CAPITOLO XIX - LA SCOMPARSA DELLA BAJADERA
Il cornac tornava all'accampamento in uno stato deplorevole e
pareva che avesse fatta una lunga corsa.
Era infangato dai piedi alla testa, le sue vesti erano strappate
in dieci parti, aveva perduto il turbantino e la fascia che gli
sorreggeva il dubgah e le sue gambe nude sanguinavano fino sopra il
ginocchio.
Aveva però in mano il suo uncino di cui si serviva per guidare
il merghee, arma sufficiente per spaccare il cranio ad un uomo.
Vedendolo comparire, tutti gli si erano precipitati incontro,
soffocandolo di domande.
Il povero diavolo però, che respirava affannosamente, non
rispondeva che con gesti disperati, accennando ora l'elefante ed ora
la jungla.
- Bevi un sorso, - disse Sandokan che teneva ancora a fianco la
sua fiaschetta ripiena di cognac. - Prendi lena e narra tutto senza
perdere tempo. Che cosa è accaduto qui? Chi ha ucciso il merghee? E
la fanciulla?
Il cornac bevette avidamente alcune sorsate, poi con voce ancora
rotta per l'emozione e per la lunga corsa, disse:
- I Thugs... erano là... nascosti dietro quel muricciolo... con
indosso delle pelli di nilgò... i miserabili... aspettavano il
momento per piombarci addosso.
- Adagio, - disse Sandokan. - Spiegati meglio. Per quanto fuggano
noi li raggiungeremo col coomareah, quindi abbiamo tempo.
- La tremenda raffica che ci ha investiti, mi aveva spinto a due
o trecento passi dal mio elefante, scaraventandomi in mezzo ad un
cespuglio di mindi che attutí l'urto della mia caduta.
Mi ero appena rimesso in piedi e stavo per accorrere in vostro
aiuto, quando udii nel campo delle grida di donna che invocavano
soccorso.
Supponendo che la fanciulla si trovasse in pericolo, non vedendo
piú voi, mi diressi da quella parte.
Prima che vi potessi giungere vidi cinque animali, cinque nilgò,
alzarsi dietro un muricciolo di fango, gettare in aria le pelli... e
comparire invece uomini, nudi come vermi, che avevano attorno le
reni il laccio degli strangolatori.
Due di loro che erano armati di larghe sciabole, si scagliarono
contro il mio povero elefante, tagliandogli con due poderosi colpi i
tendini delle zampe posteriori; gli altri invece si gettarono fra le
haudah che il vento aveva rovesciate e fra le quali si trovava
Surama che il corpaccio del merghee aveva protetto contro la furia
della tromba. Afferrarla, legarla con due lacci e portarla via fu
l'affare d'un solo momento. La disgraziata non aveva avuto che il
tempo di gridare: "Aiuto, sahib!".
- Lo abbiamo udito quel grido, - disse Yanez. - È me che
chiamava. E poi?
- Mi sono slanciato sulle tracce dei fuggiaschi, chiamando
disperatamente il cane e la tigre che avevo veduto ruzzolare fra le
canne ed i rami dalla parte dell'accampamento e cadere insieme. Il
primo fu pronto ad accorrere alle mie chiamate, ma ormai i Thugs,
che fuggivano come antilopi, erano scomparsi fra il caos di
vegetali.
Nondimeno continuai ad inseguirli preceduto dal cane e seguito
poco dopo dalla tigre.
Tutto fu inutile. La terra inzuppata non permetteva piú a Punthy
di fiutare le orme dei Thugs.
- Quale direzione hanno presa? - chiese Sandokan.
- Fuggivano verso il sud.
- Credi tu, Tremal-Naik, che abbiano riconosciuto in Surama una
delle loro bajadere?
- Non ne dubito, - rispose il bengalese. - Diversamente non
avrebbero esitato a strangolarla per offrire una vittima di piú
alla loro mostruosa divinità.
