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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

La Divina Commedia

di: Dante Alighieri

PARADISO

[Canto XXV] [Canto XXVI] [Canto XXVII] [Canto XXVIII]

 [Canto XXIX] [Canto XXX] [Canto XXXI]

[Canto XXXII] [Canto XXXIII]

Canto XXV

 Se mai continga che 'l poema sacro

al quale ha posto mano e cielo e terra,

sì che m'ha fatto per molti anni macro,

vinca la crudeltà che fuor mi serra

del bello ovile ov'io dormi' agnello,

nimico ai lupi che li danno guerra;

con altra voce omai, con altro vello

ritornerò poeta, e in sul fonte

del mio battesmo prenderò 'l cappello;

però che ne la fede, che fa conte

l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi

Pietro per lei sì mi girò la fronte.

Indi si mosse un lume verso noi

di quella spera ond'uscì la primizia

che lasciò Cristo d'i vicari suoi;

e la mia donna, piena di letizia,

mi disse: "Mira, mira: ecco il barone

per cui là giù si vicita Galizia".

Sì come quando il colombo si pone

presso al compagno, l'uno a l'altro pande,

girando e mormorando, l'affezione;

così vid'io l'un da l'altro grande

principe glorioso essere accolto,

laudando il cibo che là sù li prande.

Ma poi che 'l gratular si fu assolto,

tacito coram me ciascun s'affisse,

ignito sì che vincea 'l mio volto.

Ridendo allora Beatrice disse:

"Inclita vita per cui la larghezza

de la nostra basilica si scrisse,

fa risonar la spene in questa altezza:

tu sai, che tante fiate la figuri,

quante Iesù ai tre fé più carezza".

"Leva la testa e fa che t'assicuri:

che ciò che vien qua sù del mortal mondo,

convien ch'ai nostri raggi si maturi".

Questo conforto del foco secondo

mi venne; ond'io levai li occhi a' monti

che li 'ncurvaron pria col troppo pondo.

"Poi che per grazia vuol che tu t'affronti

lo nostro Imperadore, anzi la morte,

ne l'aula più secreta co' suoi conti,

sì che, veduto il ver di questa corte,

la spene, che là giù bene innamora,

in te e in altrui di ciò conforte,

di' quel ch'ell'è, di' come se ne 'nfiora

la mente tua, e dì onde a te venne".

Così seguì 'l secondo lume ancora.

E quella pia che guidò le penne

de le mie ali a così alto volo,

a la risposta così mi prevenne:

"La Chiesa militante alcun figliuolo

non ha con più speranza, com'è scritto

nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:

però li è conceduto che d'Egitto

vegna in Ierusalemme per vedere,

anzi che 'l militar li sia prescritto.

Li altri due punti, che non per sapere

son dimandati, ma perch'ei rapporti

quanto questa virtù t'è in piacere,

a lui lasc'io, ché non li saran forti

né di iattanza; ed elli a ciò risponda,

e la grazia di Dio ciò li comporti".

Come discente ch'a dottor seconda

pronto e libente in quel ch'elli è esperto,

perché la sua bontà si disasconda,

"Spene", diss'io, "è uno attender certo

de la gloria futura, il qual produce

grazia divina e precedente merto.

Da molte stelle mi vien questa luce;

ma quei la distillò nel mio cor pria

che fu sommo cantor del sommo duce.

'Sperino in te', ne la sua teodìa

dice, 'color che sanno il nome tuo':

e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?

Tu mi stillasti, con lo stillar suo,

ne la pistola poi; sì ch'io son pieno,

e in altrui vostra pioggia repluo".

Mentr' io diceva, dentro al vivo seno

di quello incendio tremolava un lampo

sùbito e spesso a guisa di baleno.

Indi spirò: "L'amore ond'io avvampo

ancor ver' la virtù che mi seguette

infin la palma e a l'uscir del campo,

vuol ch'io respiri a te che ti dilette

di lei; ed emmi a grato che tu diche

quello che la speranza ti 'mpromette".

E io: "Le nove e le scritture antiche

pongon lo segno, ed esso lo mi addita,

de l'anime che Dio s'ha fatte amiche.

Dice Isaia che ciascuna vestita

ne la sua terra fia di doppia vesta:

e la sua terra è questa dolce vita;

e 'l tuo fratello assai vie più digesta,

là dove tratta de le bianche stole,

questa revelazion ci manifesta".

E prima, appresso al fin d'este parole,

'Sperent in te' di sopr'a noi s'udì;

a che rispuoser tutte le carole.

Poscia tra esse un lume si schiarì

sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo,

l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì.

E come surge e va ed entra in ballo

vergine lieta, sol per fare onore

a la novizia, non per alcun fallo,

così vid'io lo schiarato splendore

venire a' due che si volgieno a nota

qual conveniesi al loro ardente amore.

Misesi lì nel canto e ne la rota;

e la mia donna in lor tenea l'aspetto,

pur come sposa tacita e immota.

"Questi è colui che giacque sopra 'l petto

del nostro pellicano, e questi fue

di su la croce al grande officio eletto".

La donna mia così; né però piùe

mosser la vista sua di stare attenta

poscia che prima le parole sue.

Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta

di vedere eclissar lo sole un poco,

che, per veder, non vedente diventa;

tal mi fec'io a quell'ultimo foco

mentre che detto fu: "Perché t'abbagli

per veder cosa che qui non ha loco?

In terra è terra il mio corpo, e saragli

tanto con li altri, che 'l numero nostro

con l'etterno proposito s'agguagli.

Con le due stole nel beato chiostro

son le due luci sole che saliro;

e questo apporterai nel mondo vostro".

A questa voce l'infiammato giro

si quietò con esso il dolce mischio

che si facea nel suon del trino spiro,

sì come, per cessar fatica o rischio,

li remi, pria ne l'acqua ripercossi,

tutti si posano al sonar d'un fischio.

Ahi quanto ne la mente mi commossi,

quando mi volsi per veder Beatrice,

per non poter veder, benché io fossi

presso di lei, e nel mondo felice!

  

Canto XXVI

Mentr'io dubbiava per lo viso spento,

de la fulgida fiamma che lo spense

uscì un spiro che mi fece attento,

dicendo: "Intanto che tu ti risense

de la vista che hai in me consunta,

ben è che ragionando la compense.

