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Satire

di. SALVATOR ROSA

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SATIRA SESTA

 

[LA BABILONIA]

TIRRENO ET ERGASTO


TIRRENO
Ecco l'Alba che torna in braccio a Fosforo
e del mio vano affaticar si ride,
3 e un pesce sol non trovaría nel Bosforo.
Ite a le forche omai, trapole infide,
nasse, gorre, bilance, ami e tramagli:
6 ad ogn'altro che a me la sorte arride.
Adulatori rei de' miei travagli,
vi spezzo e vi calpesto; all'aure, a l'onde
9 rimanetevi qui scherzi e bersagli;
e voi, bugiarde e lusinghiere sponde,
lungi, lungi da me gítene in bando,
12 de le speranze mie Scille profonde!

ERGASTO
Ferma, ehilà, pescator: se vai gettando
gl'istromenti così del tuo mestiero,
15 per l'avenir tu pescherai notando.
Qual doglia, qual pazzia, qual dio severo
ti sconvolge la mente, appanna i lumi
18 e i pesci ti trasporta entro il pensiero?

TIRRENO
Solo per me sono infecondi i fiumi,
gli stagni e i mari, e per lo mio cordoglio
21 non han occhi le sfere, orecchî i numi;
lusingarmi di nuovo io più non voglio:
chi infelice mi vuol ride a i miei lai,
24 chi giovar mi potría senso ha di scoglio.
Stelle fisse per me solo ne' guai,
Genio intento a ferir, mani severe
27 diede a la vostra luce, acuti i rai;
et avete là sù ne l'ampie sfere
(forza è pur che a' miei danni oggi il ridica)
30 per la gran ferità volti di fère.
Lo sapete ben voi, sensa ch'io il dica,
se ne l'andar precipitoso al senio
33 sotto gli occhi mi muore ogni fatica.
Perde la sua virtù meco l'ellenio,
né l'eufrosino mai, che gaudio accresce,
36 ebbe valor di rallegrarmi il genio;
sian pure in Cancro, Scorpione o Pesce
i segni a favor mio là sù ne l'etra,
39 il mestier del pescar non mi riesce;
rito licio a mio pro nulla m'impetra,
sacrificio tinneo non è possente
42 de la sventura mia franger la pietra.
Un giorno sol non m'apparì ridente:
dov'io sto, dond'io parto, ov'io mi volgo
45 trovo materia a divenir dolente;
destinato a penare, in me raccolgo
tutte de l'astio le bevande amare
48 sol perch'anima e cor non ho da volgo.
Voi non mi conoscete, o genti avare:
fo il pescator, ma il genio mio sarebbe
51 di far altri pescar, non io pescare;
più d'un Zoilo i miei gesti incensarebbe,
se risplendesse a me meglior ventura,
54 e l'Invidia latrar non s'udirebbe.
Or che fate là sù, voi che la cura
di dispensarci avete e pene e premii,
57 e governate il fato e la natura?
Come accordate sì diversi estremi,
che il giusto mai non abbia aura gioconda
60 e che mai del gastigo il reo non tremi?
Come soffrire di veder l'immonda
setta del Vizio andar fastosa e impune,
63 e colonie fondar per ogni sponda?
Come a vista del ben languir digiune
l'anime grandi, e in man de' parasiti
66 la copia rovesciar de le fortune?
Restano i buoni in osservar storditi
su le Danae grondar nembi di gioia
69 e atterar Giobbi e folgorar stelliti;
verrebbe a i sassi di sgridar la foia:
mormora un Citarella e s'arrecchisce,
72 il Franco appena parla e dà nel boia;
e v'adirate poi s'inlanguidisce
di voi la stima: ah, a ragion per tutto
75 l'uom le vostr'opre critica e schernisce!
Sol de' travagli miei, sol del mio lutto
la vostra rabbia s'alimenta e pasce,
78 né vuol veder di mia costanza il frutto;
intervallo non hanno in me l'ambasce,
e, fatte eterne le mie doglie intense,
81 nato appena, un favor mi muore in fasce;
sempre il vostro furor tardi si spense,
e le piaghe a saldar di mie disgrazie
84 altro ci vuol che dittamo cretense!
Quando, quando sarà che paghe e sazie
d'odio vi vegga, e pria del mio ferètro
87 mi secóndino un dì fide le Grazie?
L'aver sortito un volto austero e tetro
da la comune simpatia m'ha tolto
90 e il libero parlar mi tiene in dietro;
non ti doler<e> più, Focion, del volto
b£rboro, ché del pari andar possiamo
93 e in disgrazia simíle anch'io so' avolto.
Par che del seme io sol non sia d'Adamo,
se de l'empio Saturno infausto e pigro,
96 di tutti i mali suoi sembro il richiamo.
Io non so come in gel non mi trasmigro
ne l'osservar che questo fiume ancora
99 fatt'è per me l'Asfaltide e l'Anigro.

ERGASTO
Che borbotta costui? La luce indora
già de' monti le cime; ehilà, fratello,
102 è sorto il giorno e tu trasogni ancora?
Qual grillo ti svolazza entro il cervello?
Sei briaco, sei scemo o pazzo affatto,
105 che le reti così mandi in bordello?
Tu sospiri? tu taci? e stupefatto
straluni gli occhi al ciel, batti il calcagno,
108 da i sensi insieme e da la mente astratto?

TIRRENO
E chi sei tu che parli e del compagno
vai spiando i secreti, e che s'aspetta
111 a te la mia disgrazia o 'l mio guadagno?

