Capitolo 4 |
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L'auditore corse, con la sbirraglia, alla casa del
Mora, e lo trovarono in bottega. Ecco un altro reo che non pensava a fuggire, né a
nascondersi, benché il suo complice fosse in prigione da quattro giorni. C'era con lui un
suo figliuolo; e l'auditore ordinò che fossero arrestati tutt'e due. |
Il Verri, spogliando i libri parrocchiali di San
Lorenzo, trovò che l'infelice barbiere poteva avere anche tre figlie; una di quattordici
anni, una di dodici, una che aveva appena finiti i sei. Ed è bello il vedere un uomo
ricco, nobile, celebre, in carica, prendersi questa cura di scavar le memorie d'una
famiglia povera, oscura, dimenticata: che dico? infame; e in mezzo a una posterità, erede
cieca e tenace della stolta esecrazione degli avi, cercar nuovi oggetti a una compassion
generosa e sapiente. Certo, non è cosa ragionevole l'opporre la compassione alla
giustizia, la quale deve punire anche quando è costretta a compiangere, e non sarebbe
giustizia se volesse condonar le pene de' colpevoli al dolore degl'innocenti. Ma contro la
violenza e la frode, la compassione è una ragione anch'essa. E se non fossero state che
quelle prime angosce d'una moglie e d'una madre, quella rivelazione d'un così nuovo
spavento, e d'un così nuovo cordoglio a bambine che vedevano metter le mani addosso al
loro padre, al fratello, legarli, trattarli come scellerati; sarebbe un carico terribile
contro coloro, i quali non avevano dalla giustizia il dovere, e nemmeno dalla legge il
permesso di venire a ciò. |
Ché, anche per procedere alla cattura, ci volevano
naturalmente degl'indizi. E qui non c'era né fama, né fuga, né querela d'un offeso, né
accusa di persona degna di fede, né deposizion di testimoni; non c'era alcun corpo di
delitto; non c'era altro che il detto d'un supposto complice. E perché un detto tale, che
non aveva per sé valor di sorte alcuna, potesse dare al giudice la facoltà di procedere,
eran necessarie molte condizioni. Più d'una essenziale, avremo occasion di vedere che non
fu osservata; e si potrebbe facilmente dimostrarlo di molt'altre. Ma non ce n'è bisogno;
perché, quand'anche fossero state adempite tutte a un puntino, c'era in questo caso una
circostanza che rendeva l'accusa radicalmente e insanabilmente nulla: l'essere stata fatta
in conseguenza d'una promessa d'impunità. "A chi rivela per la speranza
dell'impunità, o concessa dalla legge, o promessa dal giudice, non si crede nulla contro
i nominati", dice il Farinacci(54) . E il Bossi: "si può opporre al testimonio
che quel che ha detto, l'abbia detto per essergli stata promessa l'impunità... mentre un
testimonio deve parlar sinceramente, e non per la speranza d'un vantaggio... E questo vale
anche ne' casi in cui, per altre ragioni, si può fare eccezione alla regola che esclude
il complice dall'attestare... perché colui che attesta per una promessa d'impunità, si
chiama corrotto, e non gli si crede(55) ". Ed era dottrina non contradetta. |
Mentre si preparavano a visitare ogni cosa, il Mora
disse all'auditore: Oh V.S. veda! so che è venuta per quell'unguento; V.S. lo veda
là; et aponto quel vasettino l'haueuo apparecchiato per darlo al Commissario, ma non è
venuto a pigliarlo; io, gratia a Dio, non ho fallato. V.S. veda per tutto; io non ho
fallato: può sparagnare di farmi tener legato.Credeva l'infelice, che il suo reato
fosse d'aver composto e spacciato quello specifico, senza licenza. |
Frugan per tutto; ripassan vasi, vasetti, ampolle,
alberelli, barattoli. (I barbieri, a quel tempo, esercitavan la bassa chirurgia; e di lì
a fare anche un po' il medico, e un po' lo speziale, non c'era che un passo.) Due cose
parvero sospette; e, chiedendo scusa al lettore, siam costretti a parlarne, perché il
sospetto manifestato da coloro, nell'atto della visita, fu quello che diede poi al povero
sventurato un'indicazione, un mezzo per potersi accusare ne' tormenti. E del resto c'è in
tutta questa storia qualcosa di più forte che lo schifo. |
In tempo di peste, era naturale che un uomo, il quale
doveva trattar con molte persone, e principalmente con ammalati, stesse, per quanto era
possibile, segregato dalla famiglia: e il difensor del Padilla fa questa osservazione
dove, come vedremo or ora, oppone al processo la mancanza d'un corpo di delitto. La peste
medesima poi aveva diminuito in quella desolata popolazione il bisogno della pulizia,
ch'era già poco. Si trovaron perciò in una stanzina dietro la bottega, duo vasa
stercore humano plena,dice il processo. Un birro se ne maraviglia, e (a tutti era
lecito di parlar contro gli untori) fa osservare che di sopra vi è il condotto. Il
Mora rispose: io dormo qui da basso, et non vado di sopra. |
La seconda cosa fu che in un cortiletto si vide un
fornello con dentro murata una caldara di rame, nella quale si è trovato dentro
dell'acqua torbida, in fondo della quale si è trovato una materia viscosa gialla et
bianca, la quale, gettata al muro, fattone la prova,si attaccava. Il Mora disse: l'è
smoglio(ranno): e il processo nota che lo disse con molta insistenza: cosa che fa
vedere quanto essi mostrassero di trovarci mistero. Ma come mai s'arrischiarono di far
tanto a confidenza con quel veleno così potente e così misterioso? Bisogna dire che il
furore soffogasse la paura, che pure era una delle sue cagioni. |
Tra le carte poi si trovò una ricetta, che l'auditore
diede in mano al Mora, perché spiegasse cos'era. Questo la stracciò, perché, in quella
confusione, l'aveva presa per la ricetta dello specifico. I pezzi furon raccolti subito;
ma vedremo come questo miserabile accidente fu poi fatto valere contro quell'infelice. |
Nell'estratto del processo non si trova quante persone
fossero arrestate insieme con lui. Il Ripamonti dice che menaron via tutta la gente di
casa e di bottega; giovani, garzoni, moglie, figli, e anche parenti, se ce n'era lì(56) . |
Nell'uscir da quella casa, nella quale non doveva più
rimetter piede, da quella casa che doveva esser demolita da' fondamenti, e dar luogo a un
monumento d'infamia, il Mora disse: io non ho fallato, et se ho fallato, che sij
castigato; ma da quello Elettuario in puoi, io non ho fatto altro; però, se hauessi
fallato in qualche cosa, ne dimando misericordia. |
Fu esaminato il giorno medesimo, e interrogato