Comincia dunque; e di' ove s'appunta

l'anima tua, e fa' ragion che sia

la vista in te smarrita e non defunta:

perché la donna che per questa dia

region ti conduce, ha ne lo sguardo

la virtù ch'ebbe la man d'Anania".

Io dissi: "Al suo piacere e tosto e tardo

vegna remedio a li occhi, che fuor porte

quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo.

Lo ben che fa contenta questa corte,

Alfa e O è di quanta scrittura

mi legge Amore o lievemente o forte".

Quella medesma voce che paura

tolta m'avea del sùbito abbarbaglio,

di ragionare ancor mi mise in cura;

e disse: "Certo a più angusto vaglio

ti conviene schiarar: dicer convienti

chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio".

E io: "Per filosofici argomenti

e per autorità che quinci scende

cotale amor convien che in me si 'mprenti:

ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende,

così accende amore, e tanto maggio

quanto più di bontate in sé comprende.

Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio,

che ciascun ben che fuor di lei si trova

altro non è ch'un lume di suo raggio,

più che in altra convien che si mova

la mente, amando, di ciascun che cerne

il vero in che si fonda questa prova.

Tal vero a l'intelletto mio sterne

colui che mi dimostra il primo amore

di tutte le sustanze sempiterne.

Sternel la voce del verace autore,

che dice a Moisè, di sé parlando:

'Io ti farò vedere ogni valore'.

Sternilmi tu ancora, incominciando

l'alto preconio che grida l'arcano

di qui là giù sovra ogni altro bando".

E io udi': "Per intelletto umano

e per autoritadi a lui concorde

d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.

Ma di' ancor se tu senti altre corde

tirarti verso lui, sì che tu suone

con quanti denti questo amor ti morde".

Non fu latente la santa intenzione

de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi

dove volea menar mia professione.

Però ricominciai: "Tutti quei morsi

che posson far lo cor volgere a Dio,

a la mia caritate son concorsi:

ché l'essere del mondo e l'esser mio,

la morte ch'el sostenne perch'io viva,

e quel che spera ogni fedel com'io,

con la predetta conoscenza viva,

tratto m'hanno del mar de l'amor torto,

e del diritto m'han posto a la riva.

Le fronde onde s'infronda tutto l'orto

de l'ortolano etterno, am'io cotanto

quanto da lui a lor di bene è porto".

Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto

risonò per lo cielo, e la mia donna

dicea con li altri: "Santo, santo, santo!".

E come a lume acuto si disonna

per lo spirto visivo che ricorre

a lo splendor che va di gonna in gonna,

e lo svegliato ciò che vede aborre,

sì nescia è la sùbita vigilia

fin che la stimativa non soccorre;

così de li occhi miei ogni quisquilia

fugò Beatrice col raggio d'i suoi,

che rifulgea da più di mille milia:

onde mei che dinanzi vidi poi;

e quasi stupefatto domandai

d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.

E la mia donna: "Dentro da quei rai

vagheggia il suo fattor l'anima prima

che la prima virtù creasse mai".

Come la fronda che flette la cima

nel transito del vento, e poi si leva

per la propria virtù che la soblima,

fec'io in tanto in quant'ella diceva,

stupendo, e poi mi rifece sicuro

un disio di parlare ond'io ardeva.

E cominciai: "O pomo che maturo

solo prodotto fosti, o padre antico

a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,

divoto quanto posso a te supplìco

perché mi parli: tu vedi mia voglia,

e per udirti tosto non la dico".

Talvolta un animal coverto broglia,

sì che l'affetto convien che si paia

per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;

e similmente l'anima primaia

mi facea trasparer per la coverta

quant'ella a compiacermi venìa gaia.

Indi spirò: "Sanz'essermi proferta

da te, la voglia tua discerno meglio

che tu qualunque cosa t'è più certa;

perch'io la veggio nel verace speglio

che fa di sé pareglio a l'altre cose,

e nulla face lui di sé pareglio.

Tu vuogli udir quant'è che Dio mi puose

ne l'eccelso giardino, ove costei

a così lunga scala ti dispuose,

e quanto fu diletto a li occhi miei,

e la propria cagion del gran disdegno,

e l'idioma ch'usai e che fei.

Or, figluol mio, non il gustar del legno

fu per sé la cagion di tanto essilio,

ma solamente il trapassar del segno.

Quindi onde mosse tua donna Virgilio,

quattromilia trecento e due volumi

di sol desiderai questo concilio;

e vidi lui tornare a tutt'i lumi

de la sua strada novecento trenta

fiate, mentre ch'io in terra fu' mi.

La lingua ch'io parlai fu tutta spenta

innanzi che a l'ovra inconsummabile

fosse la gente di Nembròt attenta:

ché nullo effetto mai razionabile,

per lo piacere uman che rinovella

seguendo il cielo, sempre fu durabile.

Opera naturale è ch'uom favella;

ma così o così, natura lascia

poi fare a voi secondo che v'abbella.

Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,

I s'appellava in terra il sommo bene

onde vien la letizia che mi fascia;

e El si chiamò poi: e ciò convene,

ché l'uso d'i mortali è come fronda

in ramo, che sen va e altra vene.

Nel monte che si leva più da l'onda,

fu' io, con vita pura e disonesta,

da la prim'ora a quella che seconda,

come 'l sol muta quadra, l'ora sesta".

  

Canto XXVII

'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',

cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso,

sì che m'inebriava il dolce canto.

Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso

de l'universo; per che mia ebbrezza

intrava per l'udire e per lo viso.

Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!

oh vita intègra d'amore e di pace!

oh sanza brama sicura ricchezza!

Dinanzi a li occhi miei le quattro face

stavano accese, e quella che pria venne

incominciò a farsi più vivace,

e tal ne la sembianza sua divenne,

qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte

fossero augelli e cambiassersi penne.

La provedenza, che quivi comparte

vice e officio, nel beato coro

silenzio posto avea da ogni parte,

quand'io udi': "Se io mi trascoloro,

non ti maravigliar, ché, dicend'io,

vedrai trascolorar tutti costoro.

Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,

il luogo mio, il luogo mio, che vaca

ne la presenza del Figliuol di Dio,

fatt'ha del cimitero mio cloaca

del sangue e de la puzza; onde 'l perverso

che cadde di qua sù, là giù si placa".

