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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

Quattro atti

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PERSONAGGI

 

CARLO BEZZI

ALBERTA, sua moglie

ALICE, cugina di Alberta

TERESINA, zia di Alberta e Alice

CLELIA GOSTINI

DONATO SERENI

ROBERTO TELVI

Dottor PAOLI

CHERMIS

CAMERIERA

 

 

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ATTO PRIMO

 

 

SCENA PRIMA

ALBERTA e CLELIA

Alberta Bezzi e Clelia Gostini. Sera. In una stanza contigua alla camera da pranzo che si vede in fondo e nella quale è occupata una cameriera.

 

ALBERTA.          Certamente è utile che abbiate fatto un corso di infermiera, ma non era necessario. Mia zia è una malata cronica a quest'ora. Anzi tutto il suo organismo è sano fuori che alle gambe. Passa la giornata nella sua sediola ma dorme e mangia perfettamente. Perciò il vostro ufficio non sarà difficile.

CLELIA.               Lo so. Però il mio salario dovrebb’essere un po' conforme alla mia condizione.

ALBERTA           (esitante). Certo per la zia è preferibile di avere accanto una persona che sappia parlarle, divertirla, leggerle. Ma qui bisogna vedere quello che sta meglio per me. Pago io perché la zia non ha dei mezzi e debbo pagare perché essa abbia tutto quello che le è indispensabile, non altro. Io non penso di pagarle anche dei divertimenti.

CLELIA.               Signora! Io capisco che facendo la carità se ne faccia meno ch'è possibile. (Alberta ride.) Lei è però conosciuta come una persona generosa. Io voglio dedicarmi interamente a sua zia. Interamente! Ma da una persona com'è Lei posso aspettarmi anch'io un po' di carità.

ALBERTA           (ride e ride anche Clelia). Lei vuole dire che qui posso spendere un po' di piú perché invece che una sola carità ho da farne due?

CLELIA                (non ride piú). Io debbo anche vestirmi in modo degno delle persone che servo e anche degno della mia condizione e delle persone che mi raccomandarono tanto calorosamente.

ALBERTA           (un po' seccata). Mi disturba… Ma sia… Mi toccherà di rifare i conti per stabilire quello che la zia mi costerà. Solo ciò mi disturba.

CLELIA.               Se vuole che L'assista? Io so fare i conti perché mi preparavo ad entrare in un ufficio quando m'accorsi che le condizioni della mia povera famiglia m'avrebbero obbligata di lavorare. (Si asciuga delle lagrime pronte e abbondanti.) Scusi… tanto…

ALBERTA           (molto buona). Mi dispiace di averla commossa. Non era questa la mia intenzione. Scusi Lei me. Insomma, in quanto al salario siamo d'accordo. Capisco anche ch'Ella non può aspettare per avere l'impiego che la zia arrivi. Subito domani Ella potrà entrare da me. Le darò qualche lavoro di cucito. Se ne avrò il tempo passerò qualche ora con Lei a spiegarle come voglio sia trattata la zia. Sarà Suo compito di apportare un po' d'ordine nella casa di quella disordinata ch'è mia cugina Alice.

CLELIA.               Chi?

ALBERTA.          Non Le dissi ancora che la zia non abiterà da me ma da Alice?

CLELIA                (ansiosa). Ed io con la zia?

ALBERTA.          Eh! Sí! Non lo sapeva?

CLELIA.               No.

ALBERTA           (secca). Ebbene! Ora lo sa. Sta in Lei di accettare o rifiutare. La casa di Alice non è quello ch'è questa casa ma neppure là non manca il cibo, il riscaldamento e tutto quello che occorre. Capirà che altrimenti non vi metterei ad abitare la zia. Accetta di provare? Non ci sposiamo mica. Col debito preavviso che m'attendo da una ragazza a modo com'è Lei, Ella potrà restare o andarsene.

CLELIA.               Accetto, accetto. Capirà signora che io mi figuravo mi sia concesso di restare presso di Lei. Era il mio conforto nella mia grande sventura. Sapevo della Sua bontà e mi sentivo tanto sicura presso di Lei! Avrei saputo farmi voler bene da Lei.

ALBERTA.          Stia sicura che anche abitando Lei da Alice io sarò spesso con Lei e i nostri rapporti saranno molto seguiti. Della zia intendo di occuparmi come se stesse qui con me.

 

 

SCENA SECONDA

CARLO BEZZI e DETTI

 

CARLO.               Donato non è ancora venuto?

