CAPITOLO XX - LA TORRE DI BARREKPORRE
L'elefante era stramazzato a venti passi dalla riva, su un suolo
cosí fangoso e cedevole, che pochi minuti dopo metà dell'enorme
massa di carne era sprofondata.
L'acqua trasudava da tutte le parti come se quell'estremo lembo
della immensa jungla fosse spugnoso e traforato come un crivello.
Piante acquatiche crescevano dappertutto, con uno sviluppo
prodigioso ed un enorme gruppo di paletuvieri esalanti miasmi
deleteri, costeggiava la spiaggia, avanzandosi molto innanzi sulle
acque della laguna.
Un tanfo ammorbante che faceva arricciare il naso a Yanez ed al
francese, e che pareva prodotto dall'imputridire di carogne gettate
in acqua, regnava dovunque, tanfo pericoloso che doveva produrre
febbri e cholera.
- Bel luogo! - esclamò Yanez, che si era spinto verso i
paletuvieri, mentre Sandokan, il cornac e Tremal-Naik vuotavano l'haudah
prima che il fango la inghiottisse. - Ne avete veduto mai uno di
piú splendido, signor de Lussac?
- Queste sono le nostre Sunderbunds, signor Yanez, - rispose il
francese.
- Qui non potremo nemmeno accamparci. Il terreno cede sotto i
nostri piedi e mi pare che non se ne possa trovare un palmo di
resistente.
E da che cosa proviene questa puzza orribile?
- Guardate dinanzi a voi, signor Yanez: non vedete quei marabú
che sonnecchiano alla superficie dell'acqua e che vanno lentamente
alla deriva?
- Sí, anzi mi chiedevo come quei brutti uccellacci, quei rapaci
divoratori di carogne, si tengono cosí a galla, ritti sulle zampe.
- Sapete su che cosa s'appoggiano?
- Su delle barchette invisibili, formate forse da foglie di loto.
- No, signor Yanez. Ogni marabú ha sotto di sé il cadavere d'un
indiano, piú o meno intero e che a poco a poco passerà tutto nel
suo ventre.
I bengalesi che non posseggono tanto da poter pagare le spese
della cremazione, quando sono morti, si fanno gettare nel Gange, il
fiume sacro che deve condurli nel paradiso di Brahma, di Siva o di
Visnú ed a poco a poco, se per via non vengono divorati dai
gaviali, passando di canale in canale, finiscono qui.
Su questa laguna vi sono dei veri cimiteri galleggianti.
- Me ne accorgo da questo delizioso profumo che mi fa rivoltare
gli intestini. Potevano scegliere un luogo migliore i signori Thugs.
- Sono sicuri qui.
- Avete veduto nulla? - chiese Sandokan che aveva finito di
vuotare l'haudah.
- Sí, degli uccelli che dormono, e dei cadaveri che passeggiano
a fior d'acqua. Uno spettacolo superbo pei beccamorti, - rispose
Yanez, cercando di sorridere.
- Speriamo di andarcene presto.
- Non vedo alcuna barca, Sandokan.
- Ti ho detto che costruiremo una zattera. Forse la Marianna è
piú vicina di quello che tu credi, giacché siamo sulle rive del
canale di Raimatla, è vero Tremal-Naik?
- E anche vicini alla torre di Barrekporre, - rispose il
bengalese. - La vedete ergersi dietro quel gruppo di tara?
- È abitabile? - chiese Yanez.
- Deve essere ancora in ottimo stato.
- Andiamo a rifugiarci colà, amico Tremal-Naik. Qui non possiamo
accamparci.
- E poi sarebbe pericoloso fermarci su questa riva, coll'elefante
cosí vicino.
- Non vedo quale fastidio potrebbe darci quel povero pachiderma.
- Lui no, bensí quelli che fra poco accorreranno per
divorarselo. Tigri, pantere, cani selvaggi e sciacalli non
tarderanno ad accorrere per disputarselo, e quei carnivori, messi in
appetito potrebbero gettarsi anche su di noi.
- Se la prendessero almeno coi Thugs che ci hanno tesa
l'imboscata - disse il francese.
- Tiravano bene, quelle canaglie!