Di quel color che per lo sole avverso

nube dipigne da sera e da mane,

vid'io allora tutto 'l ciel cosperso.

E come donna onesta che permane

di sé sicura, e per l'altrui fallanza,

pur ascoltando, timida si fane,

così Beatrice trasmutò sembianza;

e tale eclissi credo che 'n ciel fue,

quando patì la supprema possanza.

Poi procedetter le parole sue

con voce tanto da sé trasmutata,

che la sembianza non si mutò piùe:

"Non fu la sposa di Cristo allevata

del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,

per essere ad acquisto d'oro usata;

ma per acquisto d'esto viver lieto

e Sisto e Pio e Calisto e Urbano

sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion ch'a destra mano

d'i nostri successor parte sedesse,

parte da l'altra del popol cristiano;

né che le chiavi che mi fuor concesse,

divenisser signaculo in vessillo

che contra battezzati combattesse;

né ch'io fossi figura di sigillo

a privilegi venduti e mendaci,

ond'io sovente arrosso e disfavillo.

In vesta di pastor lupi rapaci

si veggion di qua sù per tutti i paschi:

o difesa di Dio, perché pur giaci?

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi

s'apparecchian di bere: o buon principio,

a che vil fine convien che tu caschi!

Ma l'alta provedenza, che con Scipio

difese a Roma la gloria del mondo,

soccorrà tosto, sì com'io concipio;

e tu, figliuol, che per lo mortal pondo

ancor giù tornerai, apri la bocca,

e non asconder quel ch'io non ascondo".

Sì come di vapor gelati fiocca

in giuso l'aere nostro, quando 'l corno

de la capra del ciel col sol si tocca,

in sù vid'io così l'etera addorno

farsi e fioccar di vapor triunfanti

che fatto avien con noi quivi soggiorno.

Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,

e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto,

li tolse il trapassar del più avanti.

Onde la donna, che mi vide assolto

de l'attendere in sù, mi disse: "Adima

il viso e guarda come tu se' vòlto".

Da l'ora ch'io avea guardato prima

i' vidi mosso me per tutto l'arco

che fa dal mezzo al fine il primo clima;

sì ch'io vedea di là da Gade il varco

folle d'Ulisse, e di qua presso il lito

nel qual si fece Europa dolce carco.

E più mi fora discoverto il sito

di questa aiuola; ma 'l sol procedea

sotto i mie' piedi un segno e più partito.

La mente innamorata, che donnea

con la mia donna sempre, di ridure

ad essa li occhi più che mai ardea;

e se natura o arte fé pasture

da pigliare occhi, per aver la mente,

in carne umana o ne le sue pitture,

tutte adunate, parrebber niente

ver' lo piacer divin che mi refulse,

quando mi volsi al suo viso ridente.

E la virtù che lo sguardo m'indulse,

del bel nido di Leda mi divelse,

e nel ciel velocissimo m'impulse.

Le parti sue vivissime ed eccelse

sì uniforme son, ch'i' non so dire

qual Beatrice per loco mi scelse.

Ma ella, che vedea 'l mio disire,

incominciò, ridendo tanto lieta,

che Dio parea nel suo volto gioire:

"La natura del mondo, che quieta

il mezzo e tutto l'altro intorno move,

quinci comincia come da sua meta;

e questo cielo non ha altro dove

che la mente divina, in che s'accende

l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove.

Luce e amor d'un cerchio lui comprende,

sì come questo li altri; e quel precinto

colui che 'l cinge solamente intende.

Non è suo moto per altro distinto,

ma li altri son mensurati da questo,

sì come diece da mezzo e da quinto;

e come il tempo tegna in cotal testo

le sue radici e ne li altri le fronde,

omai a te può esser manifesto.

Oh cupidigia che i mortali affonde

sì sotto te, che nessuno ha podere

di trarre li occhi fuor de le tue onde!

Ben fiorisce ne li uomini il volere;

ma la pioggia continua converte

in bozzacchioni le sosine vere.

Fede e innocenza son reperte

solo ne' parvoletti; poi ciascuna

pria fugge che le guance sian coperte.

Tale, balbuziendo ancor, digiuna,

che poi divora, con la lingua sciolta,

qualunque cibo per qualunque luna;

e tal, balbuziendo, ama e ascolta

la madre sua, che, con loquela intera,

disia poi di vederla sepolta.

Così si fa la pelle bianca nera

nel primo aspetto de la bella figlia

di quel ch'apporta mane e lascia sera.

Tu, perché non ti facci maraviglia,

pensa che 'n terra non è chi governi;

onde sì svia l'umana famiglia.

Ma prima che gennaio tutto si sverni

per la centesma ch'è là giù negletta,

raggeran sì questi cerchi superni,

che la fortuna che tanto s'aspetta,

le poppe volgerà u' son le prore,

sì che la classe correrà diretta;

e vero frutto verrà dopo 'l fiore".

  

Canto XXVIII

Poscia che 'ncontro a la vita presente

d'i miseri mortali aperse 'l vero

quella che 'mparadisa la mia mente,

come in lo specchio fiamma di doppiero

vede colui che se n'alluma retro,

prima che l'abbia in vista o in pensiero,

e sé rivolge per veder se 'l vetro

li dice il vero, e vede ch'el s'accorda

con esso come nota con suo metro;

così la mia memoria si ricorda

ch'io feci riguardando ne' belli occhi

onde a pigliarmi fece Amor la corda.

E com'io mi rivolsi e furon tocchi

li miei da ciò che pare in quel volume,

quandunque nel suo giro ben s'adocchi,

un punto vidi che raggiava lume

acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca

chiuder conviensi per lo forte acume;

e quale stella par quinci più poca,

parrebbe luna, locata con esso

come stella con stella si collòca.

Forse cotanto quanto pare appresso

alo cigner la luce che 'l dipigne

quando 'l vapor che 'l porta più è spesso,

distante intorno al punto un cerchio d'igne

si girava sì ratto, ch'avria vinto

quel moto che più tosto il mondo cigne;

e questo era d'un altro circumcinto,

e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto,

dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

Sopra seguiva il settimo sì sparto

già di larghezza, che 'l messo di Iuno

intero a contenerlo sarebbe arto.

