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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Aminta

di: Torquato Tasso

 

 

 

ATTO SECONDO

 

  

 

ENA PRIMA

 

Satiro solo

 

[SATIRO] Picciola è l'ape, e fa col picciol morso

pur gravi e pur moleste le ferite;

ma qual cosa è più picciola d'Amore,

se in ogni breve spazio entra, e s'asconde

5          in ogni breve spazio? or sotto a l'ombra

de le palpebre, or tra' minuti rivi

d'un biondo crine, or dentro le pozzette

che forma un dolce riso in bella guancia;

e pur fa tanto grandi e sì mortali

10        e così immedicabili le piaghe.

Ohimè, che tutte piaga e tutte sangue

son le viscere mie; e mille spiedi

ha ne gli occhi di Silvia il crudo Amore.

Crudel Amor, Silvia crudele ed empia

15        più che le selve! Oh come a te confassi

tal nome, e quanto vide chi te 'l pose!

Celan le selve angui, leoni ed orsi,

dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto

nascondi odio, disdegno ed impietate,

20        fere peggior ch'angui, leoni ed orsi

ché si placano quei, questi placarsi

non possono per prego né per dono.

Ohimè, quando ti porto i fior novelli,

tu li ricusi, ritrosetta, forse

25        perché fior via più belli hai nel bel volto.

Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,

tu li rifiuti, disdegnosa, forse

perché pomi più vaghi hai nel bel seno.

Lasso, quand'io t'offrisco il dolce mele,

30        tu lo disprezzi, dispettosa, forse

perché mel via più dolce hai ne le labra.

Ma, se mia povertà non può donarti

cosa ch'in te non sia più bella e dolce,

me medesmo ti dono. Or perché iniqua

35        scherni e abborri il dono? non son io

da disprezzar, se ben me stesso vidi

nel liquido del mar, quando l'altr'ieri

taceano i venti ed ei giacea senz'onda.

Questa mia faccia di color sanguigno,

40        queste mie spalle larghe, e queste braccia

torose e nerborute, e questo petto

setoso, e queste mie velate coscie

son di virilità, di robustezza

indicio; e, se no 'l credi, fanne prova.

45        Che vuoi tu far di questi tenerelli,

che di molle lanugine fiorite

hanno a pena le guancie? e che con arte

dispongono i capelli in ordinanza?

Femine nel sembiante e ne le forze

50        sono costoro. Or di' ch'alcun ti segua

per le selve e pei monti, e 'ncontra gli orsi

ed incontra i cinghiai per te combatta.

Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi

perché sì fatto io sia, ma solamente

55        perché povero sono. Ahi, ché le ville

seguon l'essempio de le gran cittadi!

e veramente il secol d'oro è questo,

poiché sol vince l'oro e regna l'oro.

O chiunque tu fosti, che insegnasti

60        primo a vender l'amor, sia maledetto

il tuo cener sepolto e l'ossa fredde,

e non si trovi mai pastore o ninfa

che lor dica passando: «Abbiate pace»;

ma le bagni la pioggia e mova il vento,

65        e con piè immondo la greggia il calpesti

e 'l peregrin. Tu prima svergognasti

la nobiltà d'amor; tu le sue liete

dolcezze inamaristi. Amor venale,

amor servo de l'oro è il maggior mostro

70        ed il più abominabile e il più sozzo,

che produca la terra o 'l mar fra l'onde.

Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno

quell'armi che gli ha date la natura

per sua salute: il cervo adopra il corso,

75        il leone gli artigli, ed il bavoso

cinghiale il dente; e son potenza ed armi

de la donna bellezza e leggiadria;

io, perché non per mia salute adopro

la violenza, se mi fe' natura

80        atto a far violenza ed a rapire?

Sforzerò, rapirò quel che costei

mi niega, ingrata, in merto de l'amore;

che, per quanto un caprar testé mi ha detto,

ch'osservato ha suo stile, ella ha per uso

85        d'andar sovente a rinfrescarsi a un fonte;

e mostrato m'ha il loco. Ivi io disegno

tra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti,

ed aspettar fin che vi venga; e, come

veggia l'occasion, correrle addosso.

90        Qual contrasto col corso o con le braccia

potrà fare una tenera fanciulla

contra me sì veloce e sì possente?

Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo

di pietà, di bellezza: che, s'io posso

95        questa mano ravvoglierle nel crine,

indi non partirà, ch'io pria non tinga

l'armi mie per vendetta nel suo sangue.

