IX |
MORTE Dl LORENZO DE' MEDICI (1492). |
SUO RITRATTO. CONFRONTO CON COSIMO. |
Era in somma pace la città, uniti e stretti e' cittadini dello stato e quello
reggimento in tanta potenzia che nessuno si ardiva contradirlo; dilettavasi el popolo ogni
dí di spettaculi, di feste e cose nuove; nutrivasi coll'essere la città abundante di
vettovaglie e tutti gli esercizi in fiore ed essere; pascevansi gli uomini ingegnosi e
virtuosi collo essere dato ricapito e condizione a tutte le lettere, a tutte le arte, a
tutte le virtú; e finalmente la città sendo drento universalmente in somma tranquillità
e quiete, di fuori in somma gloria e riputazione per avere un governo ed un capo di
grandissima autorità, per avere frescamente ampliato lo imperio, per essere stata in gran
parte causa della salute di Ferrara e poi del re Ferrando, per disporre di Innocenzio
interamente, per essere collegata con Napoli e con Milano, per esser quasi una bilancia di
tutta Italia, nacque uno accidente che rivoltò ogni cosa in contrario, con scompiglio non
solo della città, ma di tutta Italia. E questo è che nel detto anno 1491 avendo Lorenzo
de' Medici avuto un male lungo e giudicato nel principio da' medici di non molta
importanza, né forse curato con la diligenzia si conveniva, e però occultamente avendo
sempre preso forze, finalmente a dí... di aprile 1492 passò della presente vita. |
Fu denotata questa morte come di momento grandissimo da molti presagi: era apparita
poco innanzi la cometa; erasi uditi urlare lupi; una donna in Santa Maria Novella
infuriata aveva gridato che uno bue colle corna di fuoco ardeva tutta la città, eransi
azzuffati insieme alcuni lioni ed uno bellissimo era stato morto dagli altri, ed
ultimamente un dí o dua innanzi alla morte sua, di notte una saetta aveva dato nella
lanterna della cupola di Santa Liperata e fattone cadere alcune pietre grandissime, le
quali caddono verso la casa de' Medici, ed alcuni etiam riputorono portento che maestro
Piero Lione da Spuleto, per fama primo medico di Italia, avendolo curato, si gittò come
disperato in un pozzo e vi annegò, benché alcuni dissono vi era stato gittato drento. |
Era Lorenzo de' Medici di età di anni quarantatré quando morí, ed era stato al
governo della città ventitré anni, perché quando morí Piero suo padre nel 69, era di
anni venti; e benché rimanessi tanto giovane e quasi in cura di messer Tommaso Soderini
ed altri vecchi dello stato, nondimeno in brieve tempo prese tanto piede e tanta
riputazione, che governava a suo modo la città. La quale autorità ogni dí
multiplicandogli e di poi diventata grandissima pella novità del 78 e di poi per la
ritornata da Napoli, visse insino alla morte governandosi e disponendosi la città tanto
interamente a arbitrio suo, quanto se ne fussi stato signore a bacchetta. E perché la
grandezza di questo uomo fu grandissima, che mai Firenze ebbe un cittadino pari a lui, e
la fama sua molto amplissima e doppo la morte e mentre visse, non mi parrà fuori di
proposito, anzi utilissimo descrivere particularmente e' modi e qualità sua, per quanto
n'abbi ritratto non da esperienzia, perché quando morí io ero piccolo fanciollo, ma da
persone e luoghi autentichi e degni di fede, e di natura che, se io non mi inganno, ciò
che io ne scriverrò sarà la pura verità. |
Furono in Lorenzo molte e preclarissime virtú; furono ancora in lui alcuni vizi,
parte naturali, parte necessari. Fu in lui tanta autorità, che si può dire la città non
fussi a suo tempo libera, benché abondantissima di tutte quelle glorie e felicità che
possono essere in una città, libera in nome, in fatto ed in verità tiranneggiata da uno
suo cittadino; le cose fatte da lui, benché in qualche parte si possino biasimare, furono
nondimeno grandissime, e tanto grande che recano piú ammirazione assai a considerarle che
a udirle, perché mancano, non per difetto suo ma della età e consuetudine de' tempi, di
quegli strepiti di arme e di quella arte e disciplina militare che recono tanta fama negli
antichi. Non si leggerà in lui una difesa bella di una città, non una espugnazione
notabile di uno luogo forte, non uno stratagema in uno conflitto ed una vittoria degli
inimici; e però non risplendono le cose sue di quegli fulgori delle arme; ma bene si
troverrà in lui tutti quegli segni ed indizi di virtú, che si possono considerare ed
apparire in una vita civile. Nessuno eziandio degli avversari e di quegli che l'hanno
obtrettato, negano che in lui non fussi uno ingegno grandissimo e singulare; e ne fa tanto
fede l'avere ventitré anni governata la città e sempre con augumento della potenzia e
gloria sua, che sarebbe pazzo chi lo negassi, massime sendo questa una città liberissima
nel parlare, piena di ingegni sottilissimi ed inquietissimi, ed uno imperio piccolo da non
potere cogli utili pascere tutti e' cittadini, ma sendo necessario che, contentatane una
piccola parte, gli altri ne fussino esclusi. Fanne fede la amicizia ed el credito grande
che ebbe con molti principi in Italia e fuori di Italia; con Innocenzio, col re Ferrando,
col duca Galeazzo, col re Luigi di Francia, infino al Gran turco, al Soldano, dal quale
negli ultimi anni della sua vita fu presentato di una giraffa, di uno lione e di castroni;
che non nasceva da altro che da sapere lui con gran destrezza ed ingegno trattenersi
questi principi. Fanne fede, apresso a chi lo udí, e' parlari sue publichi e privati,
tutti pieni di acume ed arguzia grande, co' quali in molti luoghi e tempi, e massime nella
dieta di Cremona, si fece acquisto grandissimo. Fanne fede le lettere dettate da lui,
piene di tanto ingegno che piú non si può desiderarne; le quale cose tanto parvono piú
belle, quanto furono accompagnate da una eloquenzia grande e da uno dire elegantissimo. |
Ebbe buono giudicio e di uomo savio, e nondimeno non di qualità da potersi paragonare
collo ingegno; e furono notate in lui piú cose temerarie: la guerra di Volterra, che per
volere sgarare e' volterrani in quegli allumi, gli constrinse a ribellarsi ed accese un
fuoco da mettere sottosopra tutta Italia, benché el fine fussi buono; doppo la novità
del 78, se si portava dolcemente col papa e col re, non arebbono forse rottogli guerra, ma
el volere procedere come ingiuriato e non volere dissimulare la ingiuria ricevuta,
potettono essere cagione della guerra con grandissimo danno e pericolo della città e suo;
l'andata a Napoli fu tenuta deliberazione troppo animosa e troppo corsa, sendosi messo
nelle mani di uno re inquietissimo infedelissimo ed inimicissimo suo, e se bene la
necessità della pace, in che era la città e lui, lo scusi, nondimeno fu opinione
l'arebbe potuta fare standosi in Firenze, con piú sua sicurtà e non con meno vantaggio. |
Appetí la gloria e la eccellenzia piú che alcuno altro, in che si può riprendere
avere avuto troppo questo appetito nelle cose eziandio minime, pel quale non voleva
eziandio ne' versi, ne' giuochi, negli esercizi essere pareggiato o imitato da alcuno
cittadino, sdegnandosi contro a chi facessi altrimenti; fu troppo eziandio nelle grande,
conciosiaché volessi pareggiarsi e gareggiare in ogni cosa con tutti e' principi di
Italia, il che dispiacque assai al signore Lodovico. Nondimeno in universum tale appetito
fu laudabile e fu cagione fare celebrare in ogni luogo, eziandio fuori di Italia, la
gloria ed el nome suo, perché si ingegnò che a' tempi sua fussino tutte le arte e le
virtú piú eccellente in Firenze che in altra città di Italia. Principalmente alle
lettere ordinò di nuovo a Pisa uno Studio di ragione e di arte, e sendogli mostro per
molte ragione che non vi poteva concorrere numero di studianti come a Padova e Pavia,
disse gli bastava che el collegio de' Lettori avanzassi gli altri. E però sempre vi lesse
a' tempi sua, con salari grandissimi, tutti e' piú eccellenti e piú famosi uomini di
Italia non perdonandosi né a spesa né a fatica per avergli, cosí fiorirono in Firenze
gli studi di umanità sotto messer Agnolo Poliziano, e' greci sotto messer Demetrio e poi
el Lascari, gli studi di filosofia e di arte sotto Marsilio Ficino, maestro Giorgio
Benigno, el conte della Mirandola ed altri uomini eccellenti. Détte el medesimo favore a'
versi vulgari, alla musica, alla architettura, alla pittura, alla scultura, a tutte le
arte di ingegno e di industria, in modo che la città era copiosissima di tutte queste
gentilezze; le quali tanto piú emergevano quanto lui, sendo universalissimo, ne dava
iudicio e distingueva gli uomini, in forma che tutti per piú piacergli facevano a gara
l'uno dell'altro. Aiutavalo la sua liberalità infinita, colla quale abondava a' valenti
uomini le provisione e gli soppeditava tutti gli instrumenti necessari alle arte loro come
quando per fare una libreria greca mandò el Lascari, uomo dottissimo e che leggeva greco
in Firenze, e cercare insino in Grecia libri antiqui e buoni. |
Questa medesima liberalità gli conservava el nome e le amicizie co' principi e fuora
di Italia, non pretermettendo lui alcuna spezie di magnificenzia, con sua gandissima spesa
e danno, colla quale potessi trattenersi gli uomini grandi; in forma che moltiplicando a
Lione, a Milano, a Bruggia e ne' luoghi dove erano e' traffichi e ragione sua, le spese
per le magnificenzie e donativi, e diminuendosigli e' guadagni per non essere governate da
uomini sufficienti, come Lionetto de' Rossi, Tommaso Portinari e simili, ed inoltre non
gli sendo renduti e' conti bene, perché lui non si intendeva della mercatura e non vi
badava, si condusse piú volte in tanto disordine, che fu per fallire e gli fu necessario
aiutarsi e co' danari degli amici e co' danari publici. E però nel 78 accattò da'
figliuoli di Pierfrancesco de' Medici ducati sessantamila, e' quali non potendo loro
rendere, gli pagò di quivi a qualche anno assegnando loro Cafaggiuolo colle possessione
aveva in Mugello; ordinò che in quella guerra e' soldati si pagassino al banco de'
Bartolini, dove lui participava; e per suo ordine era ritenuta ne' pagamenti tanta
quantità che portava circa a otto per cento, che tornava danno al comune; perché e'
condottieri tenevano tanto manco gente che si salvavano, ed el commune bisognava facessi
tante piú condotte. Cosí di poi in altro tempo si valse del publico per soccorrere a'
bisogni e necessità sua, che furono piú volte sí grandi, che nello 84 per non fallire,
fu constretto accattare dal signore Lodovico ducati quattromila e vendere un a casa aveva
in Milano per altri quattromila, che era stata donata dal duca Francesco a Cosimo suo
avolo; che è da credere rispetto alla sua natura tanto liberale e magnifica, lo facessi
colle lagrime in su gli occhi. Di che vedutosi abandonato dagli aviamenti de' trafichi, si
volse a fare una entrata di possessione di quindicimila o ventimila ducati; e si distese
in modo oltra alle antiche sue in quello di Pisa che doveva essere a diecimila. |
Fu di natura molto superbo, ed in modo che, oltre al non volere che gli uomini si gli
opponessino, voleva ancora intendessino per discrezione, usando nelle cose importante
poche parole e dubie; nello ordinario del conversare molto faceto e piacevole; nel vivere
in casa piú tosto civile che suntuoso, eccetto che ne' conviti co' quali onorava molto
magnificamente assai forestieri nobili che venivano a Firenze, fu libidinoso e tutto
venereo e constante negli amori sua, che duravano parecchi anni; la quale cosa, a giudicio
di molti, gli indebolí tanto el corpo che lo fece morire, si può dire, giovane. L'ultimo
amore suo, e che durò molti anni, fu in Bartolomea de' Nasi, moglie di Donato Benci nella
quale, benché non fussi formosa, ma maniera e gentile era in modo impaniato, che una
vernata che lei stette in villa, partiva di Firenze a cinque o sei ore di notte in sulle
poste con piú compagni e la andava a trovare, partendosene nondimeno a tale ora, che la
mattina innanzi dí fusse in Firenze. Della quale cosa dolendosi molto Luigi dalla Stufa
ed el Butta de' Medici che vi andavono in sua compagnia, lei accortasene gli messe tanto
in disgrazia di Lorenzo, che per contentarla mandò Luigi imbasciadore al Soldano, ed el
Butta al Gran turco. Cosa pazza a considerare che uno di tanta grandezza riputazione e
prudenzia, di età di anni quaranta, fussi sí preso di una donna non bella e già piena
di anni, che si conducessi a fare cose che sarebbono state disoneste a ogni fanciullo. |
Fu tenuto da qualcuno di natura crudele e vendicativo per la durezza usò nel caso de'
Pazzi, imprigionando e' giovani innocenti e non volendo si maritassino le fanciulle, doppo
tante uccisione si erano fatte in quegli giorni. Nondimeno quello accidente fu tanto
acerbo, che non fu maraviglia si risentissi estraordinariamente, e si vede pure poi che
mitigato dal tempo, dette licenzia che le fanciulle si maritassino e fu contento che e'
Pazzi uscissino di prigione e andassino a stare fuori del territorio; vedesi ancora negli
altri suoi processi non avere usato crudeltà, né essere stato uomo sanguinoso. Ma quello
che fu in lui piú grave e molesto che altra cosa, fu el sospetto, causato forse non tanto
da natura, quanto dal cognoscersi avere a tenere sotto una città libera, e nella quale
era necessario che le cose s'avevano a fare, si facessino da' magistrati e secondo gli
ordini della città e sotto spezie e forma di libertà; e però ne' principi suoi, come
prima cominciò a pigliare piede, attese a tenere sotto quanto poteva tutti quegli
cittadini, e' quali cognosceva o per nobilità o per ricchezza o per potenzia o per
riputazione dovere essere stimati per lo ordinario. E benché a questi tali, se erano di
casa e stirpe confidente allo stato, fussino concessi largamente e' magistrati della
città, le imbascierie commessene e simili onori, nondimeno non si fidando di loro, faceva
signori degli squittini, delle gravezze, e conferiva gli intrinsechi segreti sua a uomini,
a chi e' dava riputazione, che fussino di qualità che sanza lo appoggio suo non avessino
seguito. Di questi fu un messer Bernardo Buongirolami, Antonio di Puccio, Giovanni
Lanfredini, Girolamo Morelli (benché questo diventò poi sí grande che nel 79 gli fece
paura), messer Agnolo Niccolini, Bernardo del Nero, messer Pietro Alamanni, Pierfilippo
Pandolfini, Giovanni Bonsi, Cosimo Bartoli ed altri simili, benché in tempi diversi,
urtando qualche volta messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo Guicciardini, messer
Antonio Ridolfi, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Giovanni Canigiani, e poi
Francesco Valori, Bernardo Rucellai, Piero Vettori, Girolamo degli Albizzi, Piero Capponi,
Pagolantonio Soderini ed altri simili. Dì qui nacque el tirare su Antonio di Bernardo, el
quale, sendo artefice, fu proposto alla cura del Monte con tanta autorità che si può
dire governassi e' due terzi della città ser Giovanni notaio alle riformagione, el quale,
figliuolo di uno notaio da Pratovecchio, ebbe tanto favore, che avendo avuto tutti gli
altri magistrati e sendo molto compiaciuto da lui, sarebbe stato gonfaloniere di
giustizia; messer Bartolomeo Scala, quale, figliuolo di uno mugnaio da Colle, sendo
cancelliere maggiore della signoria, fu fatto gonfaloniere di giustizia con grandissimo
scoppio e sdegno di tutti gli uomini da bene, ed insomma, benché gli uomini della
qualità di quegli di sopra intervenissino alle cose, nondimeno nel consiglio del Cento,
negli squittini, nelle gravezze, vi mescolava tanti uomini mezzani, de' quali aveva fatto
intelligenzie, che loro erano signori del giuoco. |
Questo medesimo sospetto gli fece tenere cura che molti uomini potenti da per loro non
si imparentassino insieme, e si ingegnava apaiargli in modo non gli dessino ombra,
strignendo qualche volta, per fuggire queste coniunzioni, de' giovani di qualità a tôrre
per donna alcune che non arebbono tolte, ed insomma era la cosa ridotta in modo che non si
faceva parentado alcuno piú che mediocre sanza participazione e licenzia sua. Questo
medesimo sospetto fu causa, acciò che gli imbasciadori che andavano fuora non uscissino
della voglia sua, di ordinare che a Roma, a Napoli, a Milano stessi fermo un cancelliere
salariato dal publico, che stessi a' servigi dello imbasciadore vi risedeva, co' quali lui
teneva conto da parte ed era avisato delle cose occorrente. Non voglio mettere fra'
sospetti el menarsi drieto un numero grande di staffieri colle arme, e' quali lui favoriva
assai dando a alcuni spedali e luoghi pii, perché la novità de' Pazzi ne fu cagione;
nondimeno non era spezie di una città libera e di uno cittadino privato, ma di uno
tiranno e di una città che servissi. Ed insomma bisogna conchiudere che sotto lui la
città non fussi in libertà, nondimeno che sarebbe impossibile avessi avuto un tiranno
migliore e piú piacevole; dal quale uscirono per inclinazione e bontà naturale infiniti
beni, per necessità della tirannide alcuni mali ma moderati e limitati tanto quanto la
necessità sforzava, pochissimi inconvenienti per volontà ed arbitrio libero, e benché
quegli che erano tenuti sotto si rallegrassino della sua morte, nondimeno agli uomini
dello stato ed ancora a quegli che qualche volta erano urtati, dispiacque assai, non
sapendo dove per la mutazione delle cose avessino a capitare. Dolse ancora molto allo
universale della città ed al popolo minuto el quale del continuo era tenuto da lui in
abondanzia, in piaceri, dilettazioni e feste assai; dette grandissimo affanno a tutti gli
uomini di Italia che avevano eccellenzia in lettere in pittura, scultura o in simili arte,
perché o erano condotti da lui con grandi emolumenti, o erano tenuti in piú riputazione
dagli altri principi, e' quali dubitavano, non gli vezzeggiando, non se ne andassino da
Lorenzo. |
Lasciò tre figliuoli maschi: Piero, el primo, di età d'anni circa ventuno; messer
Giovanni cardinale, el secondo, el quale poche settimane innanzi alla sua morte aveva
ricevuto el cappe]lo ed era stabilito nella dignità del cardinalato, Giuliano, el terzo,
ancora fanciullo. Fu di statura mediocre, el viso brutto e di colore nero, pure con aria
grave; la pronunzia e boce roca e poco grata perché pareva parlassi col naso. |
Sono molti che ricercano chi fussi piú eccellente o Cosimo o lui; perché Piero,
benché di pietà e clemenzia avanzassi l'uno e l'altro, fu sanza dubio inferiore di loro
nelle altre virtú. Nella quale quistione pare da conchiudere che Cosimo avessi piú
saldezza e piú giudicio, perché lui fece lo stato, e da poi che l'ebbe fatto, se lo
godé trent'anni sicuramente, si può dire, e sanza contradizione, comportando bene uno
pari di Neri, e gli altri di chi aveva qualche sospetto, sanza venire a rottura con loro e
nondimeno in modo ne fussi sicuro. Ed in tante occupazioni dello stato non lasciò le cura
della mercatantia e delle cose sue private, anzi le governò con tanta diligenzia e con
tanto cervello, che si trovò sempre le ricchezze maggiore dello stato, el quale era
grandissimo, e non fu constretto per bisogno avere a maneggiare l'entrate publiche, né a
usurpare quello de' privati. In Lorenzo non fu tanto giudicio, benché avessi una briga
sola di conservare lo stato, perché lo trovò fatto; nondimeno lo conservò con molti
pericoli, come fu la novità de' Pazzi e la gita di Napoli; nelle mercatantie e cose
private non ebbe intelligenzia, in modo che andandogli male, fu forzato valersi del
publico e forse in qualche cosa del privato, con grandissima infamia e carico suo, ma
abondorono in lui eloquenzia destrezza ingegno universale in delettarsi di tutte le cose
virtuose e favorirle; in che Cosìmo al tutto mancò, el quale si dice, massime da
giovane, essere stato nel parlare piú tosto inetto che altrimenti. |
La magnificenzia dell'uno e dell'altro fu grandissima, ma in spezie diverse: Cosimo in
edificare palazzi, chiese nella patria e fuori della patria, e cose che avessino a essere
perpetue ed a mostrare sempre presente fama di lui, Lorenzo cominciò al Poggio a Caiano
una muraglia suntuosissima e non la finí prevenuto dalla morte; e con tutto fussi in sé
cosa grande, nondimeno rispetto alle tante e tali muraglie di Cosimo, si può dire murassi
nulla; ma fu grandissimo donatore e co' doni e liberalità sua si fece grandissime
amicizie di principi e di uomini erano apresso a loro. Per le quali cose si può in
effetto a mio giudicio conchiudere che, pesato insieme ogni cosa, Cosimo fussi piú
valente uomo, e nondimeno per la virtú e per la fortuna l'uno e l'altro fu sí
grandissimo, che forse dalla declinazione di Roma in qua non ha avuto Italia uno cittadino
privato simile a loro. |
Intesasi in Firenze la morte di Lorenzo, perché morí a Careggi al luogo suo, vi
concorse subito moltissimi cittadini a visitare Piero suo figliuolo, al quale, per essere
el maggiore, si aparteneva per successione lo stato; e di poi si feciono in Firenze le
esequie sanza pompa e suntuosità, ma con concorso di tutti e' cittadini della città,
tutti con qualche segno di bruno, e con dimostrazione di essere morto uno publico padre e