- E come hanno colpito il coomareah, - disse Sandokan. - Hanno
forata la pelle in tre luoghi, in direzione dei polmoni.
Uno scoppio di urla acutissime miste a latrati rauchi, echeggiò
in quel momento fra le immense canne, a non breve distanza dalla
spiaggia.
- Ecco i bighana che hanno già fiutato l'elefante e che
accorrono, - disse Tremal-Naik. - Amici sgombriamo e lasciamoli
banchettare.
Stavano per mettersi in marcia quando in mezzo ad una macchia di
mussenda si udirono dei belati.
- Toh! - esclamò Yanez, sorpreso. - Vi sono delle pecore qui?
- Sono le tcite che precedono i cani selvaggi ed ai quali
disputeranno coraggiosamente la preda.
- Che animali sono? - chiese Sandokan.
- Dei graziosi leopardi, d'una audacia a tutta prova,
sanguinarissimi e che nondimeno si addomesticano facilmente per
farne dei cacciatori insuperabili. Eccone uno: lo vedete? Non ha
paura nemmeno di noi; ma non temete, non ci assalirà.
Un bell'animale snello, sottile, con le gambe un po' alte, che
aveva la testa del gatto ed il corpo di un cane, lungo meno d'un
metro e mezzo e alto poco piú di due piedi, coperto da un pelame
lungo e ispido, era balzato agilmente fuori da un cespuglio e si era
fermato a venti passi dai cinque uomini, fissando su di loro i suoi
occhi verdastri e fosforescenti.
- Somiglia ad un piccolo leopardo e anche un po' alla pantera, -
disse Sandokan.
- E possiede il coraggio dell'uno e lo slancio dell'altra, -
rispose Tremal-Naik. - È piú lesto perfino delle tigri e raggiunge
alla corsa le antilopi piú veloci, però non resiste oltre i
cinquecento passi.
- E si addomesticano?
- Senza difficoltà e cacciano volentieri pel padrone, purché si
lasci loro il sangue delle prede che riescono ad atterrare.
- Ne avrà da bere fino da scoppiare quel grazioso animale, -
disse Yanez. - L'elefante deve averne parecchi barili nel suo
corpaccio. Buona digestione, amica mia!
La tcita in quattro slanci era già addosso all'elefante.
I due europei, i due indiani e Sandokan, udendo echeggiare piú
minacciose ed in luoghi diversi, le urla dei bighana affrettarono il
passo, costeggiando la sponda della laguna, dove le piante non erano
cosí fitte da permettere ad una tigre d'imboscarsi.
Al di là delle immense foglie dei palmizi tara, si vedeva
spiccare la torre segnalata dal bengalese, col suo cocuzzolo
piramidale.
Procedendo cautamente, colle carabine montate, attraversarono
quel gruppo di piante che formava un piccolo bosco, e giunsero
finalmente su uno spiazzo ingombro solamente di calamus,
attortigliati su se stessi, come serpenti smisurati e nel cui mezzo
si ergeva la torre coi suoi quattro piani.
Era un edificio quadrangolare, adorno di teste di elefanti e di
statue rappresentanti dei cateri, ossia de' giganti dell'antichità,
e colle pareti qua e là screpolate.
A che cosa avesse potuto servire anticamente quella torre,
piantata in mezzo a quei pantani, abitati solamente dalle belve
feroci, sarebbe stato un po' difficile a dirlo a meno che avesse
potuto servire di difesa avanzata contro le scorrerie dei pirati
arracanesi.
La scala che metteva nell'interno era crollata assieme a parte
della muraglia prospettante verso la laguna, però ve n'era stata
collocata un'altra di legno che metteva al secondo piano.
Probabilmente il primo non sussisteva piú.
- Si vede che qualche volta degli uomini sono qui venuti a
rifugiarsi, - disse Tremal-Naik. - Questa scala a mano non si sarà
fabbricata da sé.
Già il francese pel primo aveva cominciato a salire, quando
un'ombra si slanciò fuori da un gruppo di calamus, cadendo in mezzo
ad un folto cespuglio di mindi.
- Badate! - gridò il cornac, che pel primo se n'era accorto. -
Su fate presto!
