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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Primo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO OTTAVO (78-115)

LXXVIII
Come Ridolfo eletto imperadore mandò suo vicario in Toscana.
Nel detto anno MCCLXXXI Ridolfo re de' Romani essendo in Alamagna a richiesta e priego de' Ghibellini di Toscana, mandò nella detta Toscana per suo vicario messer..... conte di..... d'Alamagna con IIIc cavalieri, acciò che' Toscani facessono la sua fedeltà e comandamenti; ma non trovò nulla terra che 'l volesse ubbidire, se non la città di Pisa e Samminiato del Tedesco. E nel detto Samminiato colle sue masnade, e col favore de' Pisani cominciò guerra a' Fiorentini, e a' Lucchesi, e ad altre terre guelfe d'intorno; ma alla fine per poco podere e séguito s'aconciò co' Fiorentini e cogli altri Guelfi di Toscana, e tornossi in Alamagna.
LXXIX
Come di prima si criò l'uficio de' priori in Firenze.
Negli anni di Cristo MCCLXXXII, essendo la città di Firenze al governamento dell'ordine di XIIII buoni uomini, come avea lasciato il cardinale Latino, ciò erano VIII Guelfi e VI Ghibellini, come addietro facemmo menzione, parendo a' cittadini il detto uficio de' XIIII uno grande volume e confusione, ad accordare tanti divisati animi a uno, e massimamente perché a' Guelfi non piacea la consorteria nell'uficio co' Ghibellini per le novitadi ch'erano già nate, siccome della perdita che 'l re Carlo avea già fatta dell'isola di Cicilia, e della venuta in Toscana del vicario dello 'mperio, e sì per guerre cominciate in Romagna per lo conte di Montefeltro per gli Ghibellini, per iscampo e salute della città di Firenze sì annullarono il detto uficio de' XIIII, e si creò e fece nuovo uficio e signoria al governo della detta città di Firenze, il quale si chiamarono priori dell'arti; il quale nome priori dell'arti viene a dire i primi eletti sopra gli altri; e fu tratto del santo Vangelio, ove Cristo disse a' suoi discepoli: "Vos estis prior". E questo trovato e movimento si cominciò per li consoli e consiglio dell'arte di Calimala, de la quale erano i più savi e possenti cittadini di Firenze, e del maggiore séguito, grandi e popolani, i quali intendeano a procaccio di mercatantia ispezialmente, che i più amavano parte guelfa e di santa Chiesa. E' primi priori dell'arti furono tre, i nomi de' quali furono questi: Bartolo di messer Jacopo de' Bardi per lo sesto d'Oltrarno e per l'arte di Calimala; Rosso Bacherelli per lo sesto di San Piero Scheraggio per l'arte de' cambiatori; Salvi del Chiaro Girolami per lo sesto di San Brancazio e per l'arte della lana. E cominciarono il loro officio in mezzo giugno del detto anno, e durò per due mesi infino a mezzo agosto, e così doveano seguire di due in due mesi per le dette tre maggiori arti tre priori. E furono rinchiusi per dare audienza, e a dormire e a mangiare alle spese del Comune nella casa della Badia, dove anticamente, come avemo detto addietro, si raunavano gli anziani al tempo del popolo vecchio, e poi i XIIII. E fu ordinato a' detti priori VI berrovieri e VI messi per richiedere i cittadini; e questi priori col capitano del popolo aveano a governare le grandi e gravi cose del Comune, e raunare e fare i consigli e le provisioni. E stando i detti due mesi, a' cittadini piacque l'uficio; e per gli altri due mesi seguenti ne chiamarono VI, uno per sesto, e agiunsono alle dette tre maggiori arti l'arte de' medici e speziali, e l'arte di porte Sante Marie, e quella de' vaiai e pillicciai. Poi di tempo in tempo vi furono aggiunte tutte l'altre infino alle XII maggiori arti; ed eranvi de' grandi come de' popolani uomini grandi di buona fama e opere, e che fossono artefici o mercatanti. E così seguì infino che·ssi fece il secondo popolo in Firenze, siccome innanzi al tempo debito fairemo menzione. D'allora innanzi non vi fu niuno grande; ma fuvi arroto il gonfaloniere della giustizia, e talora furono XII priori secondo le mutazioni dello stato della città e opportuni bisogni che occorressono, e del numero di tutte e XXI arti, e di quegli che non erano artefici, essendo stati artefici i loro anticessori. La lezione del detto uficio si facea per gli priori vecchi colle capitudini delle XII arti maggiori, e con certi arroti ch'alleggiano i priori per ciascuno sesto, andando a squittino segreto, e quale più boci avea, quegli era fatto priore; e questa elezione si facea nella chiesa di San Piero Scheraggio, e 'l capitano del popolo stava allo 'ncontro della detta chiesa nelle case che furono de' Tizzoni. Avenne tanto detto del cominciamento di questo officio de' priori, perché molte e grandi mutazioni ne seguirono alla città di Firenze, come innanzi per gli tempi faremo menzione. Lasceremo di dire al presente alquanto de' fatti di Firenze, e diremo d'altre novitadi che furono in questi tempi.
LXXX
Come papa Martino mandò messer Gianni d'Epa conte in Romagna, e come prese la città di Faenza, e assedio Forlì.
Nel detto anno MCCLXXXII, essendo il conte Guido da Montefeltro colla forza de' Ghibellini entrato in Romagna, e' gran parte delle terre fece ribellare alla Chiesa, sì come quegli ch'era il più sagace e il più sottile uomo di guerra che al suo tempo fosse in Italia. Per la qual cosa papa Martino rimosse messer Bertoldo Orsini che n'era conte e rettore per la Chiesa, e mandòvi messer Gianni d'Epa, gentile uomo di Francia, e molto provato cavaliere in arme, e tenuto uno de' migliori battaglieri di Francia; e portava in sue arme il campo verde e gli aguglini ad oro. Il quale messer Gianni d'Epa il detto papa per la Chiesa il fece conte, e con grande cavalleria di soldati per la Chiesa, Franceschi e Italiani, entrò in Romagna; e i Perugini vi mandarono al loro soldo C cavalieri; al quale fu data per tradimento e moneta la città di Faenza per Tribaldello de' Manfredi de' maggiori di quella terra. Poi il detto messer Gianni d'Epa colle masnade della Chiesa, e coll'aiuto de' Bolognesi, e con CC cavalieri che vi mandò il Comune di Firenze in servigio della Chiesa, e colla forza de' Malatesti da Rimino e di quegli da Polenta di Ravenna assediarono la città di Forlì, ma no·lla poterono avere.
LXXXI
Come messere Gianni d'Epa conte di Romagna fu sconfitto a Forlì dal conte da Montefeltro.
Nel detto tempo, stando il detto messer Gianni d'Epa conte di Romagna in Faenza, e facea guerra alla città di Forlì, cercò trattato d'avere per tradimento la detta terra; il qual trattato il conte Guido da Montefeltro, che n'era signore, fece muovere e cercare, come quegli che n'era mastro di guerra e de' trattati, e conosceva la follia de' Franceschi. Alla fine, il dì di calen di maggio, gli anni di Cristo MCCLXXXII, il detto messer Gianni con sua gente la mattina per tempo anzi giorno venne alla città di Forlì, credendolasi avere; e come per lo conte da Montefeltro era ordinato, gli fu data l'entrata d'una porta, il quale v'entrò con parte di sua gente, e parte ne lasciò di fuori con ordine, che a ogni bisogno soccorressono a que' d'entro, e se caso contrario avenisse, si ramassassono tutta sua gente in uno campo sotto una grande quercia. I Franceschi ch'entrarono in Forlì corsono la terra sanza contasto niuno; e 'l conte da Montefeltro, che sapea tutto il trattato, con sue genti se n'uscì fuori della terra; e dissesi per agurio e consiglio d'uno Guido Bonatti ricopritore di tetti, che·ssi facea astrolago, overo per altra arte, il conte da Montefeltro si reggea e davagli le mosse; e alla detta impresa gli diede il gonfalone, e disse: "In tale punto l'hai che, mentre se ne terrà pezzo, ove il porterai sarai vittorioso"; ma più tosto credo che·lle sue vittorie fossero per lo suo senno e maestria di guerra; e come avea ordinato, e' percosse a quelli di fuori ch'erano rimasi all'albero, e miseli in rotta. Quelli ch'entrarono dentro, credendosi avere la terra, aveano fatta la ruberia e prese le case; come ordinato fu per lo conte da Montefeltro, fu alla maggiore parte di loro tolti i freni e·lle selle de' cavagli da' cittadini; e incontanente il detto conte con parte di sua gente da una delle porte rientrò in Forlì e corse la terra, e parte di sua cavalleria e genti a piè lasciò sotto la quercia schierati, com'era l'ordine e postura de' Franceschi. Messer Gianni d'Epa e' suoi veggendosi così guidati, credendosi avere vinta la terra, si tennero morti e traditi, e chi potéo ricoverare a suo cavallo si fuggì della terra, e andonne all'albero di fuori credendovi trovare la loro gente; e là andando, erano da' loro nimici o presi o morti, e simile quegli ch'erano rimasi nella terra, onde i Franceschi e la gente della Chiesa ricevettono grande sconfitta e dannaggio, e morirvi molti buoni cavalieri franceschi e de' Latini caporali, intra gli altri il conte Taddeo da Montefeltro cugino del conte Guido, il quale per quistioni de' suoi eretaggi tenea colla Chiesa contro al detto conte Guido; e morivvi Tribaldello de' Manfredi ch'avea tradita Faenza, e più altri; ma il conte di Romagna, messer Gianni d'Epa, pure scampò con certi della detta sconfitta, e tornossi in Faenza.
