ATTO SECONDO
ENA PRIMA
Satiro solo
[SATIRO] Picciola è l'ape, e fa col picciol morso pur gravi e pur moleste le ferite; ma qual cosa è più picciola d'Amore, se in ogni breve spazio entra, e s'asconde 5 in ogni breve spazio? or sotto a l'ombra de le palpebre, or tra' minuti rivi d'un biondo crine, or dentro le pozzette che forma un dolce riso in bella guancia; e pur fa tanto grandi e sì mortali 10 e così immedicabili le piaghe. Ohimè, che tutte piaga e tutte sangue son le viscere mie; e mille spiedi ha ne gli occhi di Silvia il crudo Amore. Crudel Amor, Silvia crudele ed empia 15 più che le selve! Oh come a te confassi tal nome, e quanto vide chi te 'l pose! Celan le selve angui, leoni ed orsi, dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto nascondi odio, disdegno ed impietate, 20 fere peggior ch'angui, leoni ed orsi ché si placano quei, questi placarsi non possono per prego né per dono. Ohimè, quando ti porto i fior novelli, tu li ricusi, ritrosetta, forse 25 perché fior via più belli hai nel bel volto. Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi, tu li rifiuti, disdegnosa, forse perché pomi più vaghi hai nel bel seno. Lasso, quand'io t'offrisco il dolce mele, 30 tu lo disprezzi, dispettosa, forse perché mel via più dolce hai ne le labra. Ma, se mia povertà non può donarti cosa ch'in te non sia più bella e dolce, me medesmo ti dono. Or perché iniqua 35 scherni e abborri il dono? non son io da disprezzar, se ben me stesso vidi nel liquido del mar, quando l'altr'ieri taceano i venti ed ei giacea senz'onda. Questa mia faccia di color sanguigno, 40 queste mie spalle larghe, e queste braccia torose e nerborute, e questo petto setoso, e queste mie velate coscie son di virilità, di robustezza indicio; e, se no 'l credi, fanne prova. 45 Che vuoi tu far di questi tenerelli, che di molle lanugine fiorite hanno a pena le guancie? e che con arte dispongono i capelli in ordinanza? Femine nel sembiante e ne le forze 50 sono costoro. Or di' ch'alcun ti segua per le selve e pei monti, e 'ncontra gli orsi ed incontra i cinghiai per te combatta. Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi perché sì fatto io sia, ma solamente 55 perché povero
sono. Ahi, ché le ville seguon l'essempio de le gran cittadi! e veramente il secol d'oro è questo, poiché sol vince l'oro e regna l'oro. O chiunque tu fosti, che insegnasti 60 primo a vender l'amor, sia maledetto il tuo cener sepolto e l'ossa fredde, e non si trovi mai pastore o ninfa che lor dica passando: «Abbiate pace»; ma le bagni la pioggia e mova il vento, 65 e con piè immondo la greggia il calpesti e 'l peregrin. Tu prima svergognasti la nobiltà d'amor; tu le sue liete dolcezze inamaristi. Amor venale, amor servo de l'oro è il maggior mostro 70 ed il più abominabile e il più sozzo, che produca la terra o 'l mar fra l'onde. Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno quell'armi che gli ha date la natura per sua salute: il cervo adopra il corso, 75 il leone gli artigli, ed il bavoso cinghiale il dente; e son potenza ed armi de la donna bellezza e leggiadria; io, perché non per mia salute adopro la violenza, se mi fe' natura 80 atto a far violenza ed a rapire? Sforzerò, rapirò quel che costei mi niega, ingrata, in merto de l'amore; che, per quanto un caprar testé mi ha detto, ch'osservato ha suo stile, ella ha per uso 85 d'andar sovente a rinfrescarsi a un fonte; e mostrato m'ha il loco. Ivi io disegno tra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti, ed aspettar fin che vi venga; e, come veggia l'occasion, correrle addosso. 90 Qual contrasto col corso o con le braccia potrà fare una tenera fanciulla contra me sì veloce e sì possente? Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo di pietà, di bellezza: che, s'io posso 95 questa mano ravvoglierle nel crine, indi non partirà, ch'io pria non tinga l'armi mie per vendetta nel suo sangue.