Così l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno

più tardo si movea, secondo ch'era

in numero distante più da l'uno;

e quello avea la fiamma più sincera

cui men distava la favilla pura,

credo, però che più di lei s'invera.

La donna mia, che mi vedea in cura

forte sospeso, disse: "Da quel punto

depende il cielo e tutta la natura.

Mira quel cerchio che più li è congiunto;

e sappi che 'l suo muovere è sì tosto

per l'affocato amore ond'elli è punto".

E io a lei: "Se 'l mondo fosse posto

con l'ordine ch'io veggio in quelle rote,

sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto;

ma nel mondo sensibile si puote

veder le volte tanto più divine,

quant'elle son dal centro più remote.

Onde, se 'l mio disir dee aver fine

in questo miro e angelico templo

che solo amore e luce ha per confine,

udir convienmi ancor come l'essemplo

e l'essemplare non vanno d'un modo,

ché io per me indarno a ciò contemplo".

"Se li tuoi diti non sono a tal nodo

sufficienti, non è maraviglia:

tanto, per non tentare, è fatto sodo!".

Così la donna mia; poi disse: "Piglia

quel ch'io ti dicerò, se vuo' saziarti;

e intorno da esso t'assottiglia.

Li cerchi corporai sono ampi e arti

secondo il più e 'l men de la virtute

che si distende per tutte lor parti.

Maggior bontà vuol far maggior salute;

maggior salute maggior corpo cape,

s'elli ha le parti igualmente compiute.

Dunque costui che tutto quanto rape

l'altro universo seco, corrisponde

al cerchio che più ama e che più sape:

per che, se tu a la virtù circonde

la tua misura, non a la parvenza

de le sustanze che t'appaion tonde,

tu vederai mirabil consequenza

di maggio a più e di minore a meno,

in ciascun cielo, a sua intelligenza".

Come rimane splendido e sereno

l'emisperio de l'aere, quando soffia

Borea da quella guancia ond'è più leno,

per che si purga e risolve la roffia

che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride

con le bellezze d'ogni sua paroffia;

così fec'io, poi che mi provide

la donna mia del suo risponder chiaro,

e come stella in cielo il ver si vide.

E poi che le parole sue restaro,

non altrimenti ferro disfavilla

che bolle, come i cerchi sfavillaro.

L'incendio suo seguiva ogni scintilla;

ed eran tante, che 'l numero loro

più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.

Io sentiva osannar di coro in coro

al punto fisso che li tiene a li ubi,

e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro.

E quella che vedea i pensier dubi

ne la mia mente, disse: "I cerchi primi

t'hanno mostrato Serafi e Cherubi.

Così veloci seguono i suoi vimi,

per somigliarsi al punto quanto ponno;

e posson quanto a veder son soblimi.

Quelli altri amori che 'ntorno li vonno,

si chiaman Troni del divino aspetto,

per che 'l primo ternaro terminonno;

e dei saper che tutti hanno diletto

quanto la sua veduta si profonda

nel vero in che si queta ogni intelletto.

Quinci si può veder come si fonda

l'essere beato ne l'atto che vede,

non in quel ch'ama, che poscia seconda;

e del vedere è misura mercede,

che grazia partorisce e buona voglia:

così di grado in grado si procede.

L'altro ternaro, che così germoglia

in questa primavera sempiterna

che notturno Ariete non dispoglia,

perpetualemente 'Osanna' sberna

con tre melode, che suonano in tree

ordini di letizia onde s'interna.

In essa gerarcia son l'altre dee:

prima Dominazioni, e poi Virtudi;

l'ordine terzo di Podestadi èe.

Poscia ne' due penultimi tripudi

Principati e Arcangeli si girano;

l'ultimo è tutto d'Angelici ludi.

Questi ordini di sù tutti s'ammirano,

e di giù vincon sì, che verso Dio

tutti tirati sono e tutti tirano.

E Dionisio con tanto disio

a contemplar questi ordini si mise,

che li nomò e distinse com'io.

Ma Gregorio da lui poi si divise;

onde, sì tosto come li occhi aperse

in questo ciel, di sé medesmo rise.

E se tanto secreto ver proferse

mortale in terra, non voglio ch'ammiri;

ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse

con altro assai del ver di questi giri".

  

Canto XXIX

Quando ambedue li figli di Latona,

coperti del Montone e de la Libra,

fanno de l'orizzonte insieme zona,

quant'è dal punto che 'l cenìt inlibra

infin che l'uno e l'altro da quel cinto,

cambiando l'emisperio, si dilibra,

tanto, col volto di riso dipinto,

si tacque Beatrice, riguardando

fiso nel punto che m'avea vinto.

Poi cominciò: "Io dico, e non dimando,

quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto

là 've s'appunta ogni ubi e ogni quando.

Non per aver a sé di bene acquisto,

ch'esser non può, ma perché suo splendore

potesse, risplendendo, dir "Subsisto",

in sua etternità di tempo fore,

fuor d'ogni altro comprender, come i piacque,

s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.

Né prima quasi torpente si giacque;

ché né prima né poscia procedette

lo discorrer di Dio sovra quest'acque.

Forma e materia, congiunte e purette,

usciro ad esser che non avia fallo,

come d'arco tricordo tre saette.

E come in vetro, in ambra o in cristallo

raggio resplende sì, che dal venire

a l'esser tutto non è intervallo,

così 'l triforme effetto del suo sire

ne l'esser suo raggiò insieme tutto

sanza distinzione in essordire.

Concreato fu ordine e costrutto

a le sustanze; e quelle furon cima

nel mondo in che puro atto fu produtto;

pura potenza tenne la parte ima;

nel mezzo strinse potenza con atto

tal vime, che già mai non si divima.

Ieronimo vi scrisse lungo tratto

di secoli de li angeli creati

anzi che l'altro mondo fosse fatto;

ma questo vero è scritto in molti lati

da li scrittor de lo Spirito Santo,

e tu te n'avvedrai se bene agguati;

e anche la ragione il vede alquanto,

che non concederebbe che ' motori

sanza sua perfezion fosser cotanto.

Or sai tu dove e quando questi amori

furon creati e come: sì che spenti

nel tuo disio già son tre ardori.

Né giugneriesi, numerando, al venti

sì tosto, come de li angeli parte

turbò il suggetto d'i vostri alementi.