ERGASTO
Io mi son un cui la pietade alletta
a cercar la caggion de' tuoi deliri,
114 a consolar il duol di tua disdetta.
Perché dunque il furor volgi e raggiri
in chi nulla t'ascolta, e con gli ordigni
117 dell'esercizio tuo così t'adiri?

TIRRENO
Perché per mezzo lor gli astri maligni
m'hanno fatto penare a i caldi, a i geli,
120 lungi da me torcendo i rai benigni;
e non vòi ch'io mi dolga e mi quereli,
quando vi son più pescator che pesci,
123 né vario sorte ancor ch'io varî i cieli?
Tu pretendi giovarmi e duol m'accresci,
e se per uomo veritier mi stimi
126 bile a la bile mia tu agiungi e mesci.
Che val ch'io sia de i pescator tra i primi,
se, o che nasca o tramonti il dio di Carno,
129 la sorte mi convien seguir de gl'imi?
Son tant'anni che pesco, e sempre indarno
le reti et i sudor gettai ne' mari
132 de la schiava mia patria e in riva a l'Arno;
abandonati poi quei lidi avari,
qua venni a mendicar tanto di spazio
135 da collocar del mio tugurio i lari;
ma la mia sorte rea, per magior strazio,
ne le mani d'un satrapo mi pose
138 pari ne l'avarizia a quei del Lazio,
e le maniere sue spilorce e esose
a mie spese veder mi fêro, e a prova,
141 che naso ei non avea da fiutar rose.
Una fuga sì lunga a che mi giova,
s'ogni ciel contro me tempesta e freme,
144 s'una disgrazia qui l'altra mi cova?
Ma già che tanto l'altrui mal ti preme,
perché la Sorte udir bramo da te
147 sia così parzial di teste sceme.

ERGASTO
Quest'è un difficilissimo perché:
nessun mai giunse a saper la caggione
150 perché tanto agli stolti amica egli è.
Ella sprezza ogni legge, ogni raggione,
il male con il ben mesce e confonde
153 sensa guardare in faccia a le persone;
son le cabale sue troppo profonde,
e col saper di lei strano e fanatico
156 il nostro, fratel mio, non corrisponde.
Veggio che di Babel tu non sei pratico,
ch'altrimenti, per Dio, non ti dôrresti
159 dell'influir di questo ciel lunatico:
che t'abbatta la Sorte e ti calpesti,
d'esser uomo da bene, uomo onorato
162 sono argomenti chiari e manifesti.
Ma s'io ti vegga un dì ricco e beato
più di quanti fûr mai sotto la luna,
165 dimmi il nome e la patria onde sei nato.

TIRRENO
Di Partenope in seno ebbi la cuna,
ma la sirena che m'accolse in grembo
168 non poté adormentar la mia fortuna.
Dal mar che bagna a quelle spiagge il lembo
di Tirreno ebbi il nome e, a quel ch'io veggio,
171 col nome ancor d'atre tempeste un nembo;
e per mio crucio eterno e per mio peggio
vidi nel suol natío stimar, proteggere
174 più d'un uomo un cavallo di maneggio;
aditarsi a viltade il bene eleggere
e la bagiana sua sc<h>iatta più nobile
177 aver vergogna d'imparare a leggere;
chiamar pedestre e conendar d'ignobile
chi non è de' suoi seggi e suoi capitoli;
180 e s'io mentisco il ciel mi renda immobile.
Svolga chi non mel crede i suoi gomitoli:
sempre il lor genio troverà disposto
183 sfrappare a rubî i principati e i titoli;
dal detto universal non mi discosto:
utri son pien di vento e ad ogni vista
186 nazion di gran fumo e poco arrosto,
e altero nome sol ci vanta e acquista
chi più d'aspide ha il cor gonfio di boria
189 e chi più morti e bastonati ha in lista.
Patria serva dei servi e che si gloria
del giogo vil che strascinando va,
192 odioso oggetto de la mia memoria,
io non voglio tradir la verità:
resa s'è presso ognun ridicolosa
195 per la soverchia sua credulità.
De l'italico Omer la gloriosa
cuna venero anch'io, e a quella appresso
198 di Sincero e Filen l'urna famosa;
ma a chi piacer può mai mirar l'eccesso
de le sue tante vanitadi e abusi,
201 dal nobile il plebeo svenato e oppresso?
E se vanta i Cantelmi e i Terracusi
gli avoli al par de' Scipioni e Marî,
204 quai dagli encomî miei non vanno esclusi,
per Dio, che nutre ancor di temerarî
un numero infenito in contrapeso,
207 una scuola di ladri e di sicarî;
onde, da giusto sdegno et odio acceso,
la rinunzio per sempre e più non curo
210 fra i citadini suoi esser compreso.
Così voglio, prometto e così giuro;
per tutt'è Idio, né può mancar sollievo
213 a chi la libertade ha per Arturo.
A chi nulla mi diede io nulla devo;
lascio ad altri gustar le simpatie
216 del Pausillipo suo, del suo Vesevo;
cercherò fuor di lei le glorie mie
e lontan dalle sue maggiche arene
219 rintracciar di Stilpon spero le vie;
son sordo a i vezzi de le sue sirene,
schivo e aborro i suoi gesti, odio il suo nome;
222 trova patria per tutto un uom da bene.
E tu chi sei, come t'appelli e come
vivi in questo paese, ove si fanno,
225 pria che candido il cor, bianche le chiome?

