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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

Quattro atti

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SCENA QUINTA

CAMERIERA e DETTE, poi ROBERTO TELVI

 

CAMERIERA.     Il signor Telvi.

ALBERTA.          Già qui? È alquanto presto. Allora, senti Alice. Aiutati da sola. Trovi tutto pronto. Te ne prego, fatti bella. Vedrai come il vestito ti starà bene. Io intanto subirò questa bella compagnia.

ALICE.                 Te ne lagni di aver da subirla per dieci minuti e se si fosse potuto me l'avresti inflitta per tutta la vita?

ALBERTA.          Ma io e lui saremo del tutto soli per dieci interi minuti. È una compagnia molto intensa. Nella vita si dorme, si mangia, si va a passeggio. Non è mica tutta compagnia intera la vita. (Alice esce a sinistra ed entra Roberto Telvi.)

TELVI.                  Come sta? (Le porge la mano.)

ALBERTA.          Bene, grazie. E Lei, Telvi? Carlo è occupato con certe stampe. Sarà qui subito. S'accomodi, intanto.

TELVI.                  Quelle sue stampe! Capirci se fossero quadri. Ma bianco e nero, un disegno che non dice niente. Io, già, non me ne intendo. Eppoi sepolte in quei cartoni donde si devono scegliere se si vogliono vedere! Già, ognuno ha i suoi gusti ed io ho torto di giudicarlo. Chissà quante cose discutibili ho io nella mia testa.

ALBERTA.          Certo! Sospetto talvolta che anche nella mia testa ci sieno delle cose discutibili.

TELVI.                  Ma alle donne nessuno lo dice e con ragione perché delle donne si ha bisogno. Adesso specialmente che la testa delle donne è tosata le hanno dato un po' d'ordine esteriore. Al di dentro deve esserci anche una confusione maggiore. Non parlo naturalmente di Lei, Alberta. Le presenti sono escluse.

ALBERTA.          Mi esclude finché sono presente. Poi, appena ci separiamo, eccomi inclusa.

TELVI.                  Già, se le dicessi il contrario Ella non mi crederebbe. Perciò non protesto. Io poi sono di quelli che delle donne non hanno bisogno. Non è una buona ragione per essere scortesi ma una buonissima per essere sinceri. Trovo che hanno ragione di mostrare le gambe e celare la testa col cappello fino alle orecchie.

ALBERTA.          Badi, badi, Telvi, che prima di Lei ci sono stati tanti che credevano di non aver bisogno delle donne. Mi pare di ricordare qualche cosa non so se nella storia o nella mitologia. M'aiuti, Telvi.

TELVI.                  Non occorre andare tanto lontano. Si va in strada e fra quei tanti che camminano accompagnati perennemente da donne si trovano alcuni che credettero in altra epoca di poter camminare da soli. (Pensieroso.) Lo so! Può toccare anche a me. Ma perciò dovrei pensare e agire come se già da donne fossi accompagnato? Lei, Alberta, sa la mia storia. Io non sono mica offeso se liberamente se ne parla. Non domando di questi riguardi.

ALBERTA           (soffocando uno sbadiglio). Ha avuto notizie?

TELVI                   (offeso). Io, notizie? Non ne ricerco, né altri si cura d'inviarmene. Come potrei avere notizie, io?

ALBERTA.          Capisco, capisco. Dissi cosí perché altre volte mi parlaste di notizie avute.

TELVI.                  Sí, una volta. Mi capita in casa un individuo ch'era stato nella casa loro. Veniva proprio direttamente da quella casa. E allora, se non volevo fuggire, dovetti sorbirmi quelle notizie. Il mondo è veramente troppo piccolo. Io non avevo alcuna ragione di fuggire. Da quelle notizie poco si poteva intendere. Mena una vita piuttosto povera. Io credo che a quest'ora essa sia un po' pentita. Se non lo è, tanto meglio. Che ci guadagno io a saperla infelice?

ALBERTA.          E non c'è la possibilità di un vero, proprio divorzio?

TELVI.                  No! Abbiamo le carte in regola, oramai. Avrei potuto seccarla, perseguitarla. Non ne feci nulla. A che pro? Bisogna sapersi adattare a tutto a questo mondo. (Amaramente.) Anche a questo. (Poi.) Io già non vi penso piú. Ho tanto da fare che non avrei neppure il tempo di pensarvi. Il divorzio non è possibile. L'avvocato studiò a fondo la cosa. (Inquieto.) Credevo di trovare qui la signora Peretti.

ALBERTA.          È di là, viene subito.