principalmente sul ranno che gli avevan trovato in casa, e sulle sue relazioni col
commissario. Intorno al primo, rispose: signore, io non so niente, et l'hanno fatto far
le donne; che ne dimandano conto da loro, che lo diranno; et sapevo tanto io che quel
smoglio vi fosse, quanto che mi credessi d'esser oggi condotto prigione. |
Intorno al commissario, raccontò del vasetto
d'unguento che doveva dargli, e ne specificò gl'ingredienti; altre relazioni con lui,
disse di non averne avute, se non che, circa un anno prima, quello era venuto a casa sua,
a chiedergli un servizio del suo mestiere. Subito dopo fu esaminato il figliuolo; e fu
allora che quel povero ragazzo ripetè la sciocca ciarla del vasetto e della penna, che
abbiam riferita da principio. Del resto, l'esame fu inconcludente; e il Verri osserva, in
una postilla, che "si doveva interrogare il figlio del barbiere su quel ranno, e
vedere da quanto tempo si trovava nella caldaia, come fatto, a che uso; e allora si
sarebbe chiarito meglio l'affare. Ma", soggiunge, "temevano di non trovarlo
reo". E questa veramente è la chiave di tutto. |
Interrogarono però su quel particolare la povera
moglie del Mora, la quale alle varie domande rispose che aveva fatto il bucato dieci o
dodici giorni avanti; che ogni volta riponeva del ranno per certi usi di chirurgia; che
per questo gliene avevan trovato in casa; ma che quello non era stato adoperato, non
essendocene stato bisogno. |
Si fece esaminare quel ranno da due lavandaie, e da tre
medici. Quelle dissero ch'era ranno, ma alterato; questi, che non era ranno; le une e gli
altri, perché il fondo appiccicava e faceva le fila. "In una bottega d'un
barbiere," dice il Verri, "dove si saranno lavati de' lini sporchi e dalle
piaghe e da' cerotti, qual cosa più naturale che il trovarsi un sedimento viscido,
grasso, giallo, dopo varii giorni d'estate?(57) " |
Ma in ultimo, da quelle visite non risultava una
scoperta; risultava soltanto una contradizione. E il difensore del Padilla ne deduce, con
troppo evidente ragione, che "dalla lettura dell'istesso processo offensiuo, non si
vede constare del corpo del delitto; requisito e preambolo necessario, acciò si venga a
Reato, atto tanto pregiudiciale, e danno irreparabile". E osserva che, tanto più era
necessario, in quanto l'effetto che si voleva attribuire a un delitto, il morir tante
persone, aveva la sua causa naturale. "Per i quali giuditii incerti", dice,
"quanto fosse necessario venire all'esperienza, lo ricercauano le maligne
costellationi, et li pronostici de' Matthematici, quali nell'anno 1630 altro non
concludevano che peste, e finalmente il veder tante città insigni della Lombardia, et
Italia rimanere desolate, et dalla peste distrutte, in quali non si sentirno pensieri, né
timori di onto." Anche l'errore vien qui in aiuto della verità: la quale però non
n'aveva bisogno. E fa male il vedere come quest'uomo, dopo aver fatto e questa e altre
osservazioni, ugualmente atte a dimostrar chimerico il delitto medesimo, dopo avere
attribuito alla forza de' tormenti le deposizioni che accusavano il suo cliente, dica in
un luogo queste strane parole: "conuien confessare, che per malignità de' detti
nominati, et altri complici, con animo ancor di sualigiare le case, et far guadagni, come
il detto Barbiere, al fol. 104, disse, si mouessero a tanto delitto contro la propria
Patria." |
Nella lettera d'informazione al governatore, il
capitano di giustizia parla di questa circostanza così: "Il barbiero è preso, in
casa di cui si sono trovate alcune misture, per giudicio de periti, molto sospette."
Sospette! È una parola con cui il giudice comincia, ma con cui non finisce, se non suo
malgrado, e dopo aver tentati tutti i mezzi per arrivare alla certezza. E se ognuno non
sapesse, o non indovinasse quelli ch'erano in uso anche allora, e che si sarebbero potuti
adoprare, quando si fosse veramente pensato a chiarirsi sulla qualità velenosa di quella
porcheria, l'uomo che presiedeva al processo ce l'avrebbe fatto sapere. In quell'altra
lettera rammentata poco sopra, con la quale il tribunale della Sanità aveva informato il
governatore di quel grande imbrattamento del 18 di maggio, si parlava pure d'un
esperimento fatto sopra de' cani, "per accertarsi se tali ontuosità erano
pestilentiali o no". Ma allora non avevan nelle mani nessun uomo sul quale potessero
fare l'esperimento della tortura, e contro il quale le turbe gridassero: tolle! |
Prima però di mettere alle strette il Mora, vollero
aver dal commissario più chiare e precise notizie; e il lettore dirà che ce n'era
bisogno. Lo fecero dunque venire, e gli domandarono se ciò che aveva deposto era vero, e
se non si rammentava d'altro. Confermò il primo detto, ma non trovò nulla da
aggiungerci. |
Allora gli dissero che ha molto dell'inuerisimile
che tra lui et detto barbiero non sia passata altra negotiatione di quella che ha deposto,
trattandosi di negotio tanto grave, il quale non si commette a persone per eseguirlo, se
non con grande et confidente negotiatione, et non alla fugita, come lui depone. |
L'osservazione era giusta, ma veniva tardi. Perché non
farla alla prima, quando il Piazza depose la cosa in que' termini? Perché una cosa tale
chiamarla verità? Che avessero il senso del verisimile così ottuso, così lento,
da volerci un giorno intero per accorgersi che lì non c'era? Essi? Tutt'altro. L'avevan
delicatissimo, anzi troppo delicato. Non eran que' medesimi che avevan trovato, e
immediatamente, cose inverisimili che il Piazza non avesse sentito parlare
dell'imbrattamento di via della Vetra, e non sapesse il nome de' deputati d'una
parrocchia? E perché in un caso così sofistici, in un altro così correnti? |
Il perché lo sapevan loro, e Chi sa tutto; quello che
possiamo vedere anche noi è che trovaron l'inverisimiglianza, quando poteva essere un
pretesto alla tortura del Piazza; non la trovarono quando sarebbe stata un ostacolo troppo
manifesto alla cattura del Mora. |
Abbiam visto, è vero, che la deposizion del primo,
come radicalmente nulla, non poteva dar loro alcun diritto di venire a ciò. Ma poiché
volevano a ogni modo servirsene, bisognava almeno conservarla intatta. Se gli avessero
dette la prima volta quelle parole: ha molto dell'inverisimile; se lui non avesse
