Dormivano da parecchie ore, quando furono bruscamente
svegliati da un urto piuttosto violento, che si ripercosse
in tutto lo scafo del battello-tramvai, e dalle grida
dell'equipaggio.
Essendo le lampade a radium rimaste accese, Brandok,
Holker e Toby si trovarono riuniti quasi nello stesso tempo
nella sala dove avevano cenato e dove già si erano raccolti
gli altri viaggiatori.
"Signor Holker," disse Brandok, vedendolo
scambiare alcune frasi con uno degli ufficiali che era sceso
nella sala "che cos'è avvenuto?"
"Nulla di grave, rassicuratevi" rispose il
nuovayorkese con voce tranquilla. "Il battello ha
urtato contro un enorme masso di ghiaccio che la nebbia
impediva di vedere e che sbarrava la via."
"Sicché non potrà più avanzare?"
"Fino a che non si sarà tolto l'ingombro. Non sarà
che un ritardo di un paio d'ore. Saliamo sulla galleria ed
andiamo a vedere."
Un masso enorme che doveva essersi staccato da qualche
ghiacciaio, avendo il Narval raggiunto un gruppo di
collinette piuttosto ripide, era rotolato fino sulla via
segnalata dai pali ed aveva fermata bruscamente la corsa.
L'intero equipaggio, munito di lampade e di picconi si
era già messo al lavoro per sgretolarlo, aiutato da una
ventina di esquimesi, accorsi subito da un villaggio vicino.
"Se quel blocco piombava nel momento in cui passava
il battello, eravamo fritti" disse Brandok. "Lo
schiacciava come una nocciola."
"Sono casi piuttosto rari, non essendovi che poche
collinette in quest'isola" rispose Holker. "Non ho
mai udito raccontare che uno di questi battelli sia stato
schiacciato."
"Dove siamo ora?"
"A duecento miglia dalla stazione del lago."
"Signori" disse in quel momento il capitano che
era risalito a bordo. "Ne avremo per tre ore; se volete
approfittarne per visitare il villaggio esquimese dei
Naz-tho che si trova qui presso, non vi mancherà il tempo.
Una visita agli abitanti del polo è sempre interessante per
un turista. Metto a vostra disposizione un marinaio con due
lampade."
"Approfittiamone pure" disse Brandok. "Io
non sono mai stato nelle regioni polari."
La proposta fu subito approvata anche dagli altri
viaggiatori, e qualche minuto dopo il drappello lasciava la
nave, preceduto da un marinaio che illuminava la via con due
lampade a radium.
Il freddo era intensissimo al di fuori, un nebbione
pesante, fittissimo che la luce delle lampade appena appena
riusciva a diradare, calava sulle pianure di ghiaccio, e un
forte vento soffiava dal polo.
"Signor Holker, siete stato altre volte qui?"
chiese Bran-dok.
"Mi sono recato al polo già due volte."
"Conoscete dunque gli esquimesi?"
"Benissimo."
"Quali progressi hanno fatto in questi cento
anni?"
"Nessuno: sono rimasti tali e quali come li avevano
trovati gli esploratori del secolo scorso. Sono esseri
incapaci di civilizzarsi, e perciò finiranno anche essi con
lo scomparire. Vi ho già detto che il loro numero è
immensamente scemato dopo la distruzione delle balene, delle
foche e delle morse."
"Vivono ancora nelle capanne di ghiaccio?"
chiese Toby.
"Sì, zio, e l'unico miglioramento che abbiano
introdotto è quello di aver soppressa l'antica e fumosa
lampada ad olio con quella a radium che li illumina e li
riscalda meglio. Eccoci giunti; volete che visitiamo una
capanna? Turatevi il naso e fatevi coraggio."
Erano giunti dinanzi al villaggio, il quale si componeva
d'una mezza dozzina di abitazioni di forme semisferiche,
composte di massi di ghiaccio sovrapposti con un certo
ordine, aventi sul davanti una piccola galleria che
immetteva alla porta d'entrata.
Internamente erano tutte illuminate, sicché
scintillavano fra la nebbia come se fossero colossali
diamanti, essendo il ghiaccio mantenuto sempre sgombro dalla
neve che vi si accumulava sopra.
Holker stava per introdursi in una di quelle gallerie
così basse e strette che non si poteva avanzare che
strisciando, quando un esquimese che li aveva seguiti, lo
fermò, dicendo:
"Aga-aga-mantuk".
"Che cosa vuol dire?" chiese Brandok.