padrone della città; la quale sí come in vita sua, raccolto insieme ogni cosa, era state
felice, cosí doppo la morte sua cadde in tante calamità ed infortuni, che multiplicorono
infinitamente el desiderio di lui e la riputazione sua. |
|
X |
PRIMI TEMPI DELLA SUCCESSIONE Dl PIERO DE' MEDICI. |
ELEZIONE Dl PAPA ALESSANDRO VI BORGIA. |
PIERO Sl ALIENA LO STATO Dl MILANO |
Morto Lorenzo, e' cittadini dello stato ristrettisi insieme si risolverono che lo
stato continuassi in Piero, e lo abilitorono pe' consigli agli onori, gradi e prerogative
aveva el suo padre Lorenzo, ed in effetto transferirono in lui tutta quella autorità e
grandezza. El papa, Napoli, Milano e gli altri principi e potentati di Italia mostrorono
dolersi assai della morte di Lorenzo e mandorono imbasciadori a Firenze a condolersi, ed
inoltre a raccomandare e' figliuoli e confortare che per buono stato della città
conservassino a Piero el grado del padre, faccendo in effetto tutti a gara di guadagnarsi
Piero e farselo benivolo. Ed infra gli altri furono le dimostrazione del signore Lodovico
grandissime, mandando per imbasciadore messer Antonio Maria da Sanseverino, figliuolo del
signore Ruberto, uomo riputato assai e caro al signore Lodovico, ed accumulando tutti
quegli segni di affezione e benivolenzia erano possibili. Furono questi princípi di Piero
sí grandi, avendo sí gagliardamente in beneficio suo la unione della città ed el favore
de' principi, che se a tanta fortuna e stato fussi pure mediocremente corrisposto la
prudenzia, era in modo confitto in quella autorità, che era quasi impossibile ne cadessi;
ma el suo poco cervello e la mala sorte della città feciono facilissimo quello che pareva
non potessi essere. Nella quale cosa io mi ingegnerò di mostrare non solo gli effetti e
le cagione in genere, ma ancora, quanto piú particularmente potrò le origine e le fonte
di tutti e' mali. |
Transferita, anzi perpetuata in Piero questa grandezza del padre, e parendo che nel
principio si consigliassi cogli amici del padre e dello stato, come si diceva avergli
ricordato Lorenzo alla morte, accadde che Bernardo Rucellai che aveva avuto per donna una
sorella di Lorenzo, e Paolantonio Soderini che era cugino carnale di Lorenzo e nato di una
sorella della madre sua, ed e' quali erano stati a tempo di Lorenzo adoperati assai, pure
con quegli riguardi che erano gli altri che sanza el caldo di Lorenzo parevano atti a
avere per lo ordinario riputazione nella città ristrettisi insieme credo con desiderio di
mantenere pure lo stato a Piero, ma che e' limitassi e moderassi alcuna di quelle cose che
a tempo di Lorenzo erano state grave a' cittadini e le quali, insino vivo Lorenzo,
Bernardo Rucellai aveva qualche volta biasimate, gli cominciorono a persuadere che e'
volessi usare moderatamente la autorità sua e, quanto pativa la conservazione dello stato
suo, accostarsi piú tosto a una vita civile, che continuare in quelle cose che davano
ombra di tiranno, per le quale molti cittadini avevano voluto male a Lorenzo; mostrandogli
che in effetto questo sarebbe un fortificare lo stato suo per la grazia e benivolenzia ne
acquisterebbe colla città. |
Non era naturalmente el cervello di Piero inclinato a essere capace di questi ricordi,
perché, come tutto dí mostrorono e' processi sua, la sua natura era tirannesca ed
altiera, ma vi si aggiunse che, come fu intesa questa cosa, subito ser Piero da Bibbiena
suo cancelliere ed alcuni cittadini, fra' quali si dice essere stato vivamente Francesco
Valori, gli dissono che questo non era el bene suo, e che chi lo consigliava cosí, gli
voleva fare perdere lo stato; in modo che non solo non seguitò el parere di Bernardo e
Pagolantonio, ma insospettito tacitamente di loro, gli cominciò piú tosto a ributtare
che no. Di che loro accorgendosi, non procederono saviamente come dovevano, anzi poco poi
si contrasse, sanza participazione di Pero se non doppo el fatto, parentado fra loro e gli
Strozzi, perché Bernardo dette una sua figliuola piccola per donna a Lorenzo figliuolo
già di Filippo Strozzi, ancora fanciullo, e Paolantonio dette per moglie a Tommaso suo
primo figliuolo una figliuola di Filippo Strozzi con dota grande. |
Non potette questo parentado dispiacere piú a Piero, parendogli che el congiugnersi
dua uomini di tale autorità insieme con una casa che, benché non avessi stato, era di
momento per essere nobile, ricca, di numero grande d'uomini e malcontenta del reggimento,
fussi uno principio di volergli far testa contro e tòrgli el governo; interpretando
massime essendo questo secondo segno loro, che quegli primi ricordi loro fussino stati a
cattiva fine. Insospettito adunche di loro e sdegnato, ed incitatone da ser Piero ed altri
che, per essere in piú riputazione con lui, gli augumentavano questi sospetti, roppe con
loro e gli alienò in tutto da ogni cura dello stato, mostrando apertamente riputargli
inimici sua; di che loro vedendosi ribattuti se ne governorono diversamente: Paolantonio,
mostrando dolersi di quello che aveva fatto, con pazienzia e con favore di Niccolò
Ridolfi suo cognato, e rificcandosi sotto, ingegnava di rapiccarsi; Bernardo, di natura
piú tosto da rompersi che piegarsi accresceva ogni dí questa mala disposizione di Piero
inverso di lui facendo segni manifesti che el presente governo gli dispiacessi. |
Questa disunione di costoro con Piero non solo lo fece insospettire di loro, ma quasi
cominciando a credere che tutti gli uomini di qualità, o la maggiore parte, fussino dello
animo medesimo, dette occasione a ser Piero, a messer Agnolo Niccolini ed alcuni altri
maligni, di persuadergli non si confidassi degli amici del padre; in modo che, benché non
si gli alienassi apertamente, anzi, eccetto Bernardo e Paolantonio, gli conservassi negli
onori e degnità, pure non se ne fidando interamente, si governava piú per consiglio suo
e di messer Agnolo e ser Piero che di loro; in forma che loro governavano quasi ogni cosa
e si vendicorno autorità grandissima, come avevano da principio malignamente disegnato e
di poi cerco, con grandissimo danno di Piero; perché chi considererà bene farà giudicio
che el disporre Piero a non prestare fede a' cittadini savi ed amici dello stato, fussi el
principio della ruina sua. |
Ne l'anno medesimo e del mese di..., morí papa Innocenzio ed in suo luogo fu eletto
Roderigo Borgia valenziano, vicecancelliere, nipote di papa Calisto, el quale salí in
questo grado con favore del signore Lodovico e di monsignore Ascanio, che in remunerazione
fu creato vicecancelliere; ma principalmente per simonia, perché con danari, con ufici,
con benefíci, con promesse e con tutte le forze e facultà sua si pattuí e comperò le
voce de' cardinali e del collegio; cosa bruttissima e abominabile, e principio
convenientissimo a' suoi futuri tristi processi e portamenti. Furono creati subito per la
città a dargli la obedienzia, secondo el commune costume de' cristiani, oratori messer
Gentile vescovo aretino, el quale di nazione di quello di Urbino, sendo suto maestro di
Lorenzo e sendo uomo dotto e virtuoso, era stato per suo favore sublimato a quello grado;
messer Puccio di Antonio Pucci dottore di legge; Tommaso Minerbetti, che vi andò per
essere, come fu, fatto cavaliere dal papa; Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e
Piero de' Medici. E' quali ordinandosi per andare, fu introdotto dal signore Lodovico che,
sendo collegati Napoli, Milano e Firenze, sarebbe bene per riputazione della lega che gli
imbasciadori di tutti si convenissino in qualche luogo presso a Roma e di poi entrassino
insieme ed esponessino communemente in nome di tutti a tre la imbasciata. Fu consentito a
Firenze ed a Napoli; di poi messer Gentile, desideroso di fare la orazione, la quale
sarebbe tocca allo oratore del re', persuase a Piero essere bene che ognuno entrassi ed
esponessi separatamente. Scrissesi a Napoli al re che vi disponessi el signore Lodovico;
el quale lo fece, manifestandogli però farlo per compiacere a' fiorentini; alterossene el
signore Lodovico, non gli piacendo questa variazione e dubitando che Piero non fussi per
intendersi molto seco. E sendosi seguito in questo secondo modo, si aggiunse una altra
alterazione, perché sendo eletti per Milano oratori messer Ermes fratello del duca, ed
alcun'altri de' primi, e sendosi magnificamente ordinati, furono tanto grandi e suntuosi
gli apparati di Piero, che superorono di gran lunga quegli; di che si commosse assai el
signore Lodovico, parendogli che Piero avessi voluto gareggiare seco e non solo si volessi
agguagliare a sé e gli altri principi di Italia, ma eziandio avanzargli. Queste cose
cosí minime, benché non lo alienassino da Piero nondimeno preparorono la via che le
maggiore potessino piú facilmente indurre alterazione, delle quali avessi finalmente a
seguitare la ruina commune. |
Aveva el signore Francesco Cibo, figliuolo di papa Innocenzio e cognato di Piero de'
Medici, tenuto, vivente el padre, alcune terre in quello di Roma che si apartenevano alla
Chiesa, e dubitando per la creazione del nuovo pontefice non le avere a perdere, le vendé
per mezzo di Piero al signore Virginio Orsino parente di Piero, el quale era nato di madre
Orsina ed aveva per donna una degli Orsini. E fu trattata questa cosa con ordine del re
Ferrando, del quale Virginio era soldato, perché vedendo el re, el papa esser creato con
favore di Milano, volle che queste terre fussino uno osso in gola al papa, col quale gli
Orsini potessino strignerlo a suo proposito, ed al medesimo fine dava favore a Giuliano
cardinale di San Piero in Vincula, el quale teneva Ostia e non la voleva rendere al papa.
Èbbene el papa dispiacere assai, e non minore el signore Lodovico, parendogli fussi a suo
beneficio, per la amicizia aveva col papa, mantenerlo grande ed in riputazione, e cosí
avendo per male che el re pigliassi piú forze e piú autorità s'avessi, perché dubitava
che quando potessi lo caccierebbe del governo di Milano, perché quello stato fussi nelle
mani del duca. Ed oltre a' rispetti el papa e re, gli dispiacque che Piero si fussi
gittato in collo al re; e persuadendosi che el re per mezzo degli Orsini ne avessi sempre
a disporre, e lui a non se ne potere valere nulla, infiammatovi drento, deliberò non
soportare questa ingiuria. Ed avendo piú volte fatto intendere a messer Antonio di
Giennaro oratore del re, ed a messer Agnolo Niccolini e di poi a Piero Guicciardini, che
successivamente furono imbasciadori a Milano per la città quanto gli dispiacessi l'essere
el papa bistrattato, e che se Virginio non restituiva le terre, lui non era per avere
pazienzia; e vedendo la cosa andare in lungo ed essere menato di parole, finalmente nel
principio dell'anno 1493 conchiuse una lega col papa e co' viniziani, nella quale oltre
agli oblighi generali delle mutue difese degli stati, e' viniziani e lui si obligorono a
pagare uno certo numero di gente d'arme al papa, quale lui potessi recuperare le terre
teneva Virginio. E poco poi parendogli che e' viniziani procedessino lenti a favorire el
papa e muovere le arme, e vedendosi al tutto inimicato col re e co' fiorentini sdegnato, e
volendosi a un tratto assicurare e vendicare, cominciò a tenere pratica con Carlo re di
Francia, che e' passassi in Italia allo acquisto del reame di Napoli, quale pretendeva
apartenersigli per essere erede degli Angioini, promettendogli aiuto di danari. E perché
el re era giovane e volenteroso e naturalmente inclinato a questa impresa, trovò gli
orecchi della corte piú facili a questa pratica che non si stimava; la quale
riscaldandosi e divulgandosi per Italia, e come el re era disposto al tutto passare, e
publicamente lui e la corte lo diceva, vi fu mandati imbasciadori per la città, non con
animo di fare conclusione messer Gentile vescovo di Arezzo e Piero Soderini, al quale
Piero aveva cominciato a dare riputazione per fare dispetto a Paolantonio suo fratello
maggiore. |
Questi furono e' princípi e le origine della ruina di Italia, e particularmente di
Piero de' Medici; el quale, oltre a trovarsi qualche disunione nella città, si alienò
totalmente nello stato di Milano dal quale, poiché era stato in mano degli Sforzeschi,
sempre la città e particularmente la casa sua, aveva tratto riputazione e sicurtà
grandissima. Publicandosi e certificandosi piú ogni dí che el re voleva passare in
Italia, el re Ferrando fece accordare Virginio col papa non però restituendogli le terre,
ma ricomperandole e pigliandole in feudo dalla Chiesa con certa somma di danari. Ma sendo
già gonfiati gli animi tra Napoli e Milano, e pieni di diffidenzia ed odio grandissimo el
signore Lodovico seguitava la pratica co' Franzesi, e' quali non dicevano piú volere
passare, ma si mettevano in ordine di farlo di prossimo E ricercando loro la città di
fare composizione e dichiararsi con loro, per mettere tempo in mezzo e dare parole,
licenziati e' primi imbasciadori, vi furono mandati nuovi oratori messer Guidantonio
Vespucci e Piero Capponi. |
Nella fine dell'anno morí el re Ferrando, e venne lo stato in Alfonso duca di
Calavria suo primogenito el quale scrisse una lettera di mano propria al signore Lodovico,
sí amorevole e sí piena di buone parole e promesse di volere essere suo, che lo commosse
grandemente e lo inanimò a volere pensare di pacificare le cose di Italia e divertire
questo umore de' Franzesi. Ma sendo poi per non so che piccolo accidente, di nuovo
rialterati gli animi, riscaldando tutto dí le cose di Francia, el papa dubitando forse
che troppa piena non venissi in Italia si accordò col re Alfonso e co' fiorentini per le
quali cose piú riscaldato el signore Lodovico, ed al tutto inimico del re e di Piero de'
Medici, e persuadendosi, se loro non ruinavano, non potere essere salvo, non restava a
fare nulla per condursi al disegno suo. |
|
|
XI |
CONDOTTA POLITICA Dl PIERO DE' MEDICI. |
DISCESA Dl CARLO VIII. |
FUGA DI PIERO DA FIRENZE (1494). |
1494 Erano in Firenze Lorenzo e Giovanni figliuoli di Pierfrancesco de' Medici,
giovani ricchissimi e di gran benivolenzia col popolo per non avere maneggiato cose che
dispiacessino; e' quali non sendo bene contenti di Piero, massime Giovanni che era di
natura inquietissimo e sollevava Lorenzo uomo bonario, cominciorono a tenere qualche
pratica col signore Lodovico per mezzo di Cosimo figliuolo di Bernardo Rucellai, el quale,
inimico di Piero, si era partito di Firenze. E sendo in su' princípi, e non avendo ancora
trattato cosa di importanza, venuta la cosa a luce, di aprile nel 94 furono tutt'a due
sostenuti; e poi che ebbono aperto quello che avevano, benché Piero fussi malissimo
disposto con loro, nondimeno non concorrendo a insanguinarsi e' cittadini dello stato
furono liberati e confinati fuori di Firenze alle loro possessioni a Castello, e Cosimo
Rucellai assente ebbe bando di rubello. |
Ed in quegli medesimi dí entrorono in Firenze quattro imbasciadori franzesi, e' quali
andavano a Roma, ed esposono per transito la deliberazione del re e gli apparati faceva
per passare in Italia, richiedendo la città lo favorissi o almeno gli concedessi per le
sue gente passo e vettovaglia. Fu per voluntà di Piero, che per intercessione degli
Orsini si era tutto dato al re di Napoli, contro al parere di tutti e' savi cittadini,
negato l'uno e l'altro, pretendendo non poterlo fare per la lega vegghiava ancora col re
Alfonso, e ribollendo ogni dí le cose, furono mandati dalla città imbasciadori a Vinegia
Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, per intendere la intenzione loro circa a
questi movimenti e persuadere loro non volessino lasciare andare innanzi la ruina di
Italia. E cosí ogni dí piú la città si scopriva per Napoli contro a Francia, con
dispiacere universale del popolo, inimico naturalmente della casa di Ragona ed amico di
Francia, contro alla voglia ancora de' cittadini dello stato, e' quali vedendo Piero tanto
ostinato a questa via non si ardivano contradirgli; e massime che messer Agnolo Niccolini
e quegli piú suoi intrinsechi, parlavano sempre nella pratica sanza rispetto per questa
parte. |
Aveva Piero fatto una pratica stretta di cittadini, co' quali si consultavano queste
cose dello stato: messer Piero Alamanni, messer Tommaso Minerbetti, messer Agnolo
Niccolini, messer Antonio Malegonnelle, messer Puccio Pucci, Bernardo del Nero, Giovanni
Serristori, Pierfilippo Pandolfini, Francesco Valori, Niccolò Ridolfi, Piero
Guicciardini, Piero de' Medici ed Antonio di Bernardo; a' quali tutti, da pochi in fuora,
dispiaceva questa risoluzione, nondimeno sendo favorita da' piú intrinsechi, non si
opponevano, eccetto qualche volta e non molto Francesco Valori e Piero Guicciardini. Ma
perché Piero in spirito intendeva quanto la sodisfacessi, non conferiva loro tutte le
lettere e gli avisi, ma solo quelle cose che diminuivano ed erano in disfavore del re di
Francia, el quale tutto dí si metteva in ordine, ed a Genova per conto suo si armavano
legni e se ne faceva scala della guerra. |
Per la qual cosa el re Alfonso, considerando di quanto momento sarebbe el levargli la
oportunità di Genova, avendo spalle da alcuni fuorusciti genovesi, fece impresa mutare lo
stato di Genova e mandò a Pisa don Federigo suo fratello con una grossa armata; el quale
di poi andato a porto Spezie e messo gente in terra, furono quegli che scesono ributtati e
rotti; di che don Federigo, non riuscendo la impresa, si ritornò a Pisa. E parendo al re
ed a Piero che el tenere bene guardata Serezzana, rispetto allo essere el passo
fortissimo, impedissi al re Carlo potere passare da quelle parte, per tòrgli ancora el
passo di Romagna, mandorono Ferrando duca di Calavria, primogenito del re, in Romagna con
uno esercito grosso, acciò che colle spalle di Cesena, terra della Chiesa, e di Faenza,
che era nella nostra raccomandigia, si opponessi a' franzesi. Nel qual tempo el re Carlo,
desideroso passare pe' terreni nostri pacificamente, mandò di nuovo uno oratore a Firenze
a richiedere del passo, promettendo largamente amicizia e tutti e' favori e commodità
potessi fare alla città; la quale cosa sendo pure rifiutata, cacciò del regno suo tutti
e' mercatanti nostri. Né per questo si raffreddava la ostinazione di Piero; anzi parte
mosso dalla amicizia teneva col re Alfonso e cogli Orsini, parte insospettito dal signore
Lodovico, con favore di chi el re Carlo passava, e perché Lorenzo e Giovanni di
Pierfrancesco erano partitisi da' confini e rifuggitisi a lui, ogni dí perseverava nella
ruina sua, ed attendendo a fortificarsi e fare capo grosso a Pisa per rispetto di
Serezzana e di quella banda, vi furono mandati commessari generali per conto di tutta la
guerra, Pierfilippo Pandolfini e Piero Guicciardini. |
Era una parte dello esercito del re Carlo poco innanzi passate l'Alpe, e da poi lui
personalmente col resto dello esercito venutone in Italia; nel quale era grandissimo
numero di uomini d'arme, fanterie ed artiglierie, ma quanto non so el particulare. Ed era
entrata in Italia una fiamma ed una peste che non solo mutò gli stati, ma e' modi ancora
del governargli ed e' modi delle guerre, perché dove prima, sendo divisa Italia
principalmente in cinque stati, papa, Napoli, Vinegia, Milano e Firenze, erano gli studi
di ciascuno per conservazione delle cose proprie, vòlti a riguardare che nessuno
occupasse di quello d'altri ed accrescessi tanto che tutti avessino a tèmerne, e per
questo tenendo conto di ogni piccolo movimento che si faceva e faccendo romore eziandio
della alterazione di ogni minimo castelluzzo, e quando pure si veniva a guerra erano tanto
bilanciati gli aiuti e lenti e' modi della milizia e tarde le artiglierie, che nella
espugnazione di uno castello si consumava quasi tutta una state, tanto che le guerre erano
lunghissime ed e' fatti d'arme si terminavano con piccolissima e quasi nessuna uccisione
Ora per questa passata de, franciosi, come per una subita tempesta rivoltatasi sottosopra
ogni cosa, si roppe e squarciò la unione dl Italia ed el pensiero e cura che ciascuno
aveva alle cose communi in modo che vedendo assaltare e tumultuare le città, e' ducati ed
e' regni, ciascuno stando sospeso cominciò attendere le sue cose proprie né si muovere
per dubitare che uno incendio vicino, una ruina di uno luogo prossimo avessi a ardere e
ruinare lo stato suo. Nacquono le guerre subite e violentissime, spacciando ed acquistando
in meno tempo uno regno che prima non si faceva una villa; le espugnazione delle città
velocissime e condotte a fine non in mesi ma in dí ed ore, e' fatti d'arme fierissimi e
sanguinosissimi. Ed in effetto gli stati si cominciorono a conservare, a rovinare, a dare
ed a tôrre non co' disegni e nello scrittoio come pel passato, ma alla campagna e colle
arme in mano. |
Sceso el re in Italia e venendone a Milano, el signore Lodovico, benché fussi passato
per introdotto suo e fussi in amicizia seco, nondimeno considerando la infidelità de'
principi e massime de' franzesi, e' quali per gli utili e commodi loro tengono poco conto
della fede e dell'onore, cominciò a dubitare che el re sotto ombra di volere che lo stato