sciolta la difficoltà, mettendo il fatto in forma meno strana, e senza contradire al già
detto (cosa da sperarsi poco); si sarebbero trovati al bivio, o di dover lasciare stare il
Mora, o di carcerarlo dopo avere essi medesimi protestato, per dir così, anticipatamente
contro un tal atto. |
L'osservazione fu accompagnata da un avvertimento
terribile. Et perciò se non si risoluerà di dire interamente la verità, come ha
promesso, se gli protesta che non se gli seruarà l'impunità promessa, ogni volta che si
trovi diminuta la suddetta sua confessione, et non intiera di tutto quello è passato tra
di lui et il suddetto Barbiero, et per il contrario, dicendo la verità se gli servarà
l'impunità promessa. |
E qui si vede, come avevamo accennato sopra, cosa poté
servire ai giudici il non ricorrere al governatore per quell'impunità. Concessa da
questo, con autorità regia e riservata, con un atto solenne, e da inserirsi nel processo,
non si poteva ritirarla con quella disinvoltura. Le parole dette da un auditore si
potevano annullare con altre parole. |
Si noti che l'impunità per il Baruello fu chiesta al
governatore il 5 di settembre, cioè dopo il supplizio del Piazza, del Mora, e di qualche
altro infelice. Si poteva allora mettersi al rischio di lasciarne scappar qualcheduno: la
fiera aveva mangiato, e i suoi ruggiti non dovevan più esser così impazienti e
imperiosi. |
A quell'avvertimento, il commissario dovette, poiché
stava fermo nel suo sciagurato proposito, aguzzar l'ingegno quanto poteva, ma non seppe
far altro che ripeter la storia di prima. Dirò a V.S.: due dì auanti che mi dasse
l'onto, era il detto Barbiero sul corso di Porta Ticinese, con tre d'altri in compagnia;
et vedendomi passare, mi disse: Commissario, ho un onto da darvi; io gli dissi: volete
darmelo adesso? lui mi disse di no, et all'hora non mi disse l'effetto che doueua fare il
detto onto; ma quando me lo diede poi, mi disse ch'era onto da ongere le muraglie, per far
morire la gente; né io gli dimandai se lo haueua provato. Se non che la prima volta
aveva detto: lui non mi disse niente; m'imagino bene che detto onto fosse velenato; la
seconda: mi disse ch'era per far morire la gente. Ma senza farsi caso d'una tal
contradizione, gli domandano chi erano quelli che erano con detto Barbiero, et come
erano vestiti. |
Chi fossero, non lo sa; sospetta che dovessero essere
vicini del Mora; come fossero vestiti, non se ne rammenta; solo mantiene che è vero tutto
ciò che ha deposto contro di lui. Interrogato se è pronto a sostenerglielo in faccia,
risponde di sì. È messo alla tortura, per purgar l'infamia, e perché possa fare indizio
contro quell'infelice. |
I tempi della tortura sono, grazie al cielo, abbastanza
lontani, perché queste formole richiedano spiegazione. Una legge romana prescriveva che
"la testimonianza d'un gladiatore o di persona simile, non valesse senza i
tormenti(58)". La giurisprudenza aveva poi determinate, sotto il titolo d'infami, le
persone alle quali questa regola dovesse applicarsi; e il reo, confesso o convinto,
entrava in quella categoria. Ecco dunque in che maniera intendevano che la tortura
purgasse l'infamia. Come infame, dicevano, il complice non merita fede; ma quando affermi
una cosa contro un suo interesse forte, vivo, presente, si può credere che la verità sia
quella che lo sforzi ad affermare. Se dunque, dopo che un reo s'è fatto accusatore
d'altri, gli s'intima, o di ritrattar l'accusa, o di sottoporsi ai tormenti, e lui
persiste nell'accusa; se, ridotta la minaccia ad effetto, persiste anche ne' tormenti, il
suo detto diventa credibile: la tortura ha purgato l'infamia, restituendo a quel detto
l'autorità che non poteva avere dal carattere della persona. |
E perché dunque non avevan fatta confermare al Piazza
ne' tormenti la prima deposizione? Fu anche questo per non mettere a cimento quella
deposizione, così insufficiente, ma così necessaria alla cattura del Mora? Certo una
tale omissione rendeva questa ancor più illegale: giacché era bensì ammesso che
l'accusa dell'infame, non confermata ne' tormenti, potesse dar luogo, come qualunque altro
più difettoso indizio, a prendere informazioni, ma non a procedere contro la persona(59)
. E riguardo alla consuetudine del foro milanese, ecco quel che attesta il Claro in forma
generalissima: "Affinché il detto del complice faccia fede, è necessario che sia
confermato ne' tormenti, perché, essendo lui infame a cagion del suo proprio delitto, non
può essere ammesso come testimonio, senza tortura; e così si pratica da noi: et ita
apud nos servatur(60) ". |
Era dunque legale almeno la tortura data al commissario
in quest'ultimo costituto? No, certamente: era iniqua, anche secondo le leggi, poiché
gliela davano per convalidare un'accusa che non poteva diventar valida con nessun mezzo, a
cagion dell'impunità da cui era stata promossa. E si veda come gli avesse avvertiti a
proposito il loro Bossi. "Essendo la tortura un male irreparabile, si badi bene di
non farla soffrire in vano a un reo in casi simili, cioè quando non ci siano altre
presunzioni o indizi del delitto.(61) " |
Ma che? facevan dunque contro la legge, a dargliela, e
a non dargliela? Sicuro; e qual maraviglia che chi s'è messo in una strada falsa, arrivi
a due che non son buone, né l'una né l'altra? |
Del resto, è facile indovinare che la tortura datagli
per fargli ritrattare un'accusa, non dovette esser così efficace come quella datagli per
isforzarlo ad accusarsi. Infatti, non ebbero questa volta a scrivere esclamazioni, a
registrare urli né gemiti: sostenne tranquillamente la sua deposizione. |
Gli domandaron due volte perché non l'avesse fatta ne'
primi costituti. Si vede che non potevan levarsi dalla testa il dubbio, e dal cuore il
rimorso, che quella sciocca storia fosse un'ispirazion dell'impunità. Rispose: fu per
l'impedimento dell'aqua che ho detto che haueuo beuuta.Avrebbero certamente desiderato
qualcosa di più concludente; ma bisognava contentarsi. Avevan trascurati, che dico?
schivati, esclusi, tutti i mezzi che potevan condurre alla scoperta della verità: delle
due contrarie conclusioni che potevan risultare dalla ricerca, n'avevan voluta una, e
adoprato, prima un mezzo, poi un altro, per ottenerla a qualunque costo: potevan
pretendere di trovarci quella soddisfazione che può dar la verità sinceramente cercata?