TELVI.                  Non mica per altro. Mi sento bene accanto a quella signora. Quello che a me ha portato via la vita, a lei è stato trafugato dalla morte. Come risultato è quasi la stessa cosa. (Stringendosi nelle spalle.) Chissà se è meglio una cosa o l'altra. Però essa ha il rimpianto che io non debbo avere. Forse è anche piú disgraziata di me.

ALBERTA           (con emozione). Il rimpianto lo ha, poverina! (Poi.) Ma a torto. Egli la tradiva sconciamente.

TELVI                   (rasserenandosi). Ed ella lo sa? Lo domando perché ciò dovrebbe diminuirle il dolore. Non per altro.

ALBERTA.          Pare che in questa vita nulla serva a diminuire dei dolori e da Alice ciò è un dolore di piú.

TELVI                   (accorato). Me ne dolgo.

ALBERTA           (minacciando scherzosamente). Telvi! Telvi! Mi pare rimpiangiate che Alice non sappia odiare la memoria del suo defunto marito.

TELVI.                  Come potete pensare una cosa simile? A che scopo? Forse per me? (Stringendosi nelle spalle.) Come se un uomo della mia età e nelle mie condizioni potesse pensare alla signora Alice.

ALBERTA.          Perché no? Io a me d'intorno vedo che la durezza dei nostri legislatori non serve a nulla.

TELVI                   (abbattuto). Serve! Serve! Nelle mie condizioni serve perfettamente. Io non mi lagno. Non gioverebbe. Eppoi non sono uomo che saprebbe ispirare ad una donna un tale amore da ispirarle il sacrificio di convenzioni ridicole. Ho esperienza di me stesso, io, perché vissi abbastanza a lungo. Le donne non mi amano. Una volta credevo che quando avessero la possibilità di vivermi accanto, di conoscere l'estensione di un mio affetto e il rispetto di cui so circondare chi ama… Sono però un po' rude. Non so discorrere. La vita degli affari non rende piú dolci. Non è mica l'arte, la pittura.

ALBERTA.          Fate allusione a Donato Sereni?

TELVI.                  Non a lui precisamente, ma anche a lui. L'ho osservato tante volte. È dolce, è interessante. Quando prende un oggetto in mano pare lo accarezzi con le mani e con lo sguardo. Ciò deve piacere alle donne.

ALBERTA.          Che idea strana.

TELVI.                  Ho pensato cosí l'altro giorno quando gli faceste vedere quell'avorio chinese. Io invece ho l'aspetto di spezzare gli oggetti. Lo credereste? Iersera presi un certo mio vasetto di Ginori in mano e lo girai nelle mani imitando i movimenti del Sereni. Lo credereste? Dovetti smettere perché sentivo che il vasetto si sarebbe sottratto alle mie carezze cadendo a terra e spezzandosi. È bene di conoscere se stesso e le proprie deficienze. Se ne soffre poi meno.

 

 

SCENA SESTA

CAMERIERA, DETTI, poi DONATO SERENI

 

CAMERIERA.     Il signor Sereni.

ALBERTA.          Venga pure. Lupo…

TELVI.                  Dolce lupo, però, con gli oggetti. Io non amo di voler meno bene ad un uomo perché può piú di me. In certe cose, d'altronde, sono piú forte di lui.

ALBERTA.          Ma certe cose importano meno.

TELVI.                  Perché? Anche i denari hanno la loro importanza.

SERENI.               Buona sera signora. (Bacia la mano ad Alberta e la stringe a Telvi cui ora parla.) Sarete piú lieto questa sera? L'altra sera non somigliavate affatto al ritratto che vi feci, quello ch'io ancora considero la miglior espressione di salute e di forza.

TELVI.                  Era un'altra epoca quella. Non dico che la salute e la forza non possano ritornare. Le aspetto serenamente.

SERENI.               Quello di saper aspettare è già una forza. Io so tante cose a questo mondo ma non so aspettare.

ALBERTA.          E come fate? Se quello che aspettate non viene correte via e perdete la possibilità d'essere raggiunto?

SERENI.               Io aspetto soffrendo e urlando. Non ho la scelta. Se sono io anzi sempre in aspettativa. Ecco giusto ora: Carlo m'aveva detto di venir qui piú presto. Mi vestii eppoi mi parve che fosse ritornata…

TELVI.                  Chi?

SERENI.               L'ispirazione. Non volli perderla e disegnai una testa. La disegnai finché riuscii a darle un'espressione. Ma l'espressione fu immediatamente di derisione e la stracciai. Vedete la mia sorpresa di fronte ad una faccia ch'io creai e che appena venuta alla luce del giorno per opera mia, subito deride me, il suo creatore? Con ira la stracciai.