- Allora fra quei Thugs vi doveva essere qualcuno che la
conosceva.
- Io ritengo che quegli uomini ci seguano dalla sera in cui noi
assistemmo alla festa del fuoco.
- Eppure noi abbiamo prese tutte le precauzioni per non venire
spiati.
- Mi viene un sospetto, - disse Yanez.
- Quale?
- Che qualcuno o piú uomini che facevano parte dell'equipaggio
delle grab, abbiano preso terra contemporaneamente a noi e che non
ci abbiano piú lasciati.
Diversamente come si spiegherebbe questo ostinato inseguimento?
- Io credo che tu abbia piú ragione di noi, - disse Sandokan.
Stette un momento silenzioso, poi disse:
- Il ciclone accenna a calmarsi e le raffiche diminuiscono
rapidamente. Organizziamo la caccia ai rapitori. Cornac, può
portarci tutti il tuo elefante?
- È impossibile, signore.
- Vuoi un consiglio, Sandokan? - chiese Tremal-Naik.
- Parla.
- Dividiamo il nostro drappello.
Noi daremo la caccia a quei bricconi col coomareah, mentre i tuoi
malesi ci raggiungeranno sulle rive del canale di Raimatla.
- E chi li condurrà?
- Il cornac del merghee che conosce le Sunderbunds quanto me.
- È vero, sahib, - rispose il cornac.
- Affideremo anche a loro Darma e Punthy che non potrebbero
seguirci.
- Sí, - disse Sandokan. - Noi siamo in numero sufficiente per
affrontare i rapitori. E poi mi preme mettermi a contatto cogli
uomini della Marianna.
- Una parola ancora, amico mio. Il canale di Raimatla è lungo ed
è necessario che i tuoi uomini ci trovino subito, onde non farci
perdere del tempo che può diventare per noi preziosissimo. Cornac,
hai udito parlare della vecchia torre di Barrekporre?
- Sí, sahib, - rispose il conduttore d'elefanti. - Vi sono stato
una volta per tre giorni, per non venire divorato dalle tigri.
- È là che noi ti aspetteremo. Si trova quasi di fronte alla
punta settentrionale di Raimatla, sul margine estremo della jungla.
- Condurrò là i tuoi uomini, in quattro o cinque giorni noi vi
giungeremo.
- Fa' mettere l'haudah al coomareah.
I due cornac, aiutati dai malesi, bardarono l'elefante che era
ridiventato docilissimo, assicurando la cassa con catene e larghe
cinghie d'una solidità a tutta prova, poi caricarono i bagagli e le
cassette delle munizioni.
Yanez, Sandokan, Tremal-Naik ed il francese presero posto nell'haudah
ed il coomareah ad un fischio del suo conduttore partí al trotto,
dirigendosi verso oriente, ossia nella direzione presa dai rapitori
di Surama.
Il ciclone dopo quelle tre o quattro raffiche poderose, che
avevano sconvolta la jungla, devastandola completamente, si era
calmato.
Quei perturbamenti atmosferici, se sono d'una violenza inaudita,
come abbiamo già detto, hanno una durata brevissima, talvolta di
pochi minuti.
Le masse di vapore cominciavano a lacerarsi qua e là e fuggivano
verso il golfo del Bengala. L'oscurità si diradava e attraverso gli
strappi delle nuvole scendevano dei raggi di sole, producendo uno
strano effetto.
La jungla però si era tramutata in un caos di vegetali
ammucchiati qua e là capricciosamente. Vi erano ammassi di bambú
alti parecchi metri, che l'elefante era costretto a girare; tronchi
atterrati, enormi cumuli di foglie ed anche un gran numero di
animali morti, specialmente cervi, axis e nilgò.