fussi liberamente in mano del duca Giovan Galeazzo suo nipote, non lo levassi di quello
governo a qualche suo proposito; per tòrgli ogni occasione di nuocere, gli dette el
veleno. Del quale sendo morto lo innocentissimo giovane, fatti subito ragunare e'
cittadini di Milano, sendovi alcuni che per suo ordine lo proposono, fu eletto duca,
benché del signore morto rimanessi uno piccolo e bellissimo fanciullo. Entrato di poi el
re Carlo in Milano e quivi ricevuto onoratissimamente, se ne venne per la via di
Pontriemoli con una parte dello esercito alla volta di Lunigiana, avendone mandate una
altra in Romagna a rincontro del duca di Calavria; e perché el castello di Serezzana era
fortissimo e bene fornito di artiglierie e di tutte le cose necessarie da difesa, per non
vi perdere tempo voltosi verso Fivizzano lo prese e saccheggiò con uno grandissimo
terrore di tutta quella provincia. |
A Firenze erano le cose condizionate e disposte male, e lo stato di Piero molto
indebolito; ed el popolo vedendosi tirata adosso una guerra potentissima e da non potere
reggere, sanza bisogno e necessità alcuna, anzi per favorire e' ragonesi che erano
universalmente in odio, contro a' franzesi amati assaí nella città, sparlava
publicamente di Piero, massime sapendo essere state deliberazione sua contro la volontà
de' primi cittadini dello stato. Aggiugnevasi in genere tutte quelle cagione che fanno e'
popoli inimici de' grandi, el desiderio naturale di mutare le cose, la invidia ed el
carico di chi aveva maneggiato, inoltre tutti coloro che erano inimici e tenuti sotto
dallo stato, risentitisi e venuti in speranza che la città tornassi alla libertà antica,
e loro avessino a essere nel grado giudicavano meritare, facevano piú pericolosa questa
male disposizione. Concorrevaci che e' governi di Piero in sé, e la natura sua era di
qualità, che non solo era in odio agli inimici, ma ancora dispiaceva agli amici, e quasi
non la potevano sopportare; lui uomo altiero e bestiale e di natura da volere piú tosto
essere temuto che amato, fiero e crudele, che a' suoi dí aveva di notte dato delle ferite
e trovatosi alla morte di qualche uomo; sanza quella gravità che si richiedeva a chi
fussi in tale governo, conciosiaché in tanti pericoli della città e suoi propri stava
tutto dí nelle vie publicamente a giocare alla palla grossa; di natura caparbio, e che
non si intendendo delle cose, o voleva governarle secondo el cervello suo, credendo solo a
se medesimo, o se prestava fede e si consigliava intrinsecamente con persona, non erano
quegli cittadini che avevano esperienzia delle cose della città, e governatola lungo
tempo, ed erano tenuti savi, ed avevano interesse nel bene e nel male publico, e
naturalmente erano amici di lui, del padre e della casa sua, ma con ser Piero da Bibbiena,
con messer Agnolo Niccolini e simili uomini ambiziosi e cattivi, e che lo consigliavano in
tutte le cose secondo che ciecamente erano traportati dalla ambizione e le altre
cupidità, e per compiacerlo ed essergli piú cari, lo indirizzavano el piú delle volte
per quella via per la quale lo vedevano inclinato e vòlto. |
E però, trovandosi Piero in gran pericolo per el disordine di fuori e la male
disposizione di drento, si risolvé essergli necessario accordarsi con Francia, giudicando
quello che era vero che posata bene questa parte, ognuno nella città per timore o altro
si rassetterebbe, e seguitando adunche, benché in diversi termini e poco a proposito,
l'esemplo del padre Lorenzo quando andò a Napoli, una sera furiosamente accompagnato da
Iacopo Gianfigliazzi, Giannozzo Pucci ed altri amici suoi, se ne andò a Serezzana a
trovare el re, dove era venuto da Milano el duca Lodovico. Quivi doppo molte pratiche e
ragionamenti si conchiuse di dare in mano del re per sua sicurtà le fortezze di Pisa, di
Serezzana, di Pietrasanta e di Livorno; e di subito gli furono sanza altra licenzia della
città e sanza e' contrasegni, consegnate quelle di Serezzana e Pietrasanta da Piero di
Lionardo Tornabuoni e Piero di Giuliano Salviati. |
A Firenze in sulla partita di Piero avendo ognuno preso animo e licentia, non solo si
continuava ed accrescevasi nello sparlare publicamente, ma ancora si cominciorono in
palagio a risentire e' cittadini fra' quali messer Luca Corsini (che era de' signori e
stato fatto da Piero, come confidato e sfegatato dello stato, per rispetto di Piero
Corsini suo fratello) ed Iacopo di Tanai de' Nerli e Gualterotto Gualterotti che erano
gonfalonieri di compagnia, messi su, come si crede, da Piero Capponi che era inimicissimo
del governo, cominciorono nelle pratiche a dire male di Piero, e che la città sotto la
cura sua rovinava, e che sarebbe bene levarla di mano sua e della tirannide e restituirla
a uno vivere libero e popolare. E di poi sentendosi le convenzione di dare quelle terre in
mano del re, e di già essere data Serezzana, si cominciò a gridare per la città che le
si dessino in nome del publico e non del tiranno, e però si elesse imbasciadori, che
subito cavalcorono al re, fra Ieronimo Savonarola da Ferrara, che predicava in Firenze e
di chi di sotto si dirà, Tanai de' Nerli, Pandolfo Rucellai, Pier Capponi e Giovanni
Cavalcanti. |
Era gonfaloniere di giustizia Francesco dello Scarfa, ed e' signori, uomini tutti
stati scelti per amici grandi ed affezionati del reggimento; e nondimeno messer Luca si
era apertamente scoperto inimico, e con lui concorreva Chimenti Cerpellone, ed el
gonfaloniere pareva uomo da lasciare correre. Da altra parte Antonio Lorini, Francesco
d'Antonio di Taddeo e Francesco Niccolini favorivano vivamente la causa di Piero; in modo
che, sendo una sera venuti a parole, messer Luca corse furiosamente a sonare la campana
grossa a martello, e sendo ritenuto da chi gli corse drieto, non poté sonare piú che due
o tre tocchi, e' quali sendo uditi per la terra, che era circa a tre ore di notte, el
popolo tutto corse in piazza, e di poi non sentendo piú sonare né suscitare in palagio o
fuori movimento alcuno, ognuno non bene sapendo quello fussi stato, si ritornò a casa. E
cosí stando la città sospesa ed alterata, Piero avendo aviso dagli amici sua come le
cose in Firenze transcorrevano troppo, e che ognuno per la assenzia sua aveva preso animo
e baldanza, presa licenzia dal re, se ne tornò a Firenze a dí 8 di novembre. Tornata
molto dissimile da quella di Lorenzo suo padre quando tornò da Napoli, che gli andò
incontro tutto il popolo della città e fu ricevuto con somma letizia, recandone seco la
pace e la conservazione dello stato della città, a Piero non andò incontro se non pochi
amici sua, e fui ricevuto con poca allegrezza, tornando massime sanza conclusione ferma,
se non di avere diminuito e smembrato Pisa e Livorno, occhi principali dello stato nostro,
e Pietrasanta e Serezzana acquistate da suo padre con grandissima spesa e gloria. |
Tomato, andò subito a visitare la signoria, e riferito generalmente quello aveva
fatto, gli inimici sua e quegli si erano scopertigli contro, entrati in grandissimo
timore, si risolverono che bisognava giucare del disperato. In modo che el giorno
sequente, a dí di novembre 1494, che era el dí di san Salvadore, sendosi inteso che el
signore Paolo Orsino, nostro soldato, con cinquecento cavalli era venuto alle porte per
essere a' favori di Piero, ed essendo la maggiore parte della signoria volta contro a
Piero, Iacopo de' Nerli con alcuni altri collegi che lo seguitavano, armato era ito in
palagio, e fattolo serrare, si stava a guardia della porta, quando Piero per riscaldare
gli amici aveva in palagio, e credendo nessuno avessi animo di vietargli lo entrare, cogli
staffieri sua e gran numero di armati, armato ancora egli, benché sotto el mantello, ne
venne al palagio; e quivi sendogli risposto che se voleva entrare entrassi lui solo e per
lo sportello, sbigottito vedendosi perduto lo stato, si ritornò a casa. Dove come fu
giunto, intendendo che e' signori inimici sua chiamavano el popolo, e come el popolo si
cominciava a levare gridando: "viva popolo e libertà", e di poi sendogli per
uno corriere de' signori notificato come e' signori l'avevano fatto rubello al quale
partito concorsono gli amici sua per paura e quasi sforzati per conforto di chi gli era
apresso, montato a cavallo prese la via di Bologna. Uditosi Piero essere stato ributtato
dal palagio, si mosse solo in suo favore el cardinale e Pierantonio Carnesecchi e' quali
con armati ne vennero verso piazza; ma di poi intendendo che el popolo multiplicava contro
a Piero e che lui era stato fatto rubello e si partiva, ognuno si ritirò a casa, ed el
cardinale in abito di frate si uscí sconosciuto di Firenze; cosí si fuggí Giuliano loro
fratello ser Piero da Bibbiena e Bernardo suo fratello, e' quali erano in odio grandissimo
del popolo. |
Giunse in questo tumulto in Firenze Francesco Valori, el quale tornava dal re, dove di
nuovo era stato mandato con piú altri cittadini imbasciadore, e perché gli era in somma
benivolenzia del popolo sendo sempre stato uomo netto ed amatore del bene, ed avendo fama
di essersi opposto a Piero, fu ricevuto con grandissimo gaudio di tutto el popolo, e
portatone in palagio quasi di peso in sulle spalle de' cittadini. Corse di poi el popolo
furiosamente a casa Piero e la mandò a sacco e di poi voltosi a casa Antonio di Bernardo
e ser Giovanni da Pratovecchio notaio delle riformagioni, le saccheggiò ed arse; e loro,
benché si fussino nascosti per le chiese e pe' conventi, pure ritrovati alla fine ne
furono menati presi al bargello. Corsono di poi a casa messer Agnolo Niccolini, e già
avendo messo fuoco alla porta, l'arebbono arsa, se non che messer Francesco Gualterotti ed
alcuni uomini da bene dubitando che questa licenzia non troscorressi troppo, còrsivi
raffrenorono la moltitudine e la ridussono in piazza che con grandissime voce gridava:
"viva el popolo e la libertà"; e quivi per commessione della signoria messer
Francesco Gualterotti, salito in sulla ringhiera, notificò essere state levate via le
monete bianche. |
Veduto spacciato lo stato di Piero vennono in piazza a cavallo con compagnia di
armati, Bernardo del Nero e Niccolò Ridolfi, gridando: "popolo e libertà"; ma
ributtati e cacciati come sospetti e con pericolo di essere morti se ne ritornorono a
casa, e la sera per piú loro sicurtà accompagnati bene per commessione della signoria ne
vennono in palagio, e cosí Pierfilippo Pandolfini, el quale la sera era tornato da Pisa
partitosi sanza licenzia, o perché dubitassi delle cose di Pisa, o perché, avendo inteso
a Firenze sparlarsi assai di lui, volessi provedere el meglio poteva a' fatti suoi. Messer
Agnolo Niccolini, uno ancora egli degli imbasciadori al re parendogli Piero fussi
spacciato, e dubitando di Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, de' quali era stato
inimicissimo e concitatore di Piero contro a loro, partitosi da Pisa e presa la volta per
la montagna di Pistoia, ne andò in Lombardia. E cosí cacciato Piero e quietato un poco
el tumulto, benché el dí e la notte el popolo stessi armato a guardia della città, si
deliberò dalla signoria, che si sospendessi l'uficio degli otto della pratica e de'
settanta, e non si potessino ragunare insino a tanto si deliberassi altro. |
El medesimo dí di san Salvadore, a dí 9 di novembre, el re Carlo avendo ricevute le
fortezze di Livorno, Pietrasanta e Serezzana, entrò in Pisa e gli furono consegnate le
cittadelle; le quali, secondo le convenzione, avessino a stare in mano del re per sua
sicurtà, e nondimeno e' corpi di Pisa e delle altre terre s'avessino come prima a tenere
e governare da' fiorentini. Ma la sera medesima ristrettisi insieme e' pisani, andorono a
chiedere al re rendessi loro la libertà; la quale sendo conceduta gridando
"libertà" andorono per fare villania agli uficiali fiorentini, e' quali, udito
el tumulto, si erano raccolti insieme e fuggiti nel banco de' Capponi Tanai de' Nerli,
Piero Capponi, Piero Corsini e Piero Guicciardini ed alcuni altri; e quivi avendo avuta
una guardia del re, si salvorono dalla malignità e perfidia de' pisani. E vedendo la
città al tutto ribellata e, partendosi el re, non vi potere stare sicuri, el dí seguente
con lui si partirono e lasciatolo per la via, ne vennono a Firenze. Cosí el medesimo
giorno di san Salvadore ebbe dua grandissimi accidenti: la mutazione dello stato nostro e
la ribellione di Pisa, le piú principali cose si potessino alterare nello essere nostro. |
Fu certo cosa mirabile che lo stato de' Medici che con tanta autorità aveva governato
sessanta anni e che si reputava appoggiato dal favore di quasi tutti e' primi cittadini,
sí subitamente si alterassi per le mani di messer Luca Corsini ed Iacopo de' Nerli,
uomini giovani, sanza credito, sanza autorità, sanza consiglio e leggierissimi. La quale
cosa non nacque peraltro se non che e' modi ed e' portamenti di Piero e la insolenzia di
chi gli era apresso, avevano tanto male disposto gli animi di tutti; e sopra tutto
l'aversi recato adosso pazzamente una guerra potentissima e che non si poteva sostenere, e
l'avere messo a scotto ed in preda sanza bisogno di cagione alcuna tutto lo stato nostro,
che chi si gli scoperse da prima contro trovò la materia disposta in forma che, come gli
fu dato principio di muoverla, fece da se medesima. Questo fine ebbe e cosí perdé lo
stato la casa de' Medici, casa nobilissima richissima e riputatissima per tutta Italia, e
per l'adrieto assai amata nella città, e' capi della quale, massime Cosimo e Lorenzo,
avevano con grandissime difficoltà, con grandissime virtú, con tempo ed occasione, fatto
conservato ed augumentato lo stato, accrescendo non solo lo stato loro privato, ma
eziandio lo imperio publico della città, come fu el Borgo a San Sepolcro, Pietrasanta e
Serezzana, Fivizzano e quella parte di Lunigiana, el Casentino, lo stato di Pietramala e
Val di Bagno, tutte cose pervenute nella città sotto el governo di quella casa. La quale
a ultimo rovinò in brevissimo tempo sotto el governo di un giovane temerario, el quale si
trovò in tanti fondamenti di potenzia ed autorità, e sí bene favorito ed appoggiato,
che se non si fussi sforzato ed avessi fatto a gara di perdergli, era impossibile non si
conservassi; dove la sua pazzia non solo rovinò sé, ma eziandio la città, spogliandola
in otto giorni di Pisa, Livorno, Serezzana e Pietrasanta luoghi donde come poi hanno
meglio mostro gli effetti, si traeva la potenzia, la sicurtà, la autorità e gli
ornamenti nostri. In modo che si può dire che uno di solo cancellassi, anzi lungamente
contrapesassi ed avanzassi a tutti e' benefíci che la città nostra aveva mai in tempo
alcuno ricevuti da quella casa; perché la perdita massime di Pisa fu sí grande e di sí
inestimabile danno alla città, che molti hanno dubitato quale fussi maggiore nel dí di
san Salvadore, o l'acquisto della recuperata libertà o la perdita di Pisa; in che,
pretermettendo molti discorsi si potrebbono fare, voglio conchiudere aversi tanto piú da
stimare l'una cosa che l'altra, quanto egli è piú naturale agli uomini cercare prima
avere libertà in se proprio, che imperio in altri; massime che, parlando veramente, non
si può dire avere imperio in altri chi non ha libertà in sé. |
Cacciato Piero, furono per partito della signoria rimessi tutti e' cittadini stati
confinati e cacciati per conto di stato dal insino a dí 34 di novembre 1494; le quale
cose benché rallegrassino ognuno, erano nondimeno sí pericolosi gli accidenti che
andavano atorno, che gli animi non potevono gustare questi piaceri. E certo io credo che
già un grandissimo tempo la città non fussi stata in maggiori travagli: drento, cacciata
una casa potentissima e che sessant'anni aveva avuto el governo, e rimesso tutti gli
inimici di quella; per la quale mutazione rimanevano alterati tutti e' modi del governo,
stavano in sommo timore tutti quegli che avevano avuto autorità a tempo di Lorenzo o di
Piero, tutti quegli e' quali, o e' maggiori loro, avevano in tempo alcuno offesi gli
usciti o e' sua antecessori, tutti quegli che o per compere o per vie di pagamento o di
rapine possedevano de' beni di chi era stato rubello; di fuori, smembrato tanto stato e
quasi la piú parte del nostro dominio, donde si vedeva la città avere a restare
indebolita con meno entrate e forze e con una guerra difficilissima e pericolosissima non
solo co' pisani, ma con molti ci impedirebbono la recuperazione. Aggiugnevasi in su e'
nostri terreni un re di Francia con tanto esercito, inimico ed ingiuriato da noi, pieno di
cupidità e crudeltà, el quale dava timore non solo di guastarci el paese nostro, di
fare; ribellare el resto delle terre suddite, ma etiam di saccheggiare la città, di
rimettere Piero de' Medici e forse insignorirsi di Firenze el quale se si partissi, el
meno male si potessi temere era avergli a dare una somma grandissima di danari ed a votare
la città delle sustanzie e sangue suo. |
|
XII |
INGRESSO DI CARLO VIII A FIRENZE. |
GEROLAMO SAVONAROLA. |
RIFORME DELLA COSTITUZIONE FIORENTINA (1494-1495). |
El re Carlo partito da Pisa come di sopra è detto, e presa la volta di Firenze con
animo pessimo, e, come fu opinione, con disegno di saccheggiare la città, avendo inteso
la mutazione dello stato e come tutto el popolo in sulla cacciata di Piero aveva prese le
arme ed ancora non le posava e presentendo essere uno popolo grandissimo, non solo
cominciò a credere di non potere sforzare e saccheggiare la città, ma ancora a dubitare
che entrando in Firenze, el popolo che era in sull'arme non gli facessi viilania; e per
questo, fermo per la via, mandò a fare intendere che el desiderio suo era entrare
pacificamente nella città, ma che avendo nello esercito suo gente assai e di varie lingue
e nazione, ed avendo inteso el popolo nostro essere in sulle arme, dubitava non nascessi
qualche disordine, e però soprasederebbe tanto el popolo si disarmassi, per potere
amichevolmente e sanza tumulto venire in Firenze. La quale cosa sendogli detto si farebbe,
se ne venne a Signa, e quivi alloggiato in casa Batista Pandolfini, stette molti dí
aspettando la terra si posassi bene, e cosí ordinando drappi e veste per cavalli ed
uomini sua, per fare una ricca e magnifica entrata nella città; e nondimeno avendo quasi
levato el disegno del sacheggiare la città, e vòlto l'animo a trarne piú somma di
danari potessi, mandò per Piero de' Medici, stimando che lui per rientrare nella città
avessi a fargli partiti grandissimi, o almeno essere un bastone da fare alzare e'
cittadini per schifarlo. Era Piero, quando uscí di Firenze, fuggito a Bologna, e di quivi
andato a Vinegia, dove avendo avuto questa richiesta del re, desideroso da un canto di
andare, da altro dubitando che el re per danari non lo rivendessi a' fiorentini, ne prese
consiglio con viniziani, e' quali gli augumentorono questo sospetto e lo persuasono non
andassi, mossi non per credere che cosí fussi lo utile di Piero, ma perché dubitorno che
questo non avessi a essere instrumento al re Carlo di disporre di Firenze a suo modo e di
farsene signore; la qual cosa, nonostante lo odio ci portano, sarebbe loro dispiaciuta,
perché el re non pigliassi tante forze in Italia, che loro e gli altri avessino a stare
seco. Sendo soprastato el re a Signa molti dí, dove continuamente e per tutta la via
prima aveva la città mandato molti imbasciadori a onorarlo, entrò in Firenze in domenica
a dí... di [nov]embre. |
La quale entrata fu sí magnifica ed onorevole e bella cosa, come alcuna altra sia
stata in Firenze è già gran tempo. Non mancorono dal canto della città tutti quegli
onori si potevano fare a un tanto principe: andorono a incontrarlo a cavallo moltissimi
giovani vestiti riccamente con livree; andòvi tutti gli uomini di qualità: la signoria,
secondo la consuetudine, a piè insino alla porta a San Friano; in Santa Liperata, dove
prima aveva a smontare, tutti gli apparati si potevano farvi, ma la magnificenzia e
suntuosità grande fu dal canto del re. Entrò in Firenze con tutto lo esercito armato:
prima le fanterie a fila coll'arme in asta, balestre e scoppietti de' quali gran parte e
quasi tutti erano svizzeri, di poi e' cavalli e gli uomini di arme tutti armati, cosa
bellissima a vedere pel numero, per la presenzia degli uomini e per la bellezza delle arme
e de' cavalli, con ricchissime sopraveste di drappi e di broccati d'oro; in ultimo el re
tutto armato sotto el baldachino, come vincitore e triunfatore della città, cosa in sé
bellissima ma poco gustata, per essere gli uomini pieni di spavento e di terrore. Usò un
segno di umanità, ché volendo la signoria, secondo si costuma quando entra nella città
papa, imperadori o re, pigliargli la briglia del cavallo, non volle in modo alcuno
acconsentire. Venne con questa pompa dalla porta a San Friano nel Fondaccio e Borgo San
Iacopo, e quivi passato el ponte Vecchio, per porta Santa Maria ne andò in piazza, e di
poi a Santa Liperata ed a casa Piero de' Medici, dove gli era parato lo alloggiamento.
