Canto
secondo
(82-108)
82
Si
fermar quivi, e
ricrear alquanto
sé
et i cavalli in
una occulta
piaggia;
che
seco vettovaglia
aveano, quanto
bastar
potea per quella
via selvaggia.
Il
vecchio corre alla
sua donna intanto,
e
le divisa ciò
ch’ordinato
aggia.
A
Villafranca
Penticon rimena
il
suo desio, che
‘l giorno spunta
a pena.
83
La
donna, che dal dì
che le fu tolto
il
suo marito andò
sempre negletta;
questo,
che spera di
vederlo sciolto
e
far d’ogni sua
ingiuria alta
vendetta,
ritrova
i panni allegri, e
il crine e ‘l
volto,
quanto
più sa, per più
piacer rassetta;
e
fe’ quel dì,
quel che non fe’
più inante,
grata
accoglienza al
poco cauto amante.
84
E
con onesta forza,
la mattina,
e
dolci preghi, a
mangiar seco il
tenne.
Il
vecchio intanto a
Baldovin camina,
ch’al
venir ratto aver
parve le penne:
piglia
tosto ogni uscita,
indi declina
ove
il dì si facea
lieto e solenne;
e
quivi, senza poter
far difese,
e
Penticone e de’
suoi molti prese.
85
Lasciato
avea chi sùbito
al fratello
la
vera causa del suo
andar narrassi;
ch’avea
per prender
Penticon, non
quello
monte
occupar, volti la
sera i passi;
sì
che per l’orme
sue verso il
castello
pregava
che col resto il
seguitassi.
Benché
non piacque al
Conte che tacciuto
questo
gli avesse, pur
non negò aiuto:
86
e
con tutti gli
altri ordini si
mosse,
senza
che tromba o che
tambur s’udisse;
e
perché inteso il
suo partir non
fosse,
lasciò
chi ‘l fuoco
insino al dì
nutrisse.
La
presa del figliuol,
non che percosse,
ma
al vecchio padre
in modo il cor
trafisse,
che
si levò de
l’Alpi; e mezza
rotta
salvò
a Chivasco et a
Vercei la frotta.
87
Né
a Vercei né a
Chivasco il
paladino
di
voler dar
l’assalto ebbe
disegno;
anzi
i passi volgea
dritto al Ticino,
alla
città che capo
era del regno.
Desiderio,
per chiuderli il
camino,
lo
va a trovar, ma
non gli fa
ritegno;
et
è sì inferior
nel gran
conflitto,
che
ne riman
perpetuamente
afflitto.
88
Quivi
cader de’
Longobardi tanti,
e
tanta fu quivi la
strage loro,
che
‘l loco de la
pugna gli abitanti
Mortara
dapoi sempre
nominoro.
Ma
prima che seguir
questo più inanti,
ritornar
voglio agli altri
gigli d’oro,
che
Carlo ai capitani
raccommanda
ch’alle
sue giuste imprese
altrove manda.
89
Con
dieci mila fanti e
settecento
lance
e duo milla arcier
andò Rinaldo
verso
Guascogna, per far
mal contento
di
sua perfidia l’Aquitan
ribaldo.
Bradamante
e Ruggier, che
‘l regimento
avean
del lito esposto
al fiato caldo,
ebbon
di fanti non so
quanti miglia,
e
legni armati a
guardia di
Marsiglia.
90
Come
chi guardi il mar,
così si pone
chi
a cavallo, chi a
piè, che guardi
il lito.
Olivier
guardò Fiandra,
Salamone
Bretagna,
Picardia Sansone
ardito:
dico
per terra;
ch’altra
provisione,
altro
esercito al mar fu
statuito.
Con
grossa armata cura
ebbe Ricardo
da
la foce del Reno
al Mar Picardo.
91
E
dal Picardo al
capo di Bretagna,
avendo
uomini e legni in
abondanza,
uscì
Carlo col resto
alla campagna,
e
venne al Reno, e
lo passò a
Costanza;
et
arrivò sì presto
ne la Magna,
che
la fama al venir
poco l’avanza;
passò
il Danubio, e si
trovò in Bavera,
che
mosso Tassillone
anco non s’era.
92
Tassillon,
de Boemi e de
Sassoni
esercito
aspettando e
d’Ungheria,
alle
squadre di Francia
e legioni
tempo
di prevenirli dato
avia.
Carlo
fermò ad Augusta
i confaloni,
e
mandò
all’inimico
ambasceria
a
saper se volesse
esperienza
far
di sua forza o pur
di sua clemenza.
93
Tassillon,
impaurito de la
presta
giunta
di Carlo, ch’improviso
il colse,
con
tutto il stato se
gli diè in
podesta,
e
Carlo umanamente
lo raccolse;
ma
che rendesse alla
prima richiesta
il
tolto a Namo et
a’ consorti,
volse;
e
che lor d’ogni
danno et interesse
ch’avean
per questo avuto,
sodisfesse;
94
e
settecento lance
per un anno,
e
dieci mila fanti
gli pagasse;
la
qual gente volea
ch’allora a
danno
di
Desiderio in
Lombardia calasse.
Con
gli statichi i
Franchi se ne
vanno;
e
prima che ‘l
passaggio altri
vietasse
(ché
de’ Boemi
prossimi avean
dubio),
tornar
ne l’altra ripa
del Danubio.