L'altra rimase, e cominciò quest'arte

che tu discerni, con tanto diletto,

che mai da circuir non si diparte.

Principio del cader fu il maladetto

superbir di colui che tu vedesti

da tutti i pesi del mondo costretto.

Quelli che vedi qui furon modesti

a riconoscer sé da la bontate

che li avea fatti a tanto intender presti:

per che le viste lor furo essaltate

con grazia illuminante e con lor merto,

si c'hanno ferma e piena volontate;

e non voglio che dubbi, ma sia certo,

che ricever la grazia è meritorio

secondo che l'affetto l'è aperto.

Omai dintorno a questo consistorio

puoi contemplare assai, se le parole

mie son ricolte, sanz'altro aiutorio.

Ma perché 'n terra per le vostre scole

si legge che l'angelica natura

è tal, che 'ntende e si ricorda e vole,

ancor dirò, perché tu veggi pura

la verità che là giù si confonde,

equivocando in sì fatta lettura.

Queste sustanze, poi che fur gioconde

de la faccia di Dio, non volser viso

da essa, da cui nulla si nasconde:

però non hanno vedere interciso

da novo obietto, e però non bisogna

rememorar per concetto diviso;

sì che là giù, non dormendo, si sogna,

credendo e non credendo dicer vero;

ma ne l'uno è più colpa e più vergogna.

Voi non andate giù per un sentiero

filosofando: tanto vi trasporta

l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero!

E ancor questo qua sù si comporta

con men disdegno che quando è posposta

la divina Scrittura o quando è torta.

Non vi si pensa quanto sangue costa

seminarla nel mondo e quanto piace

chi umilmente con essa s'accosta.

Per apparer ciascun s'ingegna e face

sue invenzioni; e quelle son trascorse

da' predicanti e 'l Vangelio si tace.

Un dice che la luna si ritorse

ne la passion di Cristo e s'interpuose,

per che 'l lume del sol giù non si porse;

e mente, ché la luce si nascose

da sé: però a li Spani e a l'Indi

come a' Giudei tale eclissi rispuose.

Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi

quante sì fatte favole per anno

in pergamo si gridan quinci e quindi;

sì che le pecorelle, che non sanno,

tornan del pasco pasciute di vento,

e non le scusa non veder lo danno.

Non disse Cristo al suo primo convento:

'Andate, e predicate al mondo ciance';

ma diede lor verace fondamento;

e quel tanto sonò ne le sue guance,

sì ch'a pugnar per accender la fede

de l'Evangelio fero scudo e lance.

Ora si va con motti e con iscede

a predicare, e pur che ben si rida,

gonfia il cappuccio e più non si richiede.

Ma tale uccel nel becchetto s'annida,

che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe

la perdonanza di ch'el si confida;

per cui tanta stoltezza in terra crebbe,

che, sanza prova d'alcun testimonio,

ad ogni promession si correrebbe.

Di questo ingrassa il porco sant'Antonio,

e altri assai che sono ancor più porci,

pagando di moneta sanza conio.

Ma perché siam digressi assai, ritorci

li occhi oramai verso la dritta strada,

sì che la via col tempo si raccorci.

Questa natura sì oltre s'ingrada

in numero, che mai non fu loquela

né concetto mortal che tanto vada;

e se tu guardi quel che si revela

per Daniel, vedrai che 'n sue migliaia

determinato numero si cela.

La prima luce, che tutta la raia,

per tanti modi in essa si recepe,

quanti son li splendori a chi s'appaia.

Onde, però che a l'atto che concepe

segue l'affetto, d'amar la dolcezza

diversamente in essa ferve e tepe.

Vedi l'eccelso omai e la larghezza

de l'etterno valor, poscia che tanti

speculi fatti s'ha in che si spezza,

uno manendo in sé come davanti".

  

Canto XXX

Forse semilia miglia di lontano

ci ferve l'ora sesta, e questo mondo

china già l'ombra quasi al letto piano,

quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,

comincia a farsi tal, ch'alcuna stella

perde il parere infino a questo fondo;

e come vien la chiarissima ancella

del sol più oltre, così 'l ciel si chiude

di vista in vista infino a la più bella.

Non altrimenti il triunfo che lude

sempre dintorno al punto che mi vinse,

parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,

a poco a poco al mio veder si stinse:

per che tornar con li occhi a Beatrice

nulla vedere e amor mi costrinse.

Se quanto infino a qui di lei si dice

fosse conchiuso tutto in una loda,

poca sarebbe a fornir questa vice.

La bellezza ch'io vidi si trasmoda

non pur di là da noi, ma certo io credo

che solo il suo fattor tutta la goda.

Da questo passo vinto mi concedo

più che già mai da punto di suo tema

soprato fosse comico o tragedo:

ché, come sole in viso che più trema,

così lo rimembrar del dolce riso

la mente mia da me medesmo scema.

Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso

in questa vita, infino a questa vista,

non m'è il seguire al mio cantar preciso;

ma or convien che mio seguir desista

più dietro a sua bellezza, poetando,

come a l'ultimo suo ciascuno artista.

Cotal qual io lascio a maggior bando

che quel de la mia tuba, che deduce

l'ardua sua matera terminando,

con atto e voce di spedito duce

ricominciò: "Noi siamo usciti fore

del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:

luce intellettual, piena d'amore;

amor di vero ben, pien di letizia;

letizia che trascende ogni dolzore.

Qui vederai l'una e l'altra milizia

di paradiso, e l'una in quelli aspetti

che tu vedrai a l'ultima giustizia".

Come sùbito lampo che discetti

li spiriti visivi, sì che priva

da l'atto l'occhio di più forti obietti,

così mi circunfulse luce viva,

e lasciommi fasciato di tal velo

del suo fulgor, che nulla m'appariva.

"Sempre l'amor che queta questo cielo

accoglie in sé con sì fatta salute,

per far disposto a sua fiamma il candelo".

Non fur più tosto dentro a me venute

queste parole brievi, ch'io compresi

me sormontar di sopr'a mia virtute;

e di novella vista mi raccesi

tale, che nulla luce è tanto mera,

che li occhi miei non si fosser difesi;

e vidi lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

dipinte di mirabil primavera.

Di tal fiumana uscian faville vive,

e d'ogni parte si mettìen ne' fiori,

quasi rubin che oro circunscrive;

poi, come inebriate da li odori,

riprofondavan sé nel miro gurge;

e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.