 

 

 

SCENA SECONDA

 

Dafne, Tirsi

 

[DAFNE] Tirsi, com'io t'ho detto, io m'era accorta

ch'Aminta amava Silvia; e Dio sa quanti

buoni officii n'ho fatti, e son per farli

tanto più volontier, quant'or vi aggiungi

5          le tue preghiere; ma torrei più tosto

a domar un giuvenco, un orso, un tigre,

che a domar una semplice fanciulla:

fanciulla tanto sciocca quanto bella,

che non s'avveggia ancor come sian calde

10        l'armi di sua bellezza e come acute,

ma ridendo e piangendo uccida altrui,

e l'uccida e non sappia di ferire.

[TIRSI] Ma quale è così semplice fanciulla

che, uscita da le fascie, non apprenda

15        l'arte del parer bella e del piacere,

de l'uccider piacendo, e del sapere

qual arme fera, e qual dia morte, e quale

sani e ritorni in vita? [DAFNE] Chi è 'l mastro

di cotant'arte? [TIRSI] Tu fingi, e mi tenti:

20        quel che insegna agli augelli il canto e 'l volo,

a' pesci il nuoto ed a' montoni il cozzo,

al toro usar il corno, ed al pavone

spiegar la pompa de l'occhiute piume.

[DAFNE] Come ha nome 'l gran mastro? [TIRSI] Dafne ha nome.

25        [DAFNE] Lingua bugiarda! [TIRSI] E perché? tu non sei

atta a tener mille fanciulle a scola?

Benché, per dir il ver, non han bisogno

di maestro: maestra è la natura,

ma la madre e la balia anco v'han parte.

30        [DAFNE] In somma, tu sei goffo insieme e tristo.

Ora, per dirti il ver, non mi risolvo

se Silvia è semplicetta come pare

a le parole, a gli atti. Ier vidi un segno

che me ne mette in dubbio. Io la trovai

35        là presso la cittade in quei gran prati

ove fra stagni giace un'isoletta,

sovra essa un lago limpido e tranquillo,

tutta pendente in atto che parea

vagheggiar se medesma, e 'nsieme insieme

40        chieder consiglio a l'acque in qual maniera

dispor dovesse in su la fronte i crini,

e sovra i crini il velo, e sovra 'l velo

i fior che tenea in grembo; e spesso spesso

or prendeva un lingustro, or una rosa,

45        e l'accostava al bel candido collo,

a le guancie vermiglie, e de' colori

fea paragone; e poi, sì come lieta

de la vittoria, lampeggiava un riso

che parea che dicesse: «Io pur vi vinco,

50        né porto voi per ornamento mio,

ma porto voi sol per vergogna vostra,

perché si veggia quanto mi cedete».

Ma, mentre ella s'ornava e vagheggiava,

rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta

55        ch'io di lei m'era accorta, e vergognando

rizzossi tosto, e fior lasciò cadere.

In tanto io più ridea del suo rossore,

ella più s'arrossia del riso mio.

Ma, perché accolta una parte de' crini

60        e l'altra aveva sparsa, una o due volte

con gli occhi al fonte consiglier ricorse,

e si mirò quasi di furto, pure

temendo ch'io nel suo guatar guatassi;

ed incolta si vide, e si compiacque

65        perché bella si vide ancor che incolta.

Io me n'avvidi, e tacqui. [TIRSI] Tu mi narri

quel ch'io credeva a punto. Or non m'apposi?

[DAFNE] Ben t'apponesti; ma pur odo dire

che non erano pria le pastorelle,

70        né le ninfe sì accorte; né io tale

fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,

e invecchiando intristisce. [TIRSI] Forse allora

non usavan sì spesso i cittadini

ne le selve e ne i campi, né sì spesso

75        le nostre forosette aveano in uso

d'andare a la cittade. Or son mischiate

schiatte e costumi. Ma lasciam da parte

questi discorsi; or non farai ch'un giorno

Silvia contenta sia che le ragioni

80        Aminta, o solo, o almeno in tua presenza?

[DAFNE] Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo.

[TIRSI] E costui rispettoso è fuor di modo.

[DAFNE] È spacciato un amante rispettoso:

consiglial pur che faccia altro mestiero,

85        poich'egli è tal. Chi imparar vuol d'amare,

disimpari il rispetto: osi, domandi,

solleciti, importuni, al fine involi;

e se questo non basta, anco rapisca.

Or non sai tu com'è fatta la donna?

90        Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga;

niega, e negando vuol ch'altri si toglia;

pugna, e pugnando vuol ch'altri la vinca.