"Ho capito" disse Holker. "È una tomba,
questa, dove sta morendo tranquillamente qualcuno della
tribù. Non disturbiamo la sua agonia."
"Come! là dentro vi è uno che muore?"
esclamò Brandok.
"Sì, e solo. La galleria deve essere già stata
otturata."
"Quindi è sepolto vivo?"
"Non durerà molto" rispose Holker. "Se la
malattia non lo uccide presto, s'incaricherà la fame di
mandarlo nel paradiso degli esquimesi."
"Spiegati meglio, nipote mio" disse Toby.
"Perché lo hanno sepolto vivo?"
"Perché è stato giudicato inguaribile. Qui, quando
un uomo od una donna vengono colpiti da qualche malattia, si
cerca di curarli dapprima con degli incantesimi, urlando e
correndo intorno alla capanna e mettendo accanto all'infermo
una pietra di due o tre chilogrammi, secondo la gravità
della malattia, e che ogni mattina viene pesata dalla donna
più vecchia della tribù o dall'angekoc, che è una specie
di stregone. Se la pietra non diminuisce di peso, significa
che il malato è spacciato. Gli costruiscono a poca distanza
una nuova capanna di ghiaccio, vi stendono delle pelli, vi
portano una brocca d'acqua ed una lampada. Il malato vien
portato nella sua tomba e si corica sul suo letto. Fratelli,
sorelle, moglie, figli e parenti vanno a portargli il loro
ultimo saluto, non fermandosi più del necessario, perché
se la morte sorprendesse il malato, i visitatori sarebbero
costretti a spogliarsi dei loro abiti e gettarli via,
perdita non disprezzabile in questi climi. Poi, chiudono la
galleria con massi di ghiaccio e lasciano che il malato si
spenga da sé."
"E si lasciano rinchiudere senza protestare?"
"Anzi, sono loro che pregano i parenti di portarli
nella capanna da cui non usciranno mai più. Più volte dei
viaggiatori che si recavano alle colonie polari presi
dall'orrore di quel che accadeva in quelle capanne funebri,
avevano forzata l'entrata per portar via il morente e
avevano ricevuto questo rimprovero: "Chi viene a
turbare la mia agonia? Non si può dunque morire in
pace?"."
"E così fanno ancora?" disse Toby.
"Lo vedete."
"Che sia morto l'uomo che si trova in quella
capanna?"
"Potrebbe essere ancor vivo; lasciamolo in pace, per
non attirarci addosso l'ira dei suoi parenti, e rispettiamo
la sua volontà."
Passarono in un'altra capanna più vasta e meglio
illuminata, e dopo essersi introdotti nell'angusto
corridoio, si trovarono nell'interno.
Vi erano due donne coperte di vecchie pellicce
sbrindellate ed una mezza dozzina di fanciulli seminudi,
poiché vi regnava un caldo soffocante. Una delle donne
stava masticando un paio di grossi stivali di pelle di morsa
che il gelo aveva indurito e che essa cercava di rammollire
coi suoi possenti molari; l'altra era occupata a preparare
il pasto.
Un odore nauseante regnava in quella piccola abitazione,
dove alcune volpi e dei pesci imputridivano affinché le
loro carni risultassero più squisite ai palati esquimesi.
"Ne ho a sufficienza" disse Brandok, che si
sentiva soffocare. "Questi bravi abitanti del polo non
hanno fatto un passo avanti da un secolo a oggi."
Gettarono ai ragazzi alcune manciate di biscotti e
tornarono frettolosamente all'aperto, dove il marinaio del
Narval li aspettava assieme agli altri viaggiatori, che
dimostravano d'averne perfin troppo di quella visita. Un
quarto d'ora dopo rientravano nella galleria della nave, ben
lieti di trovarsi al riparo dal freddo e dal nebbione.
L'enorme blocco di ghiaccio non era stato ancora
completamente sgretolato, però poco ci mancava.
Una cartuccia carica di esplosivo potentissimo fece
saltare quello che rimaneva, sicché verso le otto del
mattino il Narval si rimetteva in marcia, con una velocità
notevole essendo la pianura quasi liscia.
Durante la giornata, la corsa continuò senza notevoli
incidenti, e verso le cinque Brandok segnalava un gran
fascio di luce che forava la nebbia.
"È la stazione di Nettelling" disse Holker.
"Fra pochi minuti noi saliremo sul tramvai elettrico
che ci condurrà al polo nord."