LXXXII
Come Forlì s'arrendé alla Chiesa, e fu accordo in Romagna.
Come papa Martino seppe la detta sconfitta di Forlì, sì mandò al conte di Romagna gente assai a cavallo e a piè al soldo della Chiesa, faccendo guerra a Forlì; e in questa istanzia, a mezzo marzo vegnente MCCLXXXII, il detto conte ebbe per tradimento la città di Cervia in Romagna, per XVIm fiorini d'oro che se ne spesono per la Chiesa. Per la qual cosa per trattato d'accordo quegli di Forlì s'arrenderono alla Chiesa del mese di maggio MCCLXXXIII a patti, salvi l'avere e le persone, mandandone fuori il conte Guido da Montefeltro, e disfaccendosi le fortezze della terra; e quasi tutta Romagna fu all'ubidienza della Chiesa. E poi il detto conte da Montefeltro con sue masnade partito da Forlì, si ridusse nel castello di Meldola, faccendo grande guerra; per la qual cosa il conte di Romagna con tutte le masnade della Chiesa v'andò ad oste del mese di luglio, e stettervi V mesi, e no·lla potero avere. In quella stanzia dell'asedio di Meldola venne fatta a messer Gianni d'Epa una presta e notabile cavalleria, ch'egli avea in usanza ogni giorno in sulla terza, egli con poca compagnia e quasi disarmato, andava intorno al castello proveggendo; uno valente uomo uscito di Firenze, il quale era dentro, ch'avea nome Baldo da Montespertoli, sì pensò d'uccidere messer Gianni d'Epa, e armossi di tutte armi a cavallo, e a corsa coll'elmo in capo e colla lancia abassata si mosse per fedire messer Gianni, il quale s'avide della venuta del cavaliere, ma però non si mosse, ma attese; e come s'apressò, diede del bastone che portava in mano nella lancia del giostratore e levollasi da dosso, e passando oltre, il prese a braccia, e levollo della sella del cavallo in terra, e di sua mano col suo spuntone l'uccise; e così quegli che credea uccidere, da colui medesimo fu morto. Lasceremo de' fatti di Romagna, e direno d'altre novitadi che furono per l'universo mondo ne' detti tempi, che nel detto anno ne furono assai.
LXXXIII
Come il re d'Erminia con grande gente di Tarteri fu sconfitto alla Cammella in Soria dal soldano d'Egitto.
Nel detto anno MCCLXXXII, lo re d'Erminia essendo andato al grande Cane de' Tartari per soccorso e aiuto contro a' Saracini loro nemici, li diede uno suo nipote, ch'ave' nome Mangodamor, con XXXm Tarteri a cavallo, il quale venne in Soria col detto re d'Erminia, ove s'accozzarono co' Cristiani dinanzi alla città de Hames, detta oggi la Camelle, ov'era ad assedio il soldano d'Egitto con grandissimo esercito di Saracini. E congiunte le dette osti, grande e pericolosa battaglia fu tra l'una parte e l'altra; ed avendo a la prima i Cristiani co' Tartari insieme quasi la vittoria sopra i Saracini, il detto Mangodamor, corrotto per danari da' Saracini, usò tradimento contro a' Cristiani in questo modo: che quand'elli vide che' Saracini erano messi in isconfitta, Mangodamor capitano de' Tartari ismontò da cavallo, onde tutti i suoi Tartari, com'è loro usanza, ismontarono quando vidono ismontato loro signore; per la qual cosa il soldano, com'era ordinato, raccolse sue genti, e ricoverò il campo, e sconfisse i Cristiani con grandissimo danno di loro, e tutte le terre della Soria ch'avea perdute si riprese. Ma tornando i Tartari che scamparono di quella sconfitta ad Abaga gran Cane, tutti i caporali fece uccidere, e agli altri comandò che sempre andassono vestiti come femmine per loro dirisione, e così feciono a sua vita.
LXXXIV
Come si cominciò la guerra da' Genovesi a' Pisani.
In questi tempi la città di Pisa era in grande e nobile stato de' grandi e possenti cittadini più d'Italia, e erano in accordo e unità, e manteneano grande stato, che v'era cittadino il giudice di Gallura, il conte Ugolino, il conte Fazio, il conte Nieri, il conte Anselmo; il giudice d'Alborea n'era cittadino; e ciascuno per sé tenea gran corte. E con molti cittadini e cavalieri affiati cavalcavano ciascuno per la terra; e per la loro grandezza erano signori di Sardigna, e di Corsica, e d'Elba, onde aveano grandissime rendite in propio e per lo Comune; e quasi dominavano il mare co·lloro legni e mercatantie; e oltremare nella città d'Acri erano molto grandi, e con molti parentadi con grandi borgesi d'Acri. Per la qual cosa avendo per più tempo dinanzi avuta gara co·lloro vicini Genovesi per la signoria di Sardigna, e quasi in mare gli aveano come femmine, e in ogni parte gli soperchiavano, e in Acri gli oltraggiarono molto i Pisani, e colla forza de' loro parenti borgesi d'Acri disfeciono per battaglia e per fuoco la ruga de' Genovesi d'Acri, e cacciargli della terra. Per la qual cosa i Genovesi veggendosi soperchiati, e di loro natura erano molto orgogliosi, per vendicarsi de' Pisani, feciono una armata di LXX galee, e del mese d'agosto, gli anni di Cristo MCCLXXXII, vennero sopra Porto Pisano a due miglia. I Pisani colla loro armata di LXXV galee uscirono di Porto per combattere co' Genovesi, i quali veggendo ch'erano più di loro, e la loro armata era il più de' Lombardi e Piemontani a soldo, non si vollono mettere alla fortuna della battaglia, ma si tornarono a Genova. I Pisani ne montarono in superbia, e del mese di settembre vegnente colla detta armata andarono infino nel porto di Genova per la condotta di messer Natta Grimaldi rubello di Genova, e saettarono nella città quadrella d'ariento, poi tornarono a Portovenero, e puosonsi all'isola del Tiro, e guastarono intorno a Portoveneri, e al golfo della Spezia; e partendosi di là per tornare a Pisa, essendo in alto mare, come piacque a·dDio, si levò una fortuna con vento a gherbino sì forte e impetuoso, che tutta isciarrò la detta armata, e parte di loro galee, intorno di XXIII, percosse, e ruppono alla piaggia del Viereggio e alla foce di Serchio, ma poche genti vi perirono, ma tornarono in Pisa chi ignudo e chi in camicia, a modo di sconfitta. E per tema che s'ebbe in Pisa della detta rotta, si commosse tutta la città, e le donne scapigliate a pianto e dolore, e ciascuna si credea avere meno chi il marito, e chi il padre, o figliuolo, o fratello. E questo fu grande segno del futuro danno de' Pisani, come innanzi per gli tempi faremo menzione. I Genovesi per l'oltraggio ricevuto da' Pisani si dispuosono di vendicarsi, e come valenti uomini feciono ordine di non navicare in legni grossi né in navi, se non in galee sottili, e di non armarle di niuno soldato forestiere, com'erano usati di fare, ma de' migliori e maggiori cittadini che vi fossono compartite per soprasaglienti per galee, e studiare alle balestra e galeotti di loro riviera; e per questo modo divennero prodi e sperti in mare, e ricoverarono loro stato, e ebbono vittoria sopra i Pisani, come innanzi al tempo faremo menzione. Lasceremo alquanto della incominciata guerra de' Pisani e Genovesi, e torneremo a la materia cominciata per lo re d'Araona al re Carlo, e parte delle seguenti di quella.
LXXXV
Come il prenze figliuolo del re Carlo con molta baronia di Francia e di Proenza passarono per Firenze per andare sopra i Ciciliani.
Nel detto anno MCCLXXXII, del mese d'ottobre, venne in Firenze Carlo prenze di Salerno e figliuolo primogenito del grande re Carlo con VIc cavalieri, il quale veniva di Proenza e di Francia per mandato del suo padre per essere all'assedio di Messina colla sua oste, e venuto a corte di Roma al papa, siccome addietro facemmo menzione. In Firenze fu ricevuto il detto prenze a grande onore, e fece tre cavalieri della casa de' Bondelmonti; e incontanente se n'andò a corte di Roma, ov'era il re Carlo con sua baronia. Per simile modo passarono e vennero in Firenze, a dì XXIIII di novembre vegnente, il conte di Lanzone fratello del re di Francia con molti baroni e cavalieri, i quali il re Filippo di Francia mandava in soccorso al re Carlo. E soggiornati alquanti dì in Firenze, e da' Fiorentini veduti onorevolemente, se n'andaro a corte di Roma al re Carlo.
LXXXVI
Come lo re Carlo e lo re Piero d'Araona s'ingaggiarono di combattere insieme a Bordello in Guascogna per la tenza di Cicilia.