SCENA SECONDA
Dafne, Tirsi
[DAFNE] Tirsi, com'io t'ho detto, io m'era accorta ch'Aminta amava Silvia; e Dio sa quanti buoni officii n'ho fatti, e son per farli tanto più volontier, quant'or vi aggiungi 5 le tue preghiere; ma torrei più tosto a domar un giuvenco, un orso, un tigre, che a domar una semplice fanciulla: fanciulla tanto sciocca quanto bella, che non s'avveggia ancor come sian calde 10 l'armi di sua bellezza e come acute, ma ridendo e piangendo uccida altrui, e l'uccida e non sappia di ferire. [TIRSI] Ma quale è così semplice fanciulla che, uscita da le fascie, non apprenda 15 l'arte del parer bella e del piacere, de l'uccider piacendo, e del sapere qual arme fera, e qual dia morte, e quale sani e ritorni in vita? [DAFNE] Chi è 'l mastro di cotant'arte? [TIRSI] Tu fingi, e mi tenti: 20 quel che insegna agli augelli il canto e 'l volo, a' pesci il nuoto ed a' montoni il cozzo, al toro usar il corno, ed al pavone spiegar la pompa de l'occhiute piume. [DAFNE] Come ha nome 'l gran mastro? [TIRSI] Dafne ha nome. 25 [DAFNE] Lingua bugiarda! [TIRSI] E perché? tu non sei atta a tener mille fanciulle a scola? Benché, per dir il ver, non han bisogno di maestro: maestra è la natura, ma la madre e la balia anco v'han parte. 30 [DAFNE] In somma, tu sei goffo insieme e tristo. Ora, per dirti il ver, non mi risolvo se Silvia è semplicetta come pare a le parole, a gli atti. Ier vidi un segno che me ne mette in dubbio. Io la trovai 35 là presso la cittade in quei gran prati ove fra stagni giace un'isoletta, sovra essa un lago limpido e tranquillo, tutta pendente in atto che parea vagheggiar se medesma, e 'nsieme insieme 40 chieder consiglio a l'acque in qual maniera dispor dovesse in su la fronte i crini, e sovra i crini il velo, e sovra 'l velo i fior che tenea in grembo; e spesso spesso or prendeva un lingustro, or una rosa, 45 e l'accostava al bel candido collo, a le guancie vermiglie, e de' colori fea paragone; e poi, sì come lieta de la vittoria, lampeggiava un riso che parea che dicesse: «Io pur vi vinco, 50 né porto voi per ornamento mio, ma porto voi sol per vergogna vostra, perché si veggia quanto mi cedete». Ma, mentre ella s'ornava e vagheggiava, rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta 55 ch'io di lei m'era accorta, e vergognando rizzossi tosto, e fior lasciò cadere. In tanto io più ridea del suo rossore, ella più s'arrossia del riso mio. Ma, perché accolta una parte de' crini 60 e l'altra aveva sparsa, una o due volte con gli occhi al fonte consiglier ricorse, e si mirò quasi di furto, pure temendo ch'io nel suo guatar guatassi; ed incolta si vide, e si compiacque 65 perché bella si vide ancor che incolta. Io me n'avvidi, e tacqui. [TIRSI] Tu mi narri quel ch'io credeva a
punto. Or non
m'apposi? [DAFNE] Ben t'apponesti; ma pur odo dire che non erano pria le pastorelle, 70 né le ninfe sì accorte; né io tale fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia, e invecchiando intristisce. [TIRSI] Forse allora non usavan sì spesso i cittadini ne le selve e ne i campi, né sì spesso 75 le nostre forosette aveano in uso d'andare a la cittade. Or son mischiate schiatte e costumi. Ma lasciam da parte questi discorsi; or non farai ch'un giorno Silvia contenta sia che le ragioni 80 Aminta, o solo, o almeno in tua presenza? [DAFNE] Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo. [TIRSI] E costui rispettoso è fuor di modo. [DAFNE] È spacciato un amante rispettoso: consiglial pur che faccia altro mestiero, 85 poich'egli è tal. Chi imparar vuol d'amare, disimpari il rispetto: osi, domandi, solleciti, importuni, al fine involi; e se questo non basta, anco rapisca. Or non sai tu com'è fatta la donna? 