelo voi per me! |
Perfido! tu lo sai |
se in premio un tradimento |
io meritai da te. |
E qual sarà tormento, |
anime innamorate, |
se questo mio non è? |
ENEA E soffrirò che sia |
sì barbara mercede |
premio della tua fede, anima mia! |
Tanto amor, tanti doni... |
Ah! pria ch'io t'abbandoni, |
pèra l'Italia, il mondo; |
resti in obblio profondo |
la mia fama sepolta; |
vada in cenere Troia un'altra volta. |
Ah che dissi! Alle mie |
amorose follie, |
gran genitor, perdona: io n'ho rossore. |
Non fu Enea che parlò, lo disse Amore. |
Si parta... E l'empio moro |
stringerà il mio tesoro? |
No... Ma sarà frattanto |
al proprio genitor spergiuro il figlio? |
Padre, Amor, Gelosia, numi, consiglio! |
Se resto sul lido, |
se sciolgo le vele, |
infido, crudele |
mi sento chiamar. |
E intanto, confuso |
nel dubbio funesto, |
non parto, non resto, |
ma provo il martìre, |
che avrei nel partire, |
che avrei nel restar. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.27.15 |
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