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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

16. Il Governatore
di Sedang
Dodici ore dopo, una scialuppa montata da sei
bughisi dell'equipaggio dello yacht, da lord Ada e Kammamuri, saliva il fiume
per giungere a Sedang. I marinai avevano indossato i loro costumi nazionali,
consistenti in gonnellini variopinti e un piccolo turbante, e il lord e Ada, la
cui pelle aveva assunto un bel color bronzeo, si erano avvolti in ricche vesti a
tinte vivaci, strette alla cintola da larghe fasce di seta rossa, per farsi
credere principi indiani in viaggio di piacere. Solamente Kammamuri aveva
conservato il suo costume maharatto, che non poteva far nascere alcun
sospetto. Il fiume, angusto e dalle acque assai torbide, era quasi deserto.
Solamente i tratto in tratto appariva sulle sue sponde qualcuna di quelle grandi
capanne piantate sopra fitte file di pali, ad una altezza di quindici o venti
piedii, di fabbricazione dayaca. Invece vi erano grandi boscaglie di
alberi gommiferi di giunta wan; piante di piper nigrum già coperte
di bacche rossastre che danno un granello assai aromatico; di gluga dalla
cui corteccia macerata si estrae una specie di carta; d'immensi alberi della
canfora esalanti un acuto profumo e di banani, di areche e di rotang,
piante sarmentose queste, che in quelle regioni tengono il luogo delle liane e
raggiungono lunghezze straordinarie poiché toccano sovente i trecento
metri. In mezzo a quella ricca vegetazione si vedevano talora scimmie dal
naso lungo dondolarsi sulle più alte cime degli alberi o svolazzare i calaos giganti, stravaganti volatili dai becchi enormi, grossi quanto
l'intero corpo, il cui capo è sormontato da un bizzarro elmetto a forma di
virgola. Apparivano pure stormi di splendidi argus, adorni di lunghissime
penne, di cacatua nere, e anche qualcuno di quei pipistrelli enormi che
gl'indigeni chiamano kulang, grossi come un piccolo cane, le cui ali
misurano perfino un metro e trenta centimetri. A mezzogiorno, la scialuppa,
che risaliva il fiume col favore della marea, giungeva dinanzi a Sedang
ancorandosi alla estremità della borgata. Quantunque vanti il nome di città,
Sedang non è che un villaggio al pari di Kutsching, la seconda cittadina per
importanza del reame di Sarawak. A quell'epoca si componeva di un centinaio di
capanne piantate su pali, quasi tutte abitate da dayachi-laut, ossia da dayachi costieri, di alcune casette coi tetti arcuati appartenenti a
pochi cinesi, e di due edifici in legno, uno abitato dal nipote di Muda-Hassin,
che veniva guardato come un prigioniero, non ignorandosi che egli aspirava alla
riconquista del trono, e l'altro dal governatore, creatura devotissima al rajah, che aveva ai suoi ordini una ventina d'indiani armati. Non
essendovi a Sedang nemmeno la più modesta trattoria, il Lord acquistò una delle
più belle casette cinesi situata presso il fiume, alla estremità settentrionale
della cittadina; vi condusse Ada e Kammamuri, poi disse alla nipote: - La mia
missione finisce qui. Tutto quello che ho potuto fare per te, senza
compromettere il mio onore di marinaio inglese e di compatriotta di James
Brooke, io l'ho fatto. Alla guerra che tu e i pirati state per scatenare io non
posso partecipare, quantunque lo Stato di Sarawak sia assolutamente
indipendente, non abbia legami con l'Inghilterra e io abbia avuto a dolermi
ultimamente della eccessiva rigorosità di Brooke nei riguardi di Tremal-Naik. Io
rimango tuo zio e tuo protettore, ma come inglese devo serbarmi neutrale. -
Dunque voi ci lasciate già? - disse Ada con dolore. - È necessario. Ritorno
al mio yacht, ma non lascerò la foce del fiume prima che siano aperte le
ostilità, per potere eventualmente proteggerti. Tu non hai dimenticato di essere
una donna abbastanza energica per agire anche da sola. - Oh sì, zio!... Sono
decisa a tutto. - Ti lascio quattro dei miei marinai con l'incarico di
difenderti e di aiutarti. Ti obbediranno come a me stesso, e sono uomini d'un
provato coraggio e d'una fedeltà sicura. Addio! Qualunque pericolo ti
minacciasse, manda a me uno dei miei marinai. Il mio yacht è armato e ad ogni
tua richiesta salirà prontamente il fiume. Si abbracciarono a lungo, poi il