In questi tempi essendo lo re Carlo con tutta la sua baronia a corte di Roma nella città di Roma, e dinanzi a papa Martino e a tutti i suoi cardinali avea fatto appello di tradigione contro a Piero re d'Araona, il quale gli avea tolta l'isola di Cicilia, e che il detto re Carlo era apparecchiato di provarlo per battaglia, il detto re Piero mandati suo' ambasciadori alla detta corte a contastare al detto appello, e a scusarsi di tradigione, e che ciò ch'avea fatto era a·llui con giusto titolo, e che di ciò era apparecchiato di combattere corpo a corpo col re Carlo in luogo comune; onde si prese concordia sotto saramento in presenza del papa di fare la detta battaglia, ciascuno de' detti re con C cavalieri, i migliori che sapessono scegliere, a Bordello in Guascogna, sotto la guardia del balio, overo siniscalco, del re d'Inghilterra, di cui era la terra; con patti, che quale de' detti re vincesse la detta battaglia avesse di queto l'isola di Cicilia con volontà della Chiesa, e quelli che fosse vinto s'intendesse per ricreduto e traditore per tutti i Cristiani, e mai non s'apalesasse re, dispognendosi d'ogni onore. Per la qual cosa il detto re Carlo si tenne molto per contento, disiderando la battaglia, e parendogli avere ragione; e invitarsi a·llui de' migliori cavalieri del mondo d'arme per essere alla detta battaglia, per parte più di Vc, e feciono apparecchio, la maggiore parte Franceschi e Provenzali, e alcuno altro baccelliere d'arme nominato, d'Alamagna, e d'Italia, e di Firenze se ne profersono assai. E simile al re Piero d'Araona s'invitarono molti cavalieri, i più di suo paese, e alquanti Spagnuoli, e alcuno Italiano di parte ghibellina, e alcuno Tedesco del legnaggio di Soave; e il figliuolo del re di Morrocco saracino si proferse al re d'Araona, e promise, se 'l volesse, di farsi Cristiano quello giorno. E partissi di Cicilia, e lasciòvi don Giacomo suo secondo figliuolo per re, e egli n'andò in Catalogna per essere a Bordello alla detta giornata. E 'l detto re Carlo lasciò Carlo prenze suo figliuolo alla guardia del Regno, e partissi di corte per andare a Bordello, e passò per Firenze a dì XIIII di marzo, nel detto anno MCCLXXXII, e da' Fiorentini fu ricevuto con grande onore, e fece in Firenze VIII cavalieri tra Fiorentini, e Lucchesi, e Pistolesi. E ciò fatto, se n'andò a Lucca, e alla piaggia di Mutrone si ricolse in XVI galee armate venute di Proenza, e andonne a Marsilia, e di là in Francia per esser a la detta battaglia ordinata a Bordello. E dissesi, e fu manifesto, che·lla maggiore cagione perché lo re d'Araona ingaggiò la detta battaglia, fu fatto per lui con grande senno e per grande sagacità di guerra, per fare partire lo re Carlo d'Italia, acciò che non andasse più con armata e sua oste sopra i Ciciliani, però ch'egli era povero di moneta, e non poderoso al soccorso e riparo de' Ciciliani contro a re Carlo e della Chiesa di Roma, e temea de' Ciciliani che non si volgessono per paura o per altra cagione, però che non gli sentiva costanti, e egli e sua gente Catalani erano ancora co·lloro salvatichi, come nuovo signore e nuova gente. E così il savio provedimento gli venne fatto.
LXXXVII
Come lo re Piero d'Araona fallì la giornata promessa a Bordello, onde per lo papa fu scomunicato e privato.
Come lo re Carlo fu in Francia, sì apparecchiò sé e' suoi cavalieri d'arme e di cavagli, come a così alta e grande impresa si convenia, e partissi di Parigi, e co·llui lo re Filippo di Francia suo nipote con molta baronia, e bene con IIIm cavalieri d'arme, per andare a Bordella. E quando furono presso a Bordella a una giornata, lo re di Francia rimase colla sua gente e baronia, e lo re Carlo con suoi C cavalieri andò a Bordella alla giornata promessa, la quale fu a dì XXV di giugno MCCLXXXIII, e in quello luogo il detto re Carlo con suoi C cavalieri comparirono alla giornata armati e a cavallo per fare la promessa e giurata battaglia, e tutto il giorno dimorarono armati in sul campo, attendendo lo re Piero d'Araona co' suoi cavalieri, il quale non vi venne né comparì. Ben si disse che·lla sera della giornata al tardi comparì sconosciuto dinanzi al siniscalco del re d'Inghilterra, per non rompere il saramento, e protestò com'era venuto e apparecchiato di combattere, quando il re di Francia con sua gente, il quale v'era presso a una giornata, ond'elli avea tema e sospetto, si partisse; e ciò fatto, sanza soggiornare si tornò in Araona, e il primo dì che·ssi partì cavalcò bene LXXXX miglia. Per la qual cosa il re Carlo si tenne forte ingannato, e lo re Filippo di Francia molto adontato, e tornaronsi a Parigi. E saputa la novella papa Martino della difalta del re Piero d'Araona, col suo collegio de' cardinali diede sentenzia contro al detto Piero d'Araona, sì come scomunicato, e pergiuro, e ribello, e occupatore delle possessioni di santa Chiesa, e sì 'l privò e dispuose del reame d'Araona e d'ogni altro onore, e scomunicò chiunque l'obedisse o chiamasse re. Ma il detto re d'Araona per leggiadria si fece intitolare "Piero d'Araona cavaliere, e padre di due re, e signore del mare". E il detto papa Martino fatto il detto processo, sì brivileggiò del detto reame d'Araona Carlo conte di Valos, secondo figliuolo del detto re Filippo re di Francia, e mandò in Francia uno legato cardinale a confermare il detto Carlo della detta elezione, e predicare croce e indulgenzia contro al detto Piero d'Araona e sue terre. E lo re Carlo con dispensagione del papa diede per moglie al detto messer Carlo di Valos la sua nipote, figliuola del prenze Carlo suo figliuolo, e in dota la contea d'Angiò, acciò ch'egli col padre re di Francia fossero più ferventi alla guerra del re d'Araona. Lasceremo alquanto de' fatti del re Carlo e di quello d'Araona, e torneremo a quelli di Firenze.
LXXXVIII
Come in Firenze fu diluvio d'acque e grande caro di vittuaglia.
Negli anni di Cristo MCCLXXXII, a dì XV di dicembre, per soperchie pioggie fu grandissimo diluvio d'acque, e crebbono i fiumi disordinatamente, e in Firenze crebbe sì il fiume d'Arno, che uscito de' termini suoi allagò grande parte del sesto di San Piero Scheraggio, e più altre contrade della città che sono nella riva d'Arno. E in questo anno fu grande caro d'ogni vittuaglia, e valse lo staio del grano alla misura rasa soldi XIIII di soldi XXXIII il fiorino d'oro; che, acomputando la moneta e la misura, fu grandissimo caro.
LXXXIX
Come ne la città di Firenze si fece una nobile corte e festa, vestiti tutti di robe bianche.
Nell'anno appresso MCCLXXXIII, del mese di giugno, per la festa di santo Giovanni, essendo la città di Firenze in felice e buono stato di riposo, e tranquillo e pacifico stato, e utile per li mercatanti e artefici, e massimamente per gli Guelfi che signoreggiavano la terra, si fece nella contrada di Santa Felicita Oltrarno, onde furono capo e cominciatori quegli della casa de' Rossi co·lloro vicinanze, una compagnia e brigata di M uomini o più, tutti vestiti di robe bianche, con uno signore detto dell'Amore. Per la qual brigata non s'intendea se non in giuochi, e in sollazzi, e in balli di donne e di cavalieri e d'altri popolani, andando per la terra con trombe e diversi stormenti in gioia e allegrezza, e stando in conviti insieme, in desinari e in cene. La qual corte durò presso a due mesi, e fu la più nobile e nominata che mai fosse nella città di Firenze o in Toscana; alla quale vennero di diverse parti molti gentili uomini di corte e giocolari, e tutti furono ricevuti e proveduti onorevolemente. E nota che ne' detti tempi la città di Firenze e' suoi cittadini fu nel più felice stato che mai fosse, e durò insino agli anni MCCLXXXIIII, che si cominciò la divisione tra 'l popolo e' grandi, appresso tra' Bianchi e' Neri. E ne' detti tempi avea in Firenze da CCC cavalieri di corredo e molte brigate di cavalieri e di donzelli, che sera e mattina metteano tavola con molti uomini di corte, donando per le pasque molte robe vaie; onde di Lombardia e di tutta Italia traeano a·fFirenze i buffoni e uomini di corte, e erano bene veduti, e non passava per Firenze niuno forestiere, persona nominato o d'onore, che a gara erano fatti invitare dalle dette brigate, e accompagnati a cavallo per la città e di fuori, come avesse bisogno.
XC
Come i Genovesi feciono gran danno a' Pisani che tornavano di Sardigna.
Nel detto anno e mese di giugno, vegnendo dell'isola di Sardigna V navi grosse e V galee armate de' Pisani, cariche di mercatantia e d'argento sardesco, i Genovesi avendone novelle, armarono XXV galee, onde fu amiraglio messer... di Genova. E andando incontro alle dette navi e galee, le scontrò sopra capo Corso, e combattendo co·lloro, dopo la fiera battaglia i Genovesi gli sconfissono, e presono, e menarono in Genova, che v'avea su più di MD Pisani, che tutti furono pregioni con altra buona gente, e tanta mercatantia e argento, che fu stimato di valuta di Cm libbre di genovini, ch'erano più di CXXm di fiorini d'oro, onde i Pisani ricevettono una grande perdita e sconfitta.
XCI
Ancora de' fatti de' Pisani co' Genovesi.