90 Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga; niega, e negando vuol ch'altri si toglia; pugna, e pugnando vuol ch'altri la vinca. Ve', Tirsi, io parlo teco in confidenza: non ridir ch'io ciò dica. E sovra tutto 95 non porlo in rime. Tu sai s'io saprei renderti poi per versi altro che versi. [TIRSI] Non hai cagion di sospettar ch'io dica cosa giamai che sia contra tuo grado. Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce 100 memoria di tua fresca giovanezza, che tu m'aiti ad aitar Aminta miserel, che si muore. [DAFNE] Oh che gentile scongiuro ha ritrovato questo sciocco di rammentarmi la mia giovanezza, 105 il ben passato e la presente noia! Ma che vuoi tu ch'io faccia? [TIRSI] A te non manca né saper, né consiglio. Basta sol che ti disponga a voler. [DAFNE] Or su, dirotti: debbiamo in breve andare Silvia ed io 110 al fonte che s'appella di Diana, là dove a le dolci acque fa dolce ombra quel platano ch'invita al fresco seggio le ninfe cacciatrici. Ivi so certo che tufferà le belle membra ignude. 115 [TIRSI] Ma che però? [DAFNE] Ma che però? Da poco intenditor! s'hai senno, tanto basti. [TIRSI] Intendo; ma non so s'egli avrà tanto d'ardir. [DAFNE] S'ei non l'avrà, stiasi, ed aspetti ch'altri lui cerchi. [TIRSI] Egli è ben tal che 'l merta. 120 [DAFNE] Ma non vogliamo noi parlar alquanto di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi tu inamorarti? sei giovane ancora, né passi di quattr'anni il quinto lustro, se ben sovviemmi quando eri fanciullo; 125 vuoi viver neghittoso e senza gioia? ché sol amando uom sa che sia diletto. [TIRSI] I diletti di Venere non lascia l'uom che schiva l'amor, ma coglie e gusta le dolcezze d'amor senza l'amaro. 130 [DAFNE] Insipido è quel dolce che condito non è di qualche amaro, e tosto sazia. [TIRSI] È meglio saziarsi, ch'esser sempre famelico nel cibo e dopo 'l cibo. [DAFNE] Ma non, se 'l cibo si possede e piace, 135 e gustato a gustar sempre n'invoglia. [TIRSI] Ma chi possede sì quel che gli piace che l'abbia sempre presso a la sua fame? [DAFNE] Ma chi ritrova il ben, s'egli no 'l cerca? [TIRSI] Periglioso è cercar quel che trovato 140 trastulla sì, ma più tormenta assai non ritrovato. Allor vedrassi amante Tirsi mai più, ch'Amor nel seggio suo non avrà più né pianti né sospiri. A bastanza ho già pianto e sospirato. 145 Faccia altri la sua parte. [DAFNE] Ma non hai già goduto a bastanza. [TIRSI] Né desio goder, se così caro egli si compra. [DAFNE] Sarà forza l'amar, se non fia voglia. [TIRSI] Ma non si può sforzar chi sta lontano. 150 [DAFNE] Ma chi lung'è d'Amor? [TIRSI] Chi teme e fugge. [DAFNE] E che giova fuggir da lui, c'ha l'ali? [TIRSI] Amor nascente ha corte l'ali: a pena può su tenerle, e non le spiega a volo. [DAFNE] Pur non s'accorge l'uom quand'egli nasce; 155 e, quando uom se n'accorge, è grande, e vola. [TIRSI] Non, s'altra volta nascer non l'ha visto. [DAFNE] Vedrem, Tirsi, s'avrai la fuga e gli occhi come tu dici. Io ti protesto, poi che fai del corridore e del cerviero, 160 che, quando ti vedrò chieder aita, non moverei, per aiutarti, un passo, un dito, un detto, una palpebra sola. [TIRSI] Crudel, daratti il cor vedermi morto? Se vuoi pur ch'ami, ama tu me: facciamo 165 l'amor d'accordo. [DAFNE] Tu mi scherni, e forse non merti amante così fatta: ahi quanti n'inganna il viso colorito e liscio! [TIRSI] Non burlo io, no; ma tu con tal protesto non accetti il mio amor, pur come è l'uso 170 di tutte quante; ma, se non mi vuoi, viverò senza amor. [DAFNE] Contento vivi più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi: ché ne l'ozio l'amor sempre germoglia. [TIRSI] O Dafne, a me quest'ozii ha fatto Dio: 175 colui che Dio qui può stimarsi; a cui si pascon gli ampi armenti e l'ampie greggie da l'uno a l'altro mare, e per li lieti colti di fecondissime campagne, e per gli alpestri dossi d'Apennino. 