"L'alto disio che mo t'infiamma e urge,

d'aver notizia di ciò che tu vei,

tanto mi piace più quanto più turge;

ma di quest'acqua convien che tu bei

prima che tanta sete in te si sazi":

così mi disse il sol de li occhi miei.

Anche soggiunse: "Il fiume e li topazi

ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe

son di lor vero umbriferi prefazi.

Non che da sé sian queste cose acerbe;

ma è difetto da la parte tua,

che non hai viste ancor tanto superbe".

Non è fantin che sì sùbito rua

col volto verso il latte, se si svegli

molto tardato da l'usanza sua,

come fec'io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l'onda

che si deriva perché vi s'immegli;

e sì come di lei bevve la gronda

de le palpebre mie, così mi parve

di sua lunghezza divenuta tonda.

Poi, come gente stata sotto larve,

che pare altro che prima, se si sveste

la sembianza non sua in che disparve,

così mi si cambiaro in maggior feste

li fiori e le faville, sì ch'io vidi

ambo le corti del ciel manifeste.

O isplendor di Dio, per cu' io vidi

l'alto triunfo del regno verace,

dammi virtù a dir com'io il vidi!

Lume è là sù che visibile face

lo creatore a quella creatura

che solo in lui vedere ha la sua pace.

E' si distende in circular figura,

in tanto che la sua circunferenza

sarebbe al sol troppo larga cintura.

Fassi di raggio tutta sua parvenza

reflesso al sommo del mobile primo,

che prende quindi vivere e potenza.

E come clivo in acqua di suo imo

si specchia, quasi per vedersi addorno,

quando è nel verde e ne' fioretti opimo,

sì, soprastando al lume intorno intorno,

vidi specchiarsi in più di mille soglie

quanto di noi là sù fatto ha ritorno.

E se l'infimo grado in sé raccoglie

sì grande lume, quanta è la larghezza

di questa rosa ne l'estreme foglie!

La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza

non si smarriva, ma tutto prendeva

il quanto e 'l quale di quella allegrezza.

Presso e lontano, lì, né pon né leva:

ché dove Dio sanza mezzo governa,

la legge natural nulla rileva.

Nel giallo de la rosa sempiterna,

che si digrada e dilata e redole

odor di lode al sol che sempre verna,

qual è colui che tace e dicer vole,

mi trasse Beatrice, e disse: "Mira

quanto è 'l convento de le bianche stole!

Vedi nostra città quant'ella gira;

vedi li nostri scanni sì ripieni,

che poca gente più ci si disira.

E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni

per la corona che già v'è sù posta,

prima che tu a queste nozze ceni,

sederà l'alma, che fia giù agosta,

de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia

verrà in prima ch'ella sia disposta.

La cieca cupidigia che v'ammalia

simili fatti v'ha al fantolino

che muor per fame e caccia via la balia.

E fia prefetto nel foro divino

allora tal, che palese e coverto

non anderà con lui per un cammino.

Ma poco poi sarà da Dio sofferto

nel santo officio; ch'el sarà detruso

là dove Simon mago è per suo merto,

e farà quel d'Alagna intrar più giuso".

  

Canto XXXI

In forma dunque di candida rosa

mi si mostrava la milizia santa

che nel suo sangue Cristo fece sposa;

ma l'altra, che volando vede e canta

la gloria di colui che la 'nnamora

e la bontà che la fece cotanta,

sì come schiera d'ape, che s'infiora

una fiata e una si ritorna

là dove suo laboro s'insapora,

nel gran fior discendeva che s'addorna

di tante foglie, e quindi risaliva

là dove 'l suo amor sempre soggiorna.

Le facce tutte avean di fiamma viva,

e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,

che nulla neve a quel termine arriva.

Quando scendean nel fior, di banco in banco

porgevan de la pace e de l'ardore

ch'elli acquistavan ventilando il fianco.

Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore

di tanta moltitudine volante

impediva la vista e lo splendore:

ché la luce divina è penetrante

per l'universo secondo ch'è degno,

sì che nulla le puote essere ostante.

Questo sicuro e gaudioso regno,

frequente in gente antica e in novella,

viso e amore avea tutto ad un segno.

O trina luce, che 'n unica stella

scintillando a lor vista, sì li appaga!

guarda qua giuso a la nostra procella!

Se i barbari, venendo da tal plaga

che ciascun giorno d'Elice si cuopra,

rotante col suo figlio ond'ella è vaga,

veggendo Roma e l'ardua sua opra,

stupefaciensi, quando Laterano

a le cose mortali andò di sopra;

io, che al divino da l'umano,

a l'etterno dal tempo era venuto,

e di Fiorenza in popol giusto e sano

di che stupor dovea esser compiuto!

Certo tra esso e 'l gaudio mi facea

libito non udire e starmi muto.

E quasi peregrin che si ricrea

nel tempio del suo voto riguardando,

e spera già ridir com'ello stea,

su per la viva luce passeggiando,

menava io li occhi per li gradi,

mo sù, mo giù e mo recirculando.

Vedea visi a carità suadi,

d'altrui lume fregiati e di suo riso,

e atti ornati di tutte onestadi.

La forma general di paradiso

già tutta mio sguardo avea compresa,

in nulla parte ancor fermato fiso;

e volgeami con voglia riaccesa

per domandar la mia donna di cose

di che la mente mia era sospesa.

Uno intendea, e altro mi rispuose:

credea veder Beatrice e vidi un sene

vestito con le genti gloriose.

Diffuso era per li occhi e per le gene

di benigna letizia, in atto pio

quale a tenero padre si convene.

E "Ov'è ella?", sùbito diss'io.

Ond'elli: "A terminar lo tuo disiro

mosse Beatrice me del loco mio;

e se riguardi sù nel terzo giro

dal sommo grado, tu la rivedrai

nel trono che suoi merti le sortiro".

Sanza risponder, li occhi sù levai,

e vidi lei che si facea corona

reflettendo da sé li etterni rai.

Da quella region che più sù tona

occhio mortale alcun tanto non dista,

qualunque in mare più giù s'abbandona,

quanto lì da Beatrice la mia vista;

ma nulla mi facea, ché sua effige

non discendea a me per mezzo mista.