ERGASTO
Io qui nacqui in Babelle; un lungo inganno
schiavo mi rese, e condendommi in corte
228 la speme infida et il desío tiranno;
et in quella prigion tenace e forte
piansi più d'una volta; ivi imparai
231 con la pazienza a disprezzar la sorte.
A un calíf servendo in me provai
che il Premio ha l'ali e che però la Fede,
234 ch'ha la catena al piè, nol giunge mai;
ma, spesa in vano in aspettar mercede
la verde età, dell'ambizione estinta
237 il pentimento al fin s'è fatto erede.
Così, dal duol già superata e vinta
la sofferenza mia, lasciai la reggia
240 e la grandezza sua bugiarda e finta.
Là sì che si calpesta e si dileggia
l'avvelita bontade e sol s'apprezza
243 chi sul volto mentito il cor falseggia;
se tu vedessi un dì con qual fierezza
colà scherzi Fortuna, a fé che poi
246 ti dorresti di lei con meno asprezza.

TIRRENO
Chi va cercando sol premî d'eroi
per sentieri sì duri è ben che peni:
249 il callo del desío chiama i rasoi.
Ma perché in me sfogar tutti i veleni,
tutti gli influssi atroci il ciel villano,
252 se di modestia umíle i voti ho pieni?
Altro io non chiesi mai che viver sano,
e ne giubila il cor, né mi vergogno
255 di guadagnarmi il pan di propria mano;
a golosi bocconi io non agogno:
chi va con fame a mensa e stanco a letto
258 di piume e di savor non ha bisogno.
Del mio genio il magior studio e diletto
seguir l'orme di pochi, e a tutto studio
261 che mi si legga al volto il cor ch'ho in petto.
So ch'ogni influsso reo lieto ha il preludio,
ma non deve temer Sorte indiscreta
264 chi con l'ambizion fatto ha il repudio;
e se Cecubo, Chio, Mettinna o Creta
non calca le vendemie al mio becchiere,
267 l'onda pura del rio nesun mi vieta.
Domo gli affetti miei, cerco tenere
sogetto a la ragion senso che freme,
270 né fo passo magior del mio potere;
donde pullula il mal spegnerne il seme,
contro l'armi del vizio esser gagliardo
273 e in cose certe radicar la speme.
Negli eventi futuri io fisso il guardo,
ché nulla giova il rallentar la corda
276 quando l'arco di già scoccato ha il dardo;
vinco del posseder la voglia ingorda
col pensare a' Sichei, e a ogn'or mi sforzo
279 sbandir da me ciò che dal ver discorda;
col contentarmi ogni disastro ammorzo
e se sventure mai scorgo da lunge
282 virtù di sofferenza al cor rinforzo.
So ben che solo a quel palpita e punge
il core, e mena i dì foschi e tremanti,
285 che desía d'esser ricco e non vi giunge;
odo i detti ben io de' Crati e Bianti,
che chi naviga il mar de le ricchezze
288 porto non ha che di sospiri e pianti.
Di cieca frenesia son debolezze,
fallaci sogni d'animo imprudente,
291 cercar dove non son le contentezze:
quando di troppo umor gonfio è il torrente
torbide ha sempre l'onde. Io, per recidere
294 le tempeste del cor, medito il niente;
dal gran savio d'Abedra imparo a ridere,
apprendo da Chilone il parlar poco
297 e m'insegna Anacarsi il fasto uccidere,
Bion che l'uom de la Fortuna è un gioco,
e a far che mai gloria mortal mi dòmini
300 mi figuro il sepolcro in ogni luoco.
D'altro non prego i dei, né chieggo a gli uomini
che smaltir le mie merci, e a tale istanza
303 forz'è che in vano e gli uni e gli altri io nomini;
tanto solo desío quanto a bastanza
serve al bisogno, e questo fiume infame
306 porta delusa al mar la mia speranza.
E pur qui tanti, sorti dal letame,
del putrefatto Vizio orridi vermi,
309 esche ci han trove da saziar lor brame.
Quanti approdar io ci ho veduti, inermi
pescator di ranocchie, anguille e sarpe,
312 tramutarci in corule i palischermi!
E quanti (o Dio!) senza camicia e scarpe
portò qui il fato, e di Ramnusia a scorno
315 oggi manciano a suon di cetre e d'arpe!
Infeniti fûr quei che ci pescôrno
l'obolo di Pasete e 'l pesce élope,
318 l'anel di Gigge e d'Amaltea il corno;
e quanti al par del sposo di Penelope
Nausitea c'incontrâro, e ne l'Eufrate
321 più che nel mar d'Euboa l'osso di Pelope!
Cento e mille aditar potrei barcate
de Vatinî e Nevei, ciurme da scrocchi,
324 che ci fêr grasse pesche e sbardellate;
quante volte vorrei non aver occhi
per non mirar sì spesso in questo suolo
327 in numi tramutar zecche e pidocchi!
Li sai ben tu quei che sbalzâro a volo
da la cucina al soglio, e da la scopa
330 giunsero a star di porporati al ruolo.
Credea fragilità solo d'Europa
prezzar canaglia, ma qui ancor ridendo
333 trovono incensi e Celicone e Iopa;
e, ad onta ognor del mio destin tremendo,
quanti vie più di Galba e Timotèo
336 vi pescano la sorte anco dormendo!
Tealdo il sa e sallo un Gadareo,
sprovvisti d'aura, onor, senno e biscotto,
339 quanto fido fu a lor questo Origeo.
Per queste rive sol empion di botto
i gezzi le cerigne, e sensa oltraggi
342 vi tresca un Dinia e sguazza un Scariotto;
e con smania de' giusti e oror de' saggi
e a scherno de le lagrime ch'io spargo
345 riserbati vivai ci hanno i malvaggi;
e sensa (oh quanti!) la gran nave d'Argo
ci vantan l'aureo vello, e a braccia aperte
348 baciano ognor di questo fiume il margo;
e, esenti d'indagar zone deserte,
premendo lattee vie ci hanno trovato
351 de' Colombi e Cortesi Indie più certe.
Quanti, oh quanti quest'occhi hanno osservato
buttarci esca di vizî e trarne il bene,
354 con ami d'impietà pescarci il Fato!