Il suolo poi si era cosí inzuppato d'acqua da tramutare la
jungla in un immenso pantano, entro cui talvolta il coomareah
sprofondava fino al ventre, imprimendo all'haudah delle scosse cosí
brusche, da obbligare i cacciatori a tenersi bene stretti alle corde
per non venire sbalzati fuori.
Dei rapitori di Surama non si scorgeva però alcuna traccia,
quantunque l'elefante avanzasse con una velocità tale da superare
il galoppo d'un buon cavallo.
Invano Sandokan, Yanez ed i loro compagni giravano gli sguardi in
tutte le direzioni: i Thugs non si scorgevano in alcun luogo, eppure
non sarebbe stato difficile scoprirli, ora che i bambú erano stati
abbattuti e che i kalam, ossia le alte erbe, giacevano piegate al
suolo.
- Che ci siamo ingannati sulla direzione che hanno presa? -chiese
Yanez dopo un'ora di continuo galoppo. - Dobbiamo già aver percorso
almeno dieci miglia a quest'ora.
- O che li abbiamo invece sopravvanzati? - disse Tremal-Naik.
- In tal caso li avremmo veduti. La jungla è scoperta e da
questa altezza si può scorgere facilmente un uomo.
- E meglio ancora un elefante, - ribatté il bengalese.
- Che cosa vuoi dire, Tremal-Naik?
- Che è piú facile che i Thugs abbiano prima scorto il
coomareah, che noi.
- Vorresti quindi concludere? - chiese Sandokan.
- Che potrebbero essersi nascosti per lasciarci passare.
- Ed i nascondigli qui non mancano, - disse il luogotenente. -
Basta cacciarsi sotto uno di questi ammassi di canne e di foglie per
rendersi invisibili.
- Udiamo, - disse Sandokan, volgendosi verso Tremal-Naik. - Dove
credi che conducano la fanciulla?
- A Rajmangal di certo, - rispose il bengalese.
- È un'isola, Rajmangal, è vero?
- Sí.
- Divisa da che cosa dalla jungla?
- Da un fiume: il Mangal.
- Per raggiungerla dove credi che si imbarchino?
- In qualche rada della vasta laguna.
- Sicché se noi incrociassimo presso l'isola...
- Potremmo sorprenderli, arrivando prima, potendo avere a nostra
disposizione una scialuppa.
- Avranno buone gambe i Thugs, ma che possano rivaleggiare con un
elefante che va di galoppo, non lo ammetterò mai.
- No di certo.
- Allora concludo, - disse Sandokan che parea seguisse un'idea
fissa. - Noi spingeremo l'elefante meglio che potremo, in modo da
giungere sulle rive delle Sunderbunds con un notevole vantaggio sui
rapitori di Surama.
Quando ci saremo messi in comunicazione col mio praho, armeremo
la baleniera e andremo ad incrociare sulle coste di Rajmangal.
- E li prenderemo prima che sbarchino sulla loro isola, - disse
il signor de Lussac.
- E li fucileremo come cani, - aggiunse Yanez.
- Allora avanti e sempre di galoppo, - disse Sandokan. - Ehi,
cornac, cinquanta rupie di regalo se puoi portarci sulle rive delle
Sunderbunds prima di mezzanotte. Lo credi possibile, Tremal-Naik?
- Sí, se l'elefante non rallenta, - rispose il bengalese. -
Siamo ben lontani, tuttavia vi giungeremo.
Il coomareah ha le gambe lunghe e vince un buon cavallo nella
corsa. Spingi, cornac, spingi sempre.
- Sí, sahib, - rispose il conduttore. - Mettete solo a mia
disposizione alcuni chilogrammi di zucchero ed il coomareah non
smetterà di trottare.
L'elefante manteneva un galoppo ammirabile, senza che il suo
conduttore avesse bisogno di aizzarlo coll'arpione, quantunque il
terreno si prestasse poco per un corridore cosí pesante, essendo
sempre pantanoso.