Apresso acrebbe a' Pisani, come piacque a·dDio, giudicio sopra la loro infortuna, che del mese d'aprile appresso, l'anno MCCLXXXIIII, mandando in Sardigna il conte Fazio loro grande cittadino con armata di XXX galee e una nave grossa, i Genovesi si scontrarono co·lloro sopra... con XXXV galee, ond'era amiraglio messer..., e combatterono con loro in mare, e fu aspra e dura battaglia, e molti ne furono morti e d'una parte e d'altra. Alla fine i Genovesi isconfissono i Pisani, e presono il detto conte Fazio con molti buoni cittadini di Pisa, e presono bene la metà delle dette galee, e menargli pregioni in Genova, onde i Pisani ricevettono grande perdita e dannaggio.
XCII
Come i Genovesi sconfissono i Pisani a la Meloria.
Negli anni di Cristo MCCLXXXIIII, del mese di luglio, i Pisani non istanchi delle sconfitte avute da' Genovesi, come di sopra avemo fatta menzione, feciono loro isforzo per vendicarsi delle 'ngiurie ricevute da' Genovesi, e armarono, tra di loro genti e di soldati toscani e altri, da LXX galee, onde fu amiraglio messer Benedetto Buzacherini, e andarono insino nel porto di Genova, e in quello stettero, e balestrarono, com'altra volta aveano fatto, quadrella d'argento, e feciono grande onta e soperchio a' Genovesi, e presono più barche e altri legni, e rubarono e guastarono in più parti della riviera, e con grande pompa e romore, essendo nel porto di Genova, richiesono i Genovesi di battaglia. I Genovesi non ordinati né disposti alla battaglia, però ch'aveano disarmate le loro galee, con leggiadra e signorile risposta feciono loro iscusa, e dissono che perch'eglino combattessono co·lloro, e vincessongli nel loro porto e contrada, non avrebbono fatta loro vendetta né sarebbe loro onore, ma ch'eglino si tornassono al loro porto, e eglino si metterebbono in concio, e sanza indugio gli verrebbono a vedere, e sarebbono signori della battaglia. E così fu fatto, che' Pisani si partirono faccendo grandi grida, di rimprocci e schernie de' Genovesi, e tornaronsi in Pisa. I Genovesi sanza indugio niuno armarono CXXX tra galee e legni, e suso vi montarono tutta la buona gente di Genova e della riviera, ond'era amiraglio messer Uberto Doria, e del mese d'agosto vegnente vennero colla detta armata nel mare di Pisa. I Pisani sentendo ciò, a grido e a romore entrarono in galee, chi a Porto Pisano, e la podestà, e il loro amiraglio, e tutta la buona gente montarono in galee tra' due ponti di Pisa in Arno. E levando il loro istendale con grande festa, e essendo l'arcivescovo di Pisa in sul ponte parato con tutta la chericia per fare all'armata la sua benedizione, la mela e la croce ch'era in su l'antenna dello stendale cadde; onde per molti savi si recòe per mala agura del futuro danno. Ma però non lasciarono, ma con grande orgoglio, gridando: "Battaglia, battaglia!", uscirono della foce d'Arno, e accozzarsi colle galee del porto, e furono da LXXX tra galee e legni armati; e' Genovesi colla loro armata aspettando in alto mare, s'affrontarono alla battaglia co' Pisani all'isoletta, overo scoglio, il quale è sopra Porto Pisano, che si chiama la Meloria, e ivi fu grande e aspra battaglia, e morìvi molta buona gente d'una parte e d'altra di fedite, e d'anegati in mare. Alla fine, come piacque a·dDio, i Genovesi furono vincitori, e' Pisani furono sconfitti, e ricevettono infinito dammaggio di perdita di buone genti, che morti e che presi, bene XVIm uomini, e rimasono prese XL galee de' Pisani, sanza l'altre galee rotte e profondate in mare; le quali galee co' pregioni menarono in Genova, e sanza altra pompa, se non di fare dire messe e processioni rendendo grazie a·dDio; onde furono molto commendati. In Pisa ebbe grande dolore e pianto, che non v'ebbe casa né famiglia che non vi rimanessero più uomini o morti o presi; e d'allora innanzi Pisa non ricoverò mai suo stato né podere. E nota come il giudicio d'Iddio rende giusti e debiti meriti e pene, e tutto che talora s'indugino e sieno occulti a noi. Ma in quello luogo propio ove i Pisani sursono e anegarono in mare i prelati e' cherici che venieno d'oltremonti a Roma al concilio l'anno MCCXXXVII, come addietro facemmo menzione, ivi furono sconfitti e morti e gittati in mare i Pisani da' Genovesi, come detto avemo. Lasceremo a·ddire alquanto de' Pisani, e torneremo a quello che fu ne' detti tempi della guerra di Cicilia dal re Carlo a quello d'Araona, ch'ancora ne surge materia.
XCIII
Come Carlo prenze di Salerno fu sconfitto e preso in mare da Ruggieri di Loria coll'armata de' Ciciliani.
Negli anni di Cristo MCCLXXXIIII, a dì V del mese di giugno, messer Ruggieri di Loria amiraglio del re d'Araona venne di Cicilia con XLV tra galee e legni armati di Ciciliani e Catalani nelle parti di Principato, facendo guerra e grande danno alla gente del re Carlo; e il sopradetto dì venne nel porto di Napoli colla detta armata gridando e dicendo grandi spregi del re Carlo e di sue genti, e domandando battaglia, e saettando nella terra. E ciò facie il detto Ruggieri di Loria per trarre il prenze e sue genti a battaglia, come quegli ch'era il più savio amiraglio di guerra di mare ch'allora fosse al mondo, e sapea per sue saettie che il re Carlo colla sua grande armata venia di Proenza, e già era nel mare di Pisa, sicché s'affrettava o di trarreli a battaglia, o di partirsi e tornare in Cicilia, acciò che il re Carlo nol sopraprendesse. Avenne, come piacque a·dDio, che 'l prenze figliuolo del re Carlo ch'era in Napoli con tutta la sua baronia, Franceschi, e Provenzali, e del Regno, veggendosi così oltraggiare da' Ciciliani e Catalani, a furia sanza ordine o provedimento montarono in galee, così i cavalieri come le genti di mare in compagnia del prenze, eziandio contro al comandamento spresso che il re Carlo avea fatto al figliuolo, che per niuno caso che incorresse si mettesse a battaglia infino alla sua venuta. E così disubidiente e male ordinato si mise con XXXV galee e più altri legni con tutta la sua cavalleria alla battaglia fuori del porto di sopra a Napoli. Ruggieri di Loria maestro di guerra percosse colle sue galee vigorosamente, amonendo i suoi che non intendessono a niuna caccia, ma lasciassono fuggire chi volesse, ma solamente attendessono alla galea dello stendale, ov'era la persona del prenze con molti baroni, e così fu fatto; ché come le dette armate galee si percossono insieme, più galee di quegli di Principato, e spezialmente quelle di Surrenti, sì diedono la volta e tornaronsi a Surrenti, e per simile modo feciono grande parte delle galee di Principato. Il prenze rimaso alla battaglia colla metà delle sue galee, ov'erano i baroni e' cavalieri, che di battaglia di mare s'intendeano poco, tosto furono isconfitti e presi con VIIII delle loro galee; e il prenze Carlo in persona con molta baronia furono presi e menati in Cicilia, e furono messi in pregione in Messina nel castello di Mattagrifone. E avenne, come fu fatta la detta sconfitta e preso il prenze, che quelli di Surrenti mandarono una loro galea co·lloro ambasciadori a Ruggieri di Loria con IIII cofani pieni di fichi fiori, i quali egli chiamavano palombole, e con CC agostari d'oro per presentare al detto amiraglio; e giugnendo a la galea ov'era preso il prenze, veggendolo riccamente armato e con molta gente intorno, credettono che fosse messer Ruggieri di Loria, sì gli si inginocchiarono a' piedi, e feciongli il detto presente, dicendo: "Messer l'amiraglio, come ti piace, da parte del tuo Comune da Sorrenti ilocati quissi palombola, e stipati quissi agostari per uno taglio di calze: e plazesse a·dDeo com'hai preso lo figlio avessi lo patre; e sacci che fuimo li primi che boltaimo". Il prenze Carlo con tutto il suo dammaggio cominciò a ridere, e disse all'amiraglio: "Per le san Dio, che sont bien fetable a monsignor le roi!". Questo avemo messo in nota per la poca fede ch'hanno quegli del Regno al loro signore.
XCIV
Come il re Carlo arrivò a Napoli colla sua armata, e poi s'apparecchiò per passare in Cicilia.