ERGASTO
Figliol, questo è l'Eufrate: onuste e piene
sol ne cavan le reti i più vigliacchi,
357 un uomo ben composto ara l'arene;
qui gli Epialdi, i Ballioni e i Cacchi
fan sempre vaste e smisurate prese,
360 e del pesce più grosso empiono i sacchi.
Ma quant'è che lasciasti il tuo paese
e che volgesti a Babilonia il passo,
363 a respirar di lei l'aura scortese?

TIRRENO
Sono sei lustri omai che, stanco e lasso,
su questo fiume perfido e mendace
366 quasi l'ira e dolor m'han fatto un sasso.

ERGASTO
Fratello, io mi stupisco e mi dispiace
che in tanti anni che qui prattichi e peschi
369 non ti sii fatto a spese altrui sagace;
insegnar ti dovean gli esempii freschi,
sensa cercar le cose arrugginite,
372 di questo clima i modi arcifurbeschi.
Piovano a i porci qui le margarite,
e in tutti i tempi gli uomini megliori
375 ci hanno col pane una continua lite:
come Tantalo a i pomi e Mida a gli ori
stassi qui la Virtude, e 'l Vizio adopra
378 ad ogni suo voler grazie e tesori;
onde se a voglia tua volger sosopra
brami quest'acque e da te mai discorde,
381 metti l'indegnità ne l'ami in opra.

TIRRENO
Tu mi giungi a toccar su certe corde
ch'a la lingua venir fanno il sollettico
384 e 'l prorito del dir m'irrita e morde.
Ma che! Non oso in questo cielo eretico
narrar ciò ch'osservai. Tacer bisogna,
387 e roda il freno il mio cervel bisbetico.

ERGASTO
Qual sospetto t'arresta e qual vergogna?
Quasi che in te la libertà natía
390 ugne non abbia da gratar la rogna.

TIRRENO
Il dire il vero al precepizio è via
e in questo suol tra due che parlin soli
393 è per necessità sempre una spia.

ERGASTO
Con questa libertà tu mi consoli;
ma non temer di me, sfógati pure,
396 e s'io t'inganno Appollo il dì m'involi.
Assai meglio che a te l'empie sozzure
di questo lazzeretto a me son note,
399 che so gli scoli e le sue fogne impure.
All'offesa bontà lo sdegno è cote,
dunque a gara con me sl rgati e parla,
402 ché l'impazienza omai m'accende e scote;
chiuso verme di doglia il core intarla,
e son due cose che non pônno unirsi
405 aver la fiamma in seno et occultarla.

TIRRENO
Faccia il ciel ciò che vuol, già sento aprirsi
al supito furor l'uscita e 'l varco,
408 e 'l fervido desío sferzano i tirsi.
So che l'Eufrate non saría sì parco
né sentiría di povertà l'ingiuria
411 s'adular sapess'io come Annassarco;
so che di premî non avría penuria
se con Ambrio scrivessi o con Assellio
414 de' più ghiotti bocconi una centuria;
s'io fussi un bevitor pari a Novellio
meco i Tiberî non sarían sì sordi,
417 o se in pittura io diventassi Arrellio;
quanti vedresti seguitarmi ingordi
et incontrar per me più d'un cimurro,
420 s'io parlassi d'infamie e di bagordi!
Sentiresti, s'io fussi, altro susurro,
nato come Orion di piscio o sterco,
423 e eroe saría de lo stellato azzurro.
Perché rito non so spintrio e luperco,
ogni promessa si risolve in ciancia
426 et urto in quel ch'aborro e che non cerco;
potrei tôrre ad Astrea stocco e bilancia
se rimirasse in me la curia e 'l foro
429 schiena larga, gran naso o bella guancia.
Tant'è, la vo' pur dir: s'io fussi un Sporo,
chi per non mi giovar tace o scilingua
432 de' lieti mi porría nel primo coro;
e chi non vuol ch'io mi sollevi e impingua,
s'io consentisse a far la parte goffa,
435 impieghería per me più d'una lingua.
Fola non è d'Arlotto o di Marcoffa:
ai giorni miei più d'un bel detto ha vanto
438 un peto, un rutto, una correggia o sloffa.
Vòta ho la borsa e lacerato il manto
perché mai Bablo ad imitar mi diedi,
441 perché ballar non so con Cleofanto.
Signor, che il tutto sai, che il tutto vedi,
e che giovò porre nel capo il senno
444 se studian questi ad erudire i piedi?
Perché nauseo obedir de' tristi il cenno
non mi passa il favor oltre la buccia
447 e ali per volar mai non impenno.
Con tappeto in fenestra e la bertuccia
potrei giungere a stare in un baleno,
450 s'io fussi Burrattino o Scaramuccia:
a questi tali amica sorte in seno
stilla elesir di nèttere e di manna
453 a chiusi occhi, a man piene, a ciel sereno;
guida le reti sol, reggi la canna
a ceffi da galea, schiuma d'ergasti,
456 avanzumi di chiasso o di capanna.
Numi, se tutte le fortune e i fasti
voi così dispensate, anch'io m'annovero
459 di Democle e di Damasi a i contrasti!
Chi vi può contemplar senza rimprovero?
O sia fame o sia peste o sia la guerra
462 sempre l'ira di voi sfoga sul povero.
Chi non esclamería sin di sotterra
veder gente da zappa e da procoi
465 regger gli scettri e dominar la terra?
Son di Circe, o Babel, gli incanti tuoi:
quella diede a gli eroi forma di porci
468 et a' porci tu dai forma d'eroi;
le leggi del dover profani e torci
mentre a i gradi sublimi e trionfali
471 chiami i genî più vili e più spilorci.
Conosco ben sue simpatie fatali
di confettare e di candir gli stronzi,
474 d'imbalsamare il fango e gli stivali;
ch'ama grugnacci, a effigiar ne' bronzi,
da ritrar ne' boccali, e in aurei carmi
477 cantar somari et erger pire a' gonzi;
e, ad onta de le lettere e de l'armi,
di barbieri, casciari e schiumabrodi
480 i nomi scorgerai scritti ne' marmi.
Licurgo, or dove sei, tu che le lodi
sol de gli eroi a quei fésti plausibili
483 che furon per la patria arditi e prodi?
Ma tra tutti i costumi indegni e orribili,
che fugir mi farian di là da i Mauri,
486 è che resi si sono incorreggibili.
Veder lubríchi duellar co i tauri,
le cicale sfidare i rosignuoli
489 e star le zucche e tu per tu co i lauri;
nulla cedere a i cedri i cetriuoli
e con l'aquile eccelse e gloriose
492 concorrere gli alocchi e gli assiuoli;
le malve e ortiche conculcar le rose
et a man dritta gli asini da stanga
495 de' Baiardi a le razze generose;
tutto giorno sentir la sporca fanga
milantar di candore, e incensi et archi
498 a fronte de le clave ambir la vanga;
de' Polignoti al par gir gli Agatarchi,
co i Ciri i Calvisii smemmorati,
501 con le clamidi in riga i saltambanchi.