ALBERTA.          No.

CARLO.               Quando viene mandalo da me che gli faccio vedere quelle stampe che mi sono state offerte. Devo decidermi domani. L'avevo pregato di venire di buon'ora. Non c'è di peggio che aver da fare con un artista. (S'avvia.)

ALBERTA.          Aspetta un momento. Avrei da dirti qualche cosa. (A Clelia.) Arrivederci signorina. Venga domattina senz'altro.

CLELIA.               A che ora?

ALBERTA           (esitante). Fra le 9 e le 11.

CLELIA                (un po' sorpresa). Verrò dunque alle dieci.

ALBERTA           Sí! Le dieci o le dieci e mezzo. (Clelia esce.)

CARLO.               Chi è costei?

ALBERTA.          L'infermiera per zia Teresina. La scelsi accuratamente. È carina e spero farà alla zia la vita meno greve. Non mi costa poi troppo perché ho trovato una signorina a modo ad un prezzo non eccessivo. Ed anche per lei la situazione che le offro è una fortuna. Ciò è molto, molto bene. Siamo accomodati in tre: Io, lei e la zia. Sarà poi una buona compagnia anche per Alice.

CARLO.               Tu, lei, la zia e anche Alice. Sono contento di vederti contenta. (S'avvia.) Se viene Donato mandamelo.

ALBERTA           (seccata). Te ne prego, Carlo, stammi a sentire per un momento. Non avviene mica di spesso ch'io ti strappi ai tuoi affari o alle tue stampe.

CARLO                (affettuoso). Me ne strappi piú di spesso di quanto credi. Non sono col pensiero sempre a te?

ALBERTA.          Anche quando ti occupi delle stampe?

CARLO                (esitante). Anche allora. C'è anche allora il sentimento che la mia collezione si trova in questa casa e che questa casa col suo ordine e la sua pace è tutta opera tua.

ALBERTA           (leggermente). Tu sai sempre dire delle cose gentili. Ma non mi basta. Ora devi pensare a me, dimenticando i tuoi affari e anche le stampe. Senti! Alice dice di aver bisogno di un aumento di almeno 1000 lire al mese.

CARLO.               Eh! Capisco! La vita va diventando ogni giorno piú cara.

ALBERTA.          Sarebbe una buona ragione perché noi si spenda di meno. Giusto perché il costo della vita sale non siamo al caso di aumentare il denaro ad Alice.

CARLO.               Come ragionamento non fa una grinza. Se tu hai deciso cosí sta bene; si tratta di una cugina tua.

ALBERTA.          Proprio perché la cugina è mia, la mia posizione è alquanto piú difficile della tua. Io le dirò che debbo parlare con te perché senza la tua autorizzazione io non posso darle nulla. Ora è escluso ch'essa ch'è tanto fiera a te si rivolga ma pure potrebbe avvenire e allora voglio essere ben sicura che tu sia preparato.

CARLO.               È semplice: Le dirò che non vuoi.

ALBERTA.          Ma no! Se è questo che desidero di evitare. Devi dirle che non puoi darle di piú: I tuoi affari non vanno bene, i tempi son difficili e cosí via. Quando parlo con te non saprei credere che tu sia l'uomo d'affari astuto e accorto che dicono; a me sembri un semplicione qualunque e non capisco perché non ti truffino di tutto quanto possiedi.

CARLO.               Ma i miei affari sono piú semplici dei tuoi. Ricorda che quasi tutti gli affari da me si fanno per telegrafo. E il telegrafo costa. Non posso dire piú di tante parole. Perciò lascio via tutte le parole superflue e divento molto furbo. Ma negli affari dove c'entrano le donne le parole costano meno ed è piú difficile di essere furbi. In quella volta proprio con Alice tu volevi io le dicessi che tu eri uscita. Glielo dissi ma poi si continuò a ciarlare insieme ed io, non so piú a che proposito, mi lasciai sfuggire le parole: Alberta or ora mi avvisò di non so che cosa.

ALBERTA.          Era chiaro: Or ora!

CARLO.               Sarebbe stato meno chiaro se tu, interpellata da lei, non avessi subito confessato d'essere stata a casa.

ALBERTA.          Conoscendoti ti credetti capace di averlo detto anche piú chiaro.