Cosí tutti e' soldati sua a cavallo ed a piè furono alloggiati per la città e
compartiti per le casa de' cittadini, cosa insolita a loro che gli solevano mandare e
distribuire a casa altri, non tenergli nelle loro. |
Stette el re in Firenze... giorni, e ristrignendosi la pratica dello accordo,
dimandava el dominio della città, dicendo fra l'altre ragione apartenersegli secondo gli
ordini di Francia, per essere entrato armato nella città; dimandava la ritornata di
Piero. Nelle quali cose sendo ostinatissimi e' cittadini, mandorono in sulle poste a
Milano Bernardo Rucellai, perché el duca intendessi queste cose pensando, come era vero,
gli avessi a dispiacere che el re pigliassi piede in Firenze; e però el duca commisse a
el conte di Gaiazzo ed a messer Galeazzo da Sanseverino, che erano per conto suo drieto al
re, che si ingegnassino levarlo da queste dimande, e favorissino con ogni sforzo la causa
della città. |
Stettono le cose piú dí in questi dibattiti, e la città si trovava in gran timore
per non essere e' cittadini assueti alle arme e vedersi in corpo uno esercito
potentissimo; da altra parte e' franzesi vedendo el popolo essere grande, ed intendendo
come nella cacciata di Piero tutto el popolo al suono della campana grossa aveva preso le
arme, e che el contado farebbe quel medesimo, temevano assai faccendo guardie ed usando
diligenzia grande non si usassi campane, in modo la paura era divisa; e benché due o tre
volte si levassi romori per la terra, ed e' franzesi corressino alle arme, nondimeno,
perché erano nati per paura, non si procedé mai piú oltre. |
Erano Francesco Valori, Piero Capponi, Braccio Martelli e parecchi altri cittadini
deputati a praticare col re e sendo in sul formare le composizioni, portorono al re una
bozza de' capitoli, ne' quali la città sarebbe convenuta; e non gli piacendo, lui dette
loro un'altra bozza, secondo la quale voleva farsi lo accordo; dove sendo cose molto
disoneste, Piero Capponi presala, animosissimamente la stracciò in presenzia del re,
soggiugnendo che poi che e' non voleva accordarsi, le cose si terminerebbono altrimenti, e
che lui sonerebbe le trombe, e noi le campane; parole certo d'uomo grande ed animoso,
sendo in casa d'un re di Francia barbaro ed altiero, e dove era pericolo che e' fatti
bestiali non seguitassino le parole stizzose. Di che el re e gli uomini sua impauriti,
vedendo tanto animo e dubitando già innanzi del numero del popolo e della campana grossa,
al suono della quale avevono inteso fra la città ed e' luoghi vicini armarsi piú che
trentamila uomini si commossono forte, in modo che è opinione, per quelle minaccie
lasciate le dimande disoneste, venissi alle condizioni dell'accordo piú ragionevoli. |
Finalmente doppo molti dibattiti, si fece conclusione con lui a dí... di dicembre
1494; la quale si stipulò in Santa Liperata, presente el re e la signoria e tutto el
popolo, giurando lui personalmente in sulla pietra sacrata dello altare maggiore la
osservanzia di detti capitoli. Contrassesi amicizia pace, confederazione e lega fra 'l re
di Francia e noi, secondo la forma generale delle altre leghe, amici per amici ed inimici
per inimici - con condizione che la città pagassi per e' danni ed interessi al re Carlo
ducati centoventimila d'oro, de' quali avessi a avere di presente cinquantamila innanzi
partissi della città, gli altri settantamila in due paghe, in termini diversi benché
corti; el re avessi a tenere per sua sicurtà, durante la guerra e la impresa del reame di
Napoli, le fortezze di Pisa, di Livorno, di Pietrasanta e di Serezzana, lasciando
nondimeno el dominio ed el governo de' corpi delle terre, come era innanzi alla passata
sua, a' fiorentini; finita la impresa di Napoli, fussi obligato restituirle liberamente e
sanza eccezione alcuna. |
Fatto l'accordo e numerati ducati cinquantamila, el re fra due dí partí di Firenze
ed andonne alla volta di Roma per seguitare la impresa sua; e come fu partito, sendo la
città disordinata, si volsono gli animi a riformare lo stato, e sendosi fatta una bozza
da' primi del governo, de' quali massime erano capi Tanai de' Nerli, Piero Capponi,
Francesco Valori, Lorenzo di Pierfrancesco, Bernardo Rucellai, fattasene conclusione, si
sonò a parlamento, nel quale furono con concorso grande approvati e' modi ordinati, che
furono in effetto: che e' si cassassino gli otto della pratica ed e' settanta; facessisi
uno squittino della signoria, di tutti e' magistrati ed offici drento e di fuori, el quale
finito, ogni cosa si traessi a sorte. e per fare tale effetto e' presenti signori e
collegi avessino subito a eleggere venti accopiatori, che avessino a fare detto squittino
in termine di uno anno, e tanto durassi lo uficio loro, ed in detto tempo loro avessino a
eleggere la signoria a mano; dovessino detti accopiatori essere di età di anni quaranta,
da uno in fuora, el quale potessi essere eletto eziandio di minore età, che fu fatto
perché Lorenzo di Pierfrancesco ne potessi essere, e cosí si levassi el divieto a
Francesco dello Scarfa gonfaloniere di giustizia, di potere essere accopiatore; non si
pagassino piú le gabelle di monete bianche; creassinsi e' dieci di balía per potere
attendere alla guerra di Pisa, con la consueta autorità secondo gli ordini della città,
l'uficio de' quali durassi mesi sei. Fatto el parlamento sanza tumulto, furono l'altro dí
eletti e' venti uomini che furono questi: messer Domenico Bonsi, Ridolfo di Pagnozzo
Ridolfi, Tanai de' Nerli, Piero Capponi ed Antonio di Sasso, Bardo Corsi, Bartolomeo
Giugni, Niccolò di Andreuolo Sacchetti, Giuliano Salviati ed Iacopo del Zaccheria
Francesco dello Scarfa, messer Guidantonio Vespucci, Piero Popoleschi, Bernardo Rucellai
e..., Francesco Valori, Guglielmo de' Pazzi, Braccio Martelli, Lorenzo di Pierfrancesco
e... Maravigliossi la brigata che in questa elezione fussi rimasto adrieto Paolantonio
Soderini, sendo uomo di grande autorità e stato urtato da Piero de' Medici, e fu
attribuito fussi stato Piero Capponi, el quale poteva assai ed era inimico suo, in modo
che si disse poi publicamente che per questo sdegno Paolantonio, per mutare lo stato,
persuase a fra Girolamo, e lo adoperò per instrumento a predicare, si facessi el governo
del popolo. Furono di poi creati e' dieci, Piero Vettori, Piero Corsini, Paolantonio
Soderini, Piero Guicciardini e Piero Pieri, Lorenzo Morelli, Lorenzo Lenzi, Francesco
degli Albizzi, Iacopo Pandolfini e Lorenzo Benintendi. Crearonsi ancora gli otto di balía
nuovi, Guido Mannelli Andrea Strozzi ed altri; e' quali dell'entrate dell'uficio spesono
tanto in conviti che per questo furono di poi publicamente chiamati gli otto godenti. |
Creati questi magistrati, fu impiccato, per satisfare al popolo, alle finestre del
Bargello, Antonio di Bernardo, el quale era savio uomo e delle cose del Monte ed altre
entrate della città intendeva tanto quanto si poteva intendere, ed ancora rispetto al
potere ed autorità che aveva era stato netto uomo; ma l'avere lungo tempo maneggiato uno
uficio in sé odioso, aggiunto allo essere non di casa nobile, che gli dava tanto piú
invidia, ed alla sua natura rozza, che era da chi aveva a fare seco, imputato a superbia e
crudeltà de' poveri, lo avevano tanto messo in odio della moltitudine, che non si poteva
sfamare del sangue suo. Cosí si disegnava fare di ser Giovanni delle riformagione el
quale era in odio grandissimo, ed anche non molto d'assai uomo ma fra Girolamo lo scampò,
gridando in pergamo che non era piú tempo da giustizia ma da misericordia; e fugli
perdonato la vita e condotto nelle carcere di Volterra in perpetuo, donde parecchi anni
poi fu cavato ed assoluto interamente. |
Erano nella città molti che arebbono voluto percuotere Bernardo del Nero, Niccolò
Ridolfi, Pierfilippo, messer Agnolo, Lorenzo Tornabuoni, Iacopo Salviati e gli altri
cittadini dello stato vecchio; alla quale cosa si opponevano molti uomini da bene, massime
Piero Capponi e Francesco Valori, parte mossi dal bene publico perché in verità si
sarebbe guasta la città, parte dal privato loro. Perché sendo loro naturalmente ed e'
maggiori loro amici della casa de' Medici, e che nel 34 avevano rimesso Cosimo, dubitavano
che spacciati gli altri dello stato vecchio, e' quali vulgarmente si chiamavano bigi, loro
non restassino a discrezione degli offesi nel 34, che naturalmente erano anche inimici
loro; e per questa cagione nella elezione de' dieci e de' venti vi avevano mescolato
ancora di quegli che non erano stati mai urtati da Piero, come Giuliano Salviati, Lorenzo
Morelli, Piero Guicciardini e simili, che erano in meno carico col popolo che gli altri. E
nondimeno, benché e' favorissino una cosa giusta e ragionevole, e la autorità loro fussi
allotta grandissima, sarebbe stato quasi impossibile avessino tenuta questa piena, sendo
cosa procurata da tanti inimici dello stato vecchio e grata al popolo, a chi piacciono
tutte le novità e travagli, quando venne uno aiuto non pensato, da fra Girolamo; del
quale perché fu uomo valentissimo ed instrumento di cose e moti grandi nella città
nostra, ne racconterò quelle cose che paiono dovere fare lume a quello in che
necessariamente s'ha a ricordare. |
Fu fra Girolamo da Ferrara, di famiglia Savonarola, famiglia popolana e mediocre, el
quale studiando in arte, si fece de' frati di San Domenico Osservanti; e doppo qualche
tempo avendo fatto profitto grandissimo in filosofia, ma maggiore nella Scrittura sacra,
ne venne a Firenze, dove insino a tempo di Lorenzo cominciò a predicare publicamente,
accennando, con destrezza però, avere a venire grandissimi flagelli e tribulazione. Non
piaceva questo predicare molto a Lorenzo; nondimeno parte perché non lo toccava nel vivo,
parte perché d'avere altra volta cacciato da Firenze fra Bernardino da Feltre, uomo
riputato santissimo, aveva ricevuto carico nel popolo; e forse avendo qualche riverenzia a
fra Ieronimo, quale intendeva essere di buona vita, non gli proibiva el predicare, benché
qualche volta lo facessi confortare da messer Agnolo Niccolini e da Pierfilippo ed altri,
come da loro, che parlassi de futuris. Ed avendo già fra Ieronimo acquistato nel popolo
credito di dottrina e santità, morí Lorenzo e lui seguitò a tempo di Piero, tuttavia,
allargandosi piú nel predicare, e predicendo la rinnovazione della Chiesa, un flagello
presto a Italia, nella quale verrebbono nazione barbare, che piglierebbono le fortezze
colle meluzze ed espugnerebbono ogni cosa. Ottenne ancora da Alessandro papa uno breve,
benché con grandissima difficultà, che la congregazione de' frati predicatori di Firenze
e di altri conventi di Toscana si separassi da quella di Lombardia e si reggessi da sé;
la quale cosa lo fermò a Firenze e gli tolse l'aversi a mutare, come el piú delle volte
di anno in anno fanno e' frati. E riscaldando tuttavia nel predire, con grandissimo
concorso e nome di santità e di essere profeta, ed andando a udirlo d'ogni sorte d'uomini
tra' quali Giovanni Pico conte della Mirandola (cosí dotto uomo come avessi la età
nostra, e che, se non che morí di corto, fu di opinione si sarebbe fatto frate), entrò
in tanto credito, che quando Piero andò a Serezzana, fu mandato, come di sopra è detto,
imbasciadore al re Carlo, sperandosi che la santità sua avessi a fare qualche gran frutto
e fu udito dal re sempre gratamente e con dimostrazione di averlo in riverenzia, in modo
che allora giovò alla città, e poi quando el re fu in Firenze, sempre affaticandosi in
beneficio della città. |
In sulla cacciata di Piero, parlando apertamente e dicendo avere da Dio quelle cose
future che e' prediceva, ed avendo una audienzia ed una fede grandissima, voltosi alla
conservazione de' cittadini ed a fare usare la clemenzia, e fatto perdonare a ser Giovanni
che anche era amico suo, cominciò a predicare per parte di Dio, che Dio, non gli uomini,
era quello che aveva liberato la città dalla tirannide e che Dio voleva si mantenessi
libera e si riducessi a uno governo populare alla viniziana, el quale era piú naturale a
questa terra che alcuno altro. E con tanta efficacia, o per virtú divina o per sua arte,
ci si riscaldò su, che benché dispiacessi assai a Bernardo Rucellai, a Francesco Valori
a Piero Capponi, a Lorenzo di Pierfrancesco, a' Nerli ed agli altri primi del governo,
pure non opponendosi scopertamente, e sendo questa opera favorita dalla signoria, si
cominciò a tenerne pratica, e finalmente apiccandosi, fu commesso a' gonfalonieri, a'
dodici, a' venti, a' dieci, agli otto, che ognuno ordinassi un modo di vivere popolare. La
quale cosa sendo fatta, e piacendo piú quello de' dieci, fu mandato per fra Girolamo, al
quale, presente la signoria, fu letto questo modo, e lui avendolo approvato con parole
savie e con mostrare che allora era assai fermare un modo che fussi buono in universale,
perché e' disordini che fussino ne' casi particulari col tempo si conoscerebbono meglio,
e piú maturamente si limerebbono e correggerebbono, ed in effetto, chiamati el consiglio
del popolo e del comune, si vinse ed approvò. Lo effetto fu che si facessi uno consiglio
nel quale intervenissino tutti e' cittadini netti di specchio e che fussino di età d'anni
ventinove finiti, e che loro o padri, avoli o bisavoli, fussino stati de' tre maggiori;
eleggessinsi in quello consiglio tutti gli ufici e magistrati della città e di fuori,
eccetto la signoria, la quale s'avessi a eleggere da' venti per quello anno, e finito
l'uficio loro, pel consiglio grande. El modo dello eleggere fussi che, a ogni uficio, si
traessi di una borsa generale certo numero di elezionari, e' quali nominassino uno per
uno, non potendo però nominare alcuno di casa sua; e quegli cosí nominati andessino a
partito, e quello che aveva piú fave nere che gli altri e vinceva el partito per la metà
delle fave ed una piú, si intendessi eletto a tale uficio; eccetto certi ufici di fuora,
da un certo salario in giú, ne' quali non andassi a partito chi era nominato, ma chi era
tratto dalla borsa generale, vincendo però el partito, e rimanendo quello aveva piú
fave; e perché gli elezionari avessino causa di fare buone nominazioni, fu ordinato che
ognuno che nominava uno el quale fussi eletto, guadagnassi uno tanto, secondo la qualità
dello uficio. Facessi detto consiglio grande uno consiglio di ottanta uomini, di età di
anni quaranta, scambiandosi di sei mesi in sei mesi, potendo però essere raffermi,
l'uficio de' quali fussi consigliare la signoria, eleggere ambasciadori e commessari,
tutte le provisioni di qualunque sorte, quando fussino vinte fra' signori e collegi,
avessino a passare per le mani loro, avendo però avere la finale perfezione nel consiglio
grande, el quale non aveva autorità nessuna se non vi si trovava almeno uno numero di
mille uomini, e perché in palagio non era luogo capace di tanto popolo, si ordinò si
facessi a detto effetto una sala grande sopra la dogana, la quale insino a tanto fussi
fatta, tutti gli abili al consiglio non erano del consiglio, ma solo mille uomini per
volta, che si traevano a sorte della borsa generale per tempo di quattro ovvero sei mesi. |
Vinta la provisione ed ordinato el consiglio, seguitando nel predicare e mostrando che
Dio aveva fatto misericordia alla città e cavatola delle mani di uno re potentissimo, e
che cosí si voleva fare in verso a' cittadini dello stato vecchio per usare clemenzia e
per mantenere la città in quiete confortò si facessi una provisione, che si perdonassino
tutte le cose apartenente allo stato, fatte innanzi alla cacciata di Piero, e si facessi
pace ed unione de' cittadini; ed inoltre perché ognuno piú sicuramente si potessi godere
el suo ed allora ed in futurum, e non fussi in potestà di sei signori perturbare a sua
posta la città e cacciare ed amazzare e' cittadini a arbitrio loro, come si era fatto in
molti tempi passati, e con questo mezzo fare Grandi, si levassi tanta autorità alle sei
fave, e si disponessi che ogni volta che uno cittadino fussi per conto di stato condennato
in qualunque pena o dalla signoria da altri magistrati, potessi appellare al consiglio
grande; e che quello magistrato che non ammetteva tale appellazione, fussi incorso in
quella medesima pena che era colui che appellava. Ebbono queste provisione da molti uomini
di autorità repugnanzia grande, e finalmente, doppo contradichione di piú dí, si
messono a partito in consiglio e largamente si ottennono, parendo che ogni cosa introdotta
da lui avessi maggiore forza che umana. |
Assettate cosí per allora le cose della città, e' dieci, fatte condotte e cosí
posto uno balzello, avviorono la gente nostre in quello de' pisani, e' quali ostinatamente
stavano rebelli; sendo condottieri nostri di piú autorità messer Francesco Secco, el
conte Rinuccio da Marciano e messer Ercole Bentivogli, e commessario Piero Capponi, e'
quali presono Palaia, Peccioli, Marti, Buti e alcune castella di poco momento, non
sforzando Vico, Cascina, Librafatta e la Verrucola l'altre cose erano in preda, e quando
si pigliavano e quando di nuovo si ribellavano. Mandossi ancora a Milano due imbasciadori
a congratularsi col nuovo duca, messer Luca Corsini e Giovanni Cavalcanti principio
debolissimo e che apresso a quello signore tolse riputazione assai alla città, parendogli
fussi governata dalla moltitudine la quale non avessi elezione da uomo a uomo. E cosí
passandosi le cose, soprovenne uno accidente nuovo, perché e' montepulcianesi si
ribellorono e dettonsi a' sanesi; per la quale cosa sendosi rotta guerra fra noi e'
sanesi, s'ebbe a volgere parte delle gente verso Montepulciano, e per fare pruova, benché
invano, di recuperarlo, e per guardare el Ponte a Valiano e le altre cose nostre. Perdessi
ancora Fivizzano e gli altri luoghi nostri di Lunigiana, che ne andorono in mano di quegli
marchesi Malespini, lasciossi la raccomandigia di Faenza, non sendo noi atti a difendere
noi medesimi. |
|
XIII |
"LA IMPRESA DI NAPOLI". |
LEGA ITALICA CONTRO CARLO VIII. |
CONDIZIONI DELLO STATO FIORENTINO (1495). |
1495. E cosí sendo in preda lo stato nostro, venne a Firenze el cardinale di San
Malò, primo uomo che avessi el re di Francia, ed avuti quarantamila ducati andò a Pisa,
data intenzione di rendercela, almeno el corpo della terra; e statovi pochi dí sanza fare
conclusione in beneficio nostro, se ne tornò al re Carlo. El quale vittoriosamente aveva
finito con mirabile celerità la impresa di Napoli; perché partitosi da Firenze ed
entrato in quello di Roma, papa Alessandro non si potendo difendere, si era accordato seco
con condizione di dargli per sua sicurtà alcune terre e per statico un suo figliuolo, e
datogli el fratello del Gran turco che era preso a Roma (el quale poco poi morí, e fu
opinione avessi avuto dal papa veleno a tempo) entrò in Roma per la settimana santa; ed
avendo fatto creare cardinale el vescovo di San Malò, si dirizzò alla volta del reame.