- Che cos'era? - chiese Sandokan, mentre Tremal-Naik e Yanez
seguivano precipitosamente il francese che era quasi sulla cima
delle scale.
- Non so, sahib... un animale...
- Sali... spicciati!
Il cornac non se lo fece dire due volte e si slanciò a sua volta
su per la scala di bambú che crepitava e s'incurvava sotto il peso
di quei quattro uomini.
Sandokan aveva fatto invece un rapido voltafaccia, imbracciando
la carabina. Aveva veduto vagamente quell'ombra attraversare lo
spazio e cadere fra i mindi, quindi non sapeva se si trattasse d'una
tcita, o di qualche animale piú pericoloso.
Vedendo i rami delle piante rimanere immobili, si gettò sulla
scala montandola rapidamente.
Era giunto a metà altezza, quando provò un urto che per poco
non lo fece cadere abbasso.
Qualcuno erasi slanciato sulla scala un po' piú sotto di lui, ed
i bambú avevano provata una scossa cosí violenta da temere che si
spezzassero.
Nel medesimo istante si udí il signor de Lussac, che si trovava
già sulla piccola piattaforma che girava intorno alla torre, a
gridare:
- Presto, Sandokan! Sta per prendervi!
La Tigre della Malesia invece di innalzarsi, si era voltato
tenendosi con una mano ben stretto alla scala ed impugnando coll'altra
la carabina per la canna.
Un grosso animale che sembrava un gigantesco gatto, colla testa
grossa e rotonda, il muso sporgente ed il corpo coperto da un pelame
giallo rossastro con macchie nerastre in forma di mezza-luna, era
piombato sulla scala, un po' al di sotto del pirata e si sforzava a
raggiungerlo, aggrappandosi ai bambú colle unghie.
Sandokan non aveva mandato né un grido, né fatto atto di
fuggire. Alzò rapidamente la carabina il cui calcio era guernito di
una grossa lastra di ottone e vibrò un colpo formidabile sul cranio
della belva che risuonò come una campana fessa. L'animale mandò un
ringhio sordo, girò attorno alla scala tentando ancora di reggersi
colle potenti unghie, poi si lasciò cadere al suolo.
Sandokan aveva approfittato per raggiungere i compagni, prima che
la belva rinnovasse l'assalto.
Il francese che aveva armata la carabina stava per far fuoco,
quando Tremal-Naik lo trattenne, dicendogli:
- No, signor de Lussac, non segnaliamo con uno sparo la nostra
presenza in questo luogo. Non dimentichiamo che abbiamo i Thugs alle
calcagna.
- Bel colpo, fratellino mio, - disse Yanez, aiutando Sandokan a
salire sulla piattaforma. - Devi avergli spaccato il cranio, perché
vedo che quell'animalaccio si trascina a stento fra i calamus. Sai
che cos'era?
- Non ho avuto il tempo di osservarlo.
- Una pantera, mio caro. Se ti trovavi due piedi piú sotto ti
balzava addosso.
- E come era grossa! - aggiunse Tremal-Naik. - Non ne ho mai
veduta una di simile.
Se la scala invece di essere di bambú fosse stata di altro
legno, non avrebbe resistito a quel salto e saremmo caduti tutti
l'uno sull'altro.
- Sono abituate le pantere a fare questi colpi e lo sanno gli
incaricati di rinnovare le provviste delle torri di rifugio
disseminate sull'Hugly - disse il francese.
- Un giorno ne ho salvati due mentre stavano per venire sbranati
sulla scala che metteva nel rifugio.
- Per precauzione ritiriamo la scala, - disse Yanez. - Le pantere
sono abili arrampicatrici e quella che Sandokan ha cosí ben punita
potrebbe cercare di vendicarsi di quella tremenda mazzata.
- Ed entriamo se è possibile, - disse Tremal-Naik.
Una finestra metteva nell'interno della torre. Il bengalese salí
sul davanzale ma ridiscese subito sul terrazzino.
- Tutti i piani sono crollati, - disse, - e la torre è vuota
come un camino. Passeremo la notte qui: fa piú fresco.