CARLO.               Fosti danneggiata dalla tua sfiducia. C'è da me talvolta una piccola assenza. Sto preparando quei dispacci. Poche parole quelle ma bisogna pesarle. Ora però ho capito: Devo far credere alla signora Alice che sono io che ti proibisco di darle una maggior quantità di denaro. Non mi fai fare una bella figura perché io anzi penso che non bisognerebbe lasciar soffrire una signora tanto bella e due bambini.

ALBERTA.          Ma se le diamo tutto quello ch'essa domanda finirà con l'esigere molto; spenderà addirittura quello che spendiamo noi. Io penso d'accordarle la metà di quanto domanda.

CARLO                (ridendo). Noi in commercio ribassiamo di dieci, di venti per cento, ma mai di cinquanta.

ALBERTA.          Quanto farebbe il venti per cento?

CARLO.               Dovresti darle ottocento invece di mille lire.

ALBERTA.          Mai piú! Sarebbe come concederle tutto. Alice spende troppo. Per i bambini e per se stessa. S'addobba come una principessa ed i bambini li veste di bianco. Dice che il bianco si può lavare. Ma anche altri colori si possono lavare e occorre lavarli meno di spesso.

CARLO.               Capisco! È veramente male ch'essa spenda troppo. Ma non porta di solito i vestiti che tu smetti? L'altro giorno m'imbattei in lei sulle scale e pensai: Ecco un vestito ch'io ho già abbracciato.

ALBERTA.          Bada che l'involucro non ti faccia sbagliare. Io ho fiducia in te perché studiando quelle parole brevi brevi dei dispacci mi racconteresti tutto. Poi ho fiducia in Alice. (Sentitamente.) Quella poverina è l'orgoglio della nostra famiglia. Rimasta vedova tanto giovine avrebbe potuto procurarsi tanto facilmente i denari che io le rifiuto. (Commossa.) Sai! Io non penso mica di essere tanto crudele con lei. Per il momento credo sia prudente di non accordarle tutto quello che domanda. Poi vedremo. Certamente non la lascerò soffrire.

CARLO                (si china a lei per baciarla paternamente). Brava la mia capretta. Cosí ti amo.

 

SCENA TERZA

CAMERIERA e DETTI

 

CAMERIERA.     La signora Peretti.

ALBERTA.          Alice! Venga, venga.

CARLO.               Io mi salvo. Se Donato viene mandamelo subito. (Via.)

 

SCENA QUARTA

ALBERTA e ALICE

Alice è della stessi età di Alberta: 25 anni. Bionda mentre Alberta è bruna. Piú sottile di Alberta e di lei piú debole.

 

ALBERTA           (che l'ha baciata e abbracciata). I bimbi bene?

ALICE                  (sorridendo). Li ho lasciati in pianto. Emilio perché oggi è stato per la prima volta a scuola ed Elenuccia perché a scuola non può andare ancora. Insomma un pianto che non mi dà pensiero. Faremo tardi qui?

ALBERTA.          No! Potrai lasciarci alle dieci o alle dieci e mezzo. Non abbiamo a cena altri che te, Sereni, Telvi e il dottore. I tuoi due pretendenti e il dottore per calmarli. Non è fatto mica a posta. Carlo ha bisogno del consiglio di Sereni per certe stampe ch'è in procinto di acquistare. In quanto a Telvi è tanto sperduto che quando non lo invitiamo finisce col passare le notti nel suo ufficio. Mio marito dice che ruba il riposo ai guardiani e ai servi.

ALICE                  (commossa). Poverino!

ALBERTA.          Sí! Poverino! Io, però, quando lo vedo mi fa un po' da ridere. È irresistibile! (Ridendo.) Ricordi? Arriva a casa… dice alla serva che non vuol cenare finché la moglie non rientri e l'aspetta. Quando si rassegna di sedere alla tavola trova la lettera della moglie. Insomma è come vedere qualcuno che scivola sul selciato. Si spezzerà un braccio ma si ride.

ALICE                  (ridendo anche lei). E… finí col cenare solo?

ALBERTA.          Non so se abbia cenato. Studiò la lettera. La moglie non domandava perdono: Lo accusava. L'aveva seccata. L'aveva seccata con la sua pedanteria, e questo si capisce, ma anche col suo affetto sempre uguale e perciò monotono, con la sua compagnia, coi suoi affari, con le sue cure. Era molto e non so come l'abbia sopportato. Il giorno appresso era molto abbattuto ma due giorni dopo arrabbiato, eppoi furente. Adesso, dopo averci pensato tanto, egli è sicuro di aver avuto la disgrazia d'essersi imbattuto in una donna ch'era un mostro e… ne cerca un'altra che non sia tale.

