Dopo aver fatto un'abbondante colazione, innaffiata da
parecchi bicchieri di generoso vino spagnolo ed italiano, il
signor Holker ed i suoi compagni congedarono Harry e si
diressero verso un enorme fabbricato, sormontato da una
torre d'acciaio dalla cui cima si diramavano parecchi grossi
fili di metallo.
"Ecco la stazione ferroviaria" disse Holker.
"Scusate, signor Holker," disse Brandok, nel
momento di entrare "voi ci promettete di condurci al
polo nord?"
"Sì."
"Avete trovato il modo di avvicinare il Sole, per
caso?"
"Perché mi fate questa domanda?"
"Fa ancora freddo?"
"Come ai vostri tempi e forse più, ve lo dissi
già. L'anno passato la stazione polare ha segnato 55°
sotto zero."
"E ci condurrete con queste vesti?"
"Non ve ne date pensiero" rispose Holker.
"Alla stazione di Quebec troveremo i bagagli contenenti
l'occorrente per sfidare i freddi più intensi. Aspettate un
momento che vada a far lanciare un telegramma aereo ad uno
di quei negozianti che conosco."
Mentre si recava all'ufficio telegrafico, Toby e Brandok
erano entrati in un'ampia sala, alla cui estremità si
scorgeva uno scalone.
"Dove sono questi treni? Io non li vedo e non odo
quei mille fragori che ai nostri tempi si ripercuotevano
sotto le immense tettoie" disse Brandok.
"Da qualche parte vedremo sbucare quello che ci deve
portare a Quebec."
"Sai, Toby, che io a forza di cadere di stupore in
stupore finirò per diventare pazzo?"
"Non ti senti bene?..."
"Mi trovavo meglio cent'anni fa col mio spleen.
Provo sempre una eccitazione strana."
"È la tensione elettrica."
"Amici miei," disse in quel momento Holker
"il treno sta per giungere; abbiamo appena il tempo di
discendere la scala."
"I biglietti?" chiese Toby.
"Sono già nel mio portafoglio; ho preso uno
scompartimento per noi, così potremo discorre
tranquillamente senza che vi siano testimoni."
All'estremità della scala si udì una voce poderosa
gridare:
"Pronti! Il treno è giunto!".
Una ventina di persone, che pareva avessero il diavolo
addosso, si erano precipitate giù dalla gradinata. Holker
ed i suoi amici le avevano seguite.
Una galleria fornita di una decina di porte che in quel
momento erano aperte e attraverso le quali si vedevano
uscire sprazzi di luce intensa, si allungava per una
quarantina di metri.
Holker spinse i suoi compagni verso una di quelle porte,
dicendo:
"Presto, salite!".
I due risuscitati si trovarono in un piccolo
scompartimento, con quattro comode poltroncine che si
potevano trasformare in letti, tutte di raso rosso, e
illuminato da una lampadina contenente un pezzetto di
radium.
"La ferrovia?" chiese BrandOk.
Le porte di ferro si erano chiuse con fracasso.
Per qualche istante si udirono delle voci gridare e poi
più nulla. Anche le porte dello scompartimento si chiusero
da sé, sorgendo da terra.
"Non ci muoviamo?" chiese dopo qualche istante
Brandok.
"Siamo già in viaggio" rispose Holker,
ridendo.
"Io non provo nessuna scossa, né odo alcun rumore
di macchine."
"Eppure il treno corre con una velocità fantastica.
Quanto percorrevano all'ora i vostri treni?"
"Centoventi chilometri al massimo."
"E questo procede colla velocità di trecento!"
"Quale macchina lo spinge?"
"Nessuna macchina; viene aspirato e spinto
contemporaneamente."
"Spiegati meglio, nipote mio" disse Toby.
"Noi siamo troppo vecchi per capire a volo le
invenzioni moderne."
"Noi viaggiamo in un tubo d'acciaio della
circonferenza di cinque metri, i cui carrozzoni, che sono
ordinariamente in numero di venti, combaciano perfettamente
colle pareti di metallo. Questi vagoncini, hanno una forma
cilindrica la cui circonferenza è esattamente precisa a
quella interna del tubo e possono contenere 24 passeggeri.