- E potremo nel medesimo tempo sorvegliare i dintorni, - disse
Sandokan. - Dov'è scappata la pantera che non la vedo piú?
- Pare che se ne sia andata, a menoché non sia nascosta fra i
calamus per assalirci quando scenderemo, - rispose Yanez.
- Non mi sorprenderebbe, - disse de Lussac. - Quantunque siano
molto piú piccole e meno robuste delle tigri, sono piú coraggiose
e assalgono sempre anche quando la fame non le spinge. È capace di
assediarci, come quelle che avevano assalito i due provveditori
della torre di Sjawrah.
- Quelli che poi avete salvati? - chiese Sandokan.
- Sí, capitano.
- Signor de Lussac, raccontateci un po' quell'avventura, - disse
Yanez, levandosi da una delle sue dieci tasche un pacco di sigarette
e offrendole ai compagni. - Credo che nessuno di noi abbia desiderio
di dormire.
- Non mi fiderei a chiudere gli occhi, - disse Tremal-Naik. - Qui
siamo allo scoperto ed i Thugs che ci hanno tesa l'imboscata avevano
delle carabine e non sparavano male.
- Sí, raccontate signor de Lussac, - disse Sandokan. - Il tempo
passerà piú presto.
- L'avventura risale a quattro mesi fa. Avevo un vivissimo
desiderio di fare una partita di caccia fra i canneti della jungla
costeggiante l'Hugly, ed essendo amico d'un tenente di marina,
incaricato di provvedere e rinnovare i viveri alle torri di rifugio,
aveva ottenuto il permesso d'imbarcarmi su una di quelle scialuppe a
vapore che ogni mese visitano quei posti dei naufraghi. Eravamo in
otto a bordo: un master, un vice-master, tre marinai, un
macchinista, un fuochista ed io
Avevamo già visitate parecchie di quelle torri, rinnovando qua e
là i viveri, quando una sera, poco prima del tramonto, giungemmo
dinanzi al rifugio di Sjawrah, che s'alzava ad un centinaio di metri
dalla riva, essendo il terreno assai fangoso presso il fiume.
Avendo scorto molte oche volteggiare al di sopra dei canneti e
anche delle antilopi a fuggire, mi unii ai due marinai incaricati di
portare i viveri da depositare nella torre.
Avevo preso con me un fucile da caccia, per maggior precauzione
mi ero anche armato d'una buona rivoltella di grosso calibro,
essendo stato avvertito che potevo incontrare delle tigri o delle
pantere.
Ci eravamo inoltrati sul sentiero che conduceva alla torre,
aperto a colpi di scure fra un caos di bambú e di paletuvieri,
quando udimmo il master della scialuppa a urlare.
Nell'istesso momento vidi la scialuppa allontanarsi precipitosa
mente dalla riva, per mettersi fuor di portata dagli assalti di quei
feroci carnivori.
"Badate, le pantere. Salvatevi nella torre!"
Quell'avvertimento era appena giunto ai miei orecchi, quando udii
dietro di me un rumore di rami spezzati.
"Gettate i viveri e fuggite!" gridai ai due marinai che
mi precedevano.
Come potete credere, non si fecero ripetere l'ordine due volte
Lasciarono cadere i carichi, e fuggirono a tutte gambe verso la
torre che era ormai vicinissima.
Io mi ero slanciato dietro di loro, ma non ero ancora giunto alla
base della scala, quando mi vidi alle spalle due enormi pantere, che
spiccavano salti di cinque o sei metri per piombarmi addosso prima
che potessi rifugiarmi sulla piattaforma della torre.
Il mio fucile era carico a pallini, tuttavia non esitai a
servirmene e scaricai contro le due belve i miei due colpi.
Sarebbe stata una follia sperare di ucciderle, tuttavia vidi le
pantere arrestarsi.
Ne approfittai per salire velocemente la scala. Ad onta della
rapidità della mia ascensione, fui subito raggiunto dal maschio, il
quale con un solo balzo cadde a metà della scala, seguito subito
dalla compagna.
Il colpo fu cosí violento che per un momento credetti che i
bambú cedessero.
