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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

18. La sconfitta di James Brooke
Il kampong di
Orango-Tuah era un grosso villaggio malese, fortificato come lo sono in generale
tutti quelli del Borneo per difendersi dalle scorrerie dei popoli dell'interno,
e specialmente dei dayachi, coi quali sono sempre in guerra. Si
componeva di trecento capanne di legno con i tetti coperti di foglie di nipa, difese da alte e solide palizzate e da fitti macchioni di bambù
spinosi, ostacoli quasi insuperabili per i piedi e le membra nude degli
indigeni. Gli abitanti potevano inoltre contare su una mezza dozzina di prahos armati da spingarde che stazionavano in un piccolo lago
comunicante col mare per mezzo d'un canale. Orango-Tuah, un malese
robustissimo, dalla tinta fosca, cogli occhi obliqui e gli zigomi assai
sporgenti, scorridore del mare prima delle sanguinose repressioni di James
Brooke, prontamente avvertito, s'affrettò a recarsi incontro al suo principe,
seguito da grande numero di sudditi che recavano rami resinosi
accesi. L'accoglienza fu festosa. Tutta la popolazione, svegliata dai tam
tam, accorse in massa a felicitare il futuro signore di Sarawak. Orango-Tuah
condusse gli ospiti nella migliore capanna del villaggio, poi, avendo appreso
che le guardie del governatore li inseguivano, fece appostare una cinquantina
d'uomini armati di fucili nei vicini boschi per respingerle. Prese quelle
misure, fece radunare i suoi sottocapi a consiglio per promuovere rapidamente
l'insurrezione nei villaggi malesi e raccogliere un corpo considerevole, prima
che la notizia della fuga del principe giungesse a Sarawak. La stessa notte
quaranta emissari partivano per l'interno e tre prahos uscivano in mare
per avvisare i malesi della costa della grande lotta che si preparava, mentre
due altri venivano mandati ad incrociare al capo Siriki per far poggiare le
bande di Mompracem verso il kampong. Ada invece inviò uno dei marinai
dello yacht alla foce del fiume per avvertire lord James di ciò che si
preparava. L'indomani i primi rinforzi cominciarono ad affluire nel kampong. Erano bande di malesi, per lo più armate di fucili, che
accorrevano da tutte le parti per combattere sotto le bandiere del loro
principe. Anche dal mare giungevano ad ogni istante prahos montati da
numerosi equipaggi e armati di qualche pezzo d'artiglieria. Tre giorni dopo,
settemila malesi erano accampati intorno al kampong. Non attendevano che
le bande di Mompracem per mettersi in marcia verso Sarawak e piombare
improvvisamente sulla città. Già tutte le vie dell'interno erano state
occupate per impedire ai dayachi di recare notizie sull'estendersi
dell'insurrezione al rajah, il quale doveva ancora ignorare la fuga del
suo avversario. Il quinto giorno la flottiglia di Mompracem si ancorava davanti
alla spiaggia del kampong. Era composta di ventiquattro grossi prahos, armati di quaranta cannoni e di sessanta spingarde, e montata da
duecento combattenti che per coraggio e abilità guerresca valevano mille
malesi. Appena sbarcato, Aïer-Duk si recò da Ada che era stata alloggiata
nella stessa abitazione di Orango-Tuah. - Signora - le disse, - le tigri di
Mompracem sono pronte a piombare su Sarawak. Hanno giurato di liberare Sandokan
e i suoi amici o di farsi uccidere tutti. - I malesi non aspettavano che voi
- rispose la giovanetta. - Giuratemi però, innanzi tutto, che non farete alcun
male a James Brooke e che, se lo vincerete, lo lascerete libero. -
Proteggeremo la sua fuga, giacché lo volete. Voi parlate in nome del nostro