ALICE                  (sorridendo). E tu vorresti propormi a quel posto?

ALBERTA.          Ebbi per un momento tale idea. Cioè avrei fatto del mio meglio per farvi trovare insieme e far venire a te l'idea di proporti. Come affare sarebbe stato ottimo per tutti meno per te stessa forse. Quando tu ti fossi rassegnata di sopportare un uomo buono, ma un po' vecchio, un po' gottoso; buono, ma metodico come una macchina; buono ma - come Emma me lo disse il giorno prima di scappare - tale che quando arriva a casa parla ancora di affari se non ha le mascelle tese dallo sbadiglio o abbandonate per una silenziosità ch'è come una qualità della sua bocca perché di dietro c'è una scatola riempita di una materia cerebrale poderosa ma priva di vitamine, nessuno potrebbe avere a ridirci nulla. Ma tu non lo puoi fare perché non si può. Egli è sposato definitivamente e dacché abbiamo perduto Fiume non c'è piú rimedio.

ALICE                  Meno male che cosí son salva.

ALBERTA           (volubile). Sí! proprio salva se cosí si può dire per significare di aver perduto una buona occasione per arricchire te e i tuoi bambini. Io studiai la cosa. Mi fu facile perché in un primo tempo egli sentiva il bisogno di avere un confidente, anzi una confidente, e quando sospirava di aver perduto con la donna anche la casa e la quiete, m'era facile di dirgli: Ma, vediamo, non tutte le donne sono scappate. Mettiamo al suo posto un'altra e la casa e la quiete ritornerebbero. Ma è un disgraziato! Deve restare italiano fino alla morte perché certi suoi interessi gl'impediscono di mutare di nazionalità, e perciò non c'è via al divorzio. Perciò resta eliminato. Io ti conosco bene e so come tu pensi.

ALICE.                 Eh! già. (Un po' ridente; poi spiega.) Fra l'impossibilità di avere il divorzio e quella mancanza di vitamine non c'è da avere dei dubbi. Lasciamolo lí. Mi dispiace di aver riso di lui visto ch'è tanto disgraziato. Ti assicuro che se lo potessi… gli restituirei la sua Emma ch'egli potrebbe riavere in piena legalità e che restò già con lui per due anni cosí che se durava ancora, un poco a lui si sarebbe abituata.

ALBERTA.          E anche Sereni ho dovuto mettertelo accanto questa sera, ma è per l'ultima volta. Sopportalo ancora per una volta.

ALICE.                 Ma Sereni è anzi un compagno gradevole. Mi fa ridere e pensare. A lui le vitamine non mancano.

ALBERTA.          È vero. Ma d'altronde somiglia troppo anche lui a Telvi. È legato, non vuole o non può avere il divorzio. Insomma anche lui vuole le donne gratis.

ALICE.                 Mi pare sia il vero prezzo che si possa e si debba pagare per le donne.

ALBERTA           (vivacemente). E allora che cosa ci resterebbe? L'amore?

ALICE.                 È qualche cosa. Se lo diamo, lo riceviamo in cambio.

ALBERTA.          Come sei sempre giovine tu. La vita passa, la soffri e la vedi perché sei intelligente e resti del tuo parere, di quello che avevi alla nascita. Quando io parlo di te con mio marito io dico: Alice è ostinata. Tu chiudi gli occhi e fai come se nulla fosse avvenuto.

ALICE                  Non vedo che cosa abbia potuto istruirmi. La cosa grave nella mia vita è stata la morte di mio marito: Una stupida polmonite priva di alcun senso. Viene a casa, si mette a letto con un brivido e muore. Non ci compresi nulla.

ALBERTA.          Ma prima, ma dopo ci fu dell'altro. Io non so altro che quello che tu me ne dicesti.

ALICE.                 Oh! Non dimentico! Quella polmonite fece piangere me, eppoi la signora Romeri al secondo piano, e la figlia del portinaio in soffitta. Tutta la casa era irrorata di lagrime. (Improvvisamente commossa fino alle lagrime.) La morte era entrata in casa e mi rivelava che cosa fosse stata la vita. Ma il male maggiore fu la polmonite. Sí! Il suo massimo delitto fu di avermi lasciata cosí… improvvisamente… sola. Priva di denari forse perché egli ne spese troppi negli atti per casa.