Fra le due stazioni principali vi sono delle pompe mosse da
macchine poderose, che iniettano nel tubo correnti d'aria;
in quella di partenza le pompe sono prementi; in quella
d'arrivo invece, delle pompe aspiranti. I cilindri che
costituiscono i carrozzoni, e che sono pure di acciaio,
vengono in tal guisa spinti ed aspirati. In poche parole
sono treni ad aria compressa."
"Stupefacente!" esclamò Toby. "Che cosa
non avete inventato voi, uomini del Duemila?"
"Osservo una cosa" disse Brandok. "Datemi
una spiegazione."
"Dite pure."
"I cilindri, collo sfregamento, non s'infiammano? Mi
pare che noi dovremmo cuocere qui dentro, mentre la
temperatura si conserva relativamente fresca."
"Niente affatto: prima perché viene adoperato un
metallo che è lentissimo a riscaldarsi, il tantalio, che se
non erro ai vostri tempi valeva 50.000 lire al chilogrammo e
la chimica d'oggi può dare ad un prezzo eguale a quello
dell'argento. Poi perché il cilindro di testa e quello di
coda sono formati da due immensi serbatoi, i quali
proiettano incessantemente getti d'acqua, impedendo il
riscaldamento."
"E l'aria pei viaggiatori?"
"Viene fornita da cilindri d'acciaio che sono
serbatoi d'aria compressa. Provate difficoltà a
respirare?"
"No" rispose Brandok.
"Vi è un tubo solo per ogni linea?" chiese
Toby.
"No, zio, ve ne sono quattro. Uno pei treni diretti
che non si fermano che nelle grandi stazioni, come questo,
uno per le stazioni intermedie e due pei treni merci.
"Appena uno giunge, l'altro di ritorno parte. Ogni
due ore abbiamo treni che vanno ed altri che giungono."
"Così gli scontri sono impossibili" disse
Brandok.
"Non possono accadere non essendovi che uno o al
più due treni nel tubo, che seguono la medesima via."
"Quando si pensa come si viaggiava una volta c'è da
impazzire! Che cosa direbbero Francesco I re di Francia e
Carlo V, se potessero tornare al mondo! E pretendevano di
avere i più rapidi corrieri del mondo!"
"Quei re?" disse Holker. "Avevano delle
lumache, forse."
"E che cosa direbbero il capitano Paulin, Burocchio,
Chameran e soprattutto Marivaux?"
"Chi erano costoro?" chiese Brandok.
"I più rapidi corrieri dell'Europa medievale, che
fecero in quell'epoca stupire tutti per la loro velocità!
Paulin aveva impiegato venti giorni per recarsi da
Costantinopoli a Fontainebleau per portare un messaggio a
Francesco I; Burocchio ne aveva impiegati quattro per
portare al re di Polonia la notizia della morte di Carlo IX
e Marivaux quattro giorni per percorrere la distanza che
corre fra Parigi e Marsiglia. E quei nostri bravi antenati
affermavano che con simili corrieri le distanze ormai erano
scomparse!"
"Si contentavano di poco i nostri vecchi" disse
Holker.
Un sibilo acuto, che proveniva dall'alto, fece alzare la
testa a Brandok ed a Toby. Era uscito da un piccolo tubo che
si ripiegava in basso vicino alla lampada a radium.
"Ci avverte che siamo giunti?" chiese Brandok.
"No, è una comunicazione dell'"Jum" a cui
è abbonata questa linea ferroviaria per tenere i
viaggiatori al corrente delle notizie più importanti, anche
viaggiando."
"In qual modo?"
"Mediante un filo che si svolge su un rocchetto, a
misura che il treno procede. Ascoltiamo."
Una voce metallica si fece subito udire:
"Grave disastro sul Missouri prodotto da una piena
improvvisa.
"Omaha è quasi interamente distrutta e sessantamila
persone si sono annegate. Il governo del Nebraska ha mandato
ingegneri con ventimila uomini, viveri e scialuppe.
"Europa. Gli anarchici della città sottomarina che
hanno saccheggiato Cadice sono stati completamente distrutti
dai pompieri di Malaga. Il governo spagnolo indennizzerà
gli abitanti.