ERGASTO
A piè di questi colli e in seno a i prati
da stronzi muffi, da ciabatte e stracci
504 nascono al par de' funghi i prencipati;
e quest'è la caggion che se l'allacci
la mondezza che il Fato alza e solleva,
507 e ch'una ciurma vil tanto la spacci.
Convien ch'a mio dispetto io me la beva:
talun vassene a letto un Tata Ianni
510 e la matina un principe si leva;
or come può saper un barbagianni,
ch'appena governar potría la stalla,
513 librare il bene et evitare i danni?
Quando vi penso il capo mi traballa:
la feccia, che dovrebbe andare a basso,
516 in quest'acque, per Dio, vien sempre a galla.
Del destino mi dolgo a ciascun passo:
d'affamati avoltoi darci in governo
519 sensa adoprarvi mai squadra o compasso!
Di quest'avide Arpie figlie d'Averno,
divenuto il danaro unico nume,
522 diventiamo ancor noi ludibrio e scherno.
Indarno a questo suol turcido fiume
porta fecondità, se l'inumane
525 razze ci fan manciare il fracidume;
a che poscia cercar con arti strane
come la peste generossi e dove,
528 se l'origine sua 'ntrisa è nel pane?
E pur dormono i dei e in mano a Giove
strali non porta più l'augel ferino,
531 né più l'armata destra Astrea non move.
Così di questo secolo meschino
ricorderan per prencipi gli inchiostri
534 più d'un Ermone e più d'un Bertoldino.

TIRRENO
Siamo insomma infelici. I tempi nostri
non producono eroi come i vetusti,
537 la vergogna arrossir oggi fa gli ostri;
colma è l'etade mia sol di Procusti
e per le cetre de' Virgilî e Omeri
540 vòta è d'Achilli e sterile d'Augusti.
Cerca pur quanto sai liti stranieri:
non ha il mondo Alesandri, e sto per dire
543 che più semi d'eroi non han gli imperii.
Lungo tempo è che tenta il mio desire
d'incontrarsi in un cor degno d'elettro
546 per favellar di lui pria di morire;
ché, ben ch'io sembri d'un Teon lo spettro,
saprei da Grazie travestir l'Erinni
549 e de le reti al par trattare il plettro,
e per le vie de' Pindari e Corinni
più d'un nome ardirei vago di laude
552 forse eternar col balsamo degli inni.
Gastighi il ciel labro ch'adula e applaude
talor per prezzo un'animaccia enorme,
555 ingrandita dal caso o da la fraude;
pria morirei che mai seguir tal orme:
sol per gli spirti immaculati e grandi
558 ho lodi, e a un schietto cor lingua conforme.
Quanti aditati son per memorandi
uomini, a i tempi miei perversi e indegni,
561 che per l'infamie sol son ammirandi!
E quanti io vidi, in apparenza degni
d'aurei diademi e celebri in eccesso,
564 che inalzati a imperar non diêro a i segni!

