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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

I Cinque canti

Di: Luodovico Ariosto


Canto terzo  

(29-56)

29

Poi disse:  Il cugin vostro mi commise

ch’io vi facessi legger questa appresso.

Rinaldo mira le note precise,

che gli paion di man di Carlo istesso;

il qual Orlando di Boemia avise

d’esser pentito senza fin, che messo

così potente esercito abbia in mano

de l’audace signor di Mont’Albano:

30

però che, vinto Unuldo (come crede

che vincer debbia) e toltoli Guascogna,

egli d’Unuldo esser vorrà l’erede,

ché crescer stato a Mont’Alban agogna;

e la sospizion c’ha de la fede

di Rinaldo corrotta, non si sogna:

in somma, par che sia disposto Carlo,

per forza o per amor, quindi levarlo.

31

Ma che prima tentar vuol per amore:

finger ch’al maggior uopo lo dimande

per un dei dieci il cui certo valore

abbatta a Cardoran l’orgoglio grande;

e vuol per questo che dia un successore

all’esercito c’ha da quelle bande;

e che disegna mai più non gli porre

governo in man, se gli può questo tòrre.

32

Vuol ch’Orlando gli scriva ch’esso ancora

serà in questa battaglia un degli eletti,

e gl’insti che, rimossa ogni dimora,

veduto il successor venire, affretti.

Rinaldo, mentre legge, s’incolora

per ira in viso, e par che fuoco getti;

morde le labbia, or l’uno or l’altro; or geme,

e più che ‘l mar quand’ha tempesta freme.

33

Letta la carta, il spirto gli soggiunge,

pur da parte d’Orlando:  Abbiate cura,

che se alla discoperta un dì vi giunge,

vi farà Carlo peggio che paura;

però che tuttavia Gano lo punge

che la corte di voi faccia sicura:

la qual, sì come dice egli, ogni volta

che voglia ve ne vien, sossopra è volta.

34

Al cugin vostro acerbamente duole

che ‘l re tenga con voi questa maniera,

che cerchi, a instanza di chi mal vi vuole,

far parer vostra fé men che sincera;

e che più creda alle false parole

d’un traditor, ch’a tanta prova vera

che si vede di voi: ma dagli ingrati

son le più volte questi modi usati.

35

Ché, quando l’avarizia gli ritiene

di render premio a chi di premio è degno,

studian far venir causa, e se non viene,

la fingon, per la quale abbiano sdegno;

e di esilio, di morte o d’altre pene,

in luogo di mercé, fanno disegno;

per far parer ch’un vostro error seguito

quel ben che far voleano abbia impedito.

36

Orlando, perché v’ama, e perché aspetta

il medesmo di sé fra pochi giorni,

che ‘l re in prigion, Gano instigando, il metta

o gli dia bando o gli faccia altri scorni

(ché, come contra voi, così lo alletta

contra esso ancor), senza far più soggiorni

per me vi esorta a prender quel partito

ch’egli ha di tòr di sé già statuito:

37

che di quel mal che senza causa teme

facciate morir Carlo, come merta.

Prendete accordo con Unuldo, e insieme

con lui venite a fargli guerra aperta:

vegga se Gano, e se ‘l suo iniquo seme,

contra il valor e la possanza certa

di Chiaramonte, e l’una e l’altra lancia

tanto onorata, può difender Francia.

38

E seguitò dicendoli che Orlando

prima favor occulto gli darebbe;

poscia in aiuto alla scoperta, quando

fosse il tempo, in persona li verrebbe.

Rinaldo avea grand’ira, et attizzando

il fraudolente spirto, sì l’accrebbe,

ch’allora allora pensò armar le schiere

e levar contra Carlo le bandiere;

39

poi diferì fin che arrivasse il messo

ch’alla pugna boemica il chiamasse,

e che sentisse commandarsi appresso

ch’in guardia altrui l’esercito lasciasse.

Quel che Gano gli avea quivi commesso,

Vertunno a fin con diligenzia trasse:

poi, con lettere nuove e nuovo aspetto,

venne a Marsiglia e fece un altro effetto.

40

D’Arriguccio s’avea presa la faccia,

ch’era di Carlo un cavallaro antico:

egli scrive le lettere, egli spaccia

se stesso e chiude egli in la bolgia il plico:

l’insegna al petto e il corno al fianco allaccia,

e fu a Marsiglia in men ch’io non lo dico;

e le dettate lettere da Gano

pose a Ruggiero et alla moglie in mano.

41

Alla sorella di Ruggier, Marfisa,

mostrò che Carlo lo mandasse ancora,

come a tutti tre insieme, e poi divisa_

mente a ciascun da Carlo scritto fòra.

Sotto il nome del re Gano gli avisa

che navighi Ruggier senza dimora

ver’ le colonne che Tirinzio fisse,

e sorga sopra la città d’Ulisse;

42

e Marfisa con gli altri da cavallo

si vada con Rinaldo a porre in schiera;

ché vinto Unuldo, come senza fallo

vederlo vinto in pochi giorni spera,

vuol ch’assalti Galizia e Portogallo;

né l’impresa esser può se non leggiera:

ché gli dà aiuto, passo e vettovaglia

Alfonso d’Aragon, re di Biscaglia.