"O donna in cui la mia speranza vige,

e che soffristi per la mia salute

in inferno lasciar le tue vestige,

di tante cose quant'i' ho vedute,

dal tuo podere e da la tua bontate

riconosco la grazia e la virtute.

Tu m'hai di servo tratto a libertate

per tutte quelle vie, per tutt'i modi

che di ciò fare avei la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,

sì che l'anima mia, che fatt'hai sana,

piacente a te dal corpo si disnodi".

Così orai; e quella, sì lontana

come parea, sorrise e riguardommi;

poi si tornò a l'etterna fontana.

E 'l santo sene: "Acciò che tu assommi

perfettamente", disse, "il tuo cammino,

a che priego e amor santo mandommi,

vola con li occhi per questo giardino;

ché veder lui t'acconcerà lo sguardo

più al montar per lo raggio divino.

E la regina del cielo, ond'io ardo

tutto d'amor, ne farà ogni grazia,

però ch'i' sono il suo fedel Bernardo".

Qual è colui che forse di Croazia

viene a veder la Veronica nostra,

che per l'antica fame non sen sazia,

ma dice nel pensier, fin che si mostra:

'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,

or fu sì fatta la sembianza vostra?';

tal era io mirando la vivace

carità di colui che 'n questo mondo,

contemplando, gustò di quella pace.

"Figliuol di grazia, quest'esser giocondo",

cominciò elli, "non ti sarà noto,

tenendo li occhi pur qua giù al fondo;

ma guarda i cerchi infino al più remoto,

tanto che veggi seder la regina

cui questo regno è suddito e devoto".

Io levai li occhi; e come da mattina

la parte oriental de l'orizzonte

soverchia quella dove 'l sol declina,

così, quasi di valle andando a monte

con li occhi, vidi parte ne lo stremo

vincer di lume tutta l'altra fronte.

E come quivi ove s'aspetta il temo

che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,

e quinci e quindi il lume si fa scemo,

così quella pacifica oriafiamma

nel mezzo s'avvivava, e d'ogni parte

per igual modo allentava la fiamma;

e a quel mezzo, con le penne sparte,

vid'io più di mille angeli festanti,

ciascun distinto di fulgore e d'arte.

Vidi a lor giochi quivi e a lor canti

ridere una bellezza, che letizia

era ne li occhi a tutti li altri santi;

e s'io avessi in dir tanta divizia

quanta ad imaginar, non ardirei

lo minimo tentar di sua delizia.

Bernardo, come vide li occhi miei

nel caldo suo caler fissi e attenti,

li suoi con tanto affetto volse a lei,

che ' miei di rimirar fé più ardenti.

  

Canto XXXII

Affetto al suo piacer, quel contemplante

libero officio di dottore assunse,

e cominciò queste parole sante:

"La piaga che Maria richiuse e unse,

quella ch'è tanto bella da' suoi piedi

è colei che l'aperse e che la punse.

Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,

siede Rachel di sotto da costei

con Beatrice, sì come tu vedi.

Sarra e Rebecca, Iudìt e colei

che fu bisava al cantor che per doglia

del fallo disse 'Miserere mei',

puoi tu veder così di soglia in soglia

giù digradar, com'io ch'a proprio nome

vo per la rosa giù di foglia in foglia.

E dal settimo grado in giù, sì come

infino ad esso, succedono Ebree,

dirimendo del fior tutte le chiome;

perché, secondo lo sguardo che fée

la fede in Cristo, queste sono il muro

a che si parton le sacre scalee.

Da questa parte onde 'l fiore è maturo

di tutte le sue foglie, sono assisi

quei che credettero in Cristo venturo;

da l'altra parte onde sono intercisi

di vòti i semicirculi, si stanno

quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.

E come quinci il glorioso scanno

de la donna del cielo e li altri scanni

di sotto lui cotanta cerna fanno,

così di contra quel del gran Giovanni,

che sempre santo 'l diserto e 'l martiro

sofferse, e poi l'inferno da due anni;

e sotto lui così cerner sortiro

Francesco, Benedetto e Augustino

e altri fin qua giù di giro in giro.

Or mira l'alto proveder divino:

ché l'uno e l'altro aspetto de la fede

igualmente empierà questo giardino.

E sappi che dal grado in giù che fiede

a mezzo il tratto le due discrezioni,

per nullo proprio merito si siede,

ma per l'altrui, con certe condizioni:

ché tutti questi son spiriti ascolti

prima ch'avesser vere elezioni.

Ben te ne puoi accorger per li volti

e anche per le voci puerili,

se tu li guardi bene e se li ascolti.

Or dubbi tu e dubitando sili;

ma io discioglierò 'l forte legame

in che ti stringon li pensier sottili.

Dentro a l'ampiezza di questo reame

casual punto non puote aver sito,

se non come tristizia o sete o fame:

ché per etterna legge è stabilito

quantunque vedi, sì che giustamente

ci si risponde da l'anello al dito;

e però questa festinata gente

a vera vita non è sine causa

intra sé qui più e meno eccellente.

Lo rege per cui questo regno pausa

in tanto amore e in tanto diletto,

che nulla volontà è di più ausa,

le menti tutte nel suo lieto aspetto

creando, a suo piacer di grazia dota

diversamente; e qui basti l'effetto.

E ciò espresso e chiaro vi si nota

ne la Scrittura santa in quei gemelli

che ne la madre ebber l'ira commota.

Però, secondo il color d'i capelli,

di cotal grazia l'altissimo lume

degnamente convien che s'incappelli.

Dunque, sanza mercé di lor costume,

locati son per gradi differenti,

sol differendo nel primiero acume.

Bastavasi ne' secoli recenti

con l'innocenza, per aver salute,

solamente la fede d'i parenti;

poi che le prime etadi fuor compiute,

convenne ai maschi a l'innocenti penne

per circuncidere acquistar virtute;

ma poi che 'l tempo de la grazia venne,

sanza battesmo perfetto di Cristo

tale innocenza là giù si ritenne.

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo

più si somiglia, ché la sua chiarezza

sola ti può disporre a veder Cristo".

Io vidi sopra lei tanta allegrezza

piover, portata ne le menti sante

create a trasvolar per quella altezza,

che quantunque io avea visto davante,

di tanta ammirazion non mi sospese,

né mi mostrò di Dio tanto sembiante;

e quello amor che primo lì discese,

cantando 'Ave, Maria, gratia plena',

dinanzi a lei le sue ali distese.