ERGASTO
Calza giusto a proposito il sucesso
de gli Efesini, i quali a loro costo
567 questo gran vero un dì videro espresso.
Fu dal senato loro un dì proposto
di far ne la citade un tal colosso
570 che in eminente sito andava esposto.
Ci messe lo scultor l'arco de l'osso,
in guisa tal che in pubblico e in disparte
573 da tutti era lodato a più non posso,
ché, osservata la statua a parte a parte,
dal grido universal restò concluso
576 ch'ell'era il mostro e lo stupor dell'arte.
Ma quando alzossi il gran colosso in suso
svanì la perfezzione e la bellezza,
579 e 'l concetto comun restò deluso:
la lisciatura sua, la morbidezza,
la troppa finitura e deligenza
582 cangiò in difetto la soverchia altezza.
Il non far distinzion né differenza
dal pubblico al privato è buassaggine;
585 remora de' balordi è l'apparenza,
ché del giudizio uman la dapocaggine
talor sbalza a l'in sù certi margutti
588 che, giunti che vi son, danno in seccaggine;
et è proverbio omai bocca de' putti:
ben ch'infeniti a dominar s'accingono,
591 del principe il mestier non è da tutti.
Quind'è che i nomi lor non mi lusingono:
son gli eroi di Babel pari a i cipressi,
594 quanto più vanno in sù più si ristringono.
Forz'è ch'ognun la verità confessi:
a chi non diede il ciel genio signore
597 in tutti i stati gli vedrai gli istessi.
Chi fia quel<l>'Argo a cui darebbe il core
mostrarmi un Tito in questi tempi infetti?
600 Qual, posto in alto, diventò migliore?
Gran sciocchezza è fidarsi in belli aspetti:
i prencipi son simili a i melloni,
603 molti i sciapiti son, pochi i perfetti;
e spesso quei che ' noi sembran Soloni
han manco testa che non hanno i spilli,
606 somari con le pelli di leoni.
Io non mi vo' scompor con urli e strilli:
quanti potrei farti veder, convincere
609 che passan per diamanti e son berilli!
Ma ritorniamo a noi. Saper ben fingere
qui si stima virtù; fede e modestia
612 in alto mai non ti potranno spingere.
S'avrai manco de l'uom, più de la bestia
le stelle teco non faran da talpe
615 e diverratti gioia ogni molestia;
varcherà la tua barca Abila e Calpe
se l'arti avrai di Panfila vegliarda
618 o se il secreto insegnerai di Salpe;
se tu avessi per sposa una bastarda
di qualche sacerdote in Babilonia,
621 teco la sorte non saría infingarda.
Io non so gli usi de la vostra Ausonia:
se i libri qui averai d'Astianassa
624 pesca ci incontrerai più che sidonia;
d'altro che lasche colmerai la nassa
se ti dà il cor per l'usciolin secreto
627 condurci or la sgualdrina or la bardassa,
ché più d'ogn'altro è qui felice e lieto
chi le vie del bordello e i limitari
630 da fanciullo imparò per alfabeto;
e mostrar ti potrei ne' lupanari
de' satrapi i ritratti, e i signorazzi
633 fatti del chiasso i numi tutelari;
cinto è ognor da corteggi e da codazzi
chi musica ha la moglie o le sorelle,
636 ché la Fortuna anch'essa ama i sollazzi.
Né quest'uso è piovuto or da le stelle:
il metter sotto la consorte e i figli
639 è costume antichissimo in Babelle.

TIRRENO
Più tosto che seguir sì rei consigli
per la fame mangiar mi vo' le polpe
642 e stentar fra gli affanni e tra i perigli.
So che al mondo apparir faría le colpe
vere e vive virtù, chi congiungesse
645 col cuoio del leon quel de la volpe;
e se 'l mio genio ad imitar si desse
la seppia e 'l polpo, goderei quei comodi
648 che la mia lealtà non mi concesse.

ERGASTO
Chi desía non marcir servo a gli incomodi,
a dir rosso il turchino e chiaro il fosco
651 convien che spesso la sua lingua accomodi;
esser muto bisogna e sordo e losco,
e chi genio non ha da far la scimia
654 lasci Babelle e si ritiri al bosco;
qui non è del mentire arte più esimia,
del simular più fertile semenza,
657 de l'adulazion più certa alchímia.
Finger bisogna il santo in apparenza,
e col goffo ugualmente e con l'accorto
660 parlar sempre di cielo e di coscienza.
Quanti vedrai col volto serio e smorto
nel tempio, e sospirar senz'intervallo,
663 piangere e salmegiare a collo torto!
Ma poi chi avesse di Mecillo il gallo
con maniera mostrar vorrei più valida
666 oh quanti, quanti de' Gnotoni in fallo!
Faresti nel mirar la faccia palida
più d'un forte Sanson, d'un giusto Davide
669 arder per Bersabea, languir per Dalida;
l'oppie zitelle o scostumate o gravide,
e co i lor vezzi studiati e teneri
672 allacciar, traccolar l'alme più impavide.
Se oprassi anch'io come a Daniel le ceneri,
quante ne' santuari orme di lamie
675 additar ti vorrei, d'Adoni e Veneri!
E sensa arti trattar cumane o samie,
far ti vorrei veder per i casini
678 dei modi del peccar l'ultime infamie.
Se potessin parlare i carrozzini,
le vigne, i letti, le chiavi e lanterne,
681 le scarpe de la notte, i berrettini,
crédemi che le stufe e le taverne
son manco indegne et in bordel si sfugge
684 quel che fan questi entro le stanze interne.
Sia maladetto chi di qua non fugge,
ché il soffrir è follia, non è virtute,
687 dove mendica la bontà si strugge;
e maledetta sia la servitute
che il meglior dell'età logra e disperde
690 per sentier di nappelli e di cicute!
Troppo di questo suol fallace è il verde,
e con strazio immortal provo e discerno
693 che il seme in lui d'ogni valor si perde;
troppo effimero ha il riso, e il duolo eterno,
e di troppe malíe quest'aria è pregna,
696 e i vaghi Elisi suoi tempre han d'inferno,
e sol quello ci danza e grazie segna
che meglio Marco Nestore emolando
699 or questo, or quel di contrafar s'ingegna.
<Qui> non mancan plebei che stan formando
lettere sensa nome, in cui lo scredito
702 e l'innocenza altrui vassi infamando,
né ad altro par che sia più acceso e dedito
oggi il maligno; ma, per Dio, bisogna
705 che sia pazzo o coglion chi li dà credito.

TIRRENO
E pur, chi se l'alaccia e chi si sogna
di far figura un dì più che sovrana,
708 sdrucciolar l'ho veduto in questa fogna.