Le quali cose sendo intese dal re Alfonso, disperato potersi difendere, lasciato lo stato
in mano di Ferrando duca di Calavria suo primogenito, e fattolo creare re lui non piú re
chiamato, ma don Alonso, se ne andò in Sicilia in uno convento di frati, dove in termine
di non molti mesi morí. Ma poco piú soprastette a fuggirsi el re nuovo Ferrando, perché
non avendo el re Carlo ostaculo alcuno alla campagna, ed acquistando ogni dí per
universale rebellione de' popoli, tanto terreno quanto e' cavalcava in pochissimi giorni
si insignorí di tutto el regno di Napoli, cosa troppo stupenda a considerarla. El re se
ne fuggí alla volta di Spagna, el signore Virginio Orsino ed el conte Niccola di
Pitigliano di casa Orsina furono presi in Nola; rimasono solo le fortezze di Napoli in
mano de' Ragonesi, le quali presto si dettono. |
A Firenze si sonò a gloria, e facesi dimostrazione grande di allegrezza per questa
nuova, benché in fatto dispiacessi insino al cuore pure la dependenzia avamo da lui, e lo
essere le fortezze nostre in sua mani, necessitavano a fare cosí. Furongli mandati
imbasciadori messer Guidantonio Vespucci, Lorenzo Morelli, Bernardo Rucellai e Lorenzo di
Pierfrancesco, sí per congratularsi seco di tanta vittoria, sí per chiedergli le cose
nostre, come era obligato restituirci, finita la guerra di Napoli, massime sendosi dal
canto nostro sborsata quella somma di danari in che eravamo convenuti. |
Questa vittoria di Napoli, tanto presta e piú che non era la opinione, sbigottí
forte ognuno, parendo che avendo aggiunto allo stato di Francia uno tanto regno, e
trovandosi uno esercito vittoriosissimo e colle arme in mano, tutta Italia restassi a sua
discrezione. La quale cosa non solo dispiaceva a' potentati italiani, ma eziandio a
Massimiano re de' romani ed a Ferrando re di Spagna, a' quali, per la vicinità e le
antiche controversie, ogni augumento di Francia era non meno sospetto che molesto; e però
per sicurtà degli stati communi si contrasse una lega generale a difesa degli stati e
contro a Francia tra papa, imperadore, re di Spagna, viniziani e duca di Milano; e fattone
capitano Francesco da Gonzaga marchese di Mantova che era soldato de' viniziani, si dava
in Lombardia pel duca ed e' viniziani forte danari, e da ogni banda si ragunava gente per
opporsi al re Carlo, dal quale in sulla conclusione della lega si era nascostamente
fuggito el figliuolo del papa. Non vollono e' fiorentini, benché richiestine, concorrervi
né discostarsi dal re, per aspettare la restituzione delle fortezze, secondo aveva
promesso, |
Attendevasi in quello tempo nella città a fondare tuttavia e fortificare lo stato del
popolo; la qual cosa non sendo grata a' venti ed a molti cittadini di autorità, e
dubitandosi che loro, veduto appressarsi al fine dello uficio ed avere a rimanere pari
agli altri cittadini, non facessino una signoria a loro modo, ed alterassino questo
governo populare, cominciò fra Girolamo a predicare destramente contro a loro, mostrando
che sarebbe bene si finissi questo uficio. El nome e lo uficio loro era in sí odiato dal
popolo, sí per sospetto che non alterassino el consiglio, sí per e' modi e portamenti
loro, e' quali erano stati brutti e sciocchi, e sanza unione alcuna. Avevano, la prima
volta feciono la signoria, creato gonfaloniere di giustizia Filippo Corbizzi, el quale era
uomo di pochissima qualità e di autorità e di virtú, ma era stato molto favorito da
Tanai de' Nerli, alla quale creazione si era opposto assai Francesco Valori, dando favore
a Pagolo Falconieri, uomo piú spicciolato ancora che Filippo (il che in quel tempo per
piacere al popolo si cercava) e di piú cervello e migliore qualità che lui, ed essendo
nati dispareri e non si potendo accordare, fu forza pigliassino quello aveva piú fave,
benché non vincessi el partito. Ferono di poi gonfaloniere Tanai de' Nerli, uomo nobile,
ricchissimo e potente pel numero de' figliuoli, e massime per essersi tanto Iacopo
adoperato nella cacciata di Piero, ma che nelle cose dello stato valeva poco, il che
dispiacque assai a ognuno, parendo cosa brutta che uno accopiatore creassi se medesimo, e
massime che sendo stato un'altra volta gonfaloniere a tempo di Lorenzo pareva fussi stato
mosso solo dalla ambizione. Doppo lui feciono Bardo Corsi ancora del numero de' venti, la
creazione di chi in sé non dispiaceva, perché era vecchio e stato tenuto indrieto ed
ammunito dalla casa de' Medici. Ma sendo in tutte queste elezione di varie voluntà, si
erano in modo disuniti che non vi era né fede né concordia fra loro; e benché molte
volte tentassino di riunirsi, pure ogni cosa era vana, ed essendosi sparta questa
divisione, n'avevano carico apresso a ognuno, e inoltre la potenzia loro era piú debole,
in modo che aggiugnendovisi la autorità ed el credito di fra Girolamo, si cominciò pel
popolo a sparlarne e minacciargli, e loro a trovarsi in travagli grandissimi, e' quali
umori riscaldando, Giuliano Salviati, o impaurito o persuaso da fra Ieronimo,
spontaneamente rifiutò lo uficio. Di che nacque che e' compagni vedendosi, oltre alla
disunione in tanto grido, e non parendo essere loro sanza carico delle persone, messono in
consiglio una provisione di rifiutare tutti, la quale si vinse con grandissimo favore, e
loro subito rinunziorono del mese di maggio 1495, e la autorità di fare la signoria si
transferí al popolo, el quale creò primo gonfaloniere di giustizia Lorenzo Lenzi. |
El re Carlo in questo tempo udita la lega fatta, deliberò tornarsi in Francia, e
lasciato a guardia del reame una parte delle gente d'arme franzese sotto alcuni de' suoi
capitani, e qualche italiano sotto Camillo Vitelli, ne venne col resto alla volta di
Toscana. E perché gli aveva sempre agli oratori nostri negata la restituzione delle cose
nostre, ed inoltre loro avevono ritratto, lui essere malissimo disposto contro a tutti gli
italiani, ed in spezie che alcuni de' primi suoi avevono molto in odio la città nostra,
entrò tanto sospetto universalmente ne' nostri cittadini, che tutti ammoniti dal pericolo
passato, si provederono di arme, empierono le casa di fanti del contado, fortificando
ancora la città con tutti quegli instrumenti che fussino atti a difendere, acciò che se
e' volessi come l'altra volta alloggiare in Firenze, si gli potessi concedere la entrata
securamente. Le quali cose sendogli venute a notizia, parte per non s'avere a cimentare
quivi, parte perché male poteva soprastare; intendendosi che e' viniziani ed el duca di
Milano avevano, per opporsigli, congregato uno grossissimo esercito in Parmigiana,
partitosi da Siena, deliberò sanza toccare la città andarsene a Pisa, ed avendo a
Poggibonizi trovato fra Girolamo e parlato con lui, mostrandogli reverenzia, sanza frutto
però nelle cose nostre di Pisa, se ne andò a Pisa per andarsene alla volta di Lombardia;
ed essendo quivi, o circa a quello tempo, ebbe nuove come Lodovico duca di Orliens aveva
per trattato preso Novara, terra del duca di Milano. Di poi partitosi da Pisa, lasciando
pure guardate per sé le nostre fortezze, ne andò per Lunigiana, e saccheggiato
Pontriemoli, terra dello stato di Milano, ne venne in Parmigiano, dove trovò essere
alloggiati in sul Taro gli eserciti de' viniziani e del duca, tanto superiori a lui di
numero, che solo quegli de' viniziani lo avanzavano di gran lunga. |
Sendo giunto quivi, con intenzione, se non era impedito andarsene alla volta di
Francia, fu disputa nel campo italiano quello fussi da fare. Pareva al signore Ridolfo da
Gonzaga, zio del marchese, ed a alcuni altri condottieri de' piú vecchi, non si dovessi
apiccare zuffa con loro, anzi andargli costeggiando mentre che erano in sullo stato di
Milano; e cosí sarebbono al sicuro che e' non dannificherebbono quello stato, ed anche
potrebbe essere che la carestia delle vettovaglie gli strignerebbe in modo che e'
sarebbono forzati o fare fatto d'arme con grandissimo disavantaggio, o veramente pigliare
quelle condizioni che fussino loro date dalla lega. Al marchese desideroso di combattere
parve altrimenti, e credo ancora messer Marchionne Trivisano proveditore viniziano fussi
del medesimo parere; e finalmente apiccata la battaglia, si fece un fierissimo fatto di
arme, el quale durò molte ore, benché e' franzesi fussino assai minore numero, ma si
aiutarono assai colle artiglierie. Lo effetto fu che la sera si divise la zuffa ed ognuno
si tornò a' sua alloggiamenti, in modo che non sendo fuggito nessuno, non si può dire
alcuna parte fussi rotta. Ma el danno de' franzesi non fu molto grande; quello degli
italiani fu grandissimo, perché fu morti della parte loro quattro o cinquemila persone, e
molti uomini di capo, fra' quali el signore Ridolfo da Gonzaga; e tutto questo danno fu
da' marcheschi perché e' ducheschi, che erano sotto el conte di Gaiazzo, per ordine del
duca non si mescolorono quasi punto nel fatto di arme. La cagione fu, perché el duca
vedendo e' viniziani avere piú gente di lui assai ed essere in su' terreni sua, dubitò
se el re di Francia era rotto, di non rimanere a discrezione de' viniziani naturalmente
inimici suoi, e che per ambizione non tengono conto di lega o di fede. Apresso può essere
che e' considerassi che mettendo e' sua a pericolo della fortuna, se e' fussino rotti che
lui portava piú pericolo che e' viniziani, per essere e' franzesi in sul suo, e che e'
sarebbe stato el primo a perdere lo stato. Cosí può essere che e' pensassi, quando el re
fussi rotto, che questa sarebbe ingiuria di qualità da non ne fare mai pace con Francia;
la quale cosa aveva da stimare piú lui che altri, per essere loro vicino, e che
riputerebbono piú l'offesa da lui, per essere stato egli el primo che gli avessi chiamati
in Italia, e di poi, fattosi duca di Milano, avessi vòlto loro le punte. Queste cagione
lo potettono muovere a avere piú caro che, per ogni affetto che potessi nascere, e le
genti sua e quelle del re rimanessino salve. |
Fatto el fatto di arme, e' franzesi non avendo piú chi si gli opponessi, sanza
contradizione alcuna se ne vennono in Asti, dove sendo giunti, feciono triegua per poco
tempo colla lega, cosa grata all'una parte e l'altra; ed el duca di Milano con parte delle
genti viniziane e con le sue accampato a Noara, la recuperò piú tosto per fame che per
forza. |
Nel quale tempo poco prima che fu circa a quegli giorni che el re giunse in Asti,
sendo molto male contenti e' popoli del reame della signoria de' franzesi preso animo per
la partita del re e per la nuova lega, e' napoletani e molti altri popoli si ribellarono,
ed el re Ferrando, chiamato Ferrandino, ritornò in Napoli. E perché nel reame era gente
grossa pel re di Francia e molte città si tenevano a sua divozione volendo ricuperare el
regno interamente e non avendo danari, accattò da' viniziani, per mezzo del re di Spagna
e del duca di Milano, certa somma di danari, dando per loro sicurtà nelle loro mani
Otranto, Brandizio ed altri porti del reame; ed e' viniziani all'incontro promessono a lui
ed al re di Spagna rendere detti porti, ogni volta che fussino rimborsati de' danari loro;
e fatta questa convenzione, el marchese di Mantova, come soldato de' viniziani, passò nel
reame contro a' franzesi. Dove, doppo non molti mesi, lo effetto fu che e' franzesi sendo
rotti, ed affamati di poi in Atella, ed essendo stato morto Camillo Vitelli e loro ridotti
a piccolo numero, né avendo altra speranza di soccorso dal re Carlo che bruttamente gli
lasciò perire, bisognò che uscissino del reame; e quegli pochi che rimasono, fatto
accordo col re Ferrando e restituitogli tutto lo stato suo, ne ritornorono per acqua in
Francia. |
In questo tempo ancora, cioè quando el re tornò in Asti, sendovi oratore messer
Guidantonio Vespucci e Neri Capponi, e forse ancora el Soderino vescovo di Volterra, si
fece convenzioni nuove col re, dandogli certa somma di danari, e lui con grande efficacia
promisse la restituzione delle cose nostre; la quale cosa pareva verisimile, per lo essere
lui fuori di Italia e non avere piú a servirsene, e per avergli noi interamente osservato
la fede e rimasti in Italia soli amici sua. La quale pratica agitandosi, si mandò el
campo nostro a Vicopisano del mese di agosto di detto anno 1495, e statovi molti dí sanza
fare profitto alcuno, sendo feriti e guasti assai de' nostri, el campo con vergogna si
levò. Vennono di poi le commessioni di Francia a chi era nelle fortezze nostre che ce le
restituissino, ed e' contrasegni delle ròcche; a' quali effetti racozzate le gente
nostre, e sendovi mandati commessari Francesco Valori e Paolantonio Soderini, un dí
improvisamente assaltorono el borgo di San Marco; el quale preso di subito e trovato la
porta aperta, erano già cominciate a entrare le gente nostre sanza resistenzia ed e'
pisani impauriti a ritrarsi di là d'Arno, quando el castellano francioso della cittadella
nuova cominciò a trarre le artiglierie contro a' nostri, il che sentendo e' commessari,
non sapendo el successo de' nostri ed el disordine de' pisani, feciono subito ritirare
adietro, e cosí si perdé una bellissima occasione di recuperare Pisa. La quale, se si
seguitava la vittoria, era el dí assolutamente nelle mani nostre, ed e' commessari
n'ebbono nella plebe carico grande benché a torto, perché la ragione voleva che, traendo
la cittadella facessino quello feciono, e se bene el fare altrimenti dava la vittoria,
s'aveva a imputare piú tosto al caso che alla ragione. Stati di poi alcuni dí nel borgo
di San Marco, e veduto che el castellano, o perché in secreto avessi cosí ordine dal re,
o per altra cagione non voleva dare la cittadella, el campo nostro si partí, non vi
faccendo frutto alcuno; e cosí furono vane tutte le imprese di questa state, nelle quali
si spese tanta somma di danari, che vulgarmente e' dieci che sedevano si chiamorono e'
dieci spendenti, che furono e' primi dieci eletti dal popolo, uomini la maggior parte
vecchi e tenuti buoni, ma poco pratichi a governare lo stato. Furonne capi messer
Francesco Pepi e Filippo Buondelmonti. |
Sopravenne poi di Francia monsignore di Lilla, mandato per questa restituzione, ed
essendo per la venuta sua la città nostra in grande speranza, volle la sorte nostra che
egli ammalò e morí in Firenze, dove fu sepulto, fattogli dal publico onore grandissimo;
e finalmente doppo molti messi e lettere mandate di qua e di là, ci fu renduto solo
Livorno nel quale era a guardia monsignore di Beumonte. El castellano di Pisa, avuto certa
somma di danari da' pisani, che ne furono serviti dal duca di Milano, dette loro la
cittadella nuova che vi era stata edificata da' fiorentini, la quale subito disfeciono,
riserbatasi la vecchia che vi era anticamente. Pietrasanta venne in mano de' lucchesi,
avendola però a ricomperare dal re buona somma di danari; Serezzana in mano de' genovesi;
e cosí si dissipò lo stato nostro e si divise ne' nostri vicini. Cosa miserabile a dire,
che e' genovesi, e' sanesi, e' lucchesi, e' quali poco innanzi tremavano ~ le arme nostre,
ora sanza rispetto alcuno lacerassino e si insignorissino del dominio nostro, non però
colle forze e riputazione loro, ma usando per instrumento un re di Francia, el quale non
tenuto conto de' capitoli fatti con noi in Firenze e giurati in sull'altare sí
solennemente, non delle convenzioni fatte di poi in Asti, non dell'avere osservato sí
pienamente la fede, sí dandogli tanti danari, sí seguitando la parte sua soli in tutta
Italia, perfidamente rivendé noi e le cose nostre agli inimici nostri. |
E' pisani potendosi male difendere da noi, si raccomandorono alla lega, e sendo
accettati, vi entrorono in nome della lega gente del duca e de' viniziani; e poco di poi
el duca, o per inviluppare e' viniziani in piú imprese e cosí consumargli in sulla spesa
grande, o per altra cagione, gli richiese che soli rimanessino a Pisa. La quale cosa sendo
consultata assai a Vinegia, e contradetta da messer Filippo Trono e molti altri
gentiluomini vecchi a' quali non piaceva entrare in tanti viluppi, e da altra parte
confortata assai da messer Augustino Barbarigo doge e da' suoi sequaci, e' quali erano
assai e piú giovani, finalmente si deliberò accettarla, e cosí e' viniziani,
uscendosene el duca, rimasono soli in Pisa con titolo di guardarla per la lega, in nome
conservando a' pisani la libertà, in fatto insignoritisi delle fortezze e disponendone a
arbitrio loro. Fumo di poi tentati istantemente dalla lega, desiderando e' signori
collegati unire Italia per tôrre ogni pensiero al re Carlo di ritornarci; la quale cosa
non fu acconsentita perché non ci volevano rendere Pisa, e non riavendo Pisa, non era a
proposito della città la unione di Italia; anzi la disunione ci era utile e la passata
del re Carlo ed ogni tumulto, e massime che el re Carlo tutto dí diceva agli oratori
nostri (che vi era el vescovo de' Soderini e Giovacchino Guasconi) volere ritornare in
Italia e che cognosciuti tanti segni della fede nostra, e cosí e contra la perfidia de'
viniziani e del duca, volerci ristorare di tanti affanni e punire loro delle ingiurie gli
avevano fatte. |
Aggiugnevasi a questa disposizione le prediche di fra Ieronimo, el quale, doppo la
cacciata di Piero ed ordinazione del consiglio grande, continuando nel predicare in Santa
Liperata con maggiore audienzia che mai vi avessi predicatore alcuno, e dicendo
apertamente essere stato mandato da Dio a annunziare le cose future, aveva molte volte
affermate piú conclusione, cosí concernenti lo universale della religione cristiana,
come el particulare della città nostra: aversi a rinnovare la Chiesa e riformarsi a
migliore vita, induttavi non con beni e felicità temporali, ma con flagelli e
tribulazione grandissime; avere prima a essere percossa e tribulata grandemente Italia di
carestia, di peste, di ferro, ed avervi a entrare piú barbieri esterni, e' quali
coll'arme la raderebbono insino alle ossa; aversi prima a mutare gli stati di quella, non
vi si potendo resistere con consiglio, con danari e con forze; la città nostra avere a
patire tribulazione assai e ridursi a uno pericolo estremissimo di perdere lo stato,
nondimeno perché la era stata eletta da Dio dove si avessi a predire tanta opera, e
perché di quivi s'aveva a spargere in tutto el mondo el lume della rinnovazione della
Chiesa, però che la non aveva a perire, anzi che quando bene si perdessi tutto el dominio
nostro, sempre la città si salverebbe, ed in ultimo ricotta co' flagelli a una vera vita
e semplicità cristiana, recupererebbe Pisa e tutte le altre cose perdute; non però con
aiuti e mezzi umani, ma col braccio divino, ed in tempo che nessuno vi spererebbe ed in
modo che nessuno potrebbe negare non essere immediate state opera di Dio; acquisterebbe
ancora molte altre cose che non furono mai sue, e diventerebbe molto piú florida, piú
gloriosa e piú potente che mai; lo stato populare e consiglio grande, introdotto in
quella, essere stato per opera di Dio, e però non s'avere a mutare, anzi qualunque lo
impugnassi, capiterebbe male; aggiugnendo che queste cose avevano a essere sí preste, che
non era alle prediche sue nessuno uomo sí vecchio, che vivendo quanto poteva vivere
secondo el corso naturale, non le potessi vedere. Disse ancora molti altri particulari, e
circa alle persecuzione aveva a patire cosí spirituale come temporale; le quali cose
lascio indrieto, perché non fanno a proposito della materia presente, e perché ci sono
in piè e stampate le prediche sue, che ne possono dare chiara notizia. |
Questo modo di predicare cosí l'aveva recato in odio al papa, perché nel predire la
rinnovazione della Chiesa detestava e mordeva molto scopertamente e' governi e costumi de'
prelati, avevonlo recato in odio a' viniziani ed al duca di Milano, parendo loro che e'
favorissi la parte di Francia e fussi cagione con questi modi suoi che la città non si
accordassi colla lega, avevano ancora fatto diversi umori nella città, perché molti
cittadini, o per non prestare naturalmente fede a queste cose, o perché dispiaceva loro
el governo populare, quale vedevano caldamente essere favorito e mantenuto da lui, molti
ancora perché prestavano fede a' frati di San Francesco ed agli altri religiosi, che
tutti vedendo la riputazione de' frati di San Marco, si gli erano opposti; molti ancora
uomini viziosi, a' quali dispiaceva che lui, detestando la soddomia e gli altri peccati ed
e' giuochi, aveva molto ristretto el modo del vivere: tutti insieme si gli erano levati
fieramente contro; perseguitandolo in publico ed opponendosi quanto potevano alle opere
sue Eranne capi Piero Capponi (benché lui, vedendo la potenzia dell'altra parte, qualche
volta balenassi, qualche volta simulassi), Tanai de' Nerli ed e' figliuoli, massime
Benedetto ed Iacopo; Lorenzo di Pierfrancesco, Braccio Martelli, e' Pazzi, messer
Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai e Cosimo suo figliuolo, e' quali avevano coda di
Piero degli Alberti, Bartolomeo Giugni, Giovanni Canacci, Piero Popoleschi, Bernardo da
Diacceto e molti simili. |
Da altra parte erano molto favorite e commendate le opere sue da molti cittadini:
alcuni naturalmente inclinati al credere per bontà di natura e vòlti alla religione, ed
a chi pareva che le opere sue fussino buone e che le cose predette da lui tutto dí si
verificassino; alcuni maligni e di cattiva fama, per ricoprire le opere sue ed acquistare
nome buono con questo mantello di santità; alcuni uomini, secondo el mondo, costumati,
vedendo el favore e la potenzia aveva questa parte, per correre piú agli ufici ed
acquistare stato e riputazione piú col popolo. Eranne capi Francesco Valori, Giovan
Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, messer Domenico Bonsi, messer Francesco
Gualterotti, Giuliano Salviati, Bernardo Nasi ed Antonio Canigiani. Contavacisi anche
drento Pierfilippo Pandolfini e Piero Guicciardini, e' quali però nelle controversie ne
nascevano, si portavano moderatamente ed in forma che non erano interamente annoverati fra
loro; avevano coda da Lorenzo e Piero Lenzi, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Luca
d'Antonio degli Albizzi, Domenico Mazzinghi, Matteo del Caccia, Michele Niccolini, Batista
Serristori, Alamanno ed Iacopo Salviati, Lanfredino Lanfredini , messer Antonio
Malegonnelle, el quale non era molto innanzi per conto dello stato vecchio, benché
Pierfilippo Pandolfini di già fussi stato fatto de' dieci ed avessi riavuto la
riputazione; Francesco d'Antonio di Taddeo, Amerigo Corsini, Alessandro Acciaiuoli, Carlo
Strozzi, Luigi dalla Stufa, Giovacchino Guasconi, Gino Ginori e molti simili. Aggiugnevasi
lo universale del popolo, del quale molti erano inclinati a queste cose, ed in modo che,
sendo in odio ed in cattivo nome e' persequitori sua, ed e converso e' fautori accetti e
grati assai, gli onori ed e' magistrati della città si davano sanza comparazione molto
piú agli uomini di questa parte che agli altri; e però sendo in tanta potenzia e'
fautori sua, e parendo loro che secondo le sue predizione, e' potentati di Italia avessino
a capitare male, ed interpretando di nuovo el re di Francia avere a essere vittorioso,
oltre alle altre ragione che gli movevano, erano causa che la città non si accostassi
colla lega. E cosí sendo nata una grandissima divisione ed odio capitale negli animi de'
cittadini, ed in forma che in molti fratelli, in molti padri e figliuoli era dissensione
per conto delle cose del frate, nasceva un altro disparere grandissimo: che tutti quegli
favorivano el frate, tenevano la parte di Francia, quegli lo disfavorivano arebbono voluto
accordarsi colla lega. |
Nel fine di detto anno 1495 si murò e finí sopra la dogana la sala grande del
consiglio, e vi si ragunò tutto el popolo a fare la nuova signoria. avendovi prima
predicato fra Ieronimo; e fu creato gonfaloniere di giustizia, che entrò in calendi di
marzo, Domenico Mazzinghi e cosí tutto dí si augumentava e cresceva el vivere popolare. |
|
XIV |
TUMULTO CONTRO IL GOVERNO POPOLARE. |
DISCESA Dl MASSIMILIANO D'ASBURGO IN ITALIA (1496). |
1496. Sopravenne l'anno 1496 turbulento e pericoloso drento e di fuori, nel principio
del quale anno alla fine del mese di aprile si scoperse una intelligenzia nella città di
molti cittadini e' quali tutti erano oppositi al frate ed uomini di non molta autorità.