Spegnere il lume è un mezzo opportunissimo per non veder la cosa che non piace, ma non
per veder quella che si desidera. |
Calato dalla fune, e mentre lo slegavano, il
commissario disse: Signore, vi voglio un puoco pensar sino a dimani, et dirò poi
quello d'auantaggio, che mi ricordarò, tanto contro di lui, quanto d'altri. |
Mentre poi lo riconducevano in carcere, si fermò,
dicendo: ho non so che da dire; e nominò come gente amica del Mora, e pochi di buono,
quel Baruello, e due foresari(62) ,Girolamo e Gaspare Migliavacca, padre e figlio. |
Così lo sciagurato cercava di supplir col numero delle
vittime alla mancanza delle prove. Ma coloro che l'avevano interrogato, potevano non
accorgersi che quell'aggiungere era una prova di più che non aveva che rispondere? Eran
loro che gli avevan chiesto delle circostanze che rendessero verisimile il fatto; e chi
propone la difficoltà, non si può dir che non la veda. Quelle nuove denunzie in aria, o
que' tentativi di denunzie volevan dire apertamente: voi altri pretendete ch'io vi renda
chiaro un fatto; come è possibile, se il fatto non è? Ma, in ultimo, quel che vi preme
è d'aver delle persone da condannare: persone ve ne do; a voi tocca a cavarne quel che vi
bisogna. Con qualcheduno vi riuscirà: v'è pur riuscito con me. |
Di que' tre nominati dal Piazza, e d'altri che, andando
avanti, furon nominati con ugual fondamento, e condannati con ugual sicurezza, non faremo
menzione, se non in quanto potrà esser necessario alla storia di lui e del Mora (i quali,
per essere i primi caduti in quelle mani, furono riguardati sempre come i principali
autori del delitto); o in quanto ne esca qualcosa degna di particolare osservazione.
Omettiamo pure in questo luogo, come faremo altrove, de' fatti secondari e incidenti, per
venir subito al secondo esame del Mora; che fu in quel giorno medesimo. |
In mezzo a varie domande, sul suo specifico, sul ranno,
su certe lucertole che aveva fatto prender da de' ragazzi, per comporne un medicamento di
que' tempi (domande alle quali soddisfece come un uomo che non ha nulla da nascondere né
da inventare), gli metton lì i pezzi di quella carta che aveva stracciata nell'atto della
visita. La riconosco,disse, per quella scrittura che io strazziai
inauertentamente; et si potranno li pezzetti congregar insieme, per veder la continenza,
et mi verrà ancora a memoria da chi mi sij stata data. |
Passaron poi a fargli un'interrogazione di questa
sorte: in che modo, non hauendo più che tanta amicitia con il detto Commissario
chiamato Gulielmo Piazza, come ha detto nel precedente suo esame, esso Commissario con
tanta libertà gli ricercò il suddetto vaso di preseruatiuo; et lui Constituto, con tanta
libertà et prestezza, si offerse di darglielo, et l'interpellò di andarlo a pigliare,
come nell'altro suo esame ha deposto. |
Ecco che torna in campo la misura stretta della
verisimiglianza. Quando il Piazza asserì per la prima volta, che il barbiere, suo
amico di bon dì e bon anno, con quella medesima libertà eprestezza,gli aveva
offerto un vasetto per far morire la gente, non gli fecero difficoltà; la fanno a chi
asserisce che si trattava d'un rimedio. Eppure, si devono naturalmente usar meno riguardi
nel cercare un complice necessario a una contravvenzion leggiera, e per una cosa in sé
onestissima, che a cercarlo, senza necessità, per un attentato pericoloso quanto
esecrabile: e non è questa una scoperta che si sia fatta in questi due ultimi secoli. Non
era l'uomo del secento che ragionava così alla rovescia: era l'uomo della passione. Il
Mora rispose: io lo feci per l'interesse. |
Gli domandano poi se conosce quelli che il Piazza aveva
nominati; risponde che li conosce, ma non è loro amico, perché son certa gente da
lasciarli fare il fatto suo. Gli domandano se sa chi avesse fatto quell'imbrattamento
di tutta la città; risponde di no. Se sa da chi il commissario abbia avuto l'unguento per
unger le muraglie: risponde ancora di no. |
Gli domandan finalmente: se sa che persona alcuna,
con offerta de danari, habbi ricercato il detto Commissario ad ontar le muraglie della
Vedra de' Cittadini, et che per così fare, li habbi poi dato un vasetto di vetro con
dentro tal onto. Rispose, chinando la testa, e abbassando la voce (flectens caput,
et submissa voce): non so niente. |
Forse soltanto allora cominciava a vedere a che strano
e orribil fine potesse riuscire quel rigirìo di domande. E chi sa in che maniera sarà
stata fatta questa da coloro, che, incerti, volere o non volere, della loro scoperta,
tanto più dovevano accennar di saperne, e mostrarsi anticipatamente forti contro le
negative che prevedevano. I visi e gli atti che facevan loro, non li notavano. Andaron
dunque avanti a domandargli direttamente: se lui Constituto ha ricercato il suddetto
Gulielmo Piazza Commissario della Sanità ad ongere le muraglie lì a torno alla Vedra de'
Cittadini, et per così fare se gli ha dato un vasetto di vetro con dentro l'onto che
doueua adoperare; con promessa di dargli ancora una quantità de danari. |
Esclamò, più che non rispose: Signor no!
maidè(63) no! no in eterno! far io queste cose? Son parole che può dire un colpevole,
quanto un innocente; ma non nella stessa maniera. |
Gli fu replicato, che cosa dirà poi quando dal
suddetto Gulielmo Piazza Commissario della Sanità, gli sarà questa verità sostenuta in
faccia. |
Di nuovo questa verità!Non conoscevan la cosa
che per la deposizione d'un supposto complice; a questo avevan detto essi medesimi, il
giorno medesimo, che, come la raccontava lui, haueua molto dell'inverisimile;lui
non ci aveva saputo aggiungere neppure un'ombra di verisimiglianza, se la contradizione
non ne dà; e al Mora dicevano francamente: questa verità!Era, ripeto, rozzezza
de' tempi? era barbarie delle leggi? era ignoranza? era superstizione? O era una di quelle
volte che l'iniquità si smentisce da sé? |
Il Mora rispose: quando mi dirà questo in faccia,
dirò che è un infame, et che non può dire questo, perché non ha mai parlato con me di
tal cosa, et guardimi Dio! |
Si fa venire il Piazza, e, alla presenza del Mora, gli
si domanda, tutto di seguito, se è vero questo e questo e questo; tutto ciò che ha
deposto. Risponde: Signor sì, che è vero. Il povero Mora grida: ah Dio
misericordia! non si trouarà mai questo. |
Il commissario: io sono a questi termini, per
sostentarui voi. |