95
E
verso Praga in
tanta fretta
andaro,
di
nostra fede a
quella età nimica
(ben
che né ancora a
questa nostra ho
chiaro
che
le sia tutta la
contrada amica),
ch’a
prima giunta i
varchi le
occupato,
cacciato
e rotto con poca
fatica
re
Cardoranno, che
mezo in fracasso
quivi
era accorso a
divietar il passo.
96
Gli
Franceschi cacciar
fa su le porte
di
Praga gli Boemi in
fuga e in rotta.
Quella
città, di fosse e
muta forte,
salvò
col suo signor la
maggior frotta:
le
diè Carlo
l’assalto; ma la
sorte
al
suo disegno mal
rispose allotta,
ch’a
gran colpi di
lance il popul
fiero
fe’
ritornar la gente
de lo Impero.
97
Ché,
mentre era difeso
et assalito
da
un lato il muro,
il forte Cardorano
(di
cui se si volesse
un uom più
ardito,
si
cercheria forse
pel mondo in vano)
fuor
d’una porta era
d’un altro
uscito,
et
avea fatto un bel
menar di mano;
e
dentro, con
prigioni e preda
molta,
sua
gente seco salva
avea raccolta.
98
E
fe’ che Carlo
andò più
ritenuto
et
ebbe miglior
guardia alle sue
genti,
avendo
lor d’un sito
proveduto
da
porvi più sicuri
alloggiamenti,
dove
il fiume di Molta
è ricevuto
da
l’acque d’Albi
all’Oceàn
correnti:
la
barbara cittade in
loco sede,
che
quinci un fiume e
quindi l’altro
vede.
99
Tra
le due ripe, alla
città distanti
un
tirar d’arco,
s’erano
alloggiati,
sì
che s’avean la
città messa
inanti,
che
gli altri fiumi
avea dietro e dai
lati.
Carlo,
perché dai luoghi
circonstanti
non
abbian vettovaglia
gli assediati,
e
perché il campo
suo stia più
sicuro,
tra
un fiume e
l’altro in lungo
tirò un muro;
100
che
era di fuor di
travi e di testura
di
grossi legni, e
dentro pien di
terra;
e
perché non
uscisson de le
mura
dal
canto ove la
doppia acqua gli
serra,
su
le ripe di fuor
ebbe gran cura
di
por ne le bastie
genti da guerra,
che
con velette e
scolte a nissun’ora
lassassino
uomo entrar o
venir fuora.
101
Quindi
una lega appresso,
era una antica
selva
di tassi e di
fronzuti certi,
che
mai sentito colpo
d’inimica
secure
non avea né
d’altri ferri:
quella
mai non potesti
fare aprica,
né
quando n’apri il
dì né quando il
serri,
né
al solstizio, né
al tropico, né
mai,
Febo,
vi penetrar tuoi
chiari rai.
102
Né
mai Diana, né mai
Ninfa alcuna,
né
Pane mai, né
Satir, né Sileno
si
venne a ricrear
all’ombra bruna
di
questo bosco di
spavento pieno;
ma
scelerati spirti
et importuna
religion
quivi dominio
avieno,
dove
di sangue uman a
Dei non noti
si
facean empi
sacrifici e voti.
103
Quivi
era fama che
Medea, fuggendo
dopo
tanti inimici al
fin Teseo,
che
fu, con modo a
ricontarlo
orrendo,
quasi
ucciso per lei dal
padre Egeo;
né
più per tutto il
mondo loco avendo
ove
tornar se non
odioso e reo,
in
quelle allora
inabitate parti
venne,
e portò le sue
malefiche arti.
104
So
ch’alcun scrive
che la via non
prese,
quando
fuggì dal suo
figliastro audace,
verso
Boemia, ma andò
nel paese
che
tra i Caspi e l’Oronte
e Ircania giace,
e
che ‘l nome di
Media da lei
scese:
il
che a negar non
serò pertinace;
ma
dirò ben ch’anco
in Boemia venne
o
dopo o allora, e
signoria vi tenne;
105
e
fece in mezo a
questa selva
oscura,
dove
il sito le parve
esser più ameno,
la
stanza sua di
così grosse mura
che
non verria per
molti secol meno;
e
per potervi star
meglio sicura,
di
spirti intorno
ogn’arbor avea
pieno,
che
rispingean con
morti e con
percosse
chi
d’ir nei suoi
segreti ardito
fosse.
106
E
perché, per
virtù d’erbe e
d’incanti,
de
le Fate una et
immortal fatt’era,
tanto
aspettò, che
trionfar di quanti
nimici
avea vid’al fin
Morte fiera:
indi
a grand’agio
ripensando a tanti
a’
quai fatt’avea
notte inanzi sera,
all’ingiurie
sofferte, affanni
e lutto,
vid’esser
stato Amor cagion
di tutto.
107
E
fatta omai per
lunga età più
saggia
(ché
van di par
l’esperienze e
gli anni),
pensa
per lo avvenir
come non caggia
più
negli error ch’avea
passati, e danni;
e
vede, quando Amor
poter non v’aggia,
ch’in
lei né ancor
avran poter gli
affanni;
e
studia e pensa e
fa nuovi consigli,
come
di quel tiran
fugga gli artigli.
108
Ma
perché, essendo
de la stirpe
antica
che
già la irata
Vener maledisse,
vide
che non potea
viver pudica,
et
era forza che ‘l
destin seguisse;
pensò
come d’amor ogni
fatica,
ogni
amarezza, ogni
dolor fuggisse;
come
gaudi e piacer,
quanti vi sono,
prender
potesse, e quanto
v’è di buono.

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