In meno di due ore attraversò il tratto spazzato dal ciclone e
raggiunse la jungla meridionale, che pareva non avesse sofferto
nulla da quelle trombe d'aria.
Infatti i bambú giganti, i calamus ed i foltissimi cespugli di
mindi e di mussenda riapparivano a macchioni, interrotti di quando
in quando da gruppi di splendidi cocchi, di pipal, di mangifere, di
palmizi tara e di latanie, che crescevano sulle rive degli stagni.
Un'ora piú tardi l'elefante, che non aveva cessato di trottare,
si cacciava in mezzo ad una immensa piantagione di bambú spinosi e
di bambú tulda, d'altezza straordinaria.
- Apriamo gli occhi, - disse Tremal-Naik. - Questo è un vero
posto da imboscate e un uomo potrebbe facilmente ammazzarci
l'elefante con un colpo di tarwar nelle gambe posteriori. - Nulla
però accadde e nessun pericolo minacciò l'elefante.
Verso il tramonto Sandokan ordinò la fermata, per concedere un
po' di riposo al bravo animale, il quale cominciava a dare segni di
stanchezza e anche per preparare la cena.
D'altronde tutti sentivano il bisogno di un po' di tregua,
giacché le incessanti scosse li avevano completamente fiaccati.
Il cornac che ci teneva a guadagnare le cinquanta rupie
promessegli da Sandokan, fece un'ampia raccolta di foglie di bâr
(ficus indica) e di rami di pipal e erbe di typha di cui gli
elefanti sono ghiottissimi e raddoppiò la razione di ghi e di
zucchero, onde il pachiderma conservasse le sue forze.
Alle nove il coomareah ben pasciuto e rinvigorito da una
bottiglia di gin tracannata d'un sol fiato come fosse semplice
acqua, riprendeva il trotto sfondando impetuosamente l'enorme massa
dei vegetali.
L'influenza dell'aria marina cominciava a farsi sentire. Una
brezza abbastanza fresca ed impregnata di salsedine soffiava dal
sud, indicando la vicinanza delle immense lagune che si stendono fra
la costa del continente e la moltitudine d'isole e d'isolotti che
formano le Sunderbunds.
- Fra un paio d'ore e anche prima, giungeremo sulle rive del
mare, - disse Tremal-Naik.
- Ma noi non abbiamo pensato ad una cosa, - disse ad un tratto
Yanez. - Se il praho incrocia nel canale di Raimatla, come lo
raggiungeremo mentre non possediamo alcuna scialuppa?
- Non vi è alcun villaggio di pescatori sulle rive? - chiese
Sandokan.
- Una volta ve n'erano, - rispose Tremal-Naik, - ora i Thugs
hanno distrutte le capanne e anche gli abitanti. Non vi è che la
piccola stazione inglese di Port-Canning, però troppo lontana e
perderemmo un tempo troppo prezioso per noi.
- Bah! Costruiremo una zattera, - disse Sandokan. - I bambú si
prestano benissimo.
- E l'elefante? - chiese Yanez.
- Il cornac lo condurrà là dove abbiamo dato appuntamento ai
tuoi malesi, - rispose Tremal-Naik. - Se poi... Oh!
Un urlo acuto in quel momento ruppe improvvisamente il profondo
silenzio che regnava nella jungla.
- Uno sciacallo? - chiese Sandokan.
- Bene imitato, - rispose Tremal-Naik che si era bruscamente
alzato, interrompendo la frase.
- Come! non credi che sia stato veramente uno sciacallo?
- Che cosa dici cornac, di quell'urlo? - chiese Tremal-Naik,
volgendosi verso il conduttore del coomareah.
- Che qualcuno ha cercato d'imitare il mangiatore di carogne, -
rispose l'indiano con accento inquieto.
- Vedi nulla tu?
- No, sahib.
- Che siamo stati seguiti? - chiese il francese.
- Tacete! - comandò Tremal-Naik.