Ve', Tirsi, io parlo teco in confidenza:

non ridir ch'io ciò dica. E sovra tutto

95        non porlo in rime. Tu sai s'io saprei

renderti poi per versi altro che versi.

[TIRSI] Non hai cagion di sospettar ch'io dica

cosa giamai che sia contra tuo grado.

Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce

100      memoria di tua fresca giovanezza,

che tu m'aiti ad aitar Aminta

miserel, che si muore. [DAFNE] Oh che gentile

scongiuro ha ritrovato questo sciocco

di rammentarmi la mia giovanezza,

105      il ben passato e la presente noia!

Ma che vuoi tu ch'io faccia? [TIRSI] A te non manca

né saper, né consiglio. Basta sol che

ti disponga a voler. [DAFNE] Or su, dirotti:

debbiamo in breve andare Silvia ed io

110      al fonte che s'appella di Diana,

là dove a le dolci acque fa dolce ombra

quel platano ch'invita al fresco seggio

le ninfe cacciatrici. Ivi so certo

che tufferà le belle membra ignude.

115      [TIRSI] Ma che però? [DAFNE] Ma che però? Da poco

intenditor! s'hai senno, tanto basti.

[TIRSI] Intendo; ma non so s'egli avrà tanto

d'ardir. [DAFNE] S'ei non l'avrà, stiasi, ed aspetti

ch'altri lui cerchi. [TIRSI] Egli è ben tal che 'l merta.

120      [DAFNE] Ma non vogliamo noi parlar alquanto

di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi

tu inamorarti? sei giovane ancora,

né passi di quattr'anni il quinto lustro,

se ben sovviemmi quando eri fanciullo;

125      vuoi viver neghittoso e senza gioia?

ché sol amando uom sa che sia diletto.

[TIRSI] I diletti di Venere non lascia

l'uom che schiva l'amor, ma coglie e gusta

le dolcezze d'amor senza l'amaro.

130      [DAFNE] Insipido è quel dolce che condito

non è di qualche amaro, e tosto sazia.

[TIRSI] È meglio saziarsi, ch'esser sempre

famelico nel cibo e dopo 'l cibo.

[DAFNE] Ma non, se 'l cibo si possede e piace,

135      e gustato a gustar sempre n'invoglia.

[TIRSI] Ma chi possede sì quel che gli piace

che l'abbia sempre presso a la sua fame?

[DAFNE] Ma chi ritrova il ben, s'egli no 'l cerca?

[TIRSI] Periglioso è cercar quel che trovato

140      trastulla sì, ma più tormenta assai

non ritrovato. Allor vedrassi amante

Tirsi mai più, ch'Amor nel seggio suo

non avrà più né pianti né sospiri.

A bastanza ho già pianto e sospirato.

145      Faccia altri la sua parte. [DAFNE] Ma non hai

già goduto a bastanza. [TIRSI] Né desio

goder, se così caro egli si compra.

[DAFNE] Sarà forza l'amar, se non fia voglia.

[TIRSI] Ma non si può sforzar chi sta lontano.

150      [DAFNE] Ma chi lung'è d'Amor? [TIRSI] Chi teme e fugge.

[DAFNE] E che giova fuggir da lui, c'ha l'ali?

[TIRSI] Amor nascente ha corte l'ali: a pena

può su tenerle, e non le spiega a volo.

[DAFNE] Pur non s'accorge l'uom quand'egli nasce;

155      e, quando uom se n'accorge, è grande, e vola.

[TIRSI] Non, s'altra volta nascer non l'ha visto.

[DAFNE] Vedrem, Tirsi, s'avrai la fuga e gli occhi

come tu dici. Io ti protesto, poi

che fai del corridore e del cerviero,

160      che, quando ti vedrò chieder aita,

non moverei, per aiutarti, un passo,

un dito, un detto, una palpebra sola.

[TIRSI] Crudel, daratti il cor vedermi morto?

Se vuoi pur ch'ami, ama tu me: facciamo

165      l'amor d'accordo. [DAFNE] Tu mi scherni, e forse

non merti amante così fatta: ahi quanti

n'inganna il viso colorito e liscio!

[TIRSI] Non burlo io, no; ma tu con tal protesto

non accetti il mio amor, pur come è l'uso

170      di tutte quante; ma, se non mi vuoi,

viverò senza amor. [DAFNE] Contento vivi

più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi:

ché ne l'ozio l'amor sempre germoglia.