Lo intento loro era ristrignersi insieme in consiglio e favorire negli ufici l'uno
l'altro, e quando avessino avuto successo in questo, arebbono tentato maggiore fine; e
pigliando tutto dí forze, sendo venuto a luce, la mattina si ragunava el consiglio per
eleggere la nuova signoria in scambio di Domenico Mazzinghi, furono per comandamento della
signoria e degli otto sostenuti e menati al bargello Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e
Giovanni da Tignano. Ed essendo di poi esaminati ed inteso tutto lo ordine, parendo la
cosa non stessi in termini di intelligenzia semplice. ma piú tosto avessi natura di
mutazione di stato, e nondimeno non in modo meritassino perdere la vita, furono questi tre
dalla signoria e dagli otto ammuniti e confinati in perpetuo nelle Stinche, e Schiatta
Bagnesi, uomo di poca qualità, ed alcuni altri simili furono ammuniti a tempo; e cosí si
estinse questo pericolo, al quale se non si fussi rimediato a buon'ora, arebbe fatto danno
assai. Questa alterazione fu cagione che aspettandosi gonfaloniere di giustizia Francesco
degli Albizzi, el consiglio lo fuggí, veduto che questa intelligenzia era in uomini
inimici del frate ed inimici del consiglio, ed essendo Francesco, benché sanza sospetto
di questa intelligenzia, pure in opinione che gli dispiacessi l'uno e l'altro, e volse le
fave a Piero di Lucantonio degli Albizzi consorte suo, uomo vecchio, bonario e da poco. Al
tempo del quale, secondo la legge fatta nel 94, e' confinati nelle Stinche appellorono al
consiglio grande: e perché loro erano nelle Stinche e non potevano personalmente
comparire, si lesse prima el loro processo, di poi quello che gli scrissono in difensione
loro; parlò in ultimo Francesco Rinuccini che era stato o de' signori o degli otto,
giustificando quello si era fatto ed in effetto sendosi cimentato non furono assoluti. |
Fermato questo tumulto, sendo le gente nostre in quello di Pisa a ricuperare el
contado, ed essendovi commessario Piero Capponi, e dando la battaglia a Soiana, castello
di poca qualità, fu morto Piero Capponi di uno colpo di archibuso, E questa fine ebbe
Piero Capponi, uomo valentissimo, ed el quale fu di grandissimo ingegno, discorso e
lingua, ma un poco vario e non molto fermo nelle deliberazioni sue; uomo di grandissimo
animo ed ambizioso e di grandissima riputazione, era insino a tempo di Lorenzo, benché
non molto adoperato, pure in riputazione grande di savio e valente uomo, ed ancora, per le
qualità e credito suo temuto da Lorenzo, a tempo di Piero fu gran cagione della
rivoluzione dello stato e di quivi venuto in grandissima grazia ed autorità; ne' tempi
che el re di Francia fu in Firenze si affaticò assai in beneficio della città, e nel
fare l'accordo, e nel trovare la somma de' danari che s'ebbe a dare al re Carlo, e di poi
creato de' venti, fu molto operatore della salute de' cittadini dello stato vecchio, e per
qualche mese poté nella città piú lui che alcuno altro; di poi fattosi inimico del
frate, e venuto in opinione che el consiglio non gli piacessi e che tenessi pratiche con
principi di mutarlo, venne in odio al popolo, e benché gli inimici del frate ed e' capi
degli inimici tutti facessino capo a lui, pure urtato dall'altra parte e temuto non
vinceva in consiglio nulla, ma pure sendo stimato assai per la riputazione e seguito
grande che aveva, fu la sua morte universalmente grata ed accetta al popolo. |
Standosi la città in questi termini, drento tutta disunita e divisa, di fuori
attendendo alla impresa di Pisa nella quale si faceva poco profitto, non avendo appoggio
alcuno, ed essendo e' pisani difesi da' viniziani, in modo che e' pisani tenevano fermo
Vicopisano, Cascina, Librafatta, la Verrucola e la foce del mare, l'altre castella si
tenevano quando per l'uno, quando per l'altro, perché quando erano in nostra mano, come
avevano occasione si ribellavano da noi, la città si trovava in cattivi termini, ed ogni
dí si diminuiva la speranza che el re Carlo dovessi passare in Italia, né si vedeva via
da doversi posare e reintegrare nello stato suo, sendo in mala condizione apresso a'
principi di Italia. Al papa non piaceva che noi recuperassimo le cose nostre, perché,
fermato questo punto, parevano doversi quietare le cose di Italia che sarebbe stato
contrario a' suoi disegni che erano pieni di ambizione e vòlti a fare stato, il che non
gli aveva a riuscire, se si fussi un tratto riunita Italia, non piaceva a' viniziani,
perché, sendo in possessione di Pisa, non ne volevano in alcuno modo uscire, avendo fatto
concetto che quella città avessi a essere loro uno instrumento grande allo imperio di
tutta Italia; non piaceva al duca Lodovico, perché aveva disegnato aversi a fare grande
ne' movimenti di Italia, ed inoltre se pure s'avessi avuto a riunire colla città, arebbe
voluto introdurvi uno stato di uno o di pochi, sperando potere piú confidarsi di loro e
piú valersene che di uno governo di molti, co' quali non si può pigliare fede o
amicizia, né trattare segretamente cosa alcuna, e però sempre nel parlare co' suoi ed in
presenzia di messer Francesco Gualterotti, imbasciadore nostro, detestava questo vivere,
dileggiando ora e' modi della città nel creare e' magistrati, ora gli uomini vili che
intervenivano nel consiglio. Alle quali cose messer Francesco, secondo la natura sua
sempre rispondeva prontamente e con degnità del publico. |
Sendo adunche chiara la città, che per le mani di questi principi non avevamo a
essere restituiti nel dominio nostro, sempre dinegò volere entrare nella lega e lasciare
el re Carlo, con tutto che ne fussi richiesta instantemente e con molti minacci; anzi,
sempre mostrando volere seguitare la parte di Francesco instigava di continuo el re a
dovere passare. Per la qual cosa e' signori della lega, per levare al re questo stimolo di
passare in Italia e tòrgli ogni disegno potessi fare de' fatti nostri, feciono alla fine
di settembre venire in Italia Massimiano re de' romani, promettendogli favore di gente e
di danari a conseguire la corona dello imperio, ed in tal numero che e' ci potessi
sforzare a entrare nella lega. Sendo adunque a' confini di Italia, mandò imbasciadori a
Firenze, e' quali oltre a chiedere passo e vettovaglia, confortassino la città a volere
essere buoni italiani; fu loro risposto che si manderebbe imbasciadori alla maestà sua
che gli satisferebbono; e poco poi intendendo che era già nello stato di Milano, vi fu
mandato oratori messer Cosimo de' Pazzi vescovo di Arezzo, e messer Francesco Pepi, avendo
prima rifiutato Piero Guicciardini e di poi Pierfilippo Pandolfini. |
Costoro, giunti in Lombardia, trovorono era già ito a Genova per imbarcarsi quivi per
alla volta di Pisa, e seguitatolo là, gli esposono la commessione, dimostrando quanto la
città era desiderosa di compiacergli, e quanto frutto lui potrebbe cavare dalla amicizia
di quella, se la richiedessi delle cose che aspettassino solo alla proprietà sua, ma che
la richiesta dello entrare in lega non era onesta, sendo contro alla fede loro, e non
volendo, chi gli aveva ingiustamente spogliati, restituirgli; la quale cosa eziandio
toccava alla maestà sua vedendo continuamente crescere quegli che naturalmente gli erano
inimicissimi. Cognosceva lo imperadore essergli detto il vero, nondimeno non poteva
rispondere se non quanto gli commetteva la lega; e però, el dí che si imbarcò per a
Pisa, disse agli oratori che per le molte occupazioni non aveva potuto rispondere loro
risolutamente, ma che el legato del papa che era in Genova, risponderebbe lui. Andorono al
legato, dal quale ebbono che la risposta sarebbe loro fatta dal duca di Milano. Partirono
adunche da Genova, e venuti a Milano, richiesono la audienzia dal duca, el quale la dette
loro in presenzia del legato del papa e di tutti gli oratori de' collegati; ed aspettando
che e' nostri dimandassino la risposta, loro dissono che avendo commessione di ritornarsi
a Firenze e faccendo quella via per la quale erano venuti, avevano voluto secondo el
debito visitare quel signore ed offerirgli e raccomandargli la città. Parve al duca
essere uccellato, e dimandatogli se volevano la risposta, dissono che non avevano
commessione intorno a ciò; e replicando lui che lo imperadore gli aveva rimessi a sé, e
però che egli gli narrassino quello avevano esposto allo imperadore, acciò che potessi
loro rispondere, dissono che era superfluo e che non avevano questa commessione, e
sobiungendo lui che non sapeva se questi modi procedevano da troppa prudenzia o da poca
bontà, replicò el Gualterotto, che era oratore residente a Milano, che procedevano da
poca bontà, ma di altri; e cosí rimanendo uccellati el duca e gli oratori de' collegati,
presa licenzia se ne ritornorono a Firenze. |
Massimiano, avendo tocchi in nome della lega danari da Genova, ed imbarcatosi alla
volta di Pisa, stette molti dí in mare impedito da' venti e da' cattivi tempi, in modo
che quando venne a Livorno aveva consumato e' danari sua, ed era venuto el tempo della
altra paga: in modo che, stato pochi dí a Livorno e non gli sendo mandati e' danari da'
viniziani, ne venne a Pisa, lasciati alcuni legni a campo a Livorno; dove alla fine di
ottobre, sendo sopravenute certe galee di Francia in favore nostro, e' legni dello
imperadore, avendo contrari non meno e' legni franzesi e destituito di ogni speranza, data
la volta adrieto, vituperosamente se ne ritornò nella Magna. |
La cagione perché e' viniziani non gli mandorono danari fu perché essendo lo
imperadore molto piú del duca che loro, erano cominciati a insospettire che el duca non
fussi male contento che Pisa fussi in loro mano, e però non si fidando di lui, non
vollono a sue spese favorire uno instrumento che avessi a operare tanto quanto paressi al
duca. E fu questa rottura tanto a proposito ed utile della città, quanto dire si potessi;
perché e' cittadini, vedendosi sanza soccorso e contro tutta Italia, si giudicavano sanza
rimedio, in forma che da molti fu imputato piú tosto a miraculo la salute nostra che modo
umano; parendo che l'essere soprastato lo imperadore in mare per e' tempi cattivi, e la
disunione venuta sí a tempo, e di poi e' venti essersi operati nella vittoria nostra,
fussi stato mistero divino e massime che fra Ieronimo aveva in quegli giorni predicato e
confortato gagliardamente fussino sanza paura, che Dio gli libererebbe. |
Partito lo imperadore, fu di poi creato per calendi di gennaio gonfaloniere di
giustizia Francesco Valori benché forse dua mesi innanzi non avessi vinto lo uficio de'
dieci e fussi stato scavalcato non solo da Pierfilippo Pandolfini ma ancora da Taddeo
Gaddi; esemplo manifesto delle mutazioni del popolo, che, avendolo cosí ributtato, lo
prepose poco di poi in tanto magistrato, sendo andato a partito ancora Pierfilippo
Pandolfini. Fucci tirato con favore della parte del frate, della quale fu assolutamente
fatto capo, e però attese in questo magistrato favorirlo quanto piú poteva, insino a
cacciare di Firenze molti predicatori dell'ordine di San Francesco e' quali apertamente
gli contradicevano. E perché le cose de' Medici erano in modo transcorse, che fuori se ne
parlava con grandissima licenzia, e cosí molti preti e cortigiani fiorentini erano iti a
stare a Roma col cardinale de' Medici, ordinò legge asprissime, revocandogli e proibendo
e' commerzi con loro nel vincere delle quali ebbe tanta difficultà, con tutto vi
adoperassi driento tutto lo sforzo ed autorità sua, che qualche volta volentieri arebbe
voluto esserne stato digiuno, il che nasceva non tanto dall'avere e' Medici favore in
Firenze, quanto dagli inimici del frate e malcontenti di questo governo. Attese ancora a
fortificare el consiglio, faccendo una legge che chi era a specchio non vi potessi venire;
e perché el numero rimaneva molto scarso, vi messe e' giovani che avessino finito
ventiquattro anni, che prima non vi poteva venire chi non avessi trenta. Cavonne ancora
molti che ragionevolmente non vi potevano venire ma in quella confusione da principio,
sotto vari nomi di casa ed altri falsi colori vi erano entrati. Per queste cose e per
essere tenuto netto e buono cittadino, sendo in reputazione grandissima gli inimici del
frate non avendo un capo di tanta autorità da opporgli poi che era morto Piero Capponi,
voltorono el favore a Bernardo del Nero, el quale benché fussi dello stato vecchio, era
già stato fatto de' dieci e ritornato in riputazione, ed era vecchio con credito
grandissimo di essere savio e di tanta pratica ed autorità, che in Firenze non pareva
altro uomo da opporre a Francesco Valori, e lo creorono in scambio di Francesco,
gonfaloniere di giustizia, e cosí sendo già battezzato capo della altra parte, nacque
fra Francesco e lui emulazione ed odio grandissimo. |
|
XV |
INUTILE TENTATIVO Dl TORNARE A FIRENZE |
Dl PIERO DE' MEDICI. SCOMUNICA |
DEL SAVONAROLA (1497). |
1497. Seguitò l'anno 1497, anno di grandissimi movimenti ed alterazione; nel
principio del quale anno negli ultimi dí di aprile, sendo ancora gonfaloniere Bernardo
del Nero, Piero de' Medici con Bartolommeo d'Alviano e con molti soldati venne a Siena per
opera de' viniziani e' quali, per avere Pisa sicuramente, gli davano favore a voltare lo
stato. La quale cosa a lui pareva facile, intendendo che el popolo minuto stava
malcontento per essere in carestia grandissima, ché valeva el grano cinque lire lo staio,
ed inoltre sapendo che nella città erano molti uomini da bene male contenti, e molti
amici sua, alcuni ancora con chi, come di sotto si dirà, teneva pratica, e Bernardo del
Nero gonfaloniere di giustizia, e de' signori Batista Serristori e Francesco di Lorenzo
Davanzati, uomini che solevano essere sfegatati dello stato suo. E cosí con queste
persuasioni partitosi da Siena a dí 27 di aprile, venne la sera alle Tavernelle, con
intenzione di essere la mattina sequente in sul fare del dí alle porte di Firenze; la
quale cosa non gli riuscí perché la notte piovve tanta acqua, che non poté cavalcare
all'ora disegnata. |
A Firenze, sendosi inteso la venuta di Piero in Siena, e di poi la partita, benché
non si credessi dovessi venire tanto oltre si era condotto Pagolo Vitelli, el quale in
quegli dí era venuto da Mantova dove era stato prigione, preso nel reame di Napoli, dove
si trovava con Camillo suo fratello. Di poi la mattina a dí 28, intendendosi che Piero
veniva verso la città, si trasse a buon'ora la signoria nuova che ne fu gonfaloniere
Piero degli Alberti, e furono uomini tutti confidati allo stato ed inimici de' Medici, di
poi rinfrescando tuttavia la venuta di Piero, furono mandati Paolantonio Soderini e Piero
Guicciardini a fare cavalcare Paolo ed essere in sua compagnia, scelti, massime Piero,
piú per la amicizia tenevano con lui, che per essere inimici de' Medici. Cavalcò con
costoro alla porta a San Piero Gattolini, ed avendo notizia che Piero era vicino a uno o
due miglia si fermò quivi, e fece serrare la porta; e dubitandosi che Piero non avessi
drento intelligenzia, furono sostenuti in palagio circa a dugento cittadini che erano piú
a sospetto per conto dello stato vecchio, e nondimeno nella città non prese persona le
arme, se non quando si intese che si partiva, eccetti pochi inimici sua capitali, e quegli
non molto a buon'ora, come e' Nerli, e' Capponi, e' Pazzi, Lorenzo di Pierfrancesco, gli
Strozzi e simili. Stette Piero piú ore alla porta, e veduto non farsi movimento alcuno
nella città, e che la stanza sua quivi era con pericolo, dette la volta adrieto, e per la
medesima via, sanza essergli fatta offensione alcuna, se ne ritornò a Siena. |
Partito Piero ed entrata la signoria nuova, fu gran disputa per le cose del frate,
perché el gonfaloniere Giovanni Canacci e Benedetto de' Nerli, che erano de' signori ed
inimici suoi capitali, lo volevano spacciare; da altra parte messer Antonio Canigiani e
messer Baldo Inghirlani lo difendevano, mantenendo quattro fave, benché con grande
difficultà, in suo favore. Nella quale controversia sendo riscaldati gli animi de'
cittadini e tutti divisi, furono deputati d'ogni parte a posare le cose e pacificare la
città, Bernardo del Nero, Tanai de' Nerli, Niccolò Ridolfi, Paolantonio Soderini, Piero
Guicciardini, messer Agnolo Niccolini, messer Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai,
Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e Lorenzo di Pierfrancesco. E non faccendo
effetto alcuno, gli umori tutti dí ribollivano in modo, che sendo publica opinione
s'avessi a fare qualche scandolo, predicando el frate la mattina della Ascensione in Santa
Liperata, si levò un romore grandissimo, del quale non si trovò causa alcuna, se non
sospetto; ed essendo le grida grandissime, si vedde in lui gran segno di paura, ed alla
fine non potendo seguitare la predica, si ritornò a San Marco, accompagnato da molti
cittadini coll'arme, fra' quali fu Giovan Batista Ridolfi con una arme in asta in sulla
spalla. |
Né per questo cessorono le contenzione de' cittadini, anzi tutto dí crescevano,
insino a tanto che del mese di giugno papa Alessandro lo fece publicare in Firenze
scomunicato, allegando avere predicato publicamente dottrina eretica e di poi, citato da
lui, non essere voluto comparire. Credesi el papa lo facessi volentieri da sé, nondimeno
lo fece piú volentieri, sendo stimolato di Firenze dagli avversari suoi; e però per
dimostrare la innocenzia sua, si fece in San Marco una soscrizione di cittadini, e' quali
tutti affermorono lui essere vero e buono cattolico. Soscrissonsi circa a cinquecento, non
ne rimanendo indrieto quasi niuno, punto nominato, di quella parte: e cosí astenendosi
per conto della scomunica el frate dal predicare, e sendo contenti e' suoi inimici, parve
si quietassino un poco le discordie. |
Notossi che la mattina che fra Ieronimo fu publicato, venne in Firenze la nuova come
el duca di Candia, figliuolo del papa, ed a chi el papa voleva tutto el suo bene, era
stato morto in Roma per opera, secondo si disse poi, del cardinale di Valenza figliuolo
del papa, el quale aveva per male che el fratello fussi in piú favore col papa; il che
parve segno a quegli del frate, che Dio avessi voluto dimostrare al papa lo errore suo
d'avere scomunicato fra Ieronimo. Seguitò poi di agosto uno accidente grandissimo, sendo
gonfaloniere di giustizia Domenico Bartoli, el quale acciò che si intenda meglio,
ripiglierò la origine sua piú da capo. |
El governo della città di drento era molto disordinato, creandosi e' magistrati tutti
nel consiglio grande el quale nel principio dava piú favore agli uomini popolari e buoni
e che non si impacciassino dello stato, che a quegli che avevano piú autorità e piú
esperienzia, di poi a poco a poco accorgendosi che e' governi volevano essere trattati
dagli uomini savi e pratichi, e cosí sendo purgata la invidia di una gran parte di coloro
che avevano pel passato potuto nella città, si cominciorono le elezione de' magistrati di
piú importanza, massime del gonfaloniere di giustizia e de' dieci, a fare piú
ragionevolmente. Di qui nacque, che dove prima uno Antonio Manetti e simili avevano al
gonfaloniere di giustizia scavallato uno Paolantonio Soderini e simili e dove prima uno
Piero del Benino, uno Pandolfo Rucellai, uno Andrea Giugni avevano nello uficio de' dieci
avuto piú favore che e' piú valenti uomini della città, rimandosi tuttavia el giudicio
del consiglio, furono successivamente fatti gonfalonieri di giustizia Francesco Valori,
Bernardo del Nero; e cosí nell'uficio de' dieci erano sempre eletti loro, messer
Guidantonio Vespucci, Pierfilippo Pandolfini, Paolantonio Soderini, Bernardo Rucellai e
simili. |
Da questo era nato che eziandio negli ufici piú importanti di fuora, come Arezzo,
Pistoia, Volterra, Cortona e simili, si facevano elezione assai ragionevole; in modo che
in questa parte el consiglio era forte migliorato, e si vedeva che seguitandosi le
elezione per le piú fave, gli ufici e lo stato non uscirebbe di molti uomini e de'
migliori. Nondimeno avendovi piú favore e' frateschi che gli inimici suoi, il che
procedeva parte pel credito del frate, parte perché in verità, da Bernardo del Nero,
messer Guidantonio, Bernardo Rucellai e pochi simili in fuora, erano altri uomini, tutti
gli avversari del frate appetivano mutare modo di vivere, ed era la intenzione di molti,
massime di Bernardo del Nero, non di richiamare Piero de' Medici in Firenze, ma fare uno
stato stretto di uomini da bene, e farne capo Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, ed
avendo in questa cosa secretamente la voluntà del duca di Milano, Giovanni con ordine suo
ne era ito a Imola e quivi aveva copertamente tolto per donna madonna di Imola e [Furlí]
(figliuola bastarda del duca Galeazzo e cosí nipote del duca Lodovico, e che era stata
moglie del conte Girolamo e governava quello stato per e' figliuoli di detto conte) con
intenzione forse di valersi di gente, quando s'avessi a mutare el governo di Firenze. |
E parendo agli inimici del consiglio che el migliorare ogni dí nelle elezione avessi
a essere cagione che molti uomini da bene si assetterebbono volentieri a questo vivere e
cosí si fortificherebbe tutto giorno, pensorono che e' sarebbe bene introdurre e' partiti
piú larghi e levare questo modo delle piú fave, immaginandosi che quanto piú le
elezione andassino larghe, tanto piú si disordinerebbe el consiglio e verrebbe a noia
agli uomini da bene, a' quali dispiacerebbe vedere gli ufici in uomini che o per
ignobilità di casa o per loro vizi o per altro conto non lo meritassino. E per fare
questo effetto, poiché non avevano tanta potenzia lo potessino condurre per lo ordinario,
cominciorono, quando si faceva uno uficio di fuora, o dare le fave bianche a tutti quegli
andavano a partito, acciò che, non si vincendo nessuno, bisognassi pigliarvi qualche
forma; ed a questo avevano concorso da molti, e' quali non intendendo a che fine e' si
movessino, vi concorrevano non per levare via el consiglio, ma per tôrre questi partiti
stretti delle piú fave. |
E cosí sendosi stati molti mesi e fattone molte pratiche, si era finalmente da chi
non voleva disordine introdotto un modo che e' si facessi una provisione, che quando uno
uficio fusse ito a partito tre volte in consiglio e non avessi vinto nessuno, si dessi a
chi avessi avuto piú fave degli uomini squittinati in quelle tre volte, benché non
avessi vinto el partito; e cosí chi non vinceva persona per fare disordine, veduto che,
benché nessuno non vincessi gli ufici rimanevano fatti, si sarebbe levato da tappeto, ed
accordandosi la pratica a questa conclusione, Bernardo del Nero veduto che la ovviava a'
loro disegni, la contradisse sí vivamente el in forma, che non se ne fece conclusione. E
però in ultimo per minore male fu necessario fare una provisione, che si mutassi modo del
creare gli ufici di fuora, e dove prima n'andava a partito per nominazione un certo numero
e si toglieva quello che vinceva per le piú fave, ora andassino a partito per tratta,
cioè che si traessi di una borsa generale, in quale erano imborsati tutti gli abili a
detto uficio, e di poi tutti quelli che avessino vinto el partito per la metà delle fave
ed una piú, si imborsassino e quello ne fussi tratto a sorte, avessi detto uficio. Di che
nacque che le elezione cominciorono molto a piggiorare ed a rallargarsi perché per le
tratte non andavano a partito uomini idonei come per le nominazioni; ed inoltre quegli
squittinati, come avevano la metà delle fave ed una piú, benché l'uno avessi di gran
lunga piú fave che l'altro, avessino un medesimo ragguaglio della sorte. Né solo stette
questo inconveniente negli ufici di fuora, ma ancora fu origine si facessi di poi, come di
sotto si dirà, cosí negli ufici di drento, e nondimeno quegli ne furono autori, non ne
conseguirono el disegno loro perché dove prima girando la elezione degli ufici in pochi e
strignendosi a un numero di dugento cittadini o pochi piú, soli quegli sarebbono stati
amici al consiglio, e gli altri tutti inimici, che erano molto maggiore numero; ora sendo
rallargate in gran numero, quasi tutti quegli a chi sarebbe dispiaciuto el consiglio,
piace ora loro, in modo che egli ha avuti sanza numero molti piú amici che prima. |
Né si fermando qui e' pensieri loro, anzi tutto dí opponendosi ed intraversandosi
nelle cose, era nata una licenzia perniziosa di sparlare publicamente del consiglio de'
cittadini di qualunque parte, e dimostrare che noi stavamo meglio al governo de' Medici.