ALBERTA.          Quanto mi dispiace di averti ricordate queste cose. (Abbracciandola.) Via! Rasciughiamo presto gli occhiucci. Gli occhi stupiti… gli occhi che hanno per natura l'espressione della sorpresa come la faccia della Gioconda quella dell'ironia. Una cosa non voluta, una costruzione casuale ma una stupefazione intera, meravigliosa, stupefacente.

ALICE                  (sorridendo). Le parole di Sereni.

ALBERTA.          Te le spiattellò dunque anche a te? Che faccia tosta!

ALICE.                 Sí, parecchie volte. Ma già… non me ne importa.

ALBERTA           (teneramente). Eh! Lo so! Quello lí fa la corte ogni sei mesi ad un'altra. Dice che senza donne non si può dipingere. Non si capisce perché! Fa tali mostri con le gambe fuori di posto, le anche gonfie le braccia contorte, che sembrerebbe gli occorressero per modelli degl'ippopotami. Gli occorre invece l'amore, poverino! E non mica un amore, ma piú amori. Quando faceva la corte a me dipinse una donna senza testa. Fu allora che tagliai corto e mi dichiarai offesa che guardasse me per dipingere cosí.

ALICE                  (attenta). Fece la corte anche a te?

ALBERTA.          Sí! Non te lo dissi prima perché mi secca di ricordarlo. Che uomo di cattivo gusto! Per farmi meglio la corte si mise a dir male di mio marito, il suo grande amico. Mi stomacò. Io amo di ridere di mio marito cosí distratto, incapace di occuparsi nemmeno per un solo momento dei miei affari tanto è occupato dei suoi, ma per qualche cosa sono sua moglie. Certo anche con te Sereni commetterà degli errori se non ne ha già commessi.

ALICE.                 No che io ne sappia. Lo vedo di rado, quando sono qui da te.

ALBERTA.          Abita vicinissimo a te in via Battisti, faccia a faccia, alcune case piú in su.

ALICE.                 Lo so, ma non lo vedo mai.

ALBERTA           (dopo una lieve esitazione). Ho parlato con Carlo e con grande difficoltà sono riuscita di fargli aumentare il tuo mensile di cinquecento lire. Non hai un'idea con quanta politica dovetti procedere. Egli dice che i tempi sono cattivi, che ha dei pensieri e cosí via.

ALICE                  (abbracciandola). Grazie, cara Alberta. Tenterò di aiutarmi, di restringermi.

ALBERTA           (commossa). Perdonami. Per ora non posso fare di piú. Poi si vedrà. Non è detta l'ultima parola. Continuerò a lavorare Carlo. Eccoti intanto il denaro in questa busta.

ALICE.                 Grazie! Grazie! Hai già fatto tanto per me che non oso domandare di piú. Se non ci fossi stata tu, a quest'ora il patrimonio dei bimbi sarebbe liquefatto, distrutto. Solo per merito tuo, quando saranno grandi, potrò consegnare loro quel poco che il povero Silvio poté lasciare alla sua famiglia.

ALBERTA           (esitante). Io vorrei pure che tu facessi in modo di non toccare neppure gl’interessi di quel capitale. Il piccolo sacrificio rappresenterebbe un grande beneficio per i bambini in avvenire. Carlo mi spiegò come si accumulano gl'interessi.

ALICE.                 Per ora m'è impossibile. Vedrò… in seguito…

ALBERTA           (di malumore). In questo già io non c'entro.

ALICE.                 Ma sí! Tu hai il diritto di occuparti di tutto quanto mi riguarda. Non sei tu che mantieni me ed i miei figliuoli? Ma devi intendere anche tu. Ieri ti feci vedere i conti. M'è impossibile per ora. Anche quel poco denaro m'occorre.

ALBERTA.          Io al posto tuo farei ogni sforzo per non toccare quel denaro. Vorrei anche poter dire a Carlo: Guarda come il nostro aiuto è importante per quella famigliuola. Arricchisce continuamente.

ALICE                  (fa mentalmente dei conti e poi). Impossibile! M'è veramente impossibile.

ALBERTA.          E allora lasciamo stare per il momento.

ALICE.                 Vedrò! Ci penserò! Sai che sono forte. Tenterò, farò ogni sforzo.

ALBERTA.          E sia! Non pensarci piú se non puoi. (Ride.)

ALICE.                 Ridi?

ALBERTA.          Rido perché dici che sei forte. Non lo eri mai, biondina mia, biondina cara.

ALICE.                 È piú facile d'essere forti in certe posizioni che in altre.