capitano e noi vi obbediremo. - Due ore dopo l'esercito malese, guidato dal
futuro sultano, lasciava il kampong percorrendo la via costiera, mentre
la flottiglia di Mompracem sulla quale si erano imbarcati Ada e Kammamuri,
prendeva il largo seguita da altri cento prahos accorsi da tutti i
villaggi della vasta baia di Sarawak. Tutte le misure erano state prese per
attaccare di sorpresa la capitale del rajah ed era stato fissato il
giorno per assalirla contemporaneamente dalla parte di terra e dalla parte del
fiume. La flottiglia che navigava lentamente per lasciar tempo alle truppe di
ordinarsi e di avanzare, ogni sera si radunava sotto la costa per attendere i
corrieri di Hassin. Per non restare inoperosi , davano la caccia ai velieri
che si dirigevano verso Sarawak, per impedire al raja di ricevere notizie
sull'avanzarsi di quella squadra sospetta. Aïer-Duk però doveva faticare
assai per calmare l'impazienza dei tigrotti di Mompracem, i quali ardevano dal
desiderio di vendicare la sconfitta toccata al loro capo. Quattro giorni
dopo, verso il tramonto, la flottiglia giungeva alla foce del fiume. Quella
stessa notte le truppe di Hassin dovevano piombare sulla capitale. Aïer-Duk
ordinò al praho che era montato da Ada di tenersi celato in una piccola
cala della foce, per non esporre la giovanetta agli orrori della battaglia; ma
Kammamuri passò sul legno del capo, non volendo rimanere inoperoso in quel
supremo momento. - Riconducimi Tremal-Naik - gli disse Ada prima che si
separassero. - Mi farò storpiare ma il padrone sarà salvo - rispose il bravo
maharatto. - Appena sbarcato andrò a circondare il palazzo del rajah, poiché sono certo che i prigionieri sono tenuti là dentro. -
Va', mio valoroso, e che Iddio ti protegga! Aïer-Duk aveva dato gli ultimi
ordini pel combattimento. Aveva messo alla testa della squadra i prahos
più grossi, armati di cannoni e montati dai più intrepidi pirati di
Mompracem. Questi dovevano sostenere il primo urto e gli altri fare massa
contro la flotta per l'abbordaggio. Alle 10i sera la flottiglia si mise in
moto risalendo rapidamente il fiume. Tutte le vele erano state ammainate per
tenere i ponti sgombri, e le piccole navi avanzarono a forza di remi. Il
fiume pareva deserto: nessuna nave nemica appariva presso le rive, e perfino le
foreste, facili a difendersi, erano prive di soldati. Quel silenzio però non
rassicurava Aïer-Duk. Gli pareva impossibile che nulla fosse trapelato della
insurrezione che da cinque giorni dilagava attraverso il reame, e che il rajah, uomo astuto, audace, fedelmente servito dai
dayachi e dalla
guardia indiana, si lasciasse sorprendere. Temeva invece un agguato presso la
città e aguzzava gli sguardi e tendeva gli orecchi. A mezzanotte la
flottiglia non era che a mezzo miglio da Sarawak. Si cominciava a distinguere le
prime case sulla oscura linea dell'orizzonte. - Odi nulla? - chiese Aïer-Duk
a Kammamuri che gli stava a fianco. - Nulla - rispose il maharatto. - Questo silenzio m'inquieta. Hassin dovrebbe già essere
giunto e avrebbe dovuto cominciare l'attacco. - Forse aspetterà di udire i
nostri cannoni. - Ah!... - Che cos'hai? - La flotta!... Ad una
svolta del fiume erano apparse le navi del rajah in linea di battaglia,
pronte a respingere l'attacco. D'improvviso quindici o venti lampi ruppero le
tenebre, seguiti da un orribile rimbombo. La flotta di Brooke aveva cominciato
un fuoco infernale contro la squadra degli assalitori. Un urlo immenso
echeggiò sul fiume: - Viva Mompracem!... - Viva Hassin!... Quasi nello
stesso momento al nord della città, si udirono furiose scariche di moschetteria.