Non era trascorso un quarto d'ora che il Narval entrava
sotto una immensa tettoia illuminata da un gran numero di
lampade e dove si muovevano parecchie persone che si
potevano facilmente scambiare per bestie polari.
Lì presso si innalzava un alto fabbricato di legno da
cui uscivano dei cupi fragori, come se delle macchine
poderose fossero in funzione.
In lontananza invece si scorgeva una lunga fila di
lampade, che proiettavano una luce un po' diversa da quelle
a radium; era uno strano sfolgorio come se i ghiacci
scintillassero.
"Che cosa c'è laggiù?" chiesero Brandok e
Toby.
"La grande galleria che conduce al polo"
rispose Holker. "Una delle più grandi meraviglie del
nostro secolo."
"Voi avete costruita una galleria che conduce al
polo!" esclamò il dottore.
"Come volevate arrivarci? Con delle navi forse? Voi
sapete che anche ai vostri tempi hanno fatto cattiva prova.
La grandiosa idea di giungere al polo per mezzo di una
galleria la dobbiamo ad un ingegnere nostro compatriotta.
Essa si diparte dalla riva settentrionale di questo lago, si
spinge attraverso la Terra di Baffin, passa lo stretto di
Lancaster, che, come sapete, non sgela mai, nemmeno in
estate, quindi sull'isola di Devon, poi su quella di
Lincoln, d'Ellesmere fino a Grant e giunge al polo sotto
l'88° di longitudine."
"Di che cosa è fatta quella galleria?" chiese
Brandok, il cui stupore non aveva più limite.
"Con materiale trovato sul luogo e che non è
costato nemmeno un dollaro" rispose Holker.
"Di ghiaccio?" disse Toby.
"Precisamente, un materiale a buon mercato,
cementato con un miscuglio di sale per dare ai blocchi
maggior coesione. La galleria è larga undici piedi, alta
otto, colle pareti che hanno uno spessore di due metri,
costruite con blocchi di ghiaccio di due piedi di lunghezza
e mezzo di larghezza. Nella forma somiglia ad un arco
perfetto ed è illuminata a luce elettrica perché le pareti
non si fondano come sarebbe potuto accadere con quella a
radium."
"Quanto hanno impiegato a costruirla?" chiese
Toby. "Non più di sette mesi, lavorando appena 400
operai. Non credo che il suo costo abbia superato i
duecentomila dollari."
"E non si scioglie?"
"È impossibile, attraversando una regione dove il
termometro, anche in giugno e in luglio, non segna mai più
di tre o quattro gradi sotto zero. Infatti in quattordici
anni che funziona, nessuna arcata è mai crollata."
"E chi ci condurrà al polo?"
"Un carrozzone elettrico di dimensioni
straordinarie, che scivola su rotaie. Qui alla stazione vi
sono macchine e dinamo poderose, e anche al polo ve ne sono
d'ugual potenza."
"E finisce al polo la galleria?" chiese Brandok.
"No, signore. I russi e gli inglesi poi ne hanno
costruita un'altra che parte dalla colonia polare e sbocca a
nord dello Spitzbergen. Quella di quando in quando frana al
suo sbocco, non essendovi in quelle isole un freddo sempre
intenso. Le riparazioni però sono facili."
"Brandok," disse Toby "cosa ne dici?"
"Che sogno sempre" rispose il giovine.
"Scendiamo ed andiamo a prendere il nostro posto sul
tramvai elettrico" disse Holker. "Faremo colazione
là dentro."
All'estremità della tettoia era avanzato un carrozzone
enorme, lungo più di venti metri, su due e mezzo di
larghezza, tutto chiuso da vetri che pareva avessero uno
spessore notevolissimo, e difeso al di sopra da una specie
di gabbia d'acciaio destinata certamente a ripararlo dalla
caduta di qualche masso che poteva staccarsi dalla volta
della galleria.
Tre lampade a radium di grande potenza lo illuminavano, o
meglio lo inondavano di luce.
L'interno era diviso in cinque scompartimenti: salotto
per pranzare, gabinetto di toeletta, stanza da letto, sala
da gioco e da lettura ed una piccola cucina.
Grossi tappeti di feltro erano stesi sul suolo e pesanti
pellicce coprivano le brande che servivano da letto.
"Come si sta bene qui!" esclamò Brandok,
sbarazzandosi della pelliccia ed entrando nel salotto da
pranzo dove già si trovavano i viaggiatori tedeschi ed
inglesi che li avevano accompagnati sul Narval. "Che
dolce tepore! Non si direbbe che fuori il termometro segna
22° sotto zero."