43

Appresso scrive all’animosa figlia

del duca Amon che stia sicuramente:

che né da terra né da mar Marsiglia

ha da temer di peregrina gente.

Se false o vere son non si consiglia,

né si pensa alle lettere altrimente:

Ruggier va in Spagna, Marfisa a Morlante,

resta a guardar Marsiglia Bradamante.

44

L’imperadore, intanto, che le frode

non sa di Gano, e solo in esso ha fede,

di tutti gli altri amici il parere ode,

ma solamente a quel di Gano crede;

né cavallier, se non che Gano lode,

a far quella battaglia non richiede:

con lui consiglia chi si debba porre

nei luoghi onde gli due s’aveano a tòrre.

45

Quando Gano ha risposto, ogn’altro chiude

la bocca, né si replica parola.

In luogo di Rinaldo egli conclude

che mandi Namo; e l’intenzion è sola

perché Rinaldo, a cui le voglie crude

l’ira facea, lo impichi per la gola;

ché pensarà che sol lo mandi Carlo

per levarli l’esercito e pigliarlo.

46

Consiglia che si lassi Baldovino

a governar in Lombardia le squadre;

il qual fratel d’Orlando era uterino,

nato, com’ho già detto, d’una madre;

cortese cavalliero e paladino,

e degno a cui non fosse Gano padre,

per consiglio del qual Carlo lo elesse

ch’all’imperio fraterno succedesse.

47

Gli dieci eletti alla battaglia fòro

Carlo, Orlando, Rinaldo, Uggier, Dudone,

Aquilante, Grifone, il padre loro,

e con Turpino il genero d’Amone.

Fatta la elezione di costoro,

si spacciaro in diversa regione

prima gli avisi, e poi quei che ordinati

in luogo fur dei capitan chiamati.

48

Namo fu il primo, il qual, correndo in posta,

insieme con l’aviso era venuto.

Già Rinaldo sua causa avea proposta,

e dimandato alla sua gente aiuto;

che tanto in suo favor s’era disposta,

che, dai maggiori al populo minuto,

tutti affatto volean prima morire

che Rinaldo lasciar così tradire.

49

Tra Rinaldo et Unuldo già fatt’era

accordo et amicizia, ma coperta.

Allo arrivar del duca di Baviera

Rinaldo, che la fraude avea per certa,

di sdegno arse e di còlera sì fiera,

che tre volte la man pose a Fusberta,

con voglia di chiavargliela nel petto;

pur (non so già perché) gli ebbe rispetto.

50

Ma spesso nominandol traditore,

e Carlo ingrato, e minacciandol molto

che lo faria impiccar in disonore

di Carlo, lo raccolse con mal volto.

Namo, a cui poco noto era l’errore

in che Vertunno avea Rinaldo involto,

mirando ove da l’impeto era tratto,

stava maraviglioso e stupefatto:

51

ma magnanimamente gli rispose

che, traditor nomandolo, mentia.

Rinaldo, se non ch’uno s’interpose,

alzò la mano e percosso lo avria:

prender lo fece, et in prigion lo pose;

e tolto ch’ebbe Unuldo in compagnia,

le ville, le cittadi e le castella

dal re per forza e per amor rubella.

52

E dovunque ritrovi resistenza

o dà il guasto o saccheggia o mette a taglia:

gli dà tutta Guascogna ubidienza,

e poche terre aspettan la battaglia.

Gan da Pontier, che n’ebbe intelligenza,

che, traditor nomandolo, mentia.

Rinaldo, se non ch’uno s’interpose,

alzò la mano e percosso lo avria:

prender lo fece, et in prigion lo pose;

e tolto ch’ebbe Unuldo in compagnia,

le ville, le cittadi e le castella

dal re per forza e per amor rubella.

53

E dovunque ritrovi resistenza

o dà il guasto o saccheggia o mette a taglia:

gli dà tutta Guascogna ubidienza,

e poche terre aspettan la battaglia.

Gan da Pontier, che n’ebbe intelligenza,

ché del tutto Vertunno lo raguaglia,

con lieto cor, ma con dolente viso,

fu il primo che ne diede a Carlo aviso.

54

Gano gli diè l’aviso, e poi che ‘l varco,

come bramato avea, vide patente

di potersi cacciar a dire incarco

et ignominia del nimico absente,

sciolse la crudel lingua, e non fu parco

a mandar fuor ciò che gli venne in mente:

dei falli di Rinaldo, poi che nacque,

che fece o puoté far, nessuno tacque.

55

Come si arruota e non ritruova loco

né in ciel né in terra un’agitata polve,

come nel vase acqua che bolle al foco,

di qua di là, di su di giù si volve:

così il pensier gira di Carlo, e poco

in questa parte o in quella si risolve.

Provision già fatta nulla giova;

tutta lasciar conviensi, e rifar nuova.

56

Se padre, a cui sempre giocondo e bello

fu di mostrarsi al suo figliuol benigno,

se lo vedesse incontra alzar coltello,

fatto senza cagione empio e maligno;

più maraviglia non avria di quello

ch’ebbe Carlo, vedendo in corvo il cigno

Rinaldo esser mutato, e contra Francia

volta senza cagion la buona lancia.

 

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Ultimo Aggiornamento:
13/07/2005 22.36