180 Egli mi disse, allor che suo mi fece: «Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardi i miei murati ovili; altri comparta le pene e i premii a' miei ministri; ed altri pasca e curi le greggi; altri conservi 185 le lane e 'l latte, ed altri le dispensi: tu canta, or che se' 'n ozio». Ond'è ben giusto che non gli scherzi di terreno amore, ma canti gli avi del mio vivo e vero non so s'io lui mi chiami Apollo o Giove, 190 ché ne l'opre e nel volto ambi somiglia, gli avi più degni di Saturno o Celo: agreste Musa a regal merto; e pure, chiara o roca che suoni, ei non la sprezza. Non canto lui, però che lui non posso 195 degnamente onorar, se non tacendo e riverendo; ma non fian giamai gli altari suoi senza i miei fiori, e senza soave fumo d'odorati incensi: ed allor questa semplice e devota 200 religion mi si torrà dal core, che d'aria pasceransi in aria i cervi, e che, mutando i fiumi e letto e corso, il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre. [DAFNE] Oh, tu vai alto; or su, discendi un poco 205 al proposito nostro. [TIRSI] Il punto è questo: che tu, in andando al fonte con colei, cerchi d'intenerirla: ed io fra tanto procurerò ch'Aminta là ne venga. Né la mia forse men difficil cura 210 sarà di questa tua. Or vanne. [DAFNE] Io vado, ma il proposito nostro altro intendeva. [TIRSI] Se ben ravviso di lontan la faccia, Aminta è quel che di là spunta. È desso.
SCENA TERZA
Aminta, Tirsi
[AMINTA] Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto: e, s'avrà fatto nulla, prima ch'io vada in nulla, uccider vo' me stesso inanzi a gli occhi 5 de la crudel fanciulla. A lei, cui tanto piace la piaga del mio core, colpo de' suoi begli occhi, altrettanto piacer devrà per certo 10 la piaga del mio petto, colpo de la mia mano. [TIRSI] Nove, Aminta, t'annuncio di conforto: lascia omai questo tanto lamentarti. [AMINTA] Ohimè, che di'? che porte? 15 O la vita o la morte? [TIRSI] Porto salute e vita, s'ardirai di farti loro incontra; ma fa d'uopo d'esser un uom, Aminta, un uom ardito. [AMINTA] Qual ardir mi bisogna, e 'ncontra a cui? 20 [TIRSI] Se la tua donna fosse in mezz'un bosco, che, cinto intorno d'altissime rupi, desse albergo a le tigri ed a' leoni, v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei sicuro e baldo più che di festa villanella al ballo. 25 [TIRSI] E s'ella fosse tra ladroni ed armi, v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei più lieto e pronto che l'assetato cervo a la fontana. [TIRSI] Bisogna a maggior prova ardir più grande. [AMINTA] Andrò per mezzo i rapidi torrenti, 30 quando la neve si discioglie e gonfi li manda al mare; andrò per mezzo 'l foco e ne l'inferno, quando ella vi sia, s'esser può inferno ov'è cosa sì bella. Orsù, scuoprimi il tutto. [TIRSI] Odi. [AMINTA] Di' tosto. 35 [TIRSI] Silvia t'attende a un fonte, ignuda e sola. Ardirai tu d'andarvi? [AMINTA] Oh, che mi dici? Silvia m'attende ignuda e sola? [TIRSI] Sola, se non quanto v'è Dafne, ch'è per noi. [AMINTA] Ignuda ella m'aspetta? [TIRSI] Ignuda: ma... 40 [AMINTA] Ohimè, che «ma»? Tu taci; tu m'uccidi. [TIRSI] Ma non sa già che tu v'abbi d'andare. [AMINTA] Dura conclusion, che tutte attosca le dolcezze passate. Or, con qual arte, crudel, tu mi tormenti? 