ALBERTA.          Peccato se sapeva deridere sul serio.

SERENI.               Non poteva essere bella. Io la disegnai a memoria, la testa di un mendico cui qualche minuto prima avevo regalata qualche lira e che mi guatò riconoscente e lieto con un'espressione sorprendente in questa dura vita.

TELVI.                  Chissà che sulla sua faccia non ci sia stata la derisione velata? Tanti beneficati hanno quell'espressione.

SERENI.               No! No! La derisione c'era nelle mie dita. La disegnai con noia indicibile. Non poteva essere altrimenti. Io sono un uomo finito. L'ispirazione non passerà mai piú da me.

ALBERTA.          Io sto benissimo senza di essa.

TELVI.                  Anch'io. Ma comprendo il vostro dolore. Quando manca qualche cosa cui si è abituati è una ferita, un dolore.

ALBERTA.          Del resto anch'io posso figurarmi tanto. Ricordo come eravate quando dipingeste quel quadro che andò alla biennale. Non ne parlavate ma eravate tutt'altro uomo. Molto piú vivo di ora e piú distratto e piú raccolto. Sí, certo. L'ispirazione era stampata nella vostra faccia.

SERENI.               E quando il quadro partí, io subito lavorai ancora. Lavorai tanto che quando vidi riprodotto il mio quadro in un giornale umoristico che aveva stroppiato e ingobbito la mia ninfa, io quasi ero d'accordo col caricaturista. Adesso sono beato di abbandonare il mio studio. Quando mi getterete fuori di questa casa io andrò a girare per la città per non coricarmi fino all'alba onde essere tanto stanco domani nelle ore della luce da poter sfuggirla dormendo.

ALBERTA.          Io, da buona borghese, vi consiglierei di andare a letto. Ammettiamo che domani arrivi l'ispirazione, che cosa ne fareste voi se aveste sonno? Qualche bel sogno che non lascerebbe alcuna traccia di sé.

SERENI.               Non giunge l'ispirazione domani. Io lo so! Non giunge domani né piú tardi. Forse mai piú.

ALBERTA.          E allora avete tempo e potete perderne. Andate dunque da Carlo che vi aspetta e guardate le sue stampe. Egli crede di aver fatto un acquisto importante. Gli importa enormemente di apparire furbo. Quelle stampe gli fanno piacere perché le ha pagate poco. Se le avesse pagate molto - e magari fossero state piú belle di cosí - non gl'importerebbero tanto.

SERENI.               S'accontenta facilmente lui che ha tutto.

ALBERTA.          Ha tanto il povero Carlo? In verità non mi pare tanto. Una donna, i suoi affari e quelle povere stampe. Voi volete una donna… al mese.

SERENI.               Io non ho mai avuto una donna, una vera donna, una di quelle che possano bastare per tutta la vita.

ALBERTA.          Ve la procuro io, se volete. Ma una vera donna la si prende davanti al sindaco.

SERENI.               E se poi risultasse che non è quella, che non è cioè la vera?

ALBERTA.          Le donne si comperano come le stampe. Carlo le ha comperate e adesso appena vi domanda il vostro parere. Se non avranno il valore ch'egli attribuí loro, tanto peggio.

SERENI                (esitante). È cosí che si fa? Si prende la donna e si sta a vedere se rappresenti proprio quello che in essa si vide?

ALBERTA.          Proprio cosí! Proprio cosí!

TELVI.                  Purtroppo è cosí. (Con un sospiro.)

SERENI.               Ma non si può continuare a provare altrimenti specialmente dopo le tante disillusioni ch'io ebbi?

ALBERTA.          Se ci fosse la prova non ci sarebbero dei matrimoni. Guardate: C’è la possibilità che lui non piaccia a lei oppure che lei non piaccia a lui. Ma poi ci sono altre possibilità negative: Che lui a lei e lei a lui non piaccia che per un periodo ristretto, mettiamo per una settimana o per un giorno. O infine che lui a lei o lei a lui piaccia solo di notte o solo di giorno, o quando parla o - peggio - quando tace. Non ci sarebbero altri matrimoni.

SERENI.               E che male ci sarebbe? Se ne farebbe a meno.

ALBERTA.          Andate, andate da Carlo che vi aspetta. Per questa sera ditegli che quelle stampe sono del Piranesi. Cosí sarà di buon umore a cena.

SERENI.               Avrebbe ragione di esserlo lui che ha tutto.

ALBERTA.          Gli manca l'ispirazione ma non se ne accorge.

SERENI.               Non gli manca, forse. È un'ispirazione anche quella che guida alla felicità.

ALBERTA.          Grazie! Siete molto gentile. (Sereni esce.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.30

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