Le truppe di Hassin piombavano sulla capitale. - All'abbordaggio, tigrotti di
Mompracem!... - tuonò Aïer-Duk. Viva la Tigre della Malesia! I prahos
si gettano contro le navi del rajah, nonostante la mitraglia che spazza i
ponti e le palle che massacrano le manovre. Nessuno resiste alla furia di
quell'assalto. In un baleno le navi sono circondate da quei numerosi legni
montati dai più intrepidi scorridori del mare della Malesia! Tigrotti e
malesi s'inerpicano su pei fianchi delle navi, superano le murate, invadono i
ponti, circondano gli equipaggi impotenti a resistere a tanta furia, li
disarmano e li rinchiudono nelle stive e nelle batterie. Le bandiere del rajah vengono ammainate ed in loro vece si alzano quelle rosse di
Mompracem adorne di una testa di tigre. - A Sarawak!... - tuonano Kammamuri e
Aïer-Duk. I prahos riprendono il largo per piombare sulla città. La
battaglia impegnata dalle truppe malesi ferve intanto accanita nelle vie della
capitale. In tutti i quartieri la moschetteria tuona e perfino sui canali. Si
odono le urla dei malesi che avanzano verso la piazza dove sorge il palazzo del rajah. Alcune case bruciano in diversi luoghi della città spandendo
all'intorno una luce sanguigna, mentre in alto volteggiano nembi di scintille
che il vento porta lontano attraverso le campagne. Aïer-Duk e Kammamuri
approdano sulla calata e alla testa di quattrocento uomini irrompono nel
quartiere cinese i cui abitanti sono pure insorti. Due drappelli di indiani
della guardia, appostati allo sbocco del quartiere, cercano di respingerli con
due scariche, ma le tigri di Mompracem li assaltano con le scimitarre in pugno e
li mettono in fuga disordinata. - Al Palazzo!... - urla Kammamuri. E
trascinandosi dietro quelle bande formidabili, giunge sulla grande piazza. Il
palazzo del rajah non è difeso che da un pugno di guardie le quali, dopo
una breve resistenza, si disperdono. - Viva la Tigre della Malesia! - tuonano
i pirati di Mompracem. Una voce, squillante come una tromba, echeggia
nell'interno del palazzo: - Viva Mompracem!... È la voce di Sandokan. I
tigrotti l'hanno riconosciuta. Irrompono su per le scale, abbattono le porte
che erano state barricate, percorrono all'impazzata le stanze e finalmente, in
una cella difesa da solide inferriate, trovano Sandokan, Yanez, Tremal- Naik,
Tanauduriam e Sambigliong. Non lasciano loro il tempo di parlare. Li
sollevano fra le braccia e li portano in trionfo sulla piazza, fra urla
assordanti. Proprio in quel momento un'onda d'indiani fuggiaschi, respinti
dalle truppe di Hassin, si riversa sulla piazza. Sandokan strappa la
scimitarra ad uno dei suoi fedeli e si lancia in mezzo ai fuggiaschi, seguito da
Yanez, da Tremal-Naik e da una ventina dei suoi. Gli indiani si disperdono,
ma un uomo rimane: era James Brooke, con le vesti stracciate, la sciabola
insanguinata ancora in pugno, gli occhi torvi. - Siete mio!... - grida
Sandokan afferrandogli la sciabola. - Voi! - esclama il rajah con voce
cupa. - Ancora voi! - Mi dovevate questa rivincita, Altezza. - Il mio
regno è finito ed io non sono che un prigioniero, riservato alle vendette del
nipote di colui ch'io difesi con la mia spada e che mi diede, in ricompensa, un
così malfermo trono. - Non un prigioniero, James Brooke: voi siete libero -
disse Sandokan, facendogli largo fra i pirati. - Aïer-Duk!... Conduci S. A. alla
foce del fiume e veglia sulla sua vita. L'ex-rajah guardò Sandokan con
stupore, poi, vedendo irrompere nella piazza i malesi di Hassin che emettevano
grida di morte contro di lui, seguì rapidamente Aïer-Duk il quale ha radunato
attorno a sé una trentina di uomini. - Ecco un uomo che non ritornerà mai più
su queste spiagge - soggiunge Sandokan. - La potenza del rajah James
Brooke è tramontata per
sempre!...
CONCLUSIONE
L'indomani, il
nipote di Muda-Hassin entrava, con grande pompa, nel palazzo di James Brooke,
l'antica sede dei sultani di Sarawak. La popolazione intera della città, che
non aveva mai perdonato al fuggiasco rajah la sua origine europea,
malgrado i grandi miglioramenti introdotti da quell'uomo energico, coraggioso e
saggio, aveva fraternizzato con le truppe insorte. Il nuovo sultano non fu
ingrato verso i suoi alleati: offrì a Sandokan, a Yanez e a Tremal-Naik onori e
ricchezze, pregandoli di rimanere nel suo regno, ma tutti rifiutarono. Due
giorni dopo Tremal-Naik e Ada, sposi felici, s'imbarcavano con Kammamuri sullo
yacht di lord James per recarsi in India, portando con sé preziosi regali e
Sandokan e Yanez s'imbarcavano con le loro bande per far ritorno nella loro
isola. - Ci rivedremo un giorno? - chiesero Ada, Tremal-Naik e lord James
alla Tigre della Malesia, prima di separarsi. - Chissà! - rispose Sandokan,
abbracciandoli uno dopo l'altro. - L'India mi tenta, e può darsi che un giorno
la Tigre della Malesia e la Tigre delle Sunderbunds s'incontrino fra le
deserte isole del Gange. Suyodhana!... Ecco un nome che mi fa battere il cuore:
ecco un uomo che vorrei vedere. Addio, zio; addio, amici:
sperate!...
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