Canto
quinto
(1-23)
1
Un
capitan che
d’inclito e di
saggio
e
di magno e
d’invitto il
nome merta,
non
dico per ricchezze
o per lignaggio,
ma
perché spesso
abbia fortuna
esperta,
non
si suol mai fidar
sì nel vantaggio,
che
la vittoria si
prometta certa:
sta
sempre in dubbio
ch’aver debbia
cosa
da
ripararsi il suo
nimico ascosa.
2
Sempre
gli par veder
qualche secreta
fraude
scoccar, ch’ogni
suo onor confonda:
ché
pur là dove è più
tranquilla e queta,
più
perigliosa è
l’acqua e più
profonda;
perciò
non mai prosperità
sì lieta
né
tal baldanza a’
suoi desir
seconda,
che
lasciar voglia gli
ordini e i ripari
che
faria avendo
uomini e Dei
contrari.
3
Io
‘l dirò pur, se
bene audace parlo,
che
quivi errò quel sì
lodato ingegno
col
qual paruto era più
volte Carlo
saggio
e prudente e più
d’ogn’altro
degno:
ma
il vincer
Cardorano, e vinto
trarlo,
glorioso
spettacolo, al suo
regno,
quivi
gli avea così
occupati i sensi,
ch’altro
non è che
ascolti, vegga e
pensi.
4
Né
si scema sua
colpa, anzi
augumenta,
quando
di Gano il mal
consiglio accusi.
Per
lui vuol dunque
ch’altri vegga o
senta,
et
ei star tuttavia
con gli occhi
chiusi?
Dunque
l’aloppia Gano e
lo addormenta,
e
tutti gli altri ha
dai segreti
esclusi?
Ben
seria il dritto
che tornasse il
danno
solamente
su quei che l’error
fanno.
5
Ma,
pel contrario, il
populo innocente,
il
cui parer non è
chi ascolti o
chieggia,
è
le più volte quel
che solamente
patisce
quanto il suo
signor vaneggia.
Carlo,
che non ha tempo
che di gente,
né
che d’altro
ripar più si
proveggia,
quella
con diligenzia,
che si trova,
tutta
rivede e gli
ordini rinova.
6
E
come che passar
possa la Molta
sul
ponte che v’è
già fatto a man
destra,
e
sua gente ne li
ordini raccolta
ritrarre
ai monti et alla
strada alpestra;
e
ver’ le terre
Franche indi dar
volta,
o
dove creda aver la
via più destra:
pur
ogni condizion
dura et estrema
vuol
patir, prima che
mostrar che tema.
7
Or
quel muro
ch’opposto avea
alla terra
tra
un fiume e
l’altro con sì
lungo tratto,
fa
con crescer di
fosse, e legne e
terra,
più
forte assai che
non avea già
fatto;
e
con gente a
bastanza i passi
serra,
acciò
non, mentre
attende ad altro
fatto,
questi
di Praga,
ritrovato il calle
di
venir fuor,
l’assaltino alle
spalle.
8
L’un
nimico avea dietro
e l’altro a
fronte,
e
vincer quello e
questo animo avea.
L’esercito
de’ Barbari su
al monte
passò
l’Albi, vicino
ove sorgea.
Carlo
tenea sopra l’altr’acqua
il ponte,
ch’uscìa
verso la selva di
Medea;
e
quello alla sua
gente, che divise
in
tre battaglie, al
destro fianco
mise.
9
E
così fece che
‘l sinistro lato
non
men difeso era da
l’altro fiume:
si
pose dietro
l’argine e il
steccato,
da
non poter salir
senza aver piume.
Il
corno destro ad
Olivier fu dato,
del
sangue di Borgogna
inclito lume,
che
cento fanti avea
per ogni fila,
le
file cento, con
cavai seimila.
10
Ebbe
il Danese in
guardia l’altro
corno,
con
numer par de fanti
e de cavalli.
L’imperator,
di drappo azurro
adorno
tutto
trapunto a fior de
gigli gialli,
reggea
nel mezo; e i
Paladini intorno,
duchi,
marchesi e
principi vassalli,
e
sette mila avea di
gente equestre,
e
duplicato numero
pedestre.
11
All’incontro,
il stuol barbaro,
diviso
in
tre battaglie, era
venuto inanti,
men
d’una lega
appresso a questi
assiso,
e
similmente avea i
dui fiumi ai
canti.
Cento
settanta mila era
il preciso
numer,
ch’un sol non ne
mancava a tanti;
e
in ogni banda con
ugual porzioni
partiti
i cavalli erano e
i pedoni.