Il Mora: non si trouarà mai, non prouarete mai
d'esser stato a casa mia. |
Il commissario: non fossi mai stato in casa vostra,
come vi son stato; che sono a questi termini per voi. |
Il Mora: non si trouarà mai che siate stato a casa
mia. |
Dopo di ciò, furon rimandati, ognuno nel suo carcere. |
Il capitano di giustizia, nella lettera al governatore,
più volte citata, rende conto di quel confronto in questi termini: "Il Piazza
animosamente gli ha sostenuto in faccia, esser vero ch'egli riceuè da lui tale unguento,
con le circostanze del luogo e del tempo." Lo Spinola dovette credere che il Piazza
avesse specificate queste circostanze, contradittoriamente col Mora; e tutto quel
sostenere animosamente si riduceva in realtà a un Signor sì, che è vero. |
La lettera finisce con queste parole: "Si vanno
facendo altre diligenze per scoprire altri complici, o mandanti. Fratanto ho voluto che
quello che passa fosse inteso da V.E.,alla quale humilmente bacio le mani, et auguro
prospero fine delle sue imprese." Probabilmente ne furono scritte altre, che sono
perdute. In quanto all'imprese, l'augurio andò a vòto. Lo Spinola, non ricevendo
rinforzi, e disperando ormai di prender Casale, s'ammalò, anche di passione, verso il
principio di settembre, e morì il 25, mancando sull'ultimo all'illustre soprannome di
prenditor di città, acquistato nelle Fiandre, e dicendo (in ispagnolo): m'han levato
l'onore. Gli avevan fatto peggio, col dargli un posto a cui erano annesse tante
obbligazioni, delle quali pare che a lui ne premesse solamente una: e probabilmente non
gliel avevan dato che per questa. |
Il giorno dopo il confronto, il commissario chiese
d'esser sentito; e, introdotto, disse: il Barbiero ha detto ch'io non sono mai stato a
casa sua; perciò V.S. esamini Baldassar Litta, che sta nella casa dell'Antiano, nella
Contrada di S. Bernardino, et Stefano Buzzio, che fa il tintore, et sta nel portone per
contro S. Agostino, presso S. Ambrogio, li quali sono informati ch'io sono stato nella
casa et bottega di detto Barbiero. |
Era venuto a fare una tal dichiarazione, di suo proprio
impulso? O era un suggerimento fattogli dare da' giudici? Il primo sarebbe strano, e
l'esito lo farà vedere; del secondo c'era un motivo fortissimo. Volevano un pretesto per
mettere il Mora alla tortura; e tra le cose che, secondo l'opinione di molti dottori,
potevan dare all'accusa del complice quel valore che non aveva da sé, e renderla indizio
sufficiente alla tortura del nominato, una era che tra loro ci fosse amicizia. Non però
un'amicizia, una conoscenza qualunque; perché, "a intenderla così," dice il
Farinacci, "ogni accusa d'un complice farebbe indizio, essendo troppo facile che il
nominante conosca il nominato in qualche maniera; ma bensì un praticarsi stretto e
frequente, e tale da render verisimile che tra loro si sia potuto concertare il
delitto(64) ". Per questo avevan domandato da principio al commissario, se detto
Barbiero è amico di lui Constituto.Ma il lettore si rammenta della risposta che
n'ebbero: amico sì, buon dì buon anno. L'intimazione minacciosa fattagli
poi, non aveva prodotto niente di più; e quello che avevan cercato come un mezzo, era
diventato un ostacolo. È vero che non era, né poteva diventar mai un mezzo legittimo né
legale, e che l'amicizia più intima e più provata non avrebbe potuto dar valore a
un'accusa resa insanabilmente nulla dalla promessa d'impunità. Ma a questa difficoltà,
come a tante altre che non risultavano materialmente dal processo, ci passavan sopra:
quella, l'avevan messa in evidenza essi medesimi con le loro domande; e bisognava veder di
levarla. Nel processo son riferiti discorsi di carcerieri, di birri e di carcerati per
altri delitti, messi in compagnia di quegl'infelici, per cavar loro qualcosa di bocca.È
quindi più che probabile che abbiano, con uno di questi mezzi, fatto dire al commissario,
che la sua salvezza poteva dipendere dalle prove che desse della sua amicizia col Mora; e
che lo sciagurato, per non dir che non n'aveva, sia ricorso a quel partito, al quale non
avrebbe mai pensato da sé. Perché, quale assegnamento potesse fare sulla testimonianza
de' due che aveva citati, si vede dalle loro deposizioni. Baldassare Litta, interrogato se
ha mai visto il Piazza in casa o in bottega del Mora, risponde: signor, no.Stefano
Buzzi, interrogato se sa che tra il detto Piazza et Barbiero vi passi alcuna amicitia,
risponde: può essere che siano amici, et che si salutassero; ma questo non lo saprei
mai dire a V.S.Interrogato di nuovo se sa che il detto Piazza sia mai stato in casa
o bottega del detto Barbiero, risponde: non lo saprei mai dire a V.S. |
Vollero poi sentire un altro testimonio, per verificare
una circostanza asserita dal Piazza nella sua deposizione; cioè che un certo Matteo Volpi
s'era trovato presente, quando il barbiere gli aveva detto: ho poi da darvi un non so
che. Questo Volpi, interrogato su di ciò, non solo risponde di non ne saper nulla,
ma, redarguito, aggiunge risolutamente: io giurarò che non ho mai visto che si
siano parlati insieme. |
Il giorno seguente, 30 di giugno, fu sottomesso il Mora
a un nuovo esame; e non s'indovinerebbe mai come lo principiassero. |
Che dica per qual causa lui Constituto, nell'altro
suo esame, mentre fu confrontato con Gulielmo Piazza Commissario della Sanità, ha negato
a pena hauer cognitione di lui, dicendo che mai fu in casa sua, cosa però che in
contrario gli fu sostenuta in faccia; et pure, nel primo suo esame mostra d'hauere piena
sua cognitione, cosa che ancor depongono altri nel processo formato; il che ancora si
conosce per vero dalla prontezza sua in offerirli, et apparecchiarli il vaso di
preseruatiuo, deposto nel suo precedente esame. |
Risponde: è ben vero che detto Commissario passa da
lì spesso dalla mia bottega; ma non ha prattica di casa mia, né di me. |
Replicano: che non solo è contrario al suo primo
esame, ma ancora alla depositione d'altri testimonij... |
Qui è superflua qualunque osservazione. |
Non osaron però di metterlo alla tortura sulla
deposizion del Piazza, ma che fecero? ricorsero all'espediente degl'inverisimili; e, cosa
da non credersi, uno fu il negar che faceva d'avere amicizia col Piazza, e che questo
praticasse in casa sua; mentre asseriva d'avergli promesso il preservativo! L'altro che
non rendesse un conto soddisfacente del perché aveva fatta in pezzi quella scrittura.