45 Poco dunque ti pare che infelice io sia, che a crescer vieni la miseria mia? [TIRSI] S'a mio senno farai, sarai felice. [AMINTA] E che consigli? [TIRSI] Che tu prenda quello 50 che la fortuna amica t'appresenta. [AMINTA] Tolga Dio che mai faccia cosa che le dispiaccia; cosa io non feci mai che le spiacesse, fuor che l'amarla: e questo a me fu forza, 55 forza di sua bellezza, e non mia colpa. Non sarà dunque ver ch'in quanto io posso, non cerchi compiacerla. [TIRSI] Ormai rispondi: se fosse in tuo poter di non amarla, lasciaresti d'amarla, per piacerle? 60 [AMINTA] Né questo mi consente Amor ch'io dica, né ch'imagini pur d'aver già mai a lasciar il suo amor, bench'io potessi. [TIRSI] Dunque tu l'ameresti al suo dispetto, quando potessi far di non amarla. 65 [AMINTA] Al suo dispetto no, ma l'amerei. [TIRSI] Dunque fuor di sua voglia. [AMINTA] Sì per certo. [TIRSI] Perché dunque non osi oltra sua voglia prenderne quel che, se ben grava in prima, al fin, al fin le sarà caro e dolce 70 che l'abbi preso? [AMINTA] Ahi, Tirsi, Amor risponda per me; ché quanto a mezz'il cor mi parla, non so ridir. Tu troppo scaltro sei già per lungo uso a ragionar d'amore: a me lega la lingua 75 quel che mi lega il core. [TIRSI] Dunque andar non vogliamo? [AMINTA] Andare io voglio, ma non dove tu stimi. [TIRSI] E dove? [AMINTA] A morte, s'altro in mio pro' non hai fatto che quanto ora mi narri. [TIRSI] E poco parti questo? 80 Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafne consigliasse l'andar, se non vedesse in parte il cor di Silvia? E forse ch'ella il sa, né però vuol ch'altri risappia ch'ella ciò sappia. Or, se 'l consenso espresso 85 cerchi di lei, non vedi che tu cerchi quel che più le dispiace? Or dove è dunque questo tuo desiderio di piacerle? E s'ella vuol che 'l tuo diletto sia tuo furto o tua rapina, e non suo dono 90 né sua mercede, a te, folle, che importa più l'un modo che l'altro? [AMINTA] E chi m'accerta che il suo desir sia tale? [TIRSI] Oh mentecatto! Ecco, tu chiedi pur quella certezza ch'a lei dispiace, e dispiacer le deve 95 dirittamente, e tu cercar non déi. Ma chi t'accerta ancor che non sia tale? Or s'ella fosse tale, e non v'andassi? Eguale è il dubbio e 'l rischio. Ahi, pur è meglio come ardito morir, che come vile. 100 Tu taci, tu sei vinto. Ora confessa questa perdita tua, che fia cagione di vittoria maggiore. Andianne. [AMINTA] Aspetta. [TIRSI] Che «Aspetta»? non sai ben che 'l tempo fugge? [AMINTA] Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come. 105 [TIRSI] Per strada penserem ciò che vi resta; ma nulla fa chi troppe cose pensa. [CORO] Amore, in quale scola, da qual mastro s'apprende la tua sì lunga e dubbia arte d'amare? 110 Chi n'insegna a spiegare ciò che la mente intende, mentre con l'ali tue sovra il ciel vola? Non già la dotta Atene, né 'l Liceo ne 'l dimostra; 115 non Febo in Elicona, che sì d'Amor ragiona come colui ch'impara: freddo ne parla, e poco; non ha voce di foco, 120 come a te si conviene; non alza i suoi pensieri a par de' tuoi misteri. Amor, degno maestro sol tu sei di te stesso, 125 e sol tu sei da te medesmo espresso; tu di legger insegni ai più rustici ingegni quelle mirabil cose che con lettre amorose 130 scrivi di propria man negli occhi altrui; tu in bei facondi detti sciogli la lingua de' fedeli tuoi; e spesso (oh strana e nova eloquenza d'Amore!) 135 spesso in un dir confuso e 'n parole interrotte meglio si esprime il core, e più par che si mova, che non si fa con voci adorne e dotte; 140 e 'l silenzio ancor suole aver prieghi e parole. Amor, leggan pur gli altri le socratiche carte, ch'io in due begli occhi apprenderò quest'arte; 145 e perderan le rime de le penne più saggie appo le mie selvaggie, che rozza mano in rozza scorza imprime.
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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento:18/07/2005 01.31 |
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