[TIRSI] O Dafne, a me quest'ozii ha fatto Dio:

175      colui che Dio qui può stimarsi; a cui

si pascon gli ampi armenti e l'ampie greggie

da l'uno a l'altro mare, e per li lieti

colti di fecondissime campagne,

e per gli alpestri dossi d'Apennino.

180      Egli mi disse, allor che suo mi fece:

«Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardi

i miei murati ovili; altri comparta

le pene e i premii a' miei ministri; ed altri

pasca e curi le greggi; altri conservi

185      le lane e 'l latte, ed altri le dispensi:

tu canta, or che se' 'n ozio». Ond'è ben giusto

che non gli scherzi di terreno amore,

ma canti gli avi del mio vivo e vero

non so s'io lui mi chiami Apollo o Giove,

190      ché ne l'opre e nel volto ambi somiglia,

gli avi più degni di Saturno o Celo:

agreste Musa a regal merto; e pure,

chiara o roca che suoni, ei non la sprezza.

Non canto lui, però che lui non posso

195      degnamente onorar, se non tacendo

e riverendo; ma non fian giamai

gli altari suoi senza i miei fiori, e senza

soave fumo d'odorati incensi:

ed allor questa semplice e devota

200      religion mi si torrà dal core,

che d'aria pasceransi in aria i cervi,

e che, mutando i fiumi e letto e corso,

il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.

[DAFNE] Oh, tu vai alto; or su, discendi un poco

205      al proposito nostro. [TIRSI] Il punto è questo:

che tu, in andando al fonte con colei,

cerchi d'intenerirla: ed io fra tanto

procurerò ch'Aminta là ne venga.

Né la mia forse men difficil cura

210      sarà di questa tua. Or vanne. [DAFNE] Io vado,

ma il proposito nostro altro intendeva.

[TIRSI] Se ben ravviso di lontan la faccia,

Aminta è quel che di là spunta. È desso.

 

 

 

SCENA TERZA

 

Aminta, Tirsi

 

[AMINTA] Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto:

e, s'avrà fatto nulla,

prima ch'io vada in nulla,

uccider vo' me stesso inanzi a gli occhi

5          de la crudel fanciulla.

A lei, cui tanto piace

la piaga del mio core,

colpo de' suoi begli occhi,

altrettanto piacer devrà per certo

10        la piaga del mio petto,

colpo de la mia mano.

[TIRSI] Nove, Aminta, t'annuncio di conforto:

lascia omai questo tanto lamentarti.

[AMINTA] Ohimè, che di'? che porte?

15        O la vita o la morte?

[TIRSI] Porto salute e vita, s'ardirai

di farti loro incontra; ma fa d'uopo

d'esser un uom, Aminta, un uom ardito.

[AMINTA] Qual ardir mi bisogna, e 'ncontra a cui?

20        [TIRSI] Se la tua donna fosse in mezz'un bosco,

che, cinto intorno d'altissime rupi,

desse albergo a le tigri ed a' leoni,

v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei sicuro e baldo

più che di festa villanella al ballo.

25        [TIRSI] E s'ella fosse tra ladroni ed armi,

v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei più lieto e pronto

che l'assetato cervo a la fontana.

[TIRSI] Bisogna a maggior prova ardir più grande.

[AMINTA] Andrò per mezzo i rapidi torrenti,

30        quando la neve si discioglie e gonfi

li manda al mare; andrò per mezzo 'l foco

e ne l'inferno, quando ella vi sia,

s'esser può inferno ov'è cosa sì bella.

Orsù, scuoprimi il tutto. [TIRSI] Odi. [AMINTA] Di' tosto.

35        [TIRSI] Silvia t'attende a un fonte, ignuda e sola.

Ardirai tu d'andarvi? [AMINTA] Oh, che mi dici?

Silvia m'attende ignuda e sola? [TIRSI] Sola,

se non quanto v'è Dafne, ch'è per noi.

[AMINTA] Ignuda ella m'aspetta? [TIRSI] Ignuda: ma...

40        [AMINTA] Ohimè, che «ma»? Tu taci; tu m'uccidi.

[TIRSI] Ma non sa già che tu v'abbi d'andare.

[AMINTA] Dura conclusion, che tutte attosca

le dolcezze passate. Or, con qual arte,

crudel, tu mi tormenti?

45        Poco dunque ti pare

che infelice io sia,

che a crescer vieni la miseria mia?

[TIRSI] S'a mio senno farai, sarai felice.

[AMINTA] E che consigli? [TIRSI] Che tu prenda quello

50        che la fortuna amica t'appresenta.