lord tornò ad imbarcarsi e ridiscese il fiume. La giovinetta era rimasta sulla
riva e lo guardava allontanarsi: non si accorse che una guardia del rajah
si era avvicinata, osservandola con viva curiosità, non esente da una certa
diffidenza. Se ne avvide soltanto quando l'uomo fu al suo fianco. - Chi
siete voi? - chiese la guardia. La giovinetta gettò su quell'indiano uno
sguardo acuto ed altero. - Cosa vuoi tu? - gli chiese. - Sapere chi siete
- rispose l'indiano. - Ciò non ti riguarda. - È l'ordine, poiché voi siete
una straniera. - L'ordine di chi? - Del governatore. - Non lo
conosco. - Ma egli deve sapere chi sbarca a Sedang. - E il motivo?... -
Qui vi è il nipote di Muda-Hassin. - Non so chi sia. - Il nipote del
sultano che prima regnava in Sarawak. - Non conosco sultani. - Non
importa: io devo sapere chi siete. - Sono una principessa indiana. - Di
quale regione?... - Della grande tribù dei maharatti - disse Kammamuri
che si era silenziosamente avvicinato a loro. - Una principessa maharatta!... - esclamò l'indiano, trasalendo.- Ma anch'io sono
maharatto. - No, tu sei un rinnegato - disse Kammamuri. - Se tu fossi
un vero maharatto saresti libero come me, e non schiavo o servo d'un uomo
che appartiene alla razza dei nostri oppressori, d'un inglese. Il soldato del
rajah ebbe negli occhi un lampo d'ira, che subito si spense, e chinò il
capo, mormorando: - È vero. - Vattene - disse Kammamuri. - I liberi maharatti disprezzano i traditori. L'indiano trasalì, poi, alzando gli
occhi velati di lacrime, disse con voce triste: - No, non ho dimenticato la
mia patria, non ho dimenticato la mia tribù, non si è spento nel mio cuore
l'odio verso gli oppressori dell'India: sono ancora maharatto. -
Tu!... - disse Kammamuri, con maggior disprezzo. - Dammene una prova!... -
Comanda. - Ecco la mia padrona, principessa d'una delle nostre più valorose
tribù. Giurale obbedienza come le giurarono tutti i liberi figli delle nostre
montagne, se osi!... L'indiano girò intorno un rapido sguardo per accertarsi
di non essere osservato, poi cadde ai piedi di Ada con la fronte nella polvere,
dicendo: - Comanda: per Sivah, Visnù e Brahma, divinità protettrici
dell'India, io giuro di obbedirti. - Ora ti riconosco per un compatriota -
disse Kammamuri. - Seguici!... Entrarono nell'abitazione cinese guardata dai
quattro marinai dello yacht, i quali tenevano alla cintura delle rivoltelle per
proteggere la nipote del padrone contro qualunque attentato, e s'arrestarono in
una stanzuccia con le pareti coperte di carta fiorita di Tung: leggerissime
sedie di bambù e alcuni tavoli ingombri di teiere e di chicchere di porcellana
color del cielo dopo la pioggia, la tinta favorita dai figli del Celeste Impero,
ammobiliavano la camera. - Comanda - ripeté l'indiano prostrandosi nuovamente
dinanzi ad Ada. Allora la giovinetta, fissando su di lui un lungo sguardo,
come se volesse leggergli nell'animo, gli disse: - Sai che io odio il rajah? - Tu!... - esclamò l'indiano, rialzando il capo e guardandola
con stupore. - Sì - disse la giovinetta con energia. - Hai forse da
lagnarti di lui? - No, ma lo odio perché è inglese, lo odio perché io sono
maharatta e lui appartiene alla stirpe degli oppressori dell'India, e
perché un giorno appartenne a quella compagnia che distrusse l'indipendenza dei
nostri rajah. Noi popoli liberi abbiamo giurato odio eterno agli uomini
della lontana Europa. - Ma tu adunque sei potente? - chiese l'indiano con
maggior stupore. - Ho uomini valorosi, ho navi e cannoni. - E vieni a
portare la guerra qui? - Sì, perché qui trovo un oppressore della nostra
patria che ora cerca di opprimere altri uomini di colore al pari di noi. - Ma
chi ti aiuterà nell'impresa?... - Chi?... Il nipote di Muda-Hassin. -
Lui!... - Lui. - Ma se è prigioniero! - Noi lo libereremo. - E lo sa
lui che tu ti prepari a lottare in suo favore?... - No, ma lo vedrò. - Ti
ho detto che è prigioniero. - Deluderemo la vigilanza delle guardie. - In
che modo?... - Lo troverai tu il modo. - Io!... - Ecco la prova che
attendo da te, se sei veramente un maharatto. - Ho giurato di
obbedirti e Bangawadi non mancherà alla parola data - disse l'indiano con voce
solenne. - Sentiamo - disse Kammamuri che fino allora era rimasto silenzioso.