Rispuose a la divina cantilena

da tutte parti la beata corte,

sì ch'ogni vista sen fé più serena.

"O santo padre, che per me comporte

l'esser qua giù, lasciando il dolce loco

nel qual tu siedi per etterna sorte,

qual è quell'angel che con tanto gioco

guarda ne li occhi la nostra regina,

innamorato sì che par di foco?".

Così ricorsi ancora a la dottrina

di colui ch'abbelliva di Maria,

come del sole stella mattutina.

Ed elli a me: "Baldezza e leggiadria

quant'esser puote in angelo e in alma,

tutta è in lui; e sì volem che sia,

perch'elli è quelli che portò la palma

giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio

carcar si volse de la nostra salma.

Ma vieni omai con li occhi sì com'io

andrò parlando, e nota i gran patrici

di questo imperio giustissimo e pio.

Quei due che seggon là sù più felici

per esser propinquissimi ad Augusta,

son d'esta rosa quasi due radici:

colui che da sinistra le s'aggiusta

è il padre per lo cui ardito gusto

l'umana specie tanto amaro gusta;

dal destro vedi quel padre vetusto

di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi

raccomandò di questo fior venusto.

E quei che vide tutti i tempi gravi,

pria che morisse, de la bella sposa

che s'acquistò con la lancia e coi clavi,

siede lungh'esso, e lungo l'altro posa

quel duca sotto cui visse di manna

la gente ingrata, mobile e retrosa.

Di contr'a Pietro vedi sedere Anna,

tanto contenta di mirar sua figlia,

che non move occhio per cantare osanna;

e contro al maggior padre di famiglia

siede Lucia, che mosse la tua donna,

quando chinavi, a rovinar, le ciglia.

Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna,

qui farem punto, come buon sartore

che com'elli ha del panno fa la gonna;

e drizzeremo li occhi al primo amore,

sì che, guardando verso lui, penètri

quant'è possibil per lo suo fulgore.

Veramente, ne forse tu t'arretri

movendo l'ali tue, credendo oltrarti,

orando grazia conven che s'impetri

grazia da quella che puote aiutarti;

e tu mi seguirai con l'affezione,

sì che dal dicer mio lo cor non parti".

E cominciò questa santa orazione:

  

Canto XXXIII

"Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura

nobilitasti sì, che 'l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,

per lo cui caldo ne l'etterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra ' mortali,

se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre

sua disianza vuol volar sanz'ali.

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fiate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s'aduna

quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacuna

de l'universo infin qui ha vedute

le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute

tanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi

più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogni nube li disleghi

di sua mortalità co' prieghi tuoi,

sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi

ciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!".

Li occhi da Dio diletti e venerati,

fissi ne l'orator, ne dimostraro

quanto i devoti prieghi le son grati;

indi a l'etterno lume s'addrizzaro,

nel qual non si dee creder che s'invii

per creatura l'occhio tanto chiaro.

E io ch'al fine di tutt'i disii

appropinquava, sì com'io dovea,

l'ardor del desiderio in me finii.

Bernardo m'accennava, e sorridea,

perch'io guardassi suso; ma io era

già per me stesso tal qual ei volea:

ché la mia vista, venendo sincera,

e più e più intrava per lo raggio

de l'alta luce che da sé è vera.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio

che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual è colui che sognando vede,

che dopo 'l sogno la passione impressa

rimane, e l'altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessa

mia visione, e ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

Così la neve al sol si disigilla;

così al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla.

O somma luce che tanto ti levi

da' concetti mortali, a la mia mente

ripresta un poco di quel che parevi,

e fa la lingua mia tanto possente,

ch'una favilla sol de la tua gloria

possa lasciare a la futura gente;

ché, per tornare alquanto a mia memoria

e per sonare un poco in questi versi,

più si conceperà di tua vittoria.

Io credo, per l'acume ch'io soffersi

del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,

se li occhi miei da lui fossero aversi.

E' mi ricorda ch'io fui più ardito

per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi

l'aspetto mio col valore infinito.

Oh abbondante grazia ond'io presunsi

ficcar lo viso per la luce etterna,

tanto che la veduta vi consunsi!

Nel suo profondo vidi che s'interna

legato con amore in un volume,

ciò che per l'universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costume,

quasi conflati insieme, per tal modo

che ciò ch'i' dico è un semplice lume.

La forma universal di questo nodo

credo ch'i' vidi, perché più di largo,

dicendo questo, mi sento ch'i' godo.

Un punto solo m'è maggior letargo

che venticinque secoli a la 'mpresa,

che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

Così la mente mia, tutta sospesa,

mirava fissa, immobile e attenta,

e sempre di mirar faceasi accesa.

A quella luce cotal si diventa,

che volgersi da lei per altro aspetto

è impossibil che mai si consenta;

però che 'l ben, ch'è del volere obietto,

tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella

è defettivo ciò ch'è lì perfetto.

Omai sarà più corta mia favella,

pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante

che bagni ancor la lingua a la mammella.

Non perché più ch'un semplice sembiante

fosse nel vivo lume ch'io mirava,

che tal è sempre qual s'era davante;

ma per la vista che s'avvalorava

in me guardando, una sola parvenza,

mutandom'io, a me si travagliava.

Ne la profonda e chiara sussistenza

de l'alto lume parvermi tre giri

di tre colori e d'una contenenza;

e l'un da l'altro come iri da iri

parea reflesso, e 'l terzo parea foco

che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto è corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,

è tanto, che non basta a dicer 'poco'.

O luce etterna che sola in te sidi,

sola t'intendi, e da te intelletta

e intendente te ami e arridi!

Quella circulazion che sì concetta

pareva in te come lume reflesso,

da li occhi miei alquanto circunspetta,

dentro da sé, del suo colore stesso,

mi parve pinta de la nostra effige:

per che 'l mio viso in lei tutto era messo.

Qual è 'l geomètra che tutto s'affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond'elli indige,

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l'imago al cerchio e come vi s'indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.

A l'alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e 'l velle,

sì come rota ch'igualmente è mossa,

l'amor che move il sole e l'altre stelle.

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