XVII |
LEGA DI LUIGI XII, ALESSANDRO VI E CESARE BORGIA. |
LEGA TRA LA FRANCIA, IL PAPA E VENEZIA (1498). |
Nel medesimo anno del mese di aprile, sendo ancora fra Ieronimo in prigione morí
quasi di subito Carlo re di Francia, e non avendo figliuoli, el regno venne per
successione nelle mani di Lodovico, duca d'Orliens, di casa reale, suo cugino e piú
prossimo parente avessi el quale pretendendo spettargli non solo lo stato di Francia, ma
ancora per conto del re Carlo el reame di Napoli, e per conto suo di Orliens el ducato di
Milano, nella incoronazione si intitolò re di Francia di Ierusalem e di Sicilia e duca di
Milano. E perché egli aveva per donna una sorella carnale del re Carlo, sterile brutta e
quasi uno mostro, che l'aveva presa sforzato dal re Luigi suo padre, rifiutata questa
moglie con dispensa di papa Alessandro, tolse colla medesima dispensa la reina vecchia,
moglie del re Carlo, per avere lo stato di Brettagna di che lei per eredità era duchessa.
E perché questa dispensa era molto ardua e difficile e contro a ogni onestà, non
l'arebbe ottenuta se non a vantaggio del papa; col quale fece secreta intelligenzia che in
caso acquistassi lo stato di Milano, come disegnava volere fare, gli darebbe aiuto a
ottenere e' vicariati di Romagna, quali pretendeva essere devoluti alla Sedia apostolica.
E cosí unito el papa col re, e vòlto a fare imprese, disegnò fare uno stato per suo
figliuolo: ed essendogli mancato, come è detto, el duca di Candia e non avendo altri atto
a tanto peso che Cesare Borgia suo figliuolo, stato fatto da lui cardinale, lo privò del
cappello, avendo fatto provare che per essere bastardo era inabile, benché prima, quando
lo fece cardinale, avessi fatto provare el contrario, e come era legittimo e non suo
figliuolo; e lo mandò in Francia imbasciadore al nuovo re e gli dette per donna una
franzese del sangue reale, figliuola di monsignore d'Alibret, benché prima avessi cerco
di dargli per moglie una figliuola del re di Napoli, che era in Francia, ma invano,
perché la fanciulla, non avendo licenzia dal padre, non volle mai acconsentire. |
A questo nuovo re, che era riputato nostro benivolo, mandò la città tre
imbasciadori, messer Cosimo de' Pazzi vescovo aretino, Piero Soderini e Lorenzo di
Pierfrancesco che si trovava verso Galizia, dove era andato innanzi alla ruina di fra
Ieronimo, sendogli dato carico da lui ed e' fautori sua, che e' si voleva fare capo e
tiranno della città. Nel medesimo tempo si fece una legge quale, se si fussi seguitata,
sarebbe stata utilissima a' giovani, cioè che ogni imbasciadore e commessario generale
che andava fuora, avessi a avere uno giovane deputato dagli ottanta che fussi di età di
anni ventiquattro insino in quaranta, el quale si trovassi presente a tutte le pratiche e
segreti, acciò che imparassi e pigliassi esperienzia e cosí poi quando fussi di maggiore
età fussi piú atto a' governi ed allo stato. |
Preso ed arso come è detto, fra Girolamo, tutti e' pensieri degli uomini si voltorono
alla impresa di Pisa, sendone massime confortati e dato speranza dal duca di Milano, el
quale molto tempo innanzi considerando quanta pazzia fussi stata lasciare e' viniziani
entrare nel dominio di Pisa, e che quella città era uno instrumento da fargli signori col
tempo di Italia, desiderava che e' fiorentini se ne reintegrassino; e nondimeno non si era
voluto scoprire colle arme in loro aiuto, o perché non confidava nella città avendo
esoso fra Ieronimo e forse Francesco Valori, perché stimassi avere co' modi dolci e sanza
rompere, condurre e' viniziani a restituircela, o perché, dubitando della ritornata del
re Carlo in Italia, non gli paressi da suscitare nuove discordie, e cosí incitare el re
Carlo a passare. E però aveva fatto che a Roma, a Vinegia si era piú volte per gli
oratori dello imperadore e massime del re di Ispagna e del re di Napoli, mossa pratica,
che non sendo in Italia nessuno potentato amico de' franzesi, eccetti e' fiorentini e'
quali tutto dí gli stimolavano ed incitavano al passare, sarebbe bene, per tôrre ogni
occasione di scandalo e guerra nuova, reintegrargli di Pisa e riguadagnarsigli ed unirgli
colla lega. |
Ma ogni cosa era suta vana perché e' viniziani ambiziosi e cupidi del dominio di
Italia, faccendo a questo disegno gran fondamento di Pisa, avevano deliberato non la
rendere, e però el duca sendo certo che e' non ne uscirebbono sanza la forza,
confidandosi ancora piú della parte che reggeva ed inoltre parendogli che in sulla
creazione del nuovo re non fussi da temere