- Quante guardie vegliano su Hassin? - Quattro. - Giorno e notte? -
Sempre. - Senza mai lasciarlo? - Non lo abbandonano mai. - Vi è qualche
maharatto fra quegli indiani? - No, sono tutti del Guzerate. -
Fedeli al governatore?... - Incorruttibili. Il maharatto fece un
gesto di stizza e parve immergersi in profondi pensieri. Poi frugò nell'ampia
cintura che gli stringeva i fianchi e ne trasse un diamante grosso come una
nocciuola. - Recati dal governatore - disse rivolgendosi all'indiano, - e gli
dirai che la principessa Raibh gli offre questo regalo e lo prega di accordarle
una visita. - Ma che cosa intendi fare, Kammamuri? - chiese Ada. - Ve lo
dirò, poi, padrona. Va', Bangawadi: contiamo sul tuo giuramento. L'indiano
prese il diamante, si prostrò un'ultima volta dinanzi alla giovinetta e uscì a
rapidi passi. Kammamuri lo seguì con lo sguardo fino a che poté, poi,
volgendosi verso Ada, le disse: - Spero, padrona, che riusciremo. - A fare
che cosa? - A rapire Muda-Hassin. - Ma in che modo?... Kammamuri,
invece di rispondere, levò dalla cintura una scatoletta e mostrò alcune pillole
piccolissime, che esalavano uno strano odore. - Me le ha date il signor Yanez
- disse - e so per esperienza quanto siano potenti. Basta lasciarne cadere una
in un bicchiere di acqua o di vino o di caffè per addormentare istantaneamente
la persona più robusta. - E a che cosa possono servire? - chiese la
giovanetta con maggior sorpresa. - Per addormentare il governatore e le
guardie che vegliano nella casa di Hassin. - Non riesco a comprenderti. -
Col regalo che gli abbiamo mandato, il governatore c'inviterà a pranzo, o lo
inviteremo noi. M'incarico io di fargli bere il narcotico, e quando lo vedremo
addormentato andremo da Hassin, e là ripeteremo il giuoco con le guardie. -
Ma ci lasceranno entrare dal prigioniero, quegli indiani?... - Penserà
Bangawadi ad aprirci il passo, fingendo d'aver ricevuto l'ordine del governatore
di farci visitare Hassin. - Ma dove condurremo il prigioniero?... - Dove
vorrà lui, dove avrà i suoi partigiani. M'incarico io di far comprare dei
cavalli dai nostri uomini. Stava per uscire quando vide ritornare Bangawadi.
L'indiano pareva contento perché aveva il sorriso sulle labbra. - Il
governatore vi attende - diss'egli, entrando. - Ha gradito il dono?... -
chiese Kammamuri. - Non l'ho mai veduto così di buon umore come oggi. -
Andiamo, padrona - disse il maharatto. Uscirono preceduti dalla
guardia e seguiti dai quattro marinai dello yacht che avevano ricevuto dal lord
l'ordine di non lasciare Ada un solo istante. Pochi minuti dopo giungevano alla
sede del governatore di Sedang. Quel fabbricato, chiamato pomposamente
palazzo dagli abitanti, era una modesta casa di legno, a due piani, col tetto
coperto di tegole azzurre come le abitazioni del quartiere cinese di Sarawak,
cinta da una palizzata e difesa da due pezzi di cannone arrugginiti, tenuti là
per spauracchio, poiché non avrebbero potuto sparare due colpi di seguito senza
scoppiare. Una dozzina d'indiani, vestiti come i sipai del Bengala, con
la giacca rossa, i calzoni bianchi, il turbante in capo, ma i piedi nudi,
stavano schierati dinanzi alla cinta e presentarono le armi alla principessa dei
maharatti. Il governatore attendeva la giovanetta ai piedi della scala,
segno evidente che quel regalo di grande valore aveva fatto il suo
effetto. Sir Hunton, comandante di Sedang, era un anglo-indiano che aveva
preso parte alla sanguinosa crociera del Realista contro i pirati del
Borneo in qualità di mastro d'equipaggio. Aveva quarant'anni, ma ne
dimostrava di più perché il clima non era troppo propizio per gli stranieri. Era
alto come tutti gli indiani, ma tarchiato; aveva la pelle leggermente abbronzata
con sfumature dorate, gli occhi nerissimi, la barba più folta dei puri indostani