Il giorno seguente che fu la detta sconfitta lo re Carlo arrivò a Gaeta con LV galee armate e con tre navi grosse cariche di baroni e cavalli e arnesi; e come intese la novella della sconfitta e presa del prenza suo figliuolo, fu molto cruccioso e disse: "Or fost il mort, por se qu'il a falli nostre mandamant!". Ma sentendo la poca fede degli uomini del Regno, e che quegli di Napoli già ciancellavano, e certi corsa la terra e gridando: "Muoia il re Carlo, e viva Ruggieri di Loria!", incontanente si partì da Gaeta e giunse in Napoli a dì VIII di giugno; e come fu sopra Napoli non volle ismontare nel porto, ma di sopra al Carmino, con intendimento di fare mettere fuoco nella città e arderla, per lo fallo che' Napoletani aveano fatto di levare a romore la terra contro al re. Ma messer Gherardo da Parma legato cardinale con certi buoni uomini di Napoli gli vennero incontro per domandargli perdono e misericordia, dicendo: "Furono folli". Lo re riprese: "I savi come ciò aveano sofferto a' folli?". Ma per gli prieghi del legato, fatta fare giustizia di farne impiccare più di CL, sì perdonò alla cittade, e riformata la terra, si fece lo re compiere d'armare colle galee, ch'egli avea menate infino in LXXV galee, e partissi di Napoli a dì XXIII di giugno; l'armata mandò verso Messina, e il re Carlo n'andò per terra a Brandizio per accozzare l'armata ch'avea fatta apparecchiare in Puglia con quella di Principato per andare in Cicilia. E di Brandizio si partì lo re coll'altra armata a dì VII di luglio del detto anno, e acozzossi coll'armata di Principato a Controne in Calavra, e furono CX tra galee e uscieri armati, e con cavalieri, con molti altri legni grossi e sottili di carico. In questa stanzia avea in Cicilia due legati cardinali, messer Gherardo da Parma e messer..., i quali aveva mandati il papa a trattare pace, e per riavere il prenze Carlo; e stando il detto stuolo in bistento in attendere novelle de' detti legati, come avessero adoperato, i quali maestrevolemente dal re d'Araona furono tenuti in parole sanza potere fare nullo accordo acciò che 'l detto stuolo non ponesse in Cicilia, sì·ssi trovò la detta armata del re Carlo male proveduta, e con difalta di vittuaglia. Per la qual cosa lo re fu consigliato che convenia di necessità che tornasse a Brandizio, perché s'appressava l'autunno, e gli tempi contrarii a sostenere in mare sì grande armata; e ch'egli facesse disarmare, e riposasse sé e sue genti infino al primo tempo; e così fu fatto, onde lo re Carlo si diede grande dolore sì per la presura del figliuolo, e che la fortuna gli era fatta così aversa e contraria, e per gli più si disse che ciò fu cagione dell'avacciamento di sua morte, come diremo appresso.
XCV
Come lo buono re Carlo passò di questa vita alla città di Foggia in Puglia.
Lo re Carlo tornato con suo stuolo a Brandizio, sì 'l fece disarmare, e tornossi a Napoli per dare ordine, e fornirsi di moneta e di gente per ritornare in Cicilia al primo tempo. E come quegli che·lla sua sollecita mente non posava, come fu passato il mezzo dicembre, ritornò in Puglia per essere a Brandizio per fare avacciare il suo navilio. Com'egli fu a Foggia in Puglia, e come piacque a·dDio, amalò di forte malatia, e passò di questa vita il seguente giorno della Bifania, dì VII di gennaio, gli anni di Cristo MCCLXXXIIII. Ma innanzi che morisse, con grande contrizione prendendo il corpo di Cristo, disse con grande reverenza "Sire Idius, con ie croi vraimant che vos est mon salveur, ensi vos pri que vos aies mersi de ma arme, ensi con ie fis l'amproise de roiame de Sesilia plus por servir sante Egrise que per mon profit o altre covidise, ensi me perdones mes pecces"; e passò poco appresso di questa vita; e fu recato il suo corpo a Napoli, e dopo il grande lamento fatto di sua morte fu soppellito all'arcivescovado di Napoli con grande onore. Di questa morte del re Carlo fu grande maraviglia, che il dì medesimo ch'elli passò fu piuvicato in Parigi per uno frate Arlotto ministro de' minori e per maestro Giandino da Carmignanola maestro allo Studio, e vegnendo ciò in notizia del re di Francia, mandò per loro per sapere onde l'aveano. Dissono che sapeano la sua natività, ch'era sotto la signoria di Saturno, e per gli suoi effetti erano procedute le sue esultazioni e le sue aversità: e alcuno disse che 'l sapeano per revelazione di spirito, che ciascuno di loro erano grandi astrolagi e negromanti. Quello Carlo fu il più temuto e ridottato signore, e il più valente d'arme e con più alti intendimenti, che niuno re che fosse nella casa di Francia da Carlo Magno infino a·llui, e quegli che più esaltò la Chiesa di Roma; e più avrebbe fatto, se non che alla fine del suo tempo la fortuna gli tornò contraria. Venne poi per guardiano e difenditore del Regno Ruberto conte d'Artese cugino del detto re, con molti cavalieri franceschi, e colla prenzessa e col figliuolo del prenze nipote del re Carlo, il quale per lui ebbe nome Carlo Martello, e era d'età di XII in XIII anni. Del re Carlo non rimase altra reda che Carlo secondo prenze di Salerno, di cui avemo fatta menzione. E questo Carlo era bello uomo del corpo, e grazioso, e largo, e vivendo il re Carlo suo padre, e poi, ebbe più figliuoli della prenzessa sua moglie figliuola e reda del re d'Ungaria. Il primo fu il detto Carlo Martello, che poi fu re d'Ungaria; il secondo fu Lois, che si rendé frate minore, e poi fu vescovo di Tolosa; il terzo fu Ruberto duca di Calavra; il quarto fu Filippo prenze di Taranto; il quinto fu Ramondo Berlinghieri conte (dovea essere) di Proenza; il sesto fu messer Gianni prenze della Morea; il settimo fu messer Piero conte d'Eboli.
XCVI
Come il prenze figliuolo del re Carlo fu condannato a morte da' Ciciliani, e poi per la reina Gostanza mandato in Catalogna preso.
Nel detto anno partiti i detti cardinali legati di Cicilia, e perché nonn-aveano potuto fare accordo, fortemente agravarono di scomuniche, e di torre ogni benificio e grazie spirituali, a·re d'Araona e a' Ciciliani. Per questa cagione e per la morte de·re Carlo que' di Messina si mossono a·ffurore, e corsono alle pregioni dov'erano i Franceschi per uccidergli, e egli difendendosi, i Missinesi misono fuoco nelle pregioni, e a grande dolore e stento gli feciono morire. E fu bene giudicio di Dio, che l'orgoglio e superbia de' Franceschi usata in Cicilia fosse pulita per così disordinata e furiosa sentenzia de' Ciciliani, come fu a questa volta, e era suta alla rubellazione, come addietro facemmo menzione. Dopo questo fatto tutte le terre di Cicilia feciono sindaco con ordine, e congregati insieme di concordia, condannarono a morte il prenze Carlo, il quale aveano in pregione, e che gli fosse tagliata la testa, siccome lo re Carlo suo padre avea fatto a Curradino. Ma come piacque a·dDio, la reina Gostanza moglie del re Piero d'Araona, la quale allora era in Cicilia, considerando il periglio ch'al suo marito e a' suoi figliuoli poteva avenire della morte del prenze Carlo, prese più sano consiglio, e disse a' sindachi delle dette terre che nonn-era convenevole che·lla loro sentenzia procedesse sanza la volontà del re Piero loro signore, ma le parea che 'l prenze si mandasse a·llui in Catalogna, e egli come signore ne facesse a·ssua volontà; e così fu preso, e poi fatto. Lasceremo di questa materia, e torneremo a' fatti di Firenze.
XCVII
Come in Firenze fu grande diluvio d'acqua, e rovinò parte del poggio de' Magnoli.
Negli anni di Cristo MCCLXXXIIII, il dì di domenica d'ulivo a dì II d'aprile, in Firenze ebbe grandissimo diluvio d'acque e di piova sì disordinatamente, che 'l fiume d'Arno crebbe sì disordinatamente, ch'allagò molta della città presso alle sue rive; e per la detta acquazzone il poggio che·ssi chiamava de' Magnoli di sotto a San Giorgio e di sopra a Santa Lucia si commosse a ruina, e venne rovinando infino in Arno, e fece cadere e guastare più di L case ch'erano sopra il detto poggio, e in su la via di Santa Lucia lungo l'Arno, e morìvi gente assai.
XCVIII
Come i Fiorentini con Genovesi e con Toscani feciono lega sopra i Pisani, onde i Ghibellini furono cacciati di Pisa.
Nel detto anno, del mese di settembre, i Fiorentini feciono lega e compagnia con saramento co' Lucchesi, e' Sanesi, e' Pistolesi, e' Pratesi, e' Volterrani, e San Gimignano, e Colle, insieme co' Genovesi, sopra la città di Pisa a·ffare guerra; i Fiorentini co' detti Toscani per terra, e' Genovesi per mare. E' Fiorentini ch'erano in Pisa se ne partirono a dì X di novembre, per comandamento del Comune di Firenze; e mandarono i Fiorentini dalla parte di Volterra VIc cavalieri a·ffare guerra a' Pisani, e così mandarono tutte l'altre terre della lega secondo la loro taglia. E in Valdera feciono grande guerra, e presono molte castella di quelle de' Pisani, e ordinarono d'assediare Pisa alla primavera vegnente per mare e per terra. Per la qual cagione il conte Ugolino de' Gherardeschi, ch'era il maggiore cittadino di Pisa, cercò trattato d'accordo co' Fiorentini e' Sanesi e gli altri Toscani di cacciare i Ghibellini di Pisa, e farne signori i Guelfi, acciò che·ll'oste ordinata della taglia detta che si dovea fare sopra Pisa non procedesse; e così fu fatto. E dissesi in Firenze che 'l detto conte Ugolino presentando a certi caporali cittadini di Firenze vino di vernaccia in certi fiaschi, che vi mandò dentro col vino fiorini d'oro, acciò che assentissono al detto accordo sanza la richiesta de' Genovesi e de' Lucchesi; e ciò ordinato, del mese di gennaio vegnente il detto conte Ugolino cacciò di Pisa i Ghibellini, e fecene signore sé co' Guelfi. Ma al detto accordo non furono richiesti i Genovesi, e' Lucchesi nol vollono assentire, onde i Genovesi e' Lucchesi si tennero gravati e ingannati da' Fiorentini e dagli altri Toscani della taglia; e non lasciarono però di venire sopra Pisa, com'era ordinato, i Genovesi per mare con LXX galee armate, e' Lucchesi ad oste per terra, e guastarono e disfeciono Porto Pisano; e' Lucchesi dalla loro parte presono più castella. E di certo se' Fiorentini avessono attenuta la 'mpromessa, la città di Pisa sarebbe stata presa, e disfatta, e recata a borghi, com'era ordinato. Ma i Fiorentini ordinarono che' Sanesi mandassono i loro cavalieri alla guardia de' Guelfi di Pisa, e perciò fu difesa; onde i Fiorentini furono molto ripresi da' Genovesi e Lucchesi per lo rompere che feciono di loro promessa e saramento per scampare Pisa; ma ebbonne il merito e il guidardone da' Pisani ch'a·cciò si convenia, siccome innanzi per gli tempi faremo menzione; onde i Fiorentini n'ebbono poi più volte pentimento per la 'ngratitudine e superbia de' Pisani.