ALBERTA.          Tu sei buona e coraggiosa ma non saresti forte in nessuna posizione. (Ridendo.) Guarda, io so ricordare il momento in cui pensai d'essere piú forte di te e lo pensai poi sempre, da allora. È addirittura antico tale momento perché io allora avevo all'incirca 8 anni e tu 9 e qualche mese. Un giorno un bimbo della nostra stessa età mi corse dietro per picchiarmi. Io dapprima mi spaventai - in quell'età i maschietti fanno una grande impressione - e scappai. M'avrebbe quasi raggiunta quando tu, decisa, piangendo e gridando, intervenisti. Il maschietto ch'era veramente furibondo - pare fosse la prima volta che avesse avuto da fare con donne e non avesse ancora appresa la difficile cavalleria - con un solo colpo ti gettò a terra e, certo, le avresti pigliate, perché notai con grande stupore che tu non facevi altro che ripararti dai colpi. Allora intervenni io e terminò che tu dovesti strapparmi di mano il fanciullo perché altrimenti l'avrei conciato per le feste. E ricordo anche che, picchiando, io non ero offuscata dall'ira. Ogni mio colpo era ben mirato e forte, solo per insegnare a te l'uso che si deve saper fare delle mani.

ALICE.                 Curioso come del lontano passato ognuno ricordi solo quello che gli si confaccia. Io non ricordo nulla di quella scaramuccia nella quale riempii una parte ben generosa…

ALBERTA.          Generosa e da debole.

ALICE.                 Io ricordo invece una cosa tanto piú recente e tanto dolorosa per te che sicuramente non l'hai dimenticata in cui spettò a me la parte del forte. Ricordi? Tu avevi già 13 anni ed io, perciò, 14 e qualche mese. Avevi perduta la mamma tua ed io venni a stare con te perché tuo padre non sapeva come fare per consolarti. Io credo di aver abitato con te, allora, per un due mesi. Ma non li dimenticai mai piú. Per tanti giorni tu passasti tutte le ore con la testa ricciuta posata nel mio grembo e dicevi di tener chiusi gli occhi per dimenticare che quello non era il grembo di tua madre. Eri tanto debole e malata dal dolore che io pensavo: Eccomi madre! E voglio esserlo, voglio amarla e proteggerla la bimba mia di tanto poco di me piú giovane. Poi il destino volle ch'io di te avessi bisogno.

ALBERTA.          Ma ciò io ricordo! Se lo ricordo o Alice mia. Solo ricordo anche tutto quello ch'io pensavo in quella posizione. Pensavo: Buona e dolce e debole come mia madre. E se un cattivo bimbo l'aggredisse, io interverrei a proteggerla.

ALICE                  (esitante). Ma i bimbi cattivi mi lasciano in pace oramai.

ALBERTA.          Sereni sta facendo il tuo ritratto?

ALICE                  (accesa) Che c'è di male? A casa mia.

ALBERTA.          Di male non ci sarà altro che il ritratto stesso.

ALICE.                 Mi pare venga bene. Me lo regala. Mi fa in quel costume di contadina friulana che portavamo io e te da fanciulle a Tricesimo.

ALBERTA.          Bellissima l'idea. Raccomandagli di non mettere la bocca al posto dell'orecchio. Non occorre neppur essere un pittore per vedere dove stanno di casa le orecchie. Piú difficile è di fare una donna nuda, di riprodurre il colore della carne. Ma Sereni se la cava facendola tutta verde o tutta azzurra. Quando dipinge guarda attraverso a qualche vetro colorato? E allora non capisco come faccia. Buono che non ci pensi a sposarsi perché dovrebbe dar da mangiare dei colori alla sua famiglia. Però ci sarebbe il vantaggio che una volta mangiati non si vedrebbero piú. Finché è solo gli basta quella rendita della casa in via Battisti ove abita e ch'è sua.

ALICE                  (lievemente seccata). Ma io non ci penso né a nutrirmi dei suoi colori né a dividere con lui quella sua magra rendita.

ALBERTA.          Lo so, lo so! E può essere anche che cosí, vestita di friulana, ti ritragga bene. È un vestito ben chiuso quello dei contadini e, facendo delle stoffe, il pittore ha piena libertà nei colori. E, a proposito di vestiti. Il tuo, il mio cioè finora, giace pronto in camera da letto. Io vorrei tu l'indossassi per cena. Vedrai com'è stato adattato bene dalla nostra sartina. Vieni. (S'avviano.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.16

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