"Asia. Il governo dell'India si trova in gravi
imbarazzi causa la carestia. Gl'indiani muoiono di fame a
milioni".
"Brandok, tutto ciò non è prodigioso?" chiese
Toby.
"Continuiamo a sognare" rispose il giovine.
"Ormai io sono convinto di essermi risvegliato non più
sulla terra, bensì in un altro mondo."
"E quasi lo penso anch'io" rispose Toby.
"Eppure esistono altre meraviglie ben più
grandiose" disse Holker.
Una lieve scossa ed un fragore di porte che pareva
s'aprissero, lo interruppero. Quasi nel medesimo istante si
udì una voce gridare:
"Montreal!...".
"Di già nel Canada!" esclamò Brandok.
"Sono le due" disse Holker, osservando il suo
cronometro.
"Quando giungeremo a Quebec?"
"Alle tre e qualche minuto."
"Ed al polo nord?"
"Fra due giorni."
"E noi supereremo in così breve tempo una così
enorme distanza?"
"Scivoleremo con una velocità di duecento miglia
all'ora. Altro che la foga degli uragani!..."
"Scivoleremo?"
"È la parola."
"E come?"
"Lo saprete quando avremo raggiunto i confini del
continente americano e ci inoltreremo sull'Oceano
Polare."
"Brandok!"
"Toby!"
"Sogni ancora?"
"Sempre."
"E sogno anch'io."
Cinque minuti dopo, il treno riprendeva la sua corsa
infernale e alle tre pomeridiane si fermava alla stazione di
Quebec, la capitale del Canada.
Appena usciti dallo scompartimento, un uomo che gridava
"signor Jacob Holker!" entrò nella galleria,
portando due enormi valigie.
"Sono io" rispose il nipote di Toby,
muovendogli incontro. "Siete ai servigi del signor Wass?"
"Sì, signore."
"Le valigie devono contenere gli indumenti per una
gita al polo."
"Allora siete proprio quello che cercavo. Abbiamo
ricevuto il vostro telegramma due ore or sono da Buffalo."
Holker pagò, senza mercanteggiare, l'importo, poi
condusse i suoi amici al ristorante della stazione, anche
quello automatico, e offrì da bere.
"Abbiamo dieci minuti di tempo per prendere il treno
per il polo nord" disse. "Approfittiamone per
scaldarci lo stomaco con un po' di caper-brandy."
Infatti dieci minuti dopo i tre amici prendevano posto in
uno scompartimento del treno del Labrador, diretti al Capo
Wolstenholme sullo Stretto di Hudson e partivano con una
velocità di duecentosettanta chilometri all'ora.
"Quando giungeremo sulle coste dell'Oceano
Artico?" chiese Brandok.
"Alle cinque di domani mattina" rispose Holker.
"Troveremo qualche albergo lassù?"
"Ed anche un buon letto."
"Fra i ghiacci?"
"Il Capo Wolstenholme è una stazione estiva, molto
frequentata durante i mesi di giugno, luglio ed anche
d'agosto, al pari di quella dello Spitzbergen."
"Dello Spitzbergen!" esclamò Toby.
"Perché vi stupite zio?"
"Perché ai nostri tempi quella grande isola
dell'Oceano Artico non era frequentata che da orsi bianchi e
da cacciatori di foche e di balene."
"Oggi è diventata un po' come la Svizzera"
rispose Holker. "Fra quelle montagne nevose si trovano
alberghi che nulla hanno da invidiare a quelli di Nuova
York. Vedrete che meraviglie!"
"Passeremo di là?"
"Sì, nel ritorno, perché la galleria polare sbocca
appunto in quell'isola."
"Che cosa mai ci narri!"
"Vedrete!... Vedrete!... Siamo nel Duemila, miei
cari amici e non già nei lontani tempi del 1900."
"Ed esquimesi ve ne sono ancora nelle regioni
polari?" chiese Brandok.
"Alcune famiglie soltanto; le altre tribù sono
invece quasi tutte scomparse."
"E per quale motivo?"
"In seguito alla totale distruzione delle balene e
delle foche che costituivano la loro alimentazione."