XCIX
Come i Fiorentini cominciarono a fondare le porte per fare le nuove mura alla cittade.
Nel detto anno, del mese di febbraio, essendo i Fiorentini in buono e pacefico stato, e la città cresciuta di popolo e di grandi borghi, sì ordinarono di crescere il circuito della città, e cominciarsi a fondare le nuove porte, ove poi conseguirono le nuove mura, cioè quella di Santa Candida di là di Santo Ambruogio, e quella di San Gallo in sul Mugnone e quella del Prato d'Ognisanti, e quella d'incontro a le Donne che·ssi dicono di Faenza ancora in sul Mugnone; il quale fiumicello di Mugnone alquanto dinanzi era adirizzato, che prima correa avolto per Cafaggio e presso alle seconde cerchie della città, faccendo molesto assai alla città quando crescea, e fecionvi su i ponti dinanzi alle dette porte, e rimase il lavoro di quelle innanzi che fossono a l'arcora, per la novella che venne in Firenze che 'l prenze Carlo era stato sconfitto in mare da Ruggieri di Loria e da' Ciciliani. E in questi tempi si fece per lo Comune di Firenze la loggia sopra la piazza d'Orto Sammichele, ove si vende il grano, e lastricossi e amattonossi intorno, la quale allora fu molto ricca e bella opera e utile. E nel detto anno si cominciò a rinnovare la Badia di Firenze, e fecesi il coro e le cappelle che vengono in su la via del palagio e 'l tetto; che prima era la Badia più addietro, piccola, e disorrevole in sì fatto luogo della cittade.
C
Delle grandi novitadi che furono tra' Tarteri dal Turigi.
Nel detto anno MCCLXXXIIII Tangodar fratello d'Abaga Cane signore de' Tarteri dal Torigi e di Persia, il quale da giovane fu Cristiano battezzato e chiamato Niccola, com'egli ebbe la signoria, si fece Saracino e rinnegato, e fecesi chiamare Mahomet, e grande persecuzione fece a' Cristiani in due anni ch'egli regnò in signoria. Alla fine Argon suo nipote e padre che fu di Casano, onde innanzi faremo al suo tempo menzione, si rubellò da·llui, e gli tolse il regno e la vita. Questo Argon fu figliuolo d'Abaga Cane, e fu grande amico de' Cristiani e nimico de' Saracini, e fece rifare tutte le chiese de' Cristiani che Maomet suo zio avea fatte distruggere in suo regno, e gli Cristiani rimise in istato, e gli tempii de' Saracini fece distruggere e abbattere, e tutti i Saracini cacciare di suo paese, e fu uno savio e valoroso signore in arme.
CI
Come i Saracini presono e distrussono Margatto in Soria.
Negli anni di Cristo MCCLXXXV, del mese di maggio, i Saracini col soldano d'Egitto vennono ad oste a la terra di Margatto in Soria, la quale era della magione dello Spedale di Santo Giovanni, e era molto fortissimo, e quello con cave misono grande parte in puntelli, e sicurarono i capitani d'entro che venissono a vedere com'era puntellato; per la qual cosa i Cristiani che v'erano dentro, veggendo che non si poteano tenere, s'arrenderono, salve le persone; e il castello rimase a' Saracini. Lascereno delle novità d'oltremare, e torneremo a dire della grande impresa che·llo re di Francia fece sopra lo re d'Araona.
CII
Come il re Filippo di Francia andòe con grande esercito sopra lo re Piero d'Araona.
Negli anni di Cristo MCCLXXXIIII, a mezza quaresima, vegnente l'ottantacinque, lo re Filippo di Francia figliuolo di san Luis, avendo grande animo contro a Piero d'Araona per la nimistà presa contro a·llui per lo re Carlo, e a·ppetizione del papa e della Chiesa di Roma, abbiendo raunata grande oste in tolosana di più di XXm cavalieri e più di LXXXm di pedoni di croce segnati, che Franceschi, Provenzali, e della Magna, e altre genti, e raunato infinito tesoro, si partì di Francia con Filippo e Carlo suoi figliuoli, e con messer Cervagio, detto Gian Coletto, cardinale e legato del papa, e andonne a Nerbona per passare in Catalogna per prendere il reame d'Araona, onde Carlo suo secondo figliuolo era privileggiato dalla Chiesa di Roma, e per mare avea armate in Proenza CXX tra galee e altri legni; e trovossi con Giacomo re di Maiolica fratello e nimico del re Piero d'Araona, però ch'egli gli avea fatta torre l'isola di Maiolica ad Anfus suo primogenito figliuolo, e coronatolne re il detto Anfus; e del mese di maggio MCCLXXXV si partì il detto esercito di nerbonese, e andarne a Perpignano per le terre del detto re di Maiolica; e trovando nella contea di Rossiglione la città di Ianne, la qual s'era rubellata al re di Maiolica e teneasi per lo re d'Araona, il re di Francia vi puose l'assedio; e per forza combattendo l'ebbe, e uccisono uomini, femmine, e fanciulli, che non ne rimase altro che 'l bastardo di Rossiglione con pochi, il quale s'arrendé in uno campanile; e poi che 'l re l'ebbe presa, la fece tutta distruggere; e ciò fatto, si partì del paese e andonne co l'oste infino a piè delle montagne dette Pirre altissime molto, le quali sono alle confini della Catalogna. Lo re Piero d'Araona sentendosi venire adosso sì fatto esercito, si provide di non mettersi a battaglia campale, però che·lla sua forza era niente apo quella del re di Francia; ma di stare alle difese, e guardare i passi; e aveva fornito e afforzato il passo delle Schiuse, onde si valicavano le dette montagne di gente d'arme; e egli in persona v'era alla guardia a tende e a padiglioni per non lasciare passare l'oste del re di Francia. E a quella contesa stette l'oste de' Franceschi più dì, che in nulla guisa poteano passare; alla fine il re di Francia per consiglio del bastardo di Rossiglione fece armare tutta la sua gente, e fece vista di combattere il detto passo. E una mattina molto per tempo il detto re con parte di sua gente, alla guida del detto bastardo, tennero per altro camino su per le montagne, lasciando il più di sua oste e tutti i suoi arnesi incontro al passo delle Schiuse, e tennero per aspre e diverse vie piene di spine e di pietre, le quali erano impossibili a potersi fare per gente umana, e onde Piero d'Araona non si prendea guardia; ma alla fine con grande affanno, e perdendo e guastando molti di loro cavagli, furono di sopra alla detta montagna. Piero d'Araona veggendo che 'l re di Francia gli era al di sopra del passo, abbandonò la speranza di quello, e partissi con tutta sua gente, lasciando le tende e gli arnesi, e tornossi adietro in sue terre, e lasciò il detto passo. Allora tutta la gente ch'era rimasa a piè del passo nel campo del re di Francia con loro somieri e arnesi e bestiame passarono per lo detto passo sanza contrario niuno, e vennero là dov'era il re di Francia, la quale oste stette in su le montagne tre giorni con grande difalta di vittuaglia. Poi lo re con tutta sua oste scese delle montagne nel piano di Catalogna, e prese e ebbe al suo comandamento Pietralata, e Fighiera, e molte terre del contado d'Ampuri; e 'l navilio e l'armata sua, ch'era a l'Agua Morta in Proenza carichi di vittuaglia e d'arnesi da oste, fece venire per mare al porto di Roses. E lo re con sua oste si puose ad assedio alla città di Girona, la quale era molto forte e ben guernita, e eravi dentro per guardia e capitano messer Ramondo signore di Cardona con buona compagnia. E vegnendo l'oste de' Franceschi, misono fuoco nel borgo acciò che·lla terra fosse più forte, e molto danneggiavano l'oste de' Franceschi e difendeano la terra. Ma lo re di Francia giurò di mai non partirsi, ch'egli avrebbe la terra. Ma stando al detto assedio, l'oste del re di Francia cominciò molto a scemare per cagione del lungo dimoro del campo in uno luogo fermo; per la molta ordura e carogna di bestie morte, per lo grande caldo v'apparìo diversa quantità di mosche e di tafani, i quali pareano avelenati, e pugnendo, e uomini e bestie ne morivano; e crebbe tanto la pestilenzia, che·ssi corruppe l'aria, e molta gente morieno nell'oste, onde al re di Francia, e al suo consiglio, e a tutta l'oste molto era grave, e volentieri vorrebbe lo re essere sofferto del suo saramento.