ERGASTO
Si vedon pure in questa terra insana
stolti giudizi, e in manti senatorî
711 più d'una testa scemonita e vana.
Son questi liti, amico, i dormentori
dove sognano tanti ad occhi aperti
714 e de' cervei più ardenti i purgatori,
i laberinti de gli ingegni esperti,
le lime, i corrosivi de le borse,
717 del piè de la prudenza i calli incerti.
Lo sanno quei che queste rive han corse,
se il voler qui pescare è van disegno
720 per chi da la virtù l'orme non torse;
chi furbesca non ha fugga l'impegno:
pasta et esca ci vuol più che melata,
723 ami d'or, aurea rete e doppio ingegno;
et è cosa già trita et osservata
che mai v'empì di pescagion la zucca
726 gente di buona mente et onorata.
Queste rive frugar non è da Giucca,
e sappia pur chi di pescarci è vago
729 ch'artifizio ci vuol da volpe cucca:
troppo a l'Ermo son pari e al Curio lago,
e del Gallo assai più strane e funeste
732 ha l'acque, e pesci euguali al Zimatago.
Vanta l'Eufrate anch'ei le sue tempeste;
del galantuom non è questo il Perù,
735 né un vero amor mai quest'arene ha peste;
e, benché noto sia oltre il Bargù,
resterei con gran scrupolo a non dirti
738 ch'un Gange è al vizio, un Lete a la virtù.
Tra i dirupi del Tanai ispidi ed irti
v ttane pur, là nel paese scitico,
741 ché qui sol troverai vortici e sirti.
In questo fiume chi non è politico
non pensi di pigliarci una saracca:
744 a chi Proteo non è, l'Eufrate è stitico;
inoltre, èmolo al Nilo, il bue, la vacca
ha per sue deità, genî sì ingrati
747 che al merto mai non donarebbe un'acca;
e questi lidi suoi sempre annebbiati
altro non son che i fumi de' sospiri
750 d'un infenito stuol di sventurati.
Nulla cur'io che contro me s'adiri
questa cloaca vil del vituperio,
753 Cocito di schifezza e di deliri.
A quanti qui, con barbaro improperio,
quando l'ombra per tutto i vanni ha stesi,
756 questo fiume servì di cimiterio!
Quanti segni di stupri e sozzi arnesi
si lavano in quest'onde, e parti e aborti
759 di pesci in vece i pescator ci han presi!
Quanti Pelori e Palinuri accorti
si perdêrno in quest'acque empie e tiranne,
762 e Tifi naufragâro in questi porti!
Di questi salci a l'ombre e de le canne
trovan liet'esca i corvi, ambrosia e latte
765 le sporche anguille e a posta lor le manne;
e smagrar sempre più per queste fratte
co i cigni al par l'aganippee sirocchie,
768 et ingrassarci sol rane e mignatte;
e l'Olimpie, le Clerie e le Vannocchie,
intente a mercantar palli e diademi,
771 ne' sacrarî pescar con le conocchie;
e ad inritar gli sdegni a i Menademi
sfacciate andar per queste rive in giro
774 e la gloria avelir de i più supremi;
prenderci in men d'un lampo e d'un sospiro
la troppo oggi adorata ipocresia
777 le porpore che già smarrite ha Tiro.
Vo' confessar la debolezza mia:
ne l'osservar come si regga io tremo
780 di repubblica un misto e monarchia.
Qui vedrai navigar con duolo estremo
i saggi a la sentina, i scemi in poppa
783 et al timon chi star dovrebbe al remo;
con l'umiltà gir la iattanza in groppa
e in maschera d'Elia bonzi e pira[a]ndri
786 servir di braccio a la buggia ch'è zoppa;
Claudi in sembianza andar d'Anasimandri,
da pellicani e da pastori i lupi,
789 Fochi e Ruffin da Fabî e d'Alesandri;
e le truppe de i Didi, animi cupi,
favellar da Catoni e oprar da Clodi,
792 milantar fedeltade e ordir dirupi.
Ne l'osservar sento infiamarmi agli odî
d'Acabbi e de' Busir le descendenze
795 starvi senza timor de' Bruti e Armodî;
di stato la ragion scêr le semenze
de le carote e a man con l'interesse
798 piantarle sul terren de le coscienze;
del bel tempio d'onor le vie dismesse,
il fasto intento a fabricar carrozze,
801 chiuder scuole e licei, e oprir rimesse
(e pur forza è ch'il soffra e che l'ingozze!);
con i meriti altrui, con l'altrui robbe
804 star l'ignoranza in pappardelle e nozze;
vi perdería la flemma insino a Giobbe:
si niega al savio, al fido un tozzo, un straccio,
807 e a i Trufaldin votar le guardarobbe.
Io non ho che un sol core e un sol mostaccio;
delle forche i rifiuti i più protervi
810 son quei che ci hanno il passo lungo e 'l braccio.
Gl<i> abusi qui già son trascorsi a i nervi:
han manco foia i grandi de la Spagna
813 che in Babel gli artigiani, i sbirri e i servi.
Questa, questa è l'idea de la Cuccagna,
l'asilo de' Clearchi e d'Artimoni,
816 dove chi studia men più ci guadagna;
il lardellato ciel de' paniconi,
donde a galla al butir vanno i tortelli
819 e sul cascio grattato i maccaroni;
qui le civette cacano i mantelli,
et insino a color che non han testa
822 piovono le tiare et i cappelli;
qui raspa e canta con purpurea cresta
chi bisogno avería del catechismo,
825 e dogmi e leggi a suo voler calpesta;
e sotto un cielo infetto d'ateismo,
cinti di gioglio il crine e il piè di socco,
828 rintraccia<r> d'Epoloni ogn'afforismo;
e per voler d'un nume cieco e sciocco
conferir grazie e fabricar decreti
831 con man grifagne e con cervei d'alocco;
e deridendo scrupoli e devieti
incensati incensar Lesbino e Taide,
834 adorati adorar Clisofi e Aleti;
con presciti dettami e bocche laide
sbandire et odiar lingua che cerca
837 ragionar di sepolcro o di Tebaide;
e aver la grazia lor sempre noverca
chi di ventre o brachetta ad ogni punto
840 di farli favellar non li ricerca.
Giammai dal ver mi troverai disgiunto:
la magior di costor facenda e impiccio
843 legger la Pippa e studiar Panunto;
a narrartelo sol mi raccapriccio:
metter, scordati de i lor tozzi antichi,
846 un patrimonio intero in un pasticcio,
e in faccia de' languenti Iri mendichi
l'innesto ritrovar del piccion-starna,
849 e pilottarlo poi coi beccafichi;
quindi è ch'il duol sempre più in me s'incarna:
di petto di fagian far le salcicce
852 e girne poi con faccia austera e scarna;
e con reti più certe e più massicce
a stabelirsi una futura calma
855 chirografi pescar con le graticce;
non aspirare ad altra gloria o palma
che del sollazzo, e aver per ciancia e apologo
858 ciò che doppo di noi sarà de l'alma;
e so, ben ch'io non sia né vate o astrologo,
ch'ognun qui studia in deligenza eccedere
861 d'aver megliore il cuoco che il teologo.
Bisogna, in somma, serrar gli occhi e cedere,
e dir che quanto a Babilonia agrada
864 tutto a spese si fa del nostro credere;
che qua si è trovo il ver sapon, la strada
da cancellar di povertà le macchie
867 e mondi aver senza sfodrar mai spada;
minchionar col crà crà, come a cornacchie,
mentir co i cieli ed appettare a i popoli
870 fole, chiacchere, ghigni e pataracchie;
e con faciacce da Costantinopoli,
col farem, col direm da i primi posti,
873 di speme ingravidar stati e metropoli;
e liberi di far conti con gli osti
e a scherno e in barba de' legati pii
876 perpetuar carnevali e farragosti;
e se più a dentro li ricerchi e spii,
sensa gli augei d'Annone e pari a i Russi
879 attributi usurparsi uguali a i dii;
e lungi affatto da sinistri influssi,
godere entro gemmati tabernacoli,
882 da più Mondi spremuti, i gaudi e i lussi.
Tralascia pur d'interrogar gli oracoli:
qui la Sorte compone e rappresenta
885 in compagnia del Caso i suoi miracoli.