[AMINTA] Tolga Dio che mai faccia

cosa che le dispiaccia;

cosa io non feci mai che le spiacesse,

fuor che l'amarla: e questo a me fu forza,

55        forza di sua bellezza, e non mia colpa.

Non sarà dunque ver ch'in quanto io posso,

non cerchi compiacerla. [TIRSI] Ormai rispondi:

se fosse in tuo poter di non amarla,

lasciaresti d'amarla, per piacerle?

60        [AMINTA] Né questo mi consente Amor ch'io dica,

né ch'imagini pur d'aver già mai

a lasciar il suo amor, bench'io potessi.

[TIRSI] Dunque tu l'ameresti al suo dispetto,

quando potessi far di non amarla.

65        [AMINTA] Al suo dispetto no, ma l'amerei.

[TIRSI] Dunque fuor di sua voglia. [AMINTA] Sì per certo.

[TIRSI] Perché dunque non osi oltra sua voglia

prenderne quel che, se ben grava in prima,

al fin, al fin le sarà caro e dolce

70        che l'abbi preso? [AMINTA] Ahi, Tirsi, Amor risponda

per me; ché quanto a mezz'il cor mi parla,

non so ridir. Tu troppo scaltro sei

già per lungo uso a ragionar d'amore:

a me lega la lingua

75        quel che mi lega il core.

[TIRSI] Dunque andar non vogliamo? [AMINTA] Andare io voglio,

ma non dove tu stimi. [TIRSI] E dove? [AMINTA] A morte,

s'altro in mio pro' non hai fatto che quanto

ora mi narri. [TIRSI] E poco parti questo?

80        Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafne

consigliasse l'andar, se non vedesse

in parte il cor di Silvia? E forse ch'ella

il sa, né però vuol ch'altri risappia

ch'ella ciò sappia. Or, se 'l consenso espresso

85        cerchi di lei, non vedi che tu cerchi

quel che più le dispiace? Or dove è dunque

questo tuo desiderio di piacerle?

E s'ella vuol che 'l tuo diletto sia

tuo furto o tua rapina, e non suo dono

90        né sua mercede, a te, folle, che importa

più l'un modo che l'altro? [AMINTA] E chi m'accerta

che il suo desir sia tale? [TIRSI] Oh mentecatto!

Ecco, tu chiedi pur quella certezza

ch'a lei dispiace, e dispiacer le deve

95        dirittamente, e tu cercar non déi.

Ma chi t'accerta ancor che non sia tale?

Or s'ella fosse tale, e non v'andassi?

Eguale è il dubbio e 'l rischio. Ahi, pur è meglio

come ardito morir, che come vile.

100      Tu taci, tu sei vinto. Ora confessa

questa perdita tua, che fia cagione

di vittoria maggiore. Andianne. [AMINTA] Aspetta.

[TIRSI] Che «Aspetta»? non sai ben che 'l tempo fugge?

[AMINTA] Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come.

105      [TIRSI] Per strada penserem ciò che vi resta;

ma nulla fa chi troppe cose pensa.

[CORO] Amore, in quale scola,

da qual mastro s'apprende

la tua sì lunga e dubbia arte d'amare?

110      Chi n'insegna a spiegare

ciò che la mente intende,

mentre con l'ali tue sovra il ciel vola?

Non già la dotta Atene,

né 'l Liceo ne 'l dimostra;

115      non Febo in Elicona,

che sì d'Amor ragiona

come colui ch'impara:

freddo ne parla, e poco;

non ha voce di foco,

120      come a te si conviene;

non alza i suoi pensieri

a par de' tuoi misteri.

Amor, degno maestro

sol tu sei di te stesso,

125      e sol tu sei da te medesmo espresso;

tu di legger insegni

ai più rustici ingegni

quelle mirabil cose

che con lettre amorose

130      scrivi di propria man negli occhi altrui;

tu in bei facondi detti

sciogli la lingua de' fedeli tuoi;

e spesso (oh strana e nova

eloquenza d'Amore!)

135      spesso in un dir confuso

e 'n parole interrotte

meglio si esprime il core,

e più par che si mova,

che non si fa con voci adorne e dotte;

140      e 'l silenzio ancor suole

aver prieghi e parole.

Amor, leggan pur gli altri

le socratiche carte,

ch'io in due begli occhi apprenderò quest'arte;

145      e perderan le rime

de le penne più saggie

appo le mie selvaggie,

che rozza mano in rozza scorza imprime.

 

 

 

 

 

 

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Ultimo Aggiornamento:18/07/2005 01.31