Ché il Mora seguitava a dire d'averlo fatto senza badarci, e non credendo che una tal
cosa potesse importare alla giustizia; o che temesse, povero infelice! d'aggravarsi
confessando che l'aveva fatto per trafugar la prova d'una contravvenzione, o che infatti
non sapesse ben render conto a sé stesso di ciò che aveva fatto in que' primi momenti di
confusione e di spavento. Ma sia come si sia, que' pezzi gli avevano: e se credevano che
in quella scrittura ci potesse esser qualche indizio del delitto, potevan rimetterla
insieme, e leggerla come prima: il Mora stesso gliel aveva suggerito. Anzi, chi mai
crederà che non l'avessero già fatto? |
Intimaron dunque al Mora, con minaccia della tortura,
che dicesse la verità su que' due punti. Rispose: già ho detto quello che passa
intorno alla scrittura; et puole il Commissario dir quello che vole, perché dice
un'infamità, perché io non gli ho dato niente. |
Credeva (e non doveva crederlo?) che questa fosse in
ultimo la verità che volevan da lui; ma no signore; gli dicono che non se gli ricerca
questa particolarità, perché sopra di essa non s'interroga, né si vole per adesso altra
verità da lui, che di sapere il fine perché ha scarpato (stracciato) la detta scrittura,
et perché ha negato et neghi che il detto Commissario sia stato alla bottega sua,
mostrando quasi di non hauer cognitione di lui. |
Non si troverebbe, m'immagino, così facilmente un
altro esempio d'un così sfrontatamente bugiardo rispetto alle formalità legali. Essendo
troppo manifestamente mancante il diritto d'ordinar la tortura per l'oggetto principale,
anzi unico, dell'accusa, volevano far constare ch'era per altro. Ma il mantello
dell'iniquità è corto; e non si può tirarlo per ricoprire una parte, senza scoprirne
un'altra. Compariva così di più, che non avevano, per venire a quella violenza, altro
che due iniquissimi pretesti: uno dichiarato tale in fatto da loro medesimi, col non voler
chiarirsi di ciò che contenesse la scrittura; l'altro, dimostrato tale, e peggio, dalle
testimonianze con cui avevan tentato di farlo diventare indizio legale. |
Ma si vuol di più? Quand'anche i testimoni avessero
pienamente confermato il secondo detto del Piazza su quella circostanza particolare e
accessoria; quand'anche non ci fosse stata di mezzo l'impunità; la deposizion di costui
non poteva più somministrare nessun indizio legale. "Il complice che varia e si
contradice nelle sue deposizioni, essendo perciò anche spergiuro, non può fare, contro i
nominati, indizio alla tortura... anzi nemmeno all'inquisizione... e questa si può dire
dottrina comunemente ricevuta dai dottori.(65) " |
Il Mora fu messo alla tortura! |
L'infelice non aveva la robustezza del suo
calunniatore. Per qualche tempo però, il dolore non gli tirò fuori altro che grida
compassionevoli, e proteste d'aver detta la verità. Oh Dio mio; non ho cognitione di
colui, né ho mai hauuto pratica con lui, et per questo non posso dire... et per questo
dice la bugia che sia praticato in casa mia, né che sia mai stato nella mia bottega. Son
morto! misericordia, mio Signore! misericordia! Ho stracciato la scrittura, credendo fosse
la ricetta del mio elettuario... perché voleuo il guadagno io solamente. |
Questa non è causa sufficiente, gli dissero.
Supplicò d'esser lasciato giù, che direbbe la verità! Fu lasciato giù, e disse: La
verità è che il Commissario non ha pratica alcuna meco. Fu ricominciato e
accresciuto il tormento: alle spietate istanze degli esaminatori, l'infelice rispondeva: V.S.
veda quello che vole che dica, lo dirò: la risposta di Filota a chi lo faceva
tormentare, per ordine d'Alessandro il grande, "il quale stava ascoltando pur
anch'esso dietro ad un arazzo(66) ": dic quid me velis dicere(67) è la
risposta di chi sa quant'altri infelici. |
Finalmente, potendo più lo spasimo che il ribrezzo di
calunniar sé stesso, che il pensiero del supplizio, disse: ho dato un vasetto pieno di
brutto, cioè sterco, acciò imbrattasse le muraglie, al Commissario. V.S. mi lasci giù,
che dirò la verità. |
Così eran riusciti a far confermare al Mora le
congetture del birro, come al Piazza l'immaginazioni della donnicciola; ma in questo
secondo caso con una tortura illegale, come nel primo con un'illegale impunità. L'armi
eran prese dall'arsenale della giurisprudenza; ma i colpi eran dati ad arbitrio, e a
tradimento. |
Vedendo che il dolore produceva l'effetto che avevan
tanto sospirato, non esaudiron la supplica dell'infelice, di farlo almeno cessar subito.
Gl'intimarono che cominci a dire. |
Disse: era sterco humano, smojazzo(ranno; ed
ecco l'effetto di quella visita della caldaia, cominciata con tanto apparato, e troncata
con tanta perfidia); perché me lo domandò lui, cioè il Commissario, per imbrattare
le case, et di quella materia che esce dalla bocca dei morti, che son sui carri.E
nemmen questo era un suo ritrovato. In un esame posteriore, interrogato dove ha
imparato tal sua compositione, rispose: diceuano così in barbarìa, che si adoperaua di
quella materia che esce dalla bocca de' morti... et io m'ingegnai ad aggiongervi la
lisciuia et il sterco. Avrebbe potuto rispondere: da' miei assassini, ho imparato; da
voi altri e dal pubblico. |
Ma c'è qui qualche altra cosa di molto strano. Come
mai uscì fuori con una confessione che non gli avevan richiesta, che avevano anzi esclusa
da quell'esame, dicendogli che non se gli ricerca questa particolarità, perché sopra
di essa non s'interroga?Poiché il dolore lo strascinava a mentire, par naturale che
la bugia dovesse stare almeno ne' limiti delle domande. Poteva dire d'essere amico
intrinseco del commissario; poteva inventar qualche motivo colpevole, aggravante,
dell'avere stracciata la scrittura; ma perché andar più in là di quello che lo
spingevano? Forse, mentre era sopraffatto dallo spasimo, gli andavan suggerendo altri
mezzi per farlo finire? gli facevano altre interrogazioni, che non furono scritte nel
processo? Se fosse così, potremmo esserci ingannati noi a dir che avevano ingannato il
governatore col lasciargli credere che il Piazza fosse stato interrogato sul delitto. Ma
se allora non abbiam messo in campo il sospetto che la bugia fosse nel processo, piuttosto
che nella lettera, fu perché i fatti non ce ne davano un motivo bastante. Ora è la
difficoltà d'ammettere un fatto stranissimo, che ci sforza quasi a fare una supposizione
atroce, in aggiunta di tante atrocità evidenti. Ci troviam, dico, tra il credere che il
Mora s'accusasse, senza esserne interrogato, d'un delitto orribile, che non aveva
commesso, che doveva procacciargli una morte spaventosa, e il congetturar che coloro,
mentre riconoscevan col fatto di non avere un titolo sufficiente di tormentarlo per fargli
confessar quel delitto, profittassero della tortura datagli con un altro pretesto, per
cavargli di bocca una tal confessione. Veda il lettore quel che gli pare di dovere
scegliere. |
L'interrogatorio che succedette alla tortura fu, dalla
parte de' giudici, com'era stato quello del commissario dopo la promessa d'impunità, un
misto o, per dir meglio, un contrasto d'insensatezza e d'astuzia, un moltiplicar domande
senza fondamento, e un ometter l'indagini più evidentemente indicate dalla causa, più
imperiosamente prescritte dalla giurisprudenza. |
Posto il principio che "nessuno commette un
delitto senza cagione"; riconosciuto il fatto che "molti deboli d'animo avevan
confessato delitti che poi, dopo la condanna, e al momento del supplizio, avevan
protestato di non aver commessi, e s'era trovato infatti, quando non era più tempo, che
non gli avevan commessi", la giurisprudenza aveva stabilito che "la confessione