Fortunatamente non avevo perduta la testa. Comprendendo che la
mia pelle correva un pericolo gravissimo, passai il braccio sinistro
attorno ad uno dei gradini per non venire trascinato a terra, coll'altro
levai la rivoltella e feci fuoco tre volte, quasi a bruciapelo.
Il maschio, ferito al muso, cadde trascinando seco la femmina
alla quale una palla aveva prodotta una ferita sotto la gola.
Erano appena a terra, che quelle terribili belve tornavano alla
carica, slanciandosi nuovamente sulla scala.
Non avevo però perduto il mio tempo ed in quattro slanci mi ero
messo al sicuro sulla piattaforma, dove i due marinai, impotenti a
soccorrermi, non avendo alcuna arma, urlavano disperatamente.
Le belve facevano sforzi disperati per raggiungerci,
aggrappandosi alle traverse colle loro poderose unghie.
"Gettiamo la scala!", gridai ai due marinai.
Unendo i nostri sforzi la rovesciammo assieme alle due belve,
senza pensare che, agendo in quel modo, ci toglievamo la
possibilità di poter poi scendere per tornare a bordo della
scialuppa.
- E rimaneste assediati? - disse Tremal-Naik.
- Tutta la notte, - rispose il tenente. - Le maledette bestie,
quantunque ferite, non lasciarono i dintorni della torre colla
speranza che noi ci decidessimo a scendere.
Al mattino il master, avvertito da noi che le pantere si
trovavano sempre sotto, fece accostare la scialuppa alla riva e fece
tuonare replicatamente il piccolo cannone-revolver di cui era armata
l'imbarcazione.
Alla seconda scarica le due belve caddero, cosí il master ed i
suoi uomini poterono sbarcare e rialzare la scala e liberarci.
- Sono peggiori delle tigri, - disse Sandokan.
- Piú audaci e anche piú risolute, signore, - rispose il
francese.
- Oh! - esclamò in quel momento Yanez alzandosi
precipitosamente.
- Guardate laggiú! Un lume! - Tutti avevano volti gli sguardi
verso la direzione che il portoghese indicava colla mano.
Sulle tenebrose acque della pestilenziale laguna, si scorgeva
infatti un punto luminoso a luce rossa, che pareva si avanzasse
verso la torre.
Veniva da oriente e descriveva degli angoli, come se la scialuppa
o la nave che illuminava corresse lievi bordate.
- Che sia il nostro praho? - chiese Tremal-Naik.
- O la baleniera? - disse invece Yanez.
- A me sembra che non possa essere né l'uno, né l'altra, -
disse Sandokan, dopo d'aver osservato attentamente quel punto
luminoso che spiccava nettamente sulla nera superficie delle acque.
Entra mai nessun veliero in questa laguna, Tremal-Naik?
- Qualche barca di pescatori, - rispose il bengalese. -
Potrebbero anche essere dei naufraghi.
Il ciclone che si è rovesciato sulla jungla avrà sconvolto
anche il golfo del Bengala.
- Sarei lieto se quella scialuppa approdasse qui. Non avremmo
piú bisogno di costruirci una zattera per raggiungere il nostro
praho.
Deve avere delle vele quella imbarcazione. Non vedi Yanez che
bordeggia?
- E vedo anche che si dirige a questa volta, - rispose il
portoghese. - Se passerà dinanzi alla torre chiameremo l'attenzione
del suo equipaggio con qualche colpo di fucile.
- Ciò che faremo anzi subito, - disse Sandokan. - Udendo degli
spari, verranno qui.
Alzò la carabina e fece fuoco.
La detonazione si propagò con un rombo prolungato al disopra
delle tenebrose acque, perdendosi in lontananza.
Non era trascorso un mezzo minuto che si vide il punto luminoso
cambiare direzione e muovere direttamente verso la torre.
- Quando il sole spunterà quella imbarcazione sarà qui, - disse
Sandokan. - Ecco laggiú che l'alba dirada le tenebre. Prepariamoci
a lasciare la torre ed imbarcarci.
- E se quegli uomini si rifiutassero di prenderci a bordo? -
chiese il francese.
- O piombo od oro, - rispose Sandokan, freddamente. - Vedremo se
esiteranno.
Cornac, abbassa la scala: vengono in fretta. |