TIRRENO
È ver; ma quel che m'ange e mi spaventa,
chi ci vien uom da ben sen parte un tristo
888 e spesso il tristo peggior vi diventa;
et io lo so, che in questi liti assisto:
quanti pieni d'Idio, colmi di zelo,
891 e zelo e Idio rinegar ci ho visto!
O Babel, o Babel, non sempre il cielo
di bambace compon sferze e flagelli,
894 né sempre i dardi suoi tempre han di gelo.
Sensi forse sariano assai più belli
i costumi adrizare e non le strade,
897 riformar l'ingordigge e no i capelli,
sbandir le simonie, la vanitade,
la giustizia avvivar che omai perisce,
900 premere a sollevar la fé che cade.
So che il detto divin mai non mentisce:
non dura il riso al labro del perverso
903 e degli empii la speme in fior svanisce.
Mírami quanto sai con occhio avverso,
che più tosto abitar vo' fra le cíliche
906 balze, che da me stesso esser diverso.
Tempo verrà ch'entro le tue basiliche
brindasi ti faranno in fogge varie
909 con i calici tuoi bocche sacriliche;
e con bagordi atèi, danze vinarie
profaneran le sacre tue divise
912 prostitute assemplee, turbe sicarie;
e 'l Fato istesso, ch'a inalzarti arrise,
quel diadema faratti in mille pezzi
915 che la nostra credenza al crin ti mise;
e con sferze d'inedie e di ribrezzi,
nel mutarti godrà ch'altri trasecoli
918 i plausi in scherni e in vituperii i vezzi.
D'eternar tue delizie indarno specoli:
oggetto un dì sarai d'atro coturno
921 e lo scheletro tuo spavento a i secoli.
Cangerassi il tuo Giove in fier Saturno
e toccherai con man che 'l mio presaggio
924 non fu di gufo o d'altro augel noturno.

ERGASTO
Facciam core, o Tiren, mutiam linguaggio,
e di' che, s'oggi hanno fortuna i furbi,
927 il non averne noi sia gran vantaggio;
più non vo' ch'il mio cor s'aggiti e turbi,
ché pochi ho visto in questo viver breve
930 i lustri trascinar sensa disturbi;
la sofferenza ogni gran mal fa lieve
e palesa tra i rischi e la disgrazia
933 che al vizio sol la povertade è greve:
col poco l'uom da ben si pasce e sazia.
Non più, non più di questo fiume ingordo,
936 ché il ciel ci dona assai quando ci strazia:
giova perder di lui ogni ricordo,
ché, quando fussi un Stentore secondo,
939 se parli di virtù l'Eufrate è sordo.
Fiume giammai non fu cotanto immondo,
poiché vi vengon baldanzose e liete
942 l'immondizie a colar di tutto il mondo.
Butta, butta per via l'amo e la rete,
ché in queste rive sordide e meschine,
945 a volerci pescar sorti e monete,
basta un capel d'un Ganimede o Frine.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 09/07/05 14.51.20

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