non avesse valore, se non c'era espressa la cagione del delitto, e se questa cagione non
era verisimile e grave, in proporzion del delitto medesimo(68) ". Ora,
l'infelicissimo Mora, ridotto a improvvisar nuove favole, per confermar quella che doveva
condurlo a un atroce supplizio, disse, in quell'interrogatorio, che la bava de' morti di
peste l'aveva avuta dal commissario, che questo gli aveva proposto il delitto, e che il
motivo del fare e dell'accettare una proposta simile era che, ammalandosi, con quel mezzo,
molte persone, avrebbero guadagnato molto tutt'e due: uno, nel suo posto di commissario;
l'altro, con lo spaccio del preservativo. Non domanderemo al lettore se, tra l'enormità e
i pericoli d'un tal delitto, e l'importanza di tali guadagni (ai quali, del resto, gli
aiuti della natura non mancavan di certo), ci fosse proporzione. Ma se credesse che que'
giudici, per esser del secento, ce la trovassero, e che una tal cagione paresse loro
verisimile, li sentirà essi medesimi dir di no, in un altro esame. |
Ma c'era di più: c'era contro la cagione addotta dal
Mora una difficoltà più positiva, più materiale, se non più forte. Il lettore può
rammentarsi che il commissario, accusando sé stesso, aveva addotta anche lui la cagione
da cui era stato mosso al delitto; cioè che il barbiere gli aveva detto: ungete... et
poi venete da me, che hauerete una mano, o come disse nel costituto seguente, una
buona mano de danari. Ecco dunque due cagioni d'un solo delitto: due cagioni, non solo
diverse, ma opposte e incompatibili. l'uomo stesso che, secondo una confessione, offre
largamente danari per avere un complice; secondo l'altra, acconsente al delitto per la
speranza d'un miserabile guadagno. Dimentichiamo quel che s'è visto fin qui: come sian
venute fuori quelle due cagioni, con che mezzi si siano avute quelle due confessioni;
prendiam le cose al punto dove sono arrivate. Cosa facevano, trovandosi a un tal punto,
de' giudici ai quali la passione non avesse pervertita, offuscata, istupidita la
coscienza? Si spaventavano d'essere andati (foss'anche senza colpa) tanto avanti; si
consolavano di non essere almeno andati fino all'ultimo, all'irreparabile affatto; si
fermavano all'inciampo fortunato che gli aveva trattenuti dal precipizio; s'attaccavano a
quella difficoltà, volevano scioglier quel nodo; qui adopravan tutta l'arte, tutta
l'insistenza, tutti i rigiri dell'interrogazioni; qui ricorrevano ai confronti; non
facevano un passo prima d'aver trovato (ed era forse cosa difficile?) qual de' due
mentisse, o se forse mentissero tutt'e due. I nostri esaminatori, avuta quella risposta
del Mora: perché lui hauerebbe guadagnato assai, poiché si sarian ammalate delle
persone assai, et io hauerei guadagnato assai con il mio elettuario, passarono ad
altro. |
Dopo ciò, basterà, se non è anche troppo, il toccar
di fuga, e in parte, il rimanente di quel costituto. |
Interrogato, se vi sono altri complici di questo
negotio, risponde: vi saranno li suoi compagni del Piazza, i quali non so chi siano.
Gli si protesta che non è verisimile che non lo sappi.Al suono di quella parola,
terribile foriera della tortura, l'infelice afferma subito, nella forma più positiva: sono
li Foresari et il Baruello: quelli che gli erano stati nominati e così indicati, nel
costituto antecedente. |
Dice che il veleno lo teneva nel fornello, cioè dove
loro s'erano immaginati che potesse essere; dice come lo componeva, e conclude: buttavo
via il resto nella Vedra. Non possiam tenerci qui di non trascrivere una postilla del
Verri. "E non avrebbe gettato nella Vetra il resto, dopo la prigionia del
Piazza!" |
Risponde a caso ad altre domande che gli fanno su
circostanze di luogo, di tempo e di cose simili, come se si trattasse d'un fatto chiaro e
provato in sostanza, e non ci mancassero che delle particolarità; e finalmente, è messo
di nuovo alla tortura, affinché la sua deposizione potesse valer contro i nominati, e
segnatamente contro il commissario. Al quale avevan data la tortura per convalidare una
deposizione opposta a questa in punti essenziali! Qui non potremmo allegar testi di leggi,
né opinioni di dottori; perché in verità la giurisprudenza non aveva preveduto un caso
simile. |
La confessione fatta nella tortura non valeva, se non
era ratificata senza tortura, e in un altro luogo, di dove non si potesse vedere
l'orribile strumento, e non nello stesso giorno. Eran ritrovati della scienza, per
rendere, se fosse stato possibile, spontanea una confessione forzata, e soddisfare insieme
al buon senso, il quale diceva troppo chiaro che la parola estorta dal dolore non può
meritar fede, e alla legge romana che consacrava la tortura. Anzi la ragione di quelle
precauzioni, la ricavavano gl'interpreti dalla legge medesima, cioè da quelle strane
parole: "La tortura è cosa fragile e pericolosa e soggetta a ingannare; giacché
molti, per forza d'animo o di corpo, curan così poco i tormenti, che non si può, con un
tal mezzo, aver da loro la verità; altri sono così intolleranti del dolore, che dicon
qualunque falsità, piuttosto che sopportare i tormenti(69) ". Dico: strane parole,
in una legge che manteneva la tortura; e per intendere come non ne cavasse altra
conseguenza, se non che "ai tormenti non si deve creder sempre", bisogna
rammentarsi che quella legge era fatta in origine per gli schiavi, i quali, nell'abiezione
e nella perversità del gentilesimo, poterono esser considerati come cose e non persone, e
sui quali si credeva quindi lecito qualunque esperimento, a segno che si tormentavano per
iscoprire i delitti degli altri. De' nuovi interessi di nuovi legislatori la fecero poi
applicare anche alle persone libere; e la forza dell'autorità la fece durar tanti secoli
più del gentilesimo: esempio non raro, ma notabile, di quanto una legge, avviata che sia,
possa estendersi al di là del suo principio, e sopravvivergli. |
Per adempir dunque una tale formalità, chiamarono il
Mora a un nuovo esame, il giorno seguente. Ma siccome in tutto dovevan metter qualcosa
d'insidioso, d'avvantaggioso, di suggestivo, così, in vece di domandargli se intendeva di
ratificar la sua confessione, gli domandarono se ha cosa alcuna d'aggiongere all'esame
et confessione sua, che fece hieri, doppo che fu ommesso di tormentare.Escludevano il
dubbio: la giurisprudenza voleva che la confessione della tortura fosse rimessa in
questione; essi la davan per ferma, e chiedevan soltanto che fosse accresciuta. |
Ma in quell'ore (direm noi di riposo?) il sentimento
dell'innocenza, l'orror del supplizio, il pensiero della moglie, de' figli, avevan forse
data al povero Mora la speranza d'esser più forte contro nuovi tormenti; e rispose: Signor
no, che non ho cosa d'aggiongerui, et ho più presto cosa da sminuire.Dovettero pure
domandargli, che cosa ha da sminuire.Rispose più apertamente, e come prendendo
coraggio: quell'unguento che ho detto, non ne ho fatto minga (mica), et quello che ho
detto, l'ho detto per i tormenti.Gli minacciaron subito la rinnovazion della tortura;
e ciò (lasciando da parte tutte l'altre violente irregolarità) senza aver messe in
chiaro le contradizioni tra lui e il commissario, cioè senza poter dire essi medesimi se
quella nuova tortura gliel'avrebbero data sulla sua confessione, o sulla deposizion
dell'altro; se come a complice, o come a reo principale; se per un delitto commesso ad
istigazione altrui, o del quale era stato l'istigatore; se per un delitto che lui aveva
voluto pagar generosamente, o dal quale aveva sperato un miserabile guadagno. |
A quella minaccia, rispose ancora: replico che
quello che dissi hieri non è vero niente, et lo dissi per li tormenti. Poi riprese: V.S.