"Sono stati uccisi dalla fame?"
"Sì, signor Brandok."
"Eppure mi avete detto che vi è una numerosa
colonia polare."
"È vero, ed è costituita da anarchici, colà
confinati perché non turbino la pace del mondo."
"E come vivono quelli?"
"I pesci abbondano ancora al di là del circolo
polare; e poi i governi americani ed europei li provvedono
di viveri, a patto che non lascino i ghiacci."
"Sicché è loro proibito di tornare in Europa ed in
America?"
"E anche in Asia!"
"Ed il mondo è tornato tranquillo dopo la loro
espulsione?"
"Abbastanza" rispose Holker.
"E nella colonia polare regna la calma?"
"Costretti a pescare ed a cacciare incessantemente,
non hanno più tempo di occuparsi delle loro pericolose
teorie: così regna la calma ed un certo accordo."
"Erano diventati numerosi in questi cento
anni?" chiese Toby.
"Sì, e anche molto pericolosi. Ora non son più da
temersi, essendo relegati colle loro famiglie al polo nord e
nelle città sottomarine. Oh! non inquieteranno più
l'umanità."
"Eppure il dispaccio di quel tal giornale smentisce
ciò che voi avete affermato" osservò Brandok.
"Quello è stato un puro caso. E poi avete saputo
come sono stati trattati dai pompieri spagnoli. Pochi getti
d'acqua elettrizzata a correnti altissime e tutto è finito.
Diamine!... Il mondo ha il diritto di vivere e di lavorare
tranquillamente senza essere disturbato. Chi secca gli
altri, si manda nel regno delle tenebre e vi assicuro che
nessuno piange."
"Una specie di giustizia turca" disse Brandok,
ridendo.
"Chiamatela come volete, tutti l'approvano e
l'approveranno anche in avvenire."
Mentre così passavano il tempo, il treno correva entro
il tubo d'acciaio con velocità spaventevole, attraversando
i gelidi territori del Labrador.
Essendo come abbiamo detto autunno assai inoltrato, la
neve doveva aver coperto già da qualche mese, quelle terre
d'uno strato considerevole, ed al di fuori il freddo doveva
essere intensissimo; eppure i viaggiatori non se ne
accorgevano affatto. D'altronde bastava la lampada a radium
per spandere negli scompartimenti un dolce calore che si
poteva aumentare a volontà. Alle otto della sera il treno
si fermava alla stazione di Mississinny innalzata sulle rive
del lago omonimo.
Appena aperte le porte d'acciaio e le portiere dei
carrozzoni, degli uomini si presentarono ai viaggiatori
portando delle tazze fumanti di brodo, dei pesci bolliti e
fritti, dei puddings, liquori e tè.
"Avrei preferito cenare al ristorante della
stazione" disse Brandok.
"Stiamo meglio qui" disse Holker. "Fuori
fa un freddo cane. Quanti gradi?" chiese al cameriere
che aveva portato la cena.
"Quindici sotto zero, signore" rispose
l'interrogato. "L'inverno si annunzia rigidissimo,
quest'anno, ed il lago è già gelato da tre
settimane."
"E l'oceano?"
"Tutto lo stretto è percorso da massi enormi di
ghiaccio."
"Funziona ancora il battello-tramvai?"
"Fino alla spiaggia di Baffin."
"Quali notizie della galleria?"
"È più salda che mai. Non si è prodotta nessuna
screpolatura nemmeno quest'anno. Buon viaggio, signori, il
treno riparte."
Depose le vivande sulle mensole che si trovavano vicino
alle poltroncine, poi scese rapidamente. Un momento dopo le
portiere si chiusero, le porte d'acciaio anche, ed il treno,
aspirato da una parte e spinto dall'altra, riprese la corsa.
"Ceniamo, facciamo la nostra toeletta polare e poi
cerchiamo di fare una dormita. Fino alle cinque di domani
mattina non verremo più disturbati."
"E poi cambiamo treno?" chiese Toby.
"Sì, per prendere il battello-tramvai" rispose
Holker.
"Che cos'è?"
"Lo vedrete domani mattina, zio. Una bella e comoda
invenzione anche quella. Ceniamo." |