CIII
Come lo re d'Araona fu sconfitto e fedito da' Franceschi, della quale fedita poi morìo.
Istando lo re di Francia all'assedio di Gironda, la vittuaglia e fornimento dell'oste gli venia dal suo navilio dal porto di Roses, presso all'oste a IIII miglia. Lo re Piero d'Araona con sua gente impediva quanto potea la scorta che conducea la vittuaglia, e convenia che e' Franceschi la guidassono con molta gente e con grande fatica. Avenne che·lla vilia di santa Maria d'agosto lo re d'Araona s'era messo in aguato con Vc de' migliori de' suoi cavalieri e con MM mugaveri a piè per impedire la scorta del re di Francia, e ancora si dicea che in quella scorta venia la paga della gente del re di Francia, e però lo re d'Araona in persona si mise nell'aguato: fu rapportato per una spia a messer Raul di Rasi e a messer Gian d'Ericorte conastabole e maliscalco dell'oste del re di Francia. I detti ebboro loro consiglio, e co' migliori cavalieri dell'oste, per andare a combattere col detto aguato, e ragionando d'andarvi grossi di gente, erano certi che 'l re d'Araona né sua gente non uscirebbono a battaglia, com'altre volte non avea fatto se non a suo vantaggio. Ma disse messer Raul di Rois valente cavaliere: "Se noi volemo essere valenti uomini, e trarrelo a battaglia, andianvi con poca gente, sì che gli paia avere buono mercato di noi". E così fu fatto; ch'eglino presono il conte della Marcia e de' più eletti baroni e baccellieri d'arme che fossono in tutta l'oste, infino in quantità di IIIc cavalieri sanza più, e misonsi contro l'aguato. Lo re d'Araona veggendo che non erano maggior quantità, e egli avea gente troppa più di loro, lasciando i pedoni s'affrettò di fedire co' suoi cavalieri, e si mise alla battaglia, la quale fu dura e aspra, sì come di tanti eletti e provati cavalieri. Alla fine, come piacque a·dDio, i Franceschi sconfissono il re d'Araona, e egli fu fedito duramente nel viso d'una lancia, e fu ritenuto e preso per le redine di suo cavallo. Il detto re con tutta la fedita ch'avea, fu accorto, e colla spada tagliò le redine al suo cavallo, e diegli degli sproni, e uscì della pressa, e fuggì con sua gente; alla quale battaglia rimasono morti da C buoni cavalieri araonesi e catalani, e molti fediti. Lo re Piero tornato a Villafranca, non abbiendo buona cura della sua fedita, e per alcuno si disse ch'egli giacque carnalmente con una donna non essendo salda né guerita la piaga, onde poco appresso ne morìo, a dì VIIII del mese di novembre, gli anni di Cristo MCCLXXXV, e fu soppellito in Barzellona nobilemente. Ma innanzi ch'egli morisse raquistò Gironda, come appresso faremo menzione, e fece suo testamento, e lasciò che l'isola di Maiolica fosse renduta al re Giamo suo fratello, e lasciò re d'Araona Nanfus suo primogenito figliuolo, e Giacomo suo secondo figliuolo re di Cicilia, con tutto che 'l detto Nanfus vivette poco, e succedette il reame al suo fratello re Giamo. Il sopradetto Piero re d'Araona fu valente signore e pro' in arme, e bene aventuroso e savio, e ridottalo da' Cristiani, e da' Saracini altrettanto o più, come nullo che regnasse al suo tempo.
CIV
Come lo re di Francia ebbe la città di Gironda, e come la sua armata fu sconfitta in mare.
Come lo re d'Araona fu sconfitto per lo modo detto di sopra, il re di Francia ebbe grande allegrezza, e misesi forte a strignere la città di Gironda, la quale sentendo come lo re d'Araona loro signore era stato sconfitto e fedito a morte, e essendo in grande stretta di vittuaglia, che non era loro rimaso a vivere che per tre giorni, sì s'arrenderono al re di Francia, salve le persone e ciò che nne potessono trarre, e così fu fatto; e lo re fece fornire Gironda di vittuaglia e di sua gente. In questa stanzia lo re di Francia prese suo consiglio di tornare a vernare in tolosana, e parte di suo navilio s'era partito dal porto di Roses in Catalogna e tornato in Proenza. Avenne che in quegli giorni era venuto di Cicilia in Catalogna Ruggieri di Loria ammiraglio del re d'Araona con XLV galee armate in aiuto di suo signore; sentendo che 'l navilio del re di Francia era nel porto di Roses, e assai scemato e straccato, sì l'asaliro colle sue galee e coll'aiuto di quegli della terra che·ssi rubellarono al re di Francia e tennono co' Ciciliani, sì furono sconfitti e presi i Franceschi, e fu arso gran parte del navilio del re di Francia, e fu preso l'amiraglio, ch'avea nome messer Inghirramo di Baliuolo. E alla detta battaglia del porto di Roses venne al soccorso dell'oste del re di Francia il suo maliscalco con grande gente a piede e a cavallo; ma poco e niente poterono adoperare alla difensione del loro navilio ch'era in mare, ma veggendolo preso, misono fuoco nella terra del porto di Roses, e si tornarono all'oste del re di Francia.
CV
Come il re di Francia si partì d'Araona, e morì a Perpignano.
Lo re Filippo di Francia veggendosi la fortuna così mutata e contraria, e preso e arso il suo navilio che gli portava la vittuaglia a l'oste, sì si diede molta maninconia e dolore, per la quale amalò forte di febbre e di flusso, onde i suoi baroni presono per consiglio di partirsi e tornare in tolosana, e per nicessità il conveniva loro fare per la difalta della vittuaglia, e del tempo contrario dell'autunno, e per la malatia del loro re. E così si partirono intorno le calen di ottobre, recandone lo re malato in bara, e con poca ordine sciarrati, e chi meglio e più tosto potea camminare; onde passando il forte passo delle Schiuse delle grandi montagne Phyris, i Raonesi e' Catalani ch'erano al passo vollono impedire la bara dove il re di Francia era malato. Veggendo ciò i Franceschi, come disperati si misono alla battaglia contro a quegli ch'erano al passo, per non lasciare prendere il corpo del re, e per forza d'arme gli ruppono e sconfissono, e cacciarono del passo; ma molta gente minuta a piè de' Franceschi furono presi e morti, e molti somieri, arnesi, e cavagli straccati e presi per gli Catalani e Raonesi. E poco appresso la partita del re di Francia e di sua oste il re d'Araona riebbe Gironda a patti. E giunta l'oste del re di Francia a modo di sconfitta a Perpignano, come piacque a·dDio, il re Filippo di Francia passò di questa vita a dì VI d'ottobre, gli anni di Cristo MCCLXXXV, ed in Perpignano la reina Maria sua moglie con sua compagnia feciono grande corrotto e dolore. E poi Filippo e Carlo suoi figliuoli feciono recare il corpo a Parigi, e fu soppellito a San Donis co' suoi anticessori a grande onore. Questa impresa d'Araona fue colla maggiore perdita di gente, e consumazione di cavagli e di tesoro, che quasi mai per gli tempi passati avesse avuto il reame di Francia; che poi lo re appresso il detto Filippo e gli più de' baroni sempre furono in debito e male agiati di moneta. E appresso la morte del re Filippo di Francia fu fatto re di Francia il re Filippo il Bello suo maggiore figliuolo, e coronato a re alla città di Riens colla reina Giovanna di Navarra sua moglie il giorno della Pifania appresso. E nota che in uno anno o poco più, come piacque a·dDio, morirono IIII così grandi signori de' Cristiani, come fu papa Martino, e il buono Carlo re di Cicilia e di Puglia, e il valente Piero re d'Araona, e il possente Filippo re di Francia, di cui avemo fatta menzione. Questo re Filippo fu signore di gran cuore, e in sua vita fece grandi imprese, prima quando andò sopra lo re di Spagna, e poi sopra lo conte di Fusci, e poi sopra il re d'Araona, con più potenzia che mai suo anticessoro avesse fatto. Lasceremo a dire de' fatti d'oltremonti, ch'assai ne avemo detto a questa volta, e torneremo a dire de' fatti della nostra Italia avenuti ne' detti tempi.
CVI
Della morte di papa Martino quarto, e come fu fatto papa Onorio de' Savelli di Roma.
Negli anni di Cristo passati MCCLXXXV, a dì XXIIII di marzo, morì papa Martino in Perugia, e là fu soppellito onorevolemente. Questi fu buono uomo e molto favorevole per santa Chiesa a quelli della casa di Francia, perché era natio dal Torso in Torena di Francia. E poi la domenica appresso, primo dì d'aprile, gli anni di Cristo MCCLXXXVI, fu eletto e fatto papa Onorio quarto della casa de' Savelli gentili uomini di Roma, e vivette nel papato II anni e II dì, e quello che fu al suo papato ne faremo menzione appresso per gli tempi.
CVII
Come certo navilio de Genovesi furono presi da' Pisani.
Nel detto anno MCCLXXXV, del mese di novembre, i Pisani presono V navi grosse de' Genovesi e più altri legni di Catalani e Ciciliani, i quali veniano di Romania e di Cicilia, e per fortuna di tempo, per forza del vento a scilocco, fuggirono in Porto Pisano, non possendolo schifare, e parte ne ruppono, e' Pisani vi trassono da Pisa a cavallo e a piè, e presono il detto navilio; onde i Genovesi ricevettono danno di valuta di Lm fiorini d'oro, e gli uomini rimasono pregioni, e' legni de' Catalani e Ciciliani furono mendi per li Pisani.