e già brizzolata. Poiché aveva dato prove di grande coraggio e di fedeltà era
stato destinato al comando di Sedang coll'incarico di esercitare un'attiva
vigilanza sul nipote di Muda-Hassin. James Brooke non ignorava di avere un
potente e pericoloso rivale nel discendente del defunto sultano. Sir Hunton,
vedendo la principessa indiana, le mosse incontro tendendole la mano: si scoprì
il capo, poi le offerse galantemente il braccio e la condusse in un salottino
arredato con eleganti mobili europei. - A quale evento fortunato devo l'onore
della vostra visita, Altezza? - chiese egli, sedendosi di fronte alla
giovanetta. È un caso raro veder giungere in questa sperduta cittadina alle
frontiere del reame una persona distinta come voi. - Compio un viaggio di
piacere nelle isole della Sonda, sir, e ho voluto visitare anche Sedang, avendo
solamente qui la possibilità di vedere quei formidabili tagliatori di teste che
chiamasi dayachi. - Siete venuta qui per pura curiosità? Credevo che
lo scopo fosse un altro. - E quale?... - Per vedere il nipote di
Muda-Hassin. - Non so chi sia. - Un rivale del rajah Brooke, che
passa il suo tempo sognando continue cospirazioni. - Un uomo interessante,
dunque? - Può essere. - Col vostro permesso non mancherò di
visitarlo. - A qualunque altra persona non lo permetterei, ma a voi, Altezza,
che venite dall'India e perciò non potete avere alcun interesse se non una certa
curiosità, non negherò questo favore. - Grazie, sir. - Vi tratterrete
molto qui?... - Alcuni giorni, finché il mio yacht avrà riparato alcuni
guasti. - Siete giunta con uno yacht?... - Sì, sir. - E andrete poi a
Sarawak? - Certamente; voglio vedere il famoso sterminatore dei pirati. Io
sono una delle sue più ardenti ammiratrici. - È un valent'uomo il rajah! - Lo credo. - Ritornate allo yacht questa sera?... - No,
ho preso a pigione una piccola casa. - Allora spero che mi farete l'onore di
accettare l'ospitalità della mia abitazione. - Ah!... Signore!... - È la
migliore di Sadang. - Grazie, sir, ma amo meglio essere libera. - Allora
spero che vii tratterrete oggi presso di me. - Non potrei rifiutare una
simile cortesia. - Farò il possibile perché non abbiate ad annoiarvi,
Altezza. - Intanto mi farete vedere il vostro regale prigioniero - disse Ada,
ridendo. - Dopo il pranzo, Altezza, andremo a bere il tè da Hassin. - È un
uomo gentile od un selvaggio?... - Un uomo astuto ed educato che ci farà
buona accoglienza. - Conto su di voi, signore. Questa sera sarò vostra
commensale. Si era alzata ad un cenno di Kammamuri, il quale l'aveva seguita
tenendosi in un angolo del salotto. Il governatore la imitò e la condusse fino
alla porta, dove il drappello indiano le rese gli onori spettanti al suo grado
di principessa indostana. Ritornata alla propria abitazione, seguita sempre
da Kammamuri e dai quattro indiani dello yacht, ritrovò l'indiano Bangawadi che
l'attendeva sulla porta dimostrando una certa impazienza. - Ancora tu? -
chiese la giovanetta. - Sì, padrona - rispose. - Hai delle novità?... -
Ho parlato con Hassin. - Quando? - Pochi minuti or sono. - E che cosa
gli hai detto?... - Che alcune persone s'interessano della sua sorte e
cercano di farlo evadere. - E che cosa ti ha risposto? - Che è pronto a
tutto. - Sei un brav'uomo, Bangawadi. - E lo sarai di più se tu tornerai
da lui - aggiunse Kammamuri. - Sono a vostra disposizione. - Va' allora, e
gli dirai che questa sera la principessa Raibh andrà a visitarlo in compagnia
del governatore, e che cerchi di essere solo, almeno nelle sue stanze. Dirai
inoltre a lui che lasci a me la cura di preparare il thè per il governatore.
- Poi, levandosi dalla cintola un piccolo diamante, glielo porse
aggiungendo: - Questo è per te, e pagherai da bere alle sentinelle che
vegliano sulla casa di Hassin. Questa sera poi offrirò
io!...
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