"E come sono eleganti questi scompartimenti!"
disse Toby, che li aveva già percorsi.
"Quando giungeremo al polo, signor Holker?"
chiese Brandok.
"Non prima delle nove di domani mattina."
"Col sole?"
"Voi parlate del sole in questa stagione. È
tramontato da dodici giorni, e al polo ora regna una notte
perfetta, anche in pieno mezzodì."
"È vero; mi dimenticavo che siamo in autunno
inoltrato."
"A tavola, signori miei, ed imitiamo i nostri
compagni di viaggio."
Si misero ad uno dei sei tavolini che occupavano il
salotto e si fecero servire un pranzo abbondante e anche
succulento, fornito dal cuoco del tramvai polare, pranzo
composto per la maggior parte da pesci eccellenti, cucinati
in diverse maniere, che innaffiarono con dello squisito vino
bianco secco di California.
Il carrozzone intanto era già partito con una velocità
di centocinquanta chilometri all'ora, inoltrandosi sotto la
galleria polare.
Quel tunnel formato tutto di blocchi di ghiaccio
cementato con mistura di sale, era veramente meraviglioso.
Ogni cinquecento passi una lampada elettrica da tre o
quattrocento candele, lo illuminava, facendo scintillare
meravigliosamente le pareti, e ad ogni venti chilometri vi
era uno sbocco laterale, attraverso cui si scorgevano delle
casette di legno abitate dai sorveglianti della linea.
"Splendida! Splendida!" ripeteva Brandok, che
si era seduto presso il manovratore fumando un buon sigaro
avana. "Questa è certamente l'idea più grandiosa
concepita dagli uomini del Duemila."
"Lo credo anch'io, signor Brandok" rispose
Holker che lo aveva raggiunto, mentre Toby giocava una
partita a whist con due inglesi.
"E non vi sarà pericolo che una volta o l'altra
succeda una catastrofe? Supponiamo che in qualche luogo il
ghiaccio ceda o si sgretoli per effetto delle pressioni, o
che un pezzo di galleria si rompa. Come potrebbe questo
carrozzone, lanciato a tale velocità, evitare un
disastro?"
"In un modo semplicissimo: fermandosi" disse
Holker ridendo.
"Di colpo non è possibile; mancherebbe il
tempo."
"Ma il manovratore lo potrebbe fermare molto prima
se sulla linea vi fosse una interruzione che potesse causare
un disastro."
"In qual modo?"
"Abbiamo dinanzi a noi una macchina pilota che ci
precede di cinque chilometri e che corre con egual velocità
del nostro carrozzone"
Brandok lo guardò come se non avesse compreso.
"Mio caro signore," proseguì Holker "i
costruttori di questa linea avevano previsto che dei gravi
pericoli avrebbero potuto minacciare i viaggiatori appunto a
causa delle pressioni e dei ghiacci, i quali galleggiano in
molti luoghi sull'oceano, perciò hanno subito cercato di
evitarli."
"Una cosa che mi sembrerebbe difficile."
"Per gli uomini del millenovecento forse sì, non
per quelli del Duemila" disse Holker.
"Che cosa hanno pensato di fare?"
"Far precedere i carrozzoni da un vagoncino che ha
la funzione di pilota."
"Vuoto?"
"Sì, signor Brandok, ed unito al carrozzone da un
filo elettrico. Supponete ora che quel vagoncino
paragonabile, pei suoi armamenti di fili elettrici, ai
tentacoli che servono ai pesci ciechi per avanzarsi nelle
grandi profondità o nelle caverne sottomarine, vada a
urtare contro un ostacolo qualunque o precipiti in qualche
spaccatura apertasi nei banchi di ghiaccio sostenenti la
galleria; immediatamente l'urto viene trasmesso al
manovratore del nostro carrozzone, il quale, messo in
allarme dalla suoneria, s'affretta a fermarsi. Ecco dunque
evitato qualsiasi pericolo. Si avvertono tosto gli uomini
incaricati di riparare la galleria, questi si trasportano
sul luogo ove il crollo o la frana sono avvenuti e riparano
il guasto. Potete quindi viaggiare tranquillamente, signor
Brandok senza temere alcun disastro."
"È ingegnoso il mezzo" disse il giovine.
"E sicuro, soprattutto" rispose Holker.
"Signor Brandok, andiamo a coricarci. Il tempo passerà
più in fretta e quando riapriremo gli occhi, noi saremo fra
gli anarchici della colonia polare." |