CVIII
Come il conte Guido da Montefeltro signore in Romagna s'arrendé alla Chiesa di Roma.
Negli anni di Cristo MCCLXXXV, essendo papa Onorio quarto de' Savelli di Roma, il conte Guido da Montefeltro, il quale più tempo avea tenuta occupata la provincia di Romagna, sì come tiranno contro alla Chiesa di Roma in parte ghibellina, ove grandissimo spargimento di sangue era fatto, come in parte è fatta menzione adietro, e innumerabile spoglio di moneta per la Chiesa di Roma, e per gli Fiorentini e Bolognesi in servigio della Chiesa, e già perduta per lo detto conte da Montefeltro la città di Faenza e quella di Cervia, e rendute alle comandamenta della Chiesa, il detto conte Guido con patti ordinati venne a' comandamenti del detto papa, il quale gli perdonò, e mandollo a' confini in Piemonte, e tenne due suoi figliuoli per stadichi, e riformò tutta Romagna alla ubbidienza di santa Chiesa, e mandovvi il papa per conte messer Guiglielmo Durante di Proenza.
CIX
Come papa Onorio mutò l'abito a' frati carmelliti.
Al tempo del detto papa Onorio de' Savelli, portando i frati del Carmino uno abito, il quale secondo religiosi pareva molto disonesto, ciò era la cappa di sopra acerchiata con larghe doghe bianche e bigie, dicendo che quello era l'abito di santo Elia profeta, il quale stava nel Monte Carmelio in Soria, il detto papa Onorio il fece per più onestà mutare, e fare la cappa tutta bigia. Per la quale mutazione si dice che 'l soldano de' Saracini che allora era, il quale (tutto che quelli frati eremita ch'erano di quello ordine, che stavano nel Monte Carmelio, fossono Cristiani) gli aveva in reverenzia per onore di santo Elia profeta, ch'era stato capo di quello luogo e di quello ordine, dapoi che mutarono l'abito, per dispetto del papa e de' cristiani gli fece cacciare del Monte Carmelio, e abitarlo per Saracini.
CX
Come il vescovo d'Arezzo fece rubellare il Poggio a Santa Cecilia nel contado di Siena, e come si racquistò.
Nel detto anno, all'uscita del mese d'ottobre, messer Guiglielmino degli Ubertini di Valdarno, che allora era vescovo d'Arezzo, e era più uomo d'arme che a onestà di chericia, per suo inducimento mandando Vc fanti ghibellini del contado di Firenze e d'Arezzo e di Siena, fece rubellare incontro a' Sanesi uno forte castello del contado di Siena, che si chiamava Poggio Santa Cecilia, per fare guerra a' Sanesi, onde grande turbazione fu a tutta parte guelfa di Toscana, però ch'era in parte da fare molta guerra. Per la qual cosa il Comune di Siena colla forza de' Fiorentini, che vi cavalcò molta buona gente cittadini di Firenze, e la taglia de' Guelfi di Toscana, ond'era capitano il conte Guido di Monforte, v'andarono ad oste, faccendovi gittare dentro molti difici, e durovvi l'assedio più di V mesi. E raunando il detto vescovo sua oste di tutta parte ghibellina di Toscana per levare il detto assedio, non ebbe podere, però che·lla parte de' Guelfi erano più possenti; per la qual cosa quegli del castello avendo perduta la speranza del soccorso, n'uscirono la notte di sabato d'ulivo del mese d'aprile, e molti ne furono morti e presi, e quegli che furono menati in Siena, furono chi impiccato e chi tagliato il capo, e 'l castello fu tutto disfatto insino alle fondamenta.
CXI
Come in Italia ebbe grande carestia di vittuaglia.
Nell'anno MCCLXXXVI, spezialmente del mese d'aprile e di maggio, fu grande caro di vittuaglia in tutta Italia, e valse in Firenze lo staio del grano alla misura rasa soldi XVIII di soldi XXXV il fiorino dell'oro.
CXII
Come messer Prezzivalle dal Fiesco venne in Toscana per vicario d'imperio.
Nel detto anno aconsentìo papa Onorio che messer Prezzivalle dal Fiesco de' conti da·lLavagna di Genova fosse vicario d'imperio, e andò in Alamagna, e fecesi confermare al re Ridolfo, il quale era eletto re de' Romani, e venne il detto vicario in Toscana per raquistare le ragioni dello 'mperio. Fu in Firenze in casa i Mozzi, e richiese i Fiorentini, e' Sanesi, e' Lucchesi, e' Pistolesi, e l'altre terre e baroni di parte guelfa di Toscana che giurassono le comandamenta dello 'mperio, i quali non vollono ubbidire né giurare; per la qual cosa il detto vicario si partì di Firenze in discordia, e condannòe i Fiorentini in LXm marchi d'ariento, e consequente per rata tutte le terre guelfe che nol vollono ubbidire, e poi n'andò in Arezzo, e fece isbandire i Fiorentini in avere e in persona, e per simile modo tutte l'altre terre disubidienti. Ma istando in Arezzo, e non avendo séguito, però che i Guelfi nol voleano ubbidire per non rassultare lo 'mperio, e' Ghibellini l'aveano a sospetto perch'era di progenia e nazione stati Guelfi, e però si tornò al re Ridolfo in Alamagna con suo poco onore.
CXIII
Come morìo papa Onorio de' Savelli.
Negli anni di Cristo MCCLXXXVII, a dì III d'aprile, morìo papa Onorio in Roma, e là fu soppellito a grande onore nella chiesa di Santo... Questi sostenne anzi parte ghibellina che guelfa, e poco aiuto o niente diede all'erede del re Carlo alla guerra di Cicilia, onde montò molto lo stato e podere del re Giamo d'Araona, che se ne avea fatto coronare re, e tutta parte ghibellina d'Italia, come innanzi faremo menzione.
CXIV
Come in Firenze ebbe certa novitade in questo tempo.
Nel detto anno, essendo podestà di Firenze messer Matteo da Fogliano di Reggio, avendo preso e condannato nella testa per micidio fatto uno grande guerriere e caporale, ch'avea nome Totto de' Mazzinghi da Campi, e andando alla giustizia, messer Corso de' Donati con suo seguito il volle torre alla famiglia per forza; per la qual cosa la detta podestà fece sonare la campana a martello; onde s'armarono e trassono al palagio tutta la buona gente di Firenze, chi a cavallo e chi a piè, gridando: "Iustizia, iustizia!". Per la qual cosa la detta podestà aseguì il suo processo, e dove al detto Totto dovea essere tagliata la testa, il fece strascinare per la terra, e poi impiccare per la gola, e condannò in moneta coloro ch'aveano cominciato il romore e impedita la giustizia.
CXV
Come furono cacciati i Guelfi d'Arezzo, onde si cominciò la guerra tra' Fiorentini e gli Aretini.
Nel detto anno, del mese di giugno, vacante la Chiesa, e la parte ghibellina presa molta baldanza in Toscana perché non v'era papa, essendo nella città d'Arezzo alquanto tempo dinanzi creato popolo, e fatto uno caporale che chiamavano il priore del popolo, il quale perseguitava molto i grandi e possenti, per la qual cosa messer Rinaldo de' Bostoli cogli altri Guelfi si legarono con messer Tarlato e cogli altri grandi Ghibellini per abbattere il detto popolo. E così feciono, e presono il detto priore, e feciongli cavare gli occhi; per la qual cosa rimasono signori i grandi guelfi e ghibellini; ma i Ghibellini tradirono i Guelfi e gl'ingannarono per rimanere signori, e ordinarono col vescovo d'Arezzo che facesse sua raunata di gente ghibellina di fuori d'Arezzo, e così fece col podere di Bonconte da Montefeltro, e de' Pazzi di Valdarno, e Ubertini; e usciti' Ghibellini di Firenze, una notte vennero ad Arezzo, non prendendosi guardia i Guelfi, e per tradimento essendoli data una porta d'Arezzo, entrarono nella città, e cacciaronne fuori la parte guelfa, e fecesene fare signore. Per la quale mutazione e novità in Firenze n'ebbe grande paura e gelosia. Gli usciti guelfi cacciati d'Arezzo presono il castello di Rondine e il Monte San Savino, e feciono lega co' Fiorentini e coll'altre terre guelfe di Toscana, i quali dierono loro i cavalieri della taglia, ch'erano Vc, perché facessono guerra agli Aretini, e per la detta cagione si cominciò la guerra tra gli Aretini e' Fiorentini. E in questo tempo, com'era ordinato per gli Ghibellini, tornò messere Prezzivalle del Fiesco, vicario dello imperio d'Alamagna, in Arezzo con alquanta gente ch'ebbe dal re Ridolfo, e là fece capo con tutti i Ghibellini di Toscana, faccendo guerra a' Fiorentini e a' Sanesi. E del mese di febbraio vegnente cavalcò la gente ch'era in Arezzo, intorno di cinquecento cavalieri e pedoni assai, in sul contado di Firenze, e intorno a Monteguarchi arsono case e capanne, e levarono preda, né già per loro cavalcata non uscirono le masnade de' Fiorentini di Monteguarchi né di San Savino, onde gli Aretini si tornarono in Arezzo sani e salvi; ma poco appresso, faccendo i Ghibellini d'Arezzo loro cavalcata alla città di Chiusi, ne cacciarono la parte guelfa, e feciono i Chiusini lega co·lloro contro a' Sanesi e Montepulciano.

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Ultimo Aggiornamento:10/07/05 20:34