Una nota metallica echeggiò in mezzo ai folti bambú spinosi,
seguita da alcune modulazioni.
- Ancora il ramsinga! - esclamò Tremal-Naik.
- Ed il suonatore non deve essere lontano piú di tre o
quattrocento passi, - disse Yanez afferrando la carabina e armandola
precipitosamente. - L'avevo detto io che questo era un vero luogo
d'imboscate.
- Sono diavoli o spiriti quegli uomini! - esclamò Sandokan.
- O uccelli? - disse il signor di Lussac. - Devono avere le ali
per seguirci sempre.
- Ascoltate! - esclamò Tremal-Naik. - Si risponde!
Un altro ramsinga aveva risposto, assai lontano. Tre volte
squillò su diversi toni, poi il silenzio tornò.
I quattro cacciatori, in preda ad una viva agitazione, si erano
alzati colle carabine in pugno, scrutando attentamente le alte canne
della jungla.
Erano però in quel luogo cosí fitte e l'oscurità cosí
profonda, che non era possibile discernere un uomo nascosto fra quel
caos di vegetali d'alto fusto.
- Che ci tendano una imboscata? - chiese Sandokan, rompendo il
silenzio. - Se fermassimo l'elefante e facessimo una battuta? Che te
ne pare Yanez?
Il portoghese stava per rispondere, quando quattro o cinque lampi
balenarono fra i bambú, seguiti da parecchie detonazioni.
Il coomareah si era arrestato di colpo, imprimendo all'haudah una
tale scossa che per poco gli uomini che la montavano non furono
scaraventati in aria, poi fece uno scarto improvviso mandando
contemporaneamente un barrito spaventevole.
- L'elefante è stato toccato! - si udí a gridare il cornac.
Sandokan, Yanez ed i loro compagni avevano fatto fuoco verso il
luogo ove avevano veduto balenare i lampi.
Parve a loro di udire un grido, ma non ebbero il tempo di
accertarsene, poiché l'elefante si era slanciato a corsa disperata,
riempiendo la jungla di clamori assordanti.
- Sahib! - gridò il cornac, che aveva le lacrime agli occhi.
- Il coomareah è ferito! Udite come si lagna?
- Lascialo correre finché esalerà l'ultimo respiro, - rispose
freddamente Sandokan.
- È una fortuna che perderete, sahib!
La Tigre della Malesia alzò le spalle, senza rispondere.
Il pachiderma, che doveva aver ricevuto piú d'una palla, reso
furioso pel dolore, divorava la via colla velocità d'un cavallo
arabo, tutto atterrando e fracassando sul suo passaggio.
Barriva incessantemente ed imprimeva all'haudah tali scosse che i
quattro cacciatori dovevano tenersi ben stretti ai bordi e alle funi
per non venire sbalzati fuori.
Quella corsa indiavolata durò venti minuti, poi il coomareah
s'arrestò.
Si trovava sulla riva della laguna: stava per morire a giudicarlo
dal tremito che scuoteva il suo corpo e dai suoi barriti che
diventavano rapidamente piú deboli, ma la sua missione l'aveva
compiuta.
I cacciatori si trovavano all'estremità della jungla e le
Sunderbunds pantanose si stendevano dinanzi a loro, al di là della
laguna.
Il cornac aveva mandato un grido:
- Scendete: il coomareah sta per cadere!
I cacciatori gettarono frettolosamente la scala di corda, presero
le loro armi e scesero a precipizio, mentre il cornac si lasciava
scivolare lungo il fianco destro del colosso.
Si erano appena allontanati di pochi passi quando il povero
coomareah cadde pesantemente colla testa in avanti, spezzandosi le
due zanne.
Era morto sul colpo.
- Ecco altre cinquantamila lire perdute, - disse Yanez. - Bah!
Non è il denaro che ci fa difetto, ed i Thugs pagheranno anche
questa morte! |