12
Ogni
squadra de’
Barbari non manco
ivi
quel giorno stata
esser si crede,
che
tutto insieme
fosse il popul
franco,
quanto
ve n’era, chi a
caval, chi a
piede:
ma
tal ardir e tal
valor, tal anco
ordine
avean questi
altri, e tanta
fede
nel
suo signor,
d’ingegno e di
prudenza,
che
ciascun valer
quattro avea
credenza.
13
Ma
poi sentir, che si
trovar in fatto,
che
pur troppo era un
sol, non che a
bastanza;
né
di quella
battaglia ebbono
il patto
che
lor promesso avea
lor arroganza:
e
potea Carlo
rimaner disfatto
se
Dio, che salva
ch’in lui pon
speranza,
non
gli avesse al
bisogno proveduto
d’un
improviso e non
sperato aiuto.
14
E
non poteron sì
l’insidie
astute,
l’arte
e l’ingan del
traditor crudele,
che
non potesse più
chi per salute
nostra
morendo, volse
bere il fele:
Gano
le ordì, ma al
fin l’Alta
virtute
fece
in danno di lui
tesser le tele:
lo
fe’ da
Bradamante e da
Marfisa
metter
prigione, e detto
v’ho in che
guisa.
15
Quelle
gli avean già
ritrovato adosso
lettere
e contrasegni e
una patente,
per
le quali apparea
che Gano mosso
non
s’era a tòr
Marsiglia di sua
mente,
ma
che venuto il male
era da l’osso:
Carlo
n’era cagion
principalmente;
e
vider scritto quel
ch’in mar
appresso
per
distrugger Ruggier
s’era commesso.
16
E
leggendo, Marfisa
vi trovoro
e
Ruggier traditori
esser nomati,
perché,
partiti da le
guardie loro,
in
favor di Rinaldo
erano andati;
e
per questo ribelli
ai gigli d’oro
eran
per tutto il regno
divulgati;
e
Carlo avea lor
dietro messo
taglia,
sperando
averli in man
senza battaglia.
17
Marfisa,
che sapea che
alcun errore,
né
suo né del
fratello, era
precorso,
pel
qual dovesse Carlo
imperatore
contr’essi
in sì grand’ira
esser trascorso,
di
giusto sdegno in
modo arse nel
core,
che,
quanto ir si potea
di maggior corso,
correr
penso in Boemia e
uccider Carlo,
che
non potrian suoi
Paladin vietarlo.
18
E
ne parlò con
Bradamante, e
appresso
col
Selvaggio Guidon,
ch’ivi era
allora:
ché
Mont’Alban gli
avea il fratel
commesso
che
vi dovesse far
tanta dimora
che
Malagigi, come
avea promesso,
venisse;
e l’aspettava
d’ora in ora
per
dar a lui la
guardia del
castello,
e
poi tornar in
campo al suo
fratello.
19
Marfisa
ne parlò, come vi
dico,
ai
dui germani, e gli
trovò disposti
che
s’abbia a
trattar Carlo da
nimico
e
far che l’odio
lor caro gli
costi;
che
si meni con lor
Gano, il suo
amico,
e
che s’un par di
forche ambi sian
posti;
e
che si scanni,
tronchi, tagli e
fenda
qualunque
d’essi la difesa
prenda.
20
Guidon,
ch’andar con lor
facea pensiero
né
lasciar senza
guardia Mont’Albano,
espedì
allora allora un
messaggiero,
ch’andò
a far fretta al
frate di Viviano;
e
gli parve che
fosse quel
scudiero
che
tratto avea quivi
legato Gano;
per
narrar lui che la
figlia d’Amone
libera
e sciolta, e Gano
era prigione.
21
Sinibaldo,
il scudier, calò
del monte
e
verso Malagigi il
camin tenne;
e
noi potendo aver
in Agrismonte,
più
lontan per
trovarlo ir gli
convenne.
Ma
il dì seguente
Alardo entrò nel
ponte
di
Mont’Albano; e
bene a tempo
venne,
ché,
lui posto in suo
loco, entrò in
camino
Guidon,
senza aspettar più
il suo cugino.
22
Egli
e le donne, tolto
i loro arnesi,
in
Armaco e a Tolosa
se ne vanno
due
donzelle e tre
paggi avendo
presi,
col
conte di Pontier
che legato hanno.
Lasciànli
andar, che forse
più cortesi
che
non ne fan
sembianti, al fin
seranno:
diciam
del messo il qual
da Mont’Albano
vien
per trovar il
frate di Viviano.
23
Non
era in Agrismonte,
ma in disparte,
tra
certe grotte
inaccessibil
quasi,
dove
imagini sacre,
sacre carte,
sacri
altar, pietre
sacre e sacri
vasi,
et
altre cose
appartinenti
all’arte,
de
le quai si valea
per vari casi,
in
un ostello avea
ch’in cima un
sasso
non
ammettea, se non
con mani, il
passo.

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