mi lasci un puoco dire un'Aue Maria, et poi farò quello che il Signore me inspirarà;
e si mise in ginocchio davanti a un'immagine del Crocifisso, cioè di Quello che doveva un
giorno giudicare i suoi giudici. Alzatosi dopo qualche momento, e stimolato a confermar la
sua confessione, disse: in conscienza mia, non è vero niente. Condotto subito
nella stanza della tortura, e legato, con quella crudele aggiunta del canapo,
l'infelicissimo disse: V.S. non mi stij a dar più tormenti, che la verità che ho
deposto, la voglio mantenere. Slegato e ricondotto nella stanza dell'esame, disse di
nuovo: non è vero niente. Di nuovo alla tortura, dove di nuovo disse quello che
volevano; e avendogli il dolore consumato fino all'ultimo quel poco resto di coraggio,
mantenne il suo detto, si dichiarò pronto a ratificar la sua confessione; non voleva
nemmeno che gliela leggessero. A questo non acconsentirono: scrupolosi nell'osservare una
formalità ormai inconcludente, mentre violavan le prescrizioni più importanti e più
positive. Lettogli l'esame, disse: è la verità tutto. |
Dopo di ciò, perseveranti nel metodo di non proseguir
le ricerche, di non affrontar le difficoltà, se non dopo i tormenti (ciò che la legge
medesima aveva creduto di dover vietare espressamente, ciò che Diocleziano e Massimiano
avevan voluto impedire!(70) ), pensaron finalmente a domandargli se non aveva avuto altro
fine che di guadagnar con la vendita del suo elettuario. Rispose: che sappia mi,
quanto a me, non ho altro fine. |
Che sappia mi!Chi, se non lui, poteva sapere
cosa fosse passato nel suo interno? Eppure quelle così strane parole erano adattate alla
circostanza: lo sventurato non avrebbe potuto trovarne altre che significassero meglio a
che segno aveva, in quel momento, abdicato, per dir così, sé medesimo, e acconsentiva a
affermare, a negare, a sapere quello soltanto, e tutto quello che fosse piaciuto a coloro
che disponevan della tortura. |
Vanno avanti, e gli dicono: che ha molto
dell'inuerisimile che, solamente per hauer occasione il Commissario di lavorare assai, et
lui Constituto di vendere il suo elettuario habbino procurato, con l'imbrattamento delle
porte, la destruttione et morte della gente; perciò dica a che fine, et per che rispetto
si sono mossi loro duoi a così fare, per un interesse così legiero. |
Ora vien fuori quest'inverisimiglianza? Gli avevan
dunque minacciata e data a più riprese la tortura per fargli ratificare una confessione
inverisimile! L'osservazione era giusta, ma veniva tardi, diremo anche qui; giacché il
rinnovarsi delle circostanze medesime, ci sforza quasi a usar le medesime parole. Come non
s'erano accorti che ci fosse inverisimiglianza nella deposizione del Piazza, se non quando
ebbero, su quella deposizione, carcerato il Mora; così ora non s'accorgono che ci sia
inverisimiglianza nella confession di questo, se non dopo avergli estorta una
ratificazione che, in mano loro, diventa un mezzo sufficiente per condannarlo. Vogliam
supporre che realmente non se n'accorgessero che in questo momento? Come spiegheremo
allora, come qualificheremo il ritener valida una tal confessione, dopo una tale
osservazione? Forse il Mora diede una risposta più soddisfacente che non fosse stata
quella del Piazza? La risposta del Mora fu questa: se il Commissario non lo sa lui, io
non lo so; et bisogna che lui lo sappia, et da lui V.S. lo saprà, per essere stato lui
l'inuentore. E si vede che questo rovesciarsi l'uno sull'altro la colpa principale,
non era tanto per diminuire ognuno la sua, quanto per sottrarsi all'impegno di spiegar
cose che non erano spiegabili. |
E dopo una risposta simile, g'intimarono che per
hauer lui Constituto fatto la suddetta compositione et unguento, di concerto del detto
Commissario, et a lui doppo dato per ontare le muraglie delle case, nel modo et forma da
lui Constituto et dal detto Commissario, deposto, a fine di far morire la gente, si come
il detto Commissario ha confessato d'hauere per tal fine eseguito, esso Constituto si fa
reo d'hauer procurato in tal modo la morte della gente, et che per hauer così fatto, sij
incorso nelle pene imposte dalle leggi a chi procura et tenta di così fare. |
Ricapitoliamo. I giudici dicono al Mora: come è
possibile che vi siate determinati a commettere un tal delitto, per un tal interesse? Il
Mora risponde: il commissario lo deve sapere, per sé, e per me: domandatene a lui. Li
rimette a un altro, per la spiegazione d'un fatto dell'animo suo, perché possan chiarirsi
come un motivo sia stato sufficiente a produrre in lui una deliberazione. E a qual altro?
A uno che non ammetteva un tal motivo, poiché attribuiva il delitto a tutt'altra cagione.
E i giudici trovano che la difficoltà è sciolta, che il delitto confessato dal Mora è
diventato verisimile; tanto che ne lo costituiscono reo. |
Non poteva esser l'ignoranza quella che faceva loro
vedere inverisimiglianza in un tal motivo; non era la giurisprudenza quella che li portava
a fare un tal conto delle condizioni trovate e imposte dalla giurisprudenza. |
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