Le quali cose non si punivano perché cosí è usanza delle città divise, nelle quali e'
cittadini non pongono mente a ogni cosa, sendo occupati nel contendere, ed inoltre chi ha
disfavore da una parte, ha favore dall'altra e perché parendo a ognuno che questo stato e
la città non fussi di uno né di pochi, ma di molti, non era nessuno che le brighe ed
inimicizie publiche volessi fare sue, di che multiplicando ogni dí questa licenzia, parve
a Niccolò Ridolfi Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo di Antonio Pucci ed altri che
desideravano la tornata di Piero, che Piero avessi buona parte della città, e pigliandone
coniettura dal sparlare publicamente che si faceva e da vedere molti cittadini molto male
contenti, cominciorono a tenere pratica con lui. Di che avendo egli preso animo, ed avendo
intenzione dalla lega d'avere a essere favorito per spiccare dalla amicizia di Francia la
città, mandò a Firenze, per disporre meglio la materia. maestro Mariano da Ghinazzano,
generale dello ordine di Santo Agostino, el quale altre volte a tempo di Lorenzo aveva
predicato nella città con grandissimo concorso. El quale venuto a predicare sotto ombra
di opporsi alle cose di fra Girolamo, accennava in pergamo destramente che la città si
accordassi colla lega, e di poi privatamente teneva pratica cogli amici di Piero. E
benché questa venuta sua, e di poi el praticare quegli cittadini con lui mentre stette in
Firenze, dessino quasi publicamente sospetto di quello che egli trattassi, nondimeno le
divisioni della città non lasciavono farne esamina né punizione. |
Per le quali cose ingagliardito Piero, richiedendo la lega di favore, gli mancò sotto
el duca di Milano, e ne poté essere due cagioni: l'una, perché al duca paressi che el
rimettere ora Piero non fussi altro che stabilire in Pisa e' viniziani; l'altra, perché
sendo stato lui gran cagione della cacciata di Piero, dubitò, eziandio se gli facessi
beneficio, non potersene mai piú fidare; e però, privato Piero del soccorso suo, fu
favorito da' viniziani soli, non con quelle forze che aveva desiderato. Pure confidandosi
negli amici con chi aveva praticato, nell'avere una signoria di uomini beneficiati dalla
casa sua, ma sopra tutto in sapere quanto molti cittadini fussino male contenti, e come la
plebe ed e' contadini per essere affamati desideravano mutazione; e sperando, come si
appressassi alle porte, che la moltitudine avessi a levare in capo e richiamarlo (disegni
tutti in aria e fondati in sulla speranza che communemente hanno gli usciti, che sempre si
dànno ad intendere avere amici e parte assai nella città) ne venne, come di sopra è
detto, volonterosamente alle porte a tempo di Bernardo del Nero gonfaloniere; e benché in
su questa sua venuta fussi publica opinione che avessi pratica in Firenze, nondimeno,
perché non se n'aveva certezza alcuna e perché gli animi erano inviluppati nelle
quistione di fra Ieronimo, la cosa si sopí insino allo agosto sequente. |
Nel quale tempo Lamberto della Antella che per avere scritto a Piero, aveva piú anni
innanzi avuto bando di rubello, sendo a Roma ed avendo astutamente compreso le pratiche
aveva tenute Piero in Firenze, o perché si tenessi male contento di lui, o perché ne
sperassi la restituzione nella patria e qualche guadagno, secondo la maligna natura sua,
scrisse a Firenze a qualche particulare cittadino, e credo a messer Francesco Gualterotti,
che se gli fussi dato salvocondotto verrebbe a rivelare cose di importanza. La quale cosa
andando in lunga, venne ultimamente in sul nostro; di che avendosi notizia, fu preso, ed
avuto della fune, mostrò qualche spiraglio donde si potessi trarre notizia di tutta la
pratica; e parendo cosa di grandissima importanza, la signoria deputò circa a venti
cittadini, e' quali in citare, esaminare e ritrovare questa cosa potessino usare tutta la
autorità sua. |
Ed essendosi dato principio, furono chiamati e sostenuti Bernardo del Nero, Niccolò
Ridolfi, Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo Pucci e Giovanni Cambi; molti altri furono citati,
e' quali sendo alle ville non comparirono, che furono Pandolfo Corbinelli, Gino di
Lodovico Capponi, Piero di messer Luca Pitti, Francesco di Ruberto Martelli detto el
Tinca, Galeazzo Sassetti, Iacopo di messer Bongianni Gianfigliazzi; fu nominata ancora
madonna Lucrezia moglie di Iacopo Salviati e figliuola di Lorenzo de' Medici, la quale fu
guardata in casa Guglielmo de' Pazzi. E procedendosi nella esamina, furono detti cinque
esaminati colla fune: ed in effetto si ritrasse come Giannozzo e Lorenzo Tornabuoni
avevano avute e scritte molte lettere a Piero, datogli aviso delle cose della città e
confortatolo a fare impresa di ritornare con favore della lega; e nella venuta di fra
Mariano essersi molto impacciato e parlato con seco delle medesime cose Niccolò Ridolfi
ed averne conferito a Bernardo del Nero gonfaloniere, el quale solo aveva avuta questa
notizia, ma non aveva già scritto, né consigliato, né parlato, né operato nulla; avere
avuto notizia ed essersi operata in simili modi, madonna Lucrezia, sanza saputa di Iacopo
suo marito dal quale si era molto guardata; Giovanni Cambi e quegli erano fuggiti, avere
fatti in simili effetti diversi errori. |
Le quali cose riscontre e ferme bene, deputata una pratica di circa a dugento
cittadini, si cominciorono a consultare queste cose. Erano innanzi negli uomini diversi
pareri ed opinione; quegli arebbono voluti e' Medici in Firenze, desideravano la salute
loro, e questi erano pochi e quasi tutti di poca qualità, e se alcuni vi erano di conto
non arebbono avuto ardire a parlare; erano alcuni a chi el manomettere tanti uomini da
bene pareva cosa di molto momento, e che lo insanguinarsi avessi a essere principio grande
di guastare la città: alcuni mossi da misericordia da particulare amicizia tenevano con
qualcuno di loro, arebbono voluto scampargli, fra' quali era messer Guidantonio Vespucci
ed e' Nerli, a chi doleva perdere Bernardo del Nero capo della parte loro contro el frate.
Da altro canto, tutti quegli che si erano pe' tempi passati scoperti inimici de' Medici,
eccetti e' Nerli, avendo paura grande della intornata loro, tutti quegli a chi piaceva el
vivere populare ed el presente governo, uniti in grandissimo numero volevano tôrre loro
la vita. Di questi era fatto capo Francesco Valori el quale, o perché si vedessi
battezzato inimico a' Medici, o perché volessi mantenere el consiglio nel quale gli
pareva essere capo della città, o come fu poi publica voce, per levarsi dinanzi Bernardo
del Nero, uomo che solo era atto a essergli riscontro ed a impedire la sua grandezza,
vivamente gli perseguitava. E benché avessi dolore della morte di Lorenzo Tornabuoni e
volentieri l'avessi voluto salvare, nondimeno considerando che Lorenzo aveva errato quasi
piú che niuno altro, e che, salvando lui, bisognava salvare gli altri, poté tanto piú
in lui questa passione, che si era risoluto al tutto vederne la fine. |
Ragunata adunque la pratica, parlò molto fieramente pe' gonfalonieri di compagnia
messer Antonio Strozzi, mostrando che e' trattati contro alla libertà della città erano
di natura che secondo le legge aveva a perdere la vita non solo chi gli operava, ma ancora
chi gli sapeva e non ne dava notizia. E doppo lui nella medesima sentenzia sendo parlato
da Bernardo di Inghilese Ridolfi in nome de' dodici, benché ne fussi Piero di Giuliano
Ridolfi consorto di Niccolò; e cosí quasi seguitando gli altri magistrati, messer Guido
destramente aiutò la causa loro dimostrando che e' delitti loro erano vari, e che chi
aveva operato piú e chi meno ed in diversi modi, e chi solo aveva saputo e non operato, e
però che si voleva affrontare insieme le legge e gli statuti della città, e considerare
bene che pena meritassino, e se una medesima o diversa, ricordando che trattandosi d'una
cosa di pregiudicio irreparabile, come è la vita dell'uomo, non si dovessi fare carestia
di tempo. |
Lo effetto di questa pratica fu che quasi per tutti unitamente si conchiuse che e'
fussi tagliato loro el capo; e cosí sendo, el dí sequente giudicati per partito della
signoria, e per comandamento loro, dagli otto, fu dimandato da' congiunti loro l'appello,
secondo la legge fatta nel 94, ed osservato in Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e gli
altri. Sopra la quale dimanda non si accordando la signoria, e ragunata di nuovo la
pratica, e consigliando alcuni che si osservassi la legge, quasi tutti consigliorono el
contrario, dicendo che nello indugio sarebbe pericolo che el popolo non si levassi, e
quando si dubita di tumulto, che secondo la legge commune si sogliono tôrre via gli
appelli. Capi di questa risoluzione erano Francesco Valori, capo di tutti, Guglielmo de'
Pazzi, messer Francesco Gualterotti, messer Luca e Piero Corsini Lorenzo Morelli,
Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Bernardo Nasi Antonio Canigiani, Luca d'Antonio degli
Albizzi, Carlo Strozzi. |
E finalmente faccendo la pratica questa conclusione, ed essendo piú volte proposta
nella signoria da Luca Martini che era Proposto, vi erano solo quattro fave nere, quella
del gonfaloniere, di Luca di Tommaso, di Niccolò Giovanni e di Francesco Girolami, gli
altri cinque che erano Piero Guicciardini, Piero d'Antonio di Taddeo, Niccolò Zati,
Michele Berti e Bernardo Neretti, apertamente la contradivano. Per la qual cosa non si
vincendo, poi che nella pratica furono dette, e sanza frutto alcuno, molte parole perché
la signoria vi concorressi in ultimo Francesco Valori levatosi furiosamente da sedere, e
dicendo che o morrebbe egli o morrebbero loro, concitò con la autorità sua tanto
tumulto, che molti, inanimiti, cominciorono a svillaneggiare e minacciare la signoria,
fra' quali Carlo Strozzi prese pella veste Piero Guicciardini e minacciollo di gittare a
terra dalle finestre, perché gli pareva che essendo Piero di piú autorità che alcuno
de' compagni, rimosso lui, la cosa fussi fatta. Veduto adunque tanto tumulto, di nuovo si
cimentò el partito e si vinse con sei fave nere; perché Niccolò Zati ed uno degli
artefici, o impauriti di loro propri, o dubitando non si facessi qualche maggiore
disordine, calorono. Piero Guicciardini, Piero d'Antonio di Taddeo e l'altro artefice
stettono tuttavia fermi e constanti; e cosí vinto el partito, la notte medesima di quivi
a poche ore, fattigli prima confessare, fu a tutti a cinque tagliato el capo. |
Questo fine e tanto inopinato ebbono questi cinque cittadini de' quali alcuni erano
de' capi della città nostra. Giovanni Cambi era di poca autorità, ed amico de' Medici
non per conto de' maggiori suoi o per dependenzia di stato, ma per essere stato nella
faccende di Pisa con loro, e di poi, essendo impoverito per la rubellione di Pisa, era
entrato in questo farnetico. Giannozzo era giovane di grande ingegno, e molto d'assai, ed
ancora di buone facultà, ma tutto di Piero per conto di Antonio di Puccio suo padre e
degli altri suoi maggiori, e per essere poi stato compagno di Piero; inoltre, perché per
rispetto di non essere la casa nobile, ed avere poca grazia nel popolo rispetto a' cattivi
portamenti del suo padre, vedeva non potere avere molto corso a questo governo, desiderava
la ritornata di Piero. Altri stimoli avevano mosso Lorenzo Tornabuoni, al quale, sendo
giovane pieno di nobiltà e di gentilezza, non mancava grazia e benivolenzia universale di
tutto el popolo, e piú che a alcuno della età sua; ma oltre al parentado che aveva con
Piero suo carnale cugino, e la potenzia si gli mostrava in quello governo lo essere uomo
magnifico ed avere speso assai, ed aviluppato e' fatti suoi nel sindacato de' Medici,
l'aveva messo in tanto disordine che sarebbe di corto fallito, e però cercava travaglio
per rassettarsi e riaversi; aggiugnevasi che, parendogli che el consiglio non fussi per
durare, dubitò non diventassino capi della città Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, a'
quali era inimicissimo e gli temeva; e però volle prevenire. |
A Niccolò non mancava facultà; né anche, se si fussi voluto accommodare, come
Pierfilippo e degli altri, non gli sarebbono, secondo el corso di questo vivere, mancati
onori e riputazione; ma perché Piero suo figliuolo aveva per moglie la Contessina sorella
di Piero de' Medici, e per questo conto era suto all'altro stato potentissimo, mosso da
ambizione e non contento a quello potessi avere di presente, cercando meglio, trovò uno
fine non conveniente alla sua prudenzia e costumi, non alla nobiltà della famiglia sua,
non agli onori, dignità, autorità e potenzia che aveva avuta, da compararsi a qualunque
altro cittadino de' tempi sua. |
Bernardo del Nero era vecchissimo, sanza figliuoli e con buone facultà, e per queste
qualità e per gli onori grandissimi che aveva avuti, e per la prudenzia di che era e
meritamente tenuto, era di tanta autorità che parve solo atto piú che alcun altro a
esser fatto capo di parte ed opposto a Francesco Valori; e benché in questo vivere avessi
tanta riputazione, nondimeno non gli piaceva el consiglio, o perché avessi avuto
quattrocento ducati di balzello, cosa disonestissima, o perché fussi assueto allo stato
vecchio, né si sapessi recare a quella equalità e popularità che bisogna in uno simile
governo, o perché gli bisognassi satisfare alle volontà di quegli che gli davano
seguito. Nondimeno lo intento suo era di fare capi e' figliuoli di Pierfrancesco, non di
rimettere Piero de' Medici; benché in ultimo avendo prestato orecchi alle parole di
Niccolò, e parendogli che el suo primo disegno fussi molto difficile, desiderassi, come
cosa facile, piú la ritornata di Piero, che vivere sempre in quello modo; nondimeno fu
sí piccolo lo errore suo, che a ogni modo sarebbe campato, se non fussi suto lo odio in
che si trovava con Francesco Valori, ed el desiderio che Francesco aveva levarsi dinanzi
questo concorrente. Di qui nacque che Francesco sí immoderatamente dissuase lo apello,
dubitando che la grazia sua e la fede soleva avere col popolo non fussi tanta che,
aggiunta allo errore piccolo, lo facessi assolvere. |
La morte di costoro ne' quali era ricchezze, potenzia, autorità e tanto parentado,
con grazia grande a favore dello universale, può essere esemplo a tutti e' cittadini, che
quando stanno bene ed hanno la parte ragionevole delle cose, stieno contenti e non
vogliano cercare el meglio, perché el piú delle volte si percuote in terra, e se pure
vogliono tentare cose nuove, ricordinsi pigliare imprese di natura da riuscire, e che non
sieno contro a uno popolo, perché non si può vincere avendo tanti inimici; ed abbino
sempre a mente, che el fine di queste imprese è o conseguire el suo disegno, o veramente
perderne la vita, ed almeno la patria e la città; e pensino bene che quando sono scoperti
ed in pericolo, la grazia ed el favore universale è un sogno: el popolo comincia a
intendere tutte cose in loro carico, alcune vere e molte false; loro se si vogliono
giustificare, o non sono uditi o non sono creduti; per la qual cosa la benivolenzia si
converte in odio e ciascuno gli vuole crucifiggere; e' parenti e gli amici tutti lo
abbandonano e non si vogliono mettere per lui a pericolo, anzi molte volte per
giustificare sé, si fanno innanzi a perseguitarlo, la autorità e la potenzia passata gli
è nociva, perché ognuno dice: "e' gli sta molto bene, che gli mancava egli? ch'è
egli ito cercando?" Cosí intervenne a questi cinque, contro a' quali el popolo tanto
mormorava, che è verissimo che mai non arebbono vinto lo appello, benché poi qualche
mese, passata quella furia, allo universale dolessi la morte loro; ma questo non basta a
rendere loro la vita. E certo, se chi governava la città si fussi assicurato a lasciare
loro usare el beneficio della legge, sarebbe stato uno giudicio molto giustificato e di
grande riputazione per la città e sanza carico suo; ma chi troppo desidera, sempre teme
ed ha sospetto. |
Morti questi cittadini, quegli che erano fuggiti furono confinati pel contado alle
loro possessioni, chi per dieci anni e chi per cinque secondo e' delitti loro; e nondimeno
la maggiore parte furono fra uno anno o due restituiti, e dettono esemplo a chi ha errato,
che piú tosto fugga che comparisca; perché se fussino compariti erano morti ed e
converso quegli altri se fussino fuggiti, oltre al salvare la vita, non sarebbono anche
stati dichiarati rubelli, né perduto la robe. Madonna Lucrezia di Iacopo Salviati fu
liberata, massime per opera di Francesco Valori, el quale voleva bene a Iacopo, e gli
pareva anche cosa brutta toccare una donna. E cosí, fatto questo giudicio e morto
Bernardo del Nero, Francesco Valori rimase assolutamente capo della città insino alla
morte sua, avendo seguito massime da tutta la parte del frate in genere, e di poi in
particulare da un numero di cittadini, e' quali si volgevano a' cenni sua: messer
Francesco Gualterotti, Bernardo ed Alessandro Nasi, Antonio Canigiani, Pierfrancesco e
Tommaso Tosinghi, Alessandro Acciaiuoli e simili; per la grandezza del quale sendo
impaurito Pierfilippo Pandolfini suo inimico, e molto piú sbigottito ed aghiadato per la
morte di questi cinque, ammalato pochi di poi doppo la morte loro, morí. Cosí confermato
per questo severo giudicio el vivere populare, fu messo per sicurtà dello stato alla
piazza de' Signori una guardia da fanterie, la quale vi stette di poi insino a' casi del
frate. |
Nel medesimo anno 1497, e del mese di gennaio overo di febraio, sendo gonfaloniere di
giustizia Giuliano Salviati, fra Ieronimo che per conto della scomunica da giugno insino a
allora non aveva predicato, benché in San Marco avessi sempre celebrato e dimostrato non
temerla, veduta raffreddarsi la opera sua, ed anche avendo una signoria ed uno
gonfaloniere a suo proposito, e' quali non l'avevano a impedire, cominciò a predicare
publicamente in Santa Liperata, affermando con moltissime colorate ragioni non essere
obligato a osservare e temere questa scomunica. Per la quale cosa, sendo molto ridesti gli
umori e la divisione nata per conto suo, che, nel non predicare lui, era un poco sopita,
el papa udita la disubbidienzia sua e sdegnatone, sendo ancora instigato per opera di
molti preti e cittadini nostri, mandò una raggravatoria ed uno comandamento, che nessuno
l'andassi a udire sotto pena della medesima escomunicazione. Di che sendo molto diminuiti
gli auditori, ed el capitolo di Santa Liperata non volendo sopportare che e' predicassi
quivi, si ridusse, per fuggire scandolo, a predicare in San Marco; dove predicando, fu
creata per marzo ed aprile la signoria nuova, della quale fu gonfaloniere Piero
Popoleschi, ed avendovi el frate poca parte, benché ne fussi Lanfredino Lanfredini ed
Alessandro di Papi degli Alessandri sua fautori, venne lettere molto calde dal papa alla
signoria che proibissino el predicare al frate. Sopra le quali sendosi tenuta una
grandissima pratica, e fattone grandi dispute e contese finalmente molti piú
consigliorono che non si lasciassi predicare; e cosí gli comandò la signoria e lui
ubbidí, lasciando pure a predicare in luogo suo in San Marco fra Domenico da Pescia, ed
altri de' suoi frati in altre chiese. |
Erano gli avversari suoi molto piú potenti che l'usato, per piú cagione: prima
perché gli è lo ordinario de' popoli, quando hanno un pezzo favorito una cosa, voltare,
eziandio sanza ragione, mantello; di poi per conto della scomunica, la quale gli aveva
alienati molti che lo solevano seguitare, fattigli inimici tutti quegli che solevano stare
neutrali e di mezzo parendo loro cosa grande e non conveniente a buoni cristiani non
ubbidire a' comandamenti del papa; apresso e' capi della parte contraria, vedendo che
molti giovani da bene, animosi, fieri ed in sull'arme erano inimici di questo frate, gli
avevono ristretti insieme, e fattane una compagnia chiamati e' Compagnacci, di che era
signore Doffo Spini, e' quali spesso facevano cene e ragunate. E perché erano di buone
casa ed in sull'arme, tenevano in timore ogniuno in modo che Paolantonio Soderini che
svisceratamente favoriva el frate per avere patto con loro se venissi caso avverso, vi
aveva fatto entrare Tommaso suo figliuolo. Per le quali cose fra Ieronimo andava in
declinazione, insino a tanto che per nuovo modo si terminò el caso suo, come di sotto
immediate si dirà. |
|
|
XVI |
PROCESSO, CONDANNA ED ESECUZIONE DI GEROLAMO |
SAVONAROLA (1498). GIUDIZIO SU DI LUI. |
1498. Seguitò lo anno 1498 anno gravissimo e pieno di molti e vari accidenti, al
quale dette principio la ruina di fra Girolamo perché sendosi lui per comandamento della
signoria astenuto dai predicare, e parendo un poco raffredda la persecuzione che aveva
grandissima da religiosi e da secolari, nacque da uno principio piccolo la alterazione del
tutto. Aveva fra Domenico da Pescia suo compagno nello ordine di San Marco, uomo semplice
e riputato di buona vita e che nel predicare le cose future seguitava lo stile di fra
Girolamo, circa a due anni innanzi, predicando in Santa Liperata detto in sul pergamo che,
quando fussi necessario al provare la verità di quello predicevano, susciterebbono uno
morto, ed entrerebbono nel fuoco uscendone per grazia di Dio inlesi; ed avevalo poi
replicato fra Girolamo. Di che non si sendo poi parlato insino a questo tempo uno fra
Francesco dello ordine di San Francesco Osservante che predicava in Santa Croce e molto
detestava le cose di fra Girolamo cominciò a dire predicando, che per mostrare tanta
falsità era contento si facessi uno fuoco in sulla piazza de' Signori, e di entrarvi lui,
entrandovi ancora fra Girolamo; e che era certo che lui arderebbe, ma cosí ancora fra
Girolamo; e cosí si mostrerrebbe non essere in lui verità, avendo tante volte innanzi
promesso di escire del fuoco inleso. Fu questa cosa riferita a fra Domenico che predicava
in luogo di fra Girolamo, e però in pergamo accettò lo invito, offerendo non fra
Ieronimo ma sé parato a questo esperimento. |
La quale cosa piacendo a molti cittadini dell'una parte e della altra, che erano
desiderosi queste divisione si spegnessino, e si uscissi un giorno di tante ambiguità,
cominciorono a tenere pratica con tutt'a dua e' predicatori che si venissi allo atto di
questo esperimento, e finalmente doppo molti ragionamenti si conchiuse, tutti e' frati di
concordia, che si facessi uno fuoco, nel quale per la parte di fra Girolamo dovessi
entrare uno frate del suo ordine, sendo rimesso in sua elezione chi e' dovessi essere, ed
el simile per la altra parte un frate dello ordine di San Francesco, quale fussi eletto
da' sua superiori. Ed essendosi terminato el dí, ebbe fra Girolamo licenzia dalla
signoria di predicare, e predicando in San Marco dimostrò di quanta importanza erano e'
miracoli, e che non si adoperavano se non per necessità, e quando le ragione ed
esperienzie non bastavano; e però che essendosi provata la fede cristiana con infiniti
modi, la verità delle cose predette da lui con tanta efficacia, e con tanta ragione, che
chi non era ostinato nel male vivere, ne poteva molto bene essere capace che e' non s'era
proceduto a' miracoli per non tentare Dio. Nondimeno poiché ora erano provocati, che
volentieri accettavano, certificando ognuno che entrandosi nel fuoco, lo effetto sarebbe
che el loro frate ne uscirebbe vivo ed al tutto inleso, e pel contrario l'altro arderebbe;
e quando altrimenti seguissi, che e' dicessino audacemente, che lui avessi predicato el
falso; soggiugnendo che non solo a' frati sua, ma a qualunque vi entrassi in defensione di
questa verità, accadrebbe el medesimo; e dimandando se, bisognando, per augumento di una
tanta opera ordinata da Dio, vi entrerrebbono. Alla quale dimanda fu risposto con
grandissima voce quasi da ognuno che sí: cosa stupenda a pensarla, perché sanza dubio
moltissimi, se fra Ieronimo l'avessi detto loro, vi sarebbono entrati. E finalmente el dí
diputato, che fu a dí... di aprile, che fu el sabbato innanzi la domenica dello ulivo,
sendosi in sul mezzo della piazza de' Signori fatto un palchetto pieno di moltissime
legne, vennono e' frati di San Francesco all'ora ordinata in piazza, ed entrorono sotto la
loggia de' signori; di poi e' frati di San Marco, fra' quali erano molti parati, cantando
el salmo Exsurgat Dominus et dissipentur inimici eius, e con loro fra Ieronimo col corpo
di Cristo in mano, a riverenzia del quale erano moltissimi torchi portati da alcuni frati
e da moltissimi secolari, e fu la venuta loro sí piena di divozione e cosí demostrativa
che venissino allo esperimento con grandissimo animo, che non solo confermò e' partigiani
sua, ma etiam fece balenare gli inimici |
Entrati adunche ancora loro sotto la loggia, divisi però con uno assito da' frati di
San Francesco, cominciò a nascere qualche difficultà circa e' panni avessi a portare fra
Domenico da Pescia che aveva a entrare nel fuoco perché e' frati di San Francesco
temevano di incanti e malie. Nelle quali non concordandosi, la signoria mandò piú volte
a praticare lo accordo due cittadini per parte, che furono messer Francesco Gualterotti,
Giovambatista Ridolfi, Tommaso Antinori e Piero degli Alberti, e' quali avendo ridotta la
cosa in termine da conchiuderla, menorono e' capi de' frati in palagio, e quivi preso
forma a queste difficultà, e stipulatone el contratto e già partendosi per dare
esecuzione allo esperimento, venne agli orecchi de' frati di San Francesco, come fra
Domenico aveva a entrare nel fuoco col corpo di Cristo in mano. La quale cosa cominciorono
fieramente a recusare mostrando che se quella ostia ardeva sarebbe mettere in scandolo e
pericolo gravissimo tutta la fede di Cristo, e da altra parte, instando fra Girolamo di
volere che la portassi, la fine che fu che doppo molti dibattiti, sendo ognuno
ostinatissimo nella opinione sua e non vi sendo forma a concordargli, sanza accendere non
che altro le legne, se ne ritornorono a casa. E benché fra Girolamo montassi subito in
pergamo e dimostrassi che el difetto era venuto da' frati di San Francesco, e che la
vittoria era per loro, nondimeno parendo a molti che questa difficultà del corpo di
Cristo fussi stata piú tosto cavillazione che legittima cagione, assai degli amici sua in
quel giorno si alienorono, e lo universale gli diventò inimicissimo, in forma che el dí
sequente, sendo molto delusi e svillaneggiati dal popolo per le vie publiche e' fautori
sua, e gli inimici molto ingagliarditi per avere el concorso dello universale, l'appoggio
de' compagnacci colle arme in mano, e trovarsi in palagio una signoria a loro proposito,
accadde che el dí, in Santa Liperata, avendovi doppo desinare a predicare un frate di San
Marco si levò quasi fortuitamente uno tumulto, el quale multiplicando per la città, come
accade quando gli uomini sono sollevati e gli animi sospesi e pieni di sospetto, gli
inimici del frate ed e' compagnacci presono le arme, e cominciorono a voltare el popolo a
San Marco. Nel quale trovandosi molti frateschi al vespro, cominciorono con sassi e colle
arme a difenderlo benché non fussi stretto, e voltasi da un altro canto la furia e la
moltitudine a casa Francesco Valori e combattendola perché era difesa da quegli di casa,
la moglie di Francesco, figliuola di messer Giovanni Canigiani, faccendosi alla finestra
fu ferita da uno verrettone nella testa, del quale colpo subito morí. Entrata di poi la
turba in casa, fu trovato Francesco in una soffitta, e chiedendo di grazia di essere
menato vivo in palagio, fu cavato di casa, e dirizzandosi verso el palagio, accompagnato
da uno mazziere, ed essendo andato pochi passi, fu assalito e quivi subito morto da
Vincenzio Ridolfi, Simone Tornabuoni, in vendetta di Niccolò Ridolfi e Lorenzo Tornabuoni
loro consorti, e da Iacopo di messer Luca Pitti sviscerato della parte contraria, benché
lui gli dessi a tempo ed era già morto. |
Cosí si mostrò in Francesco Valori uno esemplo grandissimo di fortuna, che essendo
poco innanzi, di autorità seguito e grazia sanza dubbio el primo uomo della città,
subito voltò mantello: gli fu in uno dí medesimo saccheggiata la casa, morta a' suoi
occhi veggenti la moglie, e lui si può dire in uno istante medesimo morto vituperosamente
dagli inimici sua: in modo che da molti fu imputato che Dio l'avessi voluto punire d'avere
pochi mesi avanti a Bernardo del Nero e gli altri cittadini di tanta autorità, stati già
lungo tempo amici sua e di uno stato medesimo, negato lo appello da una sentenzia della
vita; beneficio introdotto da una legge nuova e conceduto a Filippo Corbizzi, Giovanni
Benizzi e gli altri a chi si sarebbe, rispetto alle qualità e meriti loro, tolto con meno
biasimo e cosí, mutata la condizione, fu morto da e' parenti di quegli. E dove loro,
benché morti sanza lo appello avevano pure avuto facultà di dire le ragione loro, ed
erano stati condennati colle sentenzie de' magistrati e co' modi civili, ed in ultimo
avuto spazio pigliare e' sacramenti della Chiesa e morire come cristiani, costui fu
tumultuosamente morto da privati, sanza potere non che altro parlare, ed in sí subito
tumulto e repentina ruina, che non ebbe tempo di cognoscere non che di considerare la
ruina e calamità sua. |
Fu Francesco uomo molto ambizioso ed altiero, e tanto caldo e vivo nelle opinioni sua,
che le favoriva sanza rispetto, urtando e svillaneggiando tutti quegli che si gli
opponevano; da altro canto fu uomo savio e tanto netto circa la roba ed usurpare quello di
altri, che pochi cittadini di stato sono suti a Firenze simili a lui, vòlto molto e sanza
rispetto al publico bene. Per le quali virtú, aggiunte alla nobilità della casa ed al
non avere figliuoli ebbe un tempo favore e credito grandissimo col popolo; ma dispiacendo
di poi la sua stranezza ed el riprendere e mordere troppo liberamente in una città
libera, si convertí in carico, di natura che facilitò assai la via, agli inimici del
frate ed a' parenti de' cinque a chi fu tagliato el capo, dl amazzarlo. |
Morto Francesco Valori, e saccheggiatagli prima la casa, si voltò el furore populare
a casa Paolantonio Soderini, el quale doppo Francesco era insieme con Giovan Batista
Ridolfi primo di quella parte; ma vi concorsono molti uomini da bene, apresso a chi non
era in odio Paolantonio come Francesco, e la signoria vi mandò a riparare, in forma che
si raffrenò quello impeto; el qual se non fussi stato spento, si sarebbe sfogato con
grandissimo detrimento ed alterazione universalmente della città e ruina privatamente di
tutti e' capi de' frateschi. Di poi ritornando la moltitudine a San Marco dove si faceva
difesa assai gagliarda, fu, credo con una balestra, cavato lo occhio a Iacopo de' Nerli
che era in quello tumulto capo contro al frate ed aveva seguito grandissimo di tutti e'
giovani che avevono le arme, e di molti male contenti; e finalmente doppo spazio di piú
ore, entrati per forza in San Marco, ne menorono presi in palagio fra Girolamo, fra
Domenico e fra Silvestro... da Firenze, el quale, se bene non predicava, era intimo di fra
Ieronimo, e si reputava conscio d'ogni suo segreto. |
E posate per questa vittoria le arme, sendo transferita la riputazione e la potenzia
dello stato negli inimici del frate, si volsono alla sicurtà delle cose presente, e
perché quella parte aveva poca fede ne' dieci e negli otto, perché erano tenuti
piagnoni, che cosí si chiamavano allora e' frateschi, chiamato el consiglio grande, si
creorono e' dieci e gli otto nuovi, che furono tutti uomini confidati a chi aveva el
governo; e degli otto fu fatto Doffo Spini signore e capo de' campagnacci, e de' dieci
Benedetto de' Nerli, Piero degli Alberti, Piero Popoleschi, Iacopo Pandolfini e simili
sviscerati di quella fazione. In che è da notare, che sendo capi loro messer Guido, e
Bernardo Rucellai, ed avendo piú autorità e seguito che alcuni altri, e quegli che
avevano segretamente condotta questa piena contro a' frateschi, andando a partito pe'
dieci, non ne rimase nessuno; ma furono nel loro quartiere scavallati da Giovanni Canacci
e Piero Popoleschi; in modo che considerato quanto sieno fallaci e' giudici de' popoli, e
quanta fatica e pericolo avessino preso sanza alcuno frutto, certo furono, come di sotto
si dirà, piú caldi a conservare e' cittadini della altra parte |
Furono di poi deputati circa a venti cittadini alla esamina di fra Ieronimo e de'
compagni, tutti e' piú fieri degli inimici sua, e finalmente avendogli dato, sanza
licenzia però del papa, qualche tratto di fune, doppo spazio di piú dí ordinato uno
processo, publicorono in consiglio grande quello dicevano averne ritratto, soscritto da e'
vicari di Firenze e di Fiesole e da alcuni de' primi frati di San Marco, e' quali sendo
presenti, era stato letto a fra Girolamo detto processo, e dimandato se era vero, lui
affermò dicendo che quello che era scritto era vero. La somma delle conclusioni piú
importanti fu in questo effetto: che le cose aveva predette non le avere da Dio né per
revelazione o mezzo alcuno divino, ma essere stata sua invenzione propria sanza
participazione o saputa di alcuno seculare o frate, averlo fatto per superbia ed
ambizione, ed essere stato lo intento suo di fare convocare uno concilio da e' principi
cristiani, dove si deponessi el pontefice e si reformassi la Chiesa, e che se fussi suto
fatto papa l'arebbe accettato; nondimeno che aveva molto piú caro che una tanta opera si
conducessi per le mani sue che essere papa, perché papa può essere ogni uomo, eziandio
da poco, ma capo ed autore di simile opera non può essere se non eccellentissimo; avere
disegnato da se medesimo che, per fermezza del governo della città, si creassi uno
gonfaloniere di giustizia a vita o per uno tempo lungo, e che gli pareva a proposito piú
che alcuno altro Francesco Valori, ma gli dispiaceva la sua natura e modi strani; e doppo
lui Giovan Batista Ridolfi, ma gli dava noia el troppo parentado che lui aveva; non avere
messo innanzi lo esperimento del fuoco, ma essere stato fra Domenico sanza sua volontà, e
lui averlo acconsentito per non potere con suo onore contradirlo, ed anche sperando che e'
frati di San Francesco spaventati avessino a tirarsene indrieto; e quando pure si venissi
allo atto, confidandosi che el corpo di Cristo portato in mano dal suo frate lo
salverebbe. Queste fuorono le conclusione di suo carico; l'altre piú tosto cose in sua
giustificazione perché dimostravano, dalla superbia in fuori, non essere stato in lui
vizio alcuno, ed essere stato nettissimo di lussuria, avarizia e simili peccati, ed
inoltre non avere tenuto pratica di stato né co' principi di fuora, né drento con
cittadini. |
Publicato questo processo, si pose la punizione sua da parte per qualche dí, perché
el papa, avendo intesa la presura sua e di poi la confessione, ed essendogli stata
gratissima, aveva mandato la assoluzione non solo a' cittadini che l'avevano esaminato
sanza licenzia ecclesiastica, ma ancora a quegli che contro al comandamento apostolico
avevano udite le predicazioni sue; e di poi chiesto che fra Ieronimo gli fussi mandato a
Roma. La qual cosa fu negata, non parendo secondo l'onore della città usare officio di
bargello; e però ultimamente diputò el generale dello ordine di San Domenico ed un
messer Romolino spagnuolo, che fu poi creato da lui cardinale, commessari apostolici a
venire a Firenze a esaminare fra Ieronimo ed e' compagni. E' quali aspettandosi, si
cominciò a trattare la causa de' cittadini che erano stati fautori della parte sua, ne'
quali benché non si trovassi secondo la esamina di fra Ieronimo delitto nessuno, né
pratica tenuta contro allo stato, nondimeno el grido della moltitudine era loro contro, ed
inoltre molti cittadini maligni che si trovavano in palagio e nelle pratiche, gli volevano
manomettere; fra' quali Franceschino degli Albizzi, che el dí che fu morto Francesco
Valori, venuto alla signoria disse: "le signorie vostre hanno inteso quello che è
seguito di Francesco Valori; che comandano che si facci ora di Giovan Batista Ridolfi e di
Paolantonio?" Quasi dicendo: "se voi volete, noi andremo a amazzarlo". Da
altra parte messer Guido, Bernardo Rucellai, e' Nerli e quegli che in fatto erano e' capi,
confortavano largamente la conservazione loro, mossi massime, secondo fu opinione di
molti, perché avevano creduto che battendo el frate fussi rovinato el consiglio grande e
però gli avevano sí caldamente operato contro; ma di poi ne restorono ingannati, e
veddono che molti de' loro sequaci, ed in spezie e' compagnacci, ed universalmente tutto
el popolo voleva conservare el consiglio. E però non vollono sanza frutto alcuno e sanza
acquistarne stato, manomettere e' cittadini; e massime avendo messer Guido e Bernardo
cognosciuto nella creazione de' dieci quanto fondamento potessino fare nel favore
populare; e fu parola di Bernardo, che tutti gli errori fatti in queste materie si
volevano levare da' cittadini e caricarne el frate. Conchiusesi adunche, doppo qualche
disparere e contesa, la loro salute; condennando però per satisfazione del popolo Giovan
Batista, Paolantonio ed alcuni altri capi a prestare certe somme di danari. E cosí si
quietò questa parte; e Giovan Batista e Paolantonio, che per consiglio degli amici loro e
per purgare la invidia col popolo si erano assentati, si tornorono in Firenze. |
Creossi di poi la signoria nuova, che ne fu gonfaloniere Vieri de' Medici, e de'
signori messer Ormannozzo Deti, Pippo Giugni, Tommaso Gianni ed altri; a tempo de' quali
sendo venuti e' commessari da Roma ed avendo di nuovo esaminato fra Ieronimo e gli altri,
finalmente furono tutti a tre condannati al fuoco; ed a dí... di maggio prima degradati
in sulla piazza de' Signori, vi furono di poi impiccati ed arsi con tanto concorso di
popolo, quanto non soleva essere alle predicazione. E fu giudicato cosa mirabile che
nessuno di loro, massime fra Ieronimo, non dicessi in tanto caso nulla publicamente o in
accusazione o in escusazione sua. |
Cosí fu vituperosamente morto fra Girolamo Savonarola, del quale non sarà fuora di
proposito parlare piú prolissamente delle qualità sua; perché nella età nostra, né
anche e' nostri padri ed avoli non viddono mai uno religioso sí bene instrutto di molte
virtú né con tanto credito ed autorità quanto fu in lui. Confessano eziandio gli
avversari suoi, lui essere stato dottissimo in molte facultà, massime in filosofia, la
quale possedeva sí bene e se ne valeva sí a ogni suo proposito, come se avessi fattala
lui; ma sopra tutto nella Scrittura sacra, in che si crede, già qualche secolo, non
essere stato uomo pari a lui; ebbe uno giudicio grandissimo non solo nelle lettere, ma
ancora nelle cose agibile del mondo, negli universali delle quali si intese assai. come a
giudicio mio dimostrano le prediche sue; nella quale arte trapassò con queste virtú di
gran lunga gli altri della età sua, aggiugnendosigli una eloquenzia non artificiosa e
sforzata, ma naturale e facile, e vi ebbe drento tanta audienzia e credito, che fu cosa
mirabile, avendo predicato tanti anni continuamente non solo le quaresime, ma molti dí
festivi dello anno in una città piena di ingegni sottilissimi ed anche fastidiosi. e dove
e' predicatori, benché eccellenti, sogliono al piú lungo termine da una quaresima o due
in là, rincrescere, e furono in lui sí chiare e manifeste queste virtú, che vi
concordano drento cosí gli avversari suoi come e' fautori e seguaci. |
Ma la quistione e differenzia resta circa la bontà della vita in che è da notare che
se in lui fu vizio, non vi fu altro che el simulare causato da superbia ed ambizione;
perché chi osservò lungamente la vita ed e' costumi sua, non vi trovò uno minimo
vestigio di avarizia, non di lussuria, non di altre cupidità o fragilità, ed in
contrario una dimostrazione di vita religiosissima, piena di carità, piena di orazioni,
piena di osservanzia, non nelle corteccie ma nella medolla del culto divino: e però nelle
esamine sua, benché e' calunniatori con ogni industria lo cercassino, non vi si trovò in
queste parte da notare uno minimo difettuzzo. Le opere fatte da lui circa l'osservanzia
de' buoni costumi furono santissime e mirabile, né mai in Firenze fu tanta bontà e
religione, quanta a tempo suo; la quale doppo la morte sua scorse in modo, che manifestò
ciò che si faceva di bene essere stato introdotto e sustemato da lui. Non si giucava piú
in publico, e nelle casa ancora con timore; stavano serrate le taverne che sogliono essere
ricettaculo di tutta la gioventú scorretta e di ogni vizio, la soddomia era spenta e
mortificata assai; le donne, in gran parte lasciati gli abiti disonesti e lascivi; e'
fanciulli, quasi tutti levati da molte disonestà e ridutti a uno vivere santo e
costumato; ed essendo per opera sue sotto la cura di fra Domenico ridutti in compagnie,
frequentavano le chiese, portavano e' capelli corti, perseguitavano con sassi e villani
gli uomini disonesti e giucatori e le donne di abiti troppo lascivi; andavano per
carnasciale congregando dadi carte, lisci, pitture e libri disonesti, e gli ardevano
publicamente in sulla piazza de' Signori faccendo prima in quello dí, che soleva essere
dí di mille iniquità, una processione con molta santità e divozione; gli uomini di età
tutti vòlti alla religione, alle messe, a' vespri, alle prediche, confessavansi e
communicavansi spesso; ed el dí di carnasciale si confessava uno numero grandissimo di
persone; facevasi molte elemosine, molte carità. Confortava tutto dí gli uomini che,
lasciate le pompe e vanità, si riducessino a una simplicità di vivere religioso e da
cristiani, ed a questo effetto ordinò legge sopra gli ornamenti ed abiti delle donne e
fanciulli, le quali furono tanto contradette dagli avversari sue che mal si vinsono in
consiglio, se non quelle de' fanciolli, che etiam non si osservorono Fecesi, per le sue
predicazione, moltissimi frati nel suo ordine, di ogni età e qualità, assai garzoni
nobili e delle prime famiglie della città, assai uomini di età e riputazione Pandolfo
Rucellai, che era de' dieci e disegnato oratore al re Carlo; messer Giorgio Antonio
Vespucci e messer Malatesta, canonici di Santa Liperata, uomini buoni e di dottrina e
gravità, maestro Pietro Paolo da Urbino, medico riputato e di buoni costumi; Zanobi
Acciaiuoli, dottissimo in lettere greche e latine, molti altri simili. In modo che in
Italia non era un convento pari, e lui in modo indirizzava e' giovani in su gli studi non
solo latini ma greci ancora ed ebrei, da sperare avessino a essere lo ornamento della
religione. E cosí fatto tanto profitto circa alle cose spirituale, non fece ancora minore
opere circa lo stato della città ed in beneficio publico. |
Cacciato Piero e fatto el parlamento, la terra rimase molto conquassata, gli amici
dello stato vecchio in tanto grido e pericolo, che non bastando alla difesa loro Francesco
Valori e Piero Capponi, era impossibile non fussino manomessi ed in gran numero, che
sarebbe state gran piaga alla città, per esservi molti uomini buoni, savi e ricchi e di
gran famiglie e parentadi, fatto questo, nasceva disunione in quegli che reggevano, come
si vidde lo esemplo ne' venti, e dividevansi, per esservi piú di riputazione quasi pari e
che appetivano el principato; seguitavane novità e parlamenti, cacciate di cittadini e
piú di una mutazione; e forse in ultimo una tornata di Piero violenta, con estremo
sterminio e ruina della città. Lui solo fermò questi impeti e movimenti, introdusse el
consiglio grande, e cosí messe una briglia a tutti quegli si volevano fare grandi; lui
pose l'appello alla signoria che fu un freno da conservare e' cittadini, fece la pace
universale, che non fu altro che tôrre occasione di punire quegli dello stato de' Medici
sotto colore di ricercare le cose vecchie. |
Furono sanza dubbio queste cose la salute della città e, come lui verissimamente
diceva, la utilità e di quegli che nuovamente reggevano e di quegli che per l'adrieto
avevano retto; e furono in effetto le opere sue tanto buone, verificatosi massime qualcuna
delle predizioni sue, che moltissimi hanno poi lungo tempo creduto lui essere stato vero
messo di Dio e profeta non ostante la escomunica, la esamina e la morte. Io ne sono dubio
e non ci ho opinione risoluta in parte alcuna, e mi riservo, se viverò tanto, al tempo
che chiarirà el tutto; ma bene conchiuggo questo, che se lui fu buono, abbiano veduto a'
tempi nostri uno grande profeta, se fu cattivo, uno uomo grandissimo, perché, oltre alle
lettere, se seppe simulare sí publicamente tanti anni una tanta cosa sanza essere mai
scoperto in una falsità, bisogna confessare che avessi uno giudizio, uno ingegno ed una
invenzione profondissima. |
Furono morti con lui, come è detto, fra Domenico e fra Silvestro; de' quali fra
Domenico era uomo semplicissimo e di buona vita, ed in forma che se errò, errò per
simplicità non per malizia; fra Silvestro era tenuto piú astuto e che teneva piú
pratica co' cittadini, e nondimeno, secondo e' processi, non conscio di simulazione
alcuna; ma furono morti per satisfare alla rabbia degli inimici loro, che si chiamavano in
quegli tempi vulgarmente gli arrabbiati. |
|