TRE CROCI
di Federigo Tozzi
..
CAPITOLO VI Chiarina e Lola, crescendo,
si volevano sempre più bene. Tutte e due bruttine,
nàchere e tracagnotte, troppo grasse; e si assomigliavano. Chiarina la maggiore.
Vestivano alla buona, cucendo da sé; e di grazioso non avevano niente. Si parlavano
sempre sottovoce, anche se erano sole; perché credevano che avessero da dirsi cose troppo
insulse; da nascondere. Quando la zia le sorprendeva a parlarsi, facevano una risatina; e,
con gli occhi, si raccomandavano di non confessare. Ma nascondevano soltanto il loro
pudore e la loro innocenza. E si promettevano sempre di non parlarsi più a quel modo;
quantunque, specie certi giorni, la loro amicizia avesse bisogno di sottrarsi a chiunque.
Erano contente di pensare a cose eguali; e avevano fatto proponimento, giurando, di essere
sempre così; non desiderando un'altra fortuna migliore. A tutte e due piacevano le
passeggiate in campagna. E la zia, sebbene non più di due volte la settimana, le portava
fuori di città, per una strada solitaria e quieta. Dovevano passare davanti
alla loro Scuola Normale; e allora davano un'occhiata dentro la porta; per vedere se ci
fosse la direttrice a salutare qualcuna del convitto, che i parenti erano andati a
prendere. Dando quell'occhiata, sghignazzavano e camminavano più leste; arrivando a Porta
Tufi quando la zia stava ancora a metà della scesa. Si voltavano, tenendosi a
braccetto, per guardare il muraglione, a mattoni, del giardino della scuola; in cima al
quale s'attacca una pianta d'edera; sbrandellandosi. Di fronte, un muro più basso fatica
a reggere un campo; che quasi strabocca. Sopra l'arco della Porta, di fuori, una meridiana
vecchia e stinta; senza il ferro. Un arco più alto, fatto di pietre grigie; chiuso quando
riadattarono l'entrata. Da ambedue le parti, congiunte alla Porta, cominciano due
muraglie; d'un rosso scuro, con qualche chiazza giallastra; e, dietro a quelle, viti e
olivi. Non c'era mai nessun rumore; ed elle facevano un passo più nel mezzo della strada
quando all'improvviso sentivano il fruscìo di una scala messa da qualche contadino tra i
rami di un fico. Una delle muraglie, dopo un cancello di legno, coperto sotto un piccolo
tetto a doppio pendìo, termina a un caseggiato d'un rosso cupo, con le finestre anguste,
fino al Cimitero della Misericordia. Ma le due giovinette, dopo averlo domandato alla zia,
prendevano sempre la Strada del Mandorlo. E allora, tra gli olivi, dietro un muricciolo
basso, sul quale ci si può anche mettere seduti, si ricomincia a vedere Siena. Quando Chiarina e Lola si
soffermarono lì, ad aspettare la zia, il cielo era tutto cinereo, ma chiaro; e il sole
faceva doventare abbarbagliante la nebbia dove restava ficcato. La campagna, sotto il
Monte Amiata, sempre più sbiadita e uniforme. I contorni dei poggi si attenuavano, quasi
sparendo. Anche i cipressi si velavano; meno che quelli vicini. Le mura della cinta
cascano dentro la terra gialla, tra l'erba delle grosse greppaie. E Siena strapiomba su un
rialzo alto, separata dalla sua cinta che in quel punto è quasi dritta; mentre, verso la
Porta San Marco, stramba a saliscendi. Dalle case della città esce fuori soltanto il
campanile del Carmine; a punta. Seguitando la china,
sentivano i loro passi risonare; perché la strada si fa più stretta tra i suoi muri
sempre più alti. La poggiaia fuori di Porta Romana s'appiana, aprendosi con le sue
campagne sparse da per tutto. Più in là, ma come della stessa altezza, i poggi azzurri,
dopo una striscia violacea; con le file nere dei cipressi. Giunsero, quasi senza più
parlare, ad una villa con la facciata scolorita dall'umidità; con una finestra finta e le
persiane verdi; con rappezzature fatte a calce, come patacche bianche. Incontrarono un
portalettere sciancato; con la pipa in bocca; volta in giù; con la borsa logora a
tracolla ed una fazzolettata di chiocciole in mano. Chiarina e Lola fecero le
boccacce. Poi, incontrarono due preti: uno basso, tarpagno; e un altro secco come un
nocciolo d'oliva. E alle due sorelle venne da ridere. Poi, giunsero ad un'altra
casa, tenuta su, perché non franasse, con certi rinforzi di mattoni, a pendìo, che
arrivavano al tetto. Aveva la facciata gialleggiante di licheni. Ora, i muri della strada
erano tutti storti e piegati; sbilenchi; con rigonfiature che si spaccano come se fossero
per sfiancarsi. Elle si misero a
canticchiare; ma, stonando e non andando a tempo, dovevano sempre rifarsi da capo. Non
pensavano a niente; e la zia disse loro: - Non camminate troppo,
perché sudate. Lola chiese: - Non arriviamo fino alla
cappella? - È troppo lontana; poi,
per tornare a dietro, è salita. - Non t'impaurire. Ti
porteremo noi. Modesta ripensava al
contrasto del giorno avanti, con il marito e i cognati. Era stato uno sbaglio di lei che
avrebbe potuto finire in litigio. E benché se ne sentisse ancora pentita, era più serena
e sicura. Dunque, il suo istinto, questa volta, l'aveva ingannata. Ma le due sorelle volevano
fare la passeggiata più lunga, perché avevano da dirle un gran segreto; volevano anche
esserci preparate e vederla disposta bene. Veramente, a parlare, toccava a Chiarina;
perché il segreto riguardava lei; ma non ne erano ben certe. In due, si sarebbero fatte
coraggio meglio. Chiarina pregò Lola: - Diglielo tu. Appunto
perché si tratta di me, mi parrebbe d'essere troppo temeraria. - E, se per caso, mi
dovessi fidanzare io, che faresti tu? - Lo sai: glielo direi io.
Mi ci viene da piangere. - Aspetta a quando
torneremo a casa. - A forza d'aspettare, non
glielo diremo mai. Guarda che more grosse e mature. - Bisognerebbe fare un
salto, per arrivarle. - C'è da bucarsi le mani. Erano in fondo alla Strada
del Mandorlo, alla cappella. Dirimpetto a loro, su un siepone pieno di roghi, c'è una
ventina di cipressi; tutti diseguali anche d'altezza. La cappella pare un casotto; con due
scalini corti, di pietra, e con un'inferriata arrugginita sopra una finestrucola nella
porta. Due statuette, come due fantocci di pietra scortecciata, una di San Bernardino e
una di Santa Caterina, in proda al tetto di tegole smosse. - Ce la diranno mai la
messa? - C'entrerebbe soltanto il
prete. - Sicuro! Scommetto che a
sentire la messa restano di fuori; qui dove siamo noi. Più in là, dove sboccava
un'altra strada, c'è una croce di legno; con un gallo colorato in cima; in mezzo a due
cipressi. Due donne, accoccolate sul ceppo della croce, si spartivano una grembialata
d'uva. Quand'erano più piccole,
Chiarina e Lola dicevano sempre qualche avemaria. Anche ora, si sentivano preoccupate e
confuse, quasi sperse; come se la croce proibisse loro di star sole senza la zia. - Non sarebbe meglio che tu
non ti fidanzassi? Chiarina voltò le spalle
alla croce e si discostò: - Perché me lo dici qui? - È peccato qui? - Mi pare. - Andiamo via subito,
allora! Ma Chiarina stava tra la
paura della croce e il suo desiderio; e disse: - La zia vorrà riposarsi! - E tu non esagerare,
dunque! Se si riposerà, glielo dirò subito. Oggi o mai più! - Bada che, se le dispiace,
la colpa è tua! - Va bene: la prenderò io. Modesta giunse, trenfiando.
Lola le disse, prendendola a braccetto: - Zia, Chiarina ha da
confessarti una cosa! - C'è bisogno che tu porti
l'ambasciata? - Da sé non te lo può
dire. - Fate sempre le
giuccarelle, come se tu non avessi ormai quindici anni e lei diciassette! Chiarina, allora, andò di
corsa a dare un pugno a Lola. - Ohi! M'hai fatto male! - E tu perché non sei
stata zitta? - Ma mi hai fatto male
troppo! - E io voglio sapere quel
che avete tra voi! Vi fate sempre le moine! - Te lo dirà Chiarina da
sé! Io non voglio né meno ascoltare. Ma Chiarina, dopo aver dato
il pugno alla sorella, piangeva; sebbene quelle due donne la guardassero. - Io - disse Modesta
ricordandosi un'altra volta del giorno avanti - non voglio arrabbiarmi per voi! Vi fa
vergogna! Ormai, siete grandi e grosse, da marito! Lola chiese, ridendo: - Da marito? Modesta, allora, cercò di
riflettere se aveva detto una cosa fuori posto. Ma Lola seguitò, doventando però così
seria e nervosa che si sentiva tirare tutti i tendini fino alla punta dei piedi: - Chiarina ti voleva dire
questo! La sorella smise di
piangere, e la picchiò su le spalle e su la testa; quanto poteva. Modesta glie la tolse
di sotto e le chiese: - È vero, sì o no? Lola, per vendicarsi,
rispose per la sorella; lagrimando: - È vero! È vero! Ma Chiarina, allora, non
sapendo come meglio nascondersi, l'abbracciò stretta stretta; con tutta la sua
amorevolezza, che la faceva tremare. Lola, pentita d'essersi vendicata a quel modo, la
schiacciava a sé, con il desiderio di non lasciarla più. Modesta, benché quelle due
donne, incuriosite, ridessero, prese le nipoti insieme; e le baciò. E Lola raccontò come un
giovanotto, impiegato al Demanio, era riescito a far sapere a Chiarina, dopo averla fatta
innamorare, quanto già era lui, che avrebbe domandato in casa di fidanzarsi. Tornarono a dietro, fuori
di sé dalla contentezza. Modesta aveva dovuto promettere a Chiarina di non dire niente,
ancora, a nessuno degli zii. Ma ella, la sera stessa, lo fece sapere a Giulio; che,
grattandosi vicino alla bocca, rispose: - Bisognerà informarsi
bene chi è lui. Modesta gli chiese: - Devo dirlo anche a
Niccolò? - Io direi d'aspettare.
Perché Niccolò la piglierebbe in burletta e chi sa come darebbe la baia a Chiarina. E Chiarina non voleva
mettersi né meno a tavola; se non l'avesse persuasa la sorella. Si vergognava; e
s'impensieriva senza saper perché, vedendo lo zio Giulio più serio del solito. La sorella, dopo, le
chiese: - Mi accompagni al
pianoforte? - No, no! Non mi riesce! - Dio mio! Ma è possibile
che tu faccia così? - Ho un'irrequietezza che
mi noia. Avrei bisogno di distrarmi. - Perciò vieni con me al
pianoforte! - Mi farebbe peggio! Lola le suggerì: - Chiudi gli occhi. - Non mi riesce più. - Te li chiudo io, con le
mani. Ti passa? Ma Chiarina voleva esser
più forte del suo sentimento; e le disse: - Non è facile, anche per
me, capire quel che ho. - Andremo a letto prima. - No: voglio stare al buio,
con la finestra aperta. Voglio provare così! Dalla finestra della loro
camera, si vedeva la campagna, tra Porta Ovile e Porta Pispini. Ma era già troppo buio, e
la campagna doventava di un colore cinerognolo tutto eguale. Soltanto dove cominciava, il
cielo rimaneva come un lungo taglio più chiaro; che, però, affievoliva. Il vento
frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di
Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e
rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore; come se andasse ad
appiattarsi laggiù; dove gli archi della fonte di Follonica s'interrano fino a mezzo;
impiastricciati di muschi, che si sfanno con il tartaro dell'acquiccia. L'erta delle case,
silenziosa, morta, non sentiva le foglie di un gran tiglio, sotto la finestra della
camera, staccarsi l'una dopo l'altra; senza che potessero smettere più. Lola era in salotto, a
studiare un libro di scuola; e Chiarina si voltò per guardare fisso il Cristo d'ebano e
d'avorio, quello della prima comunione, su la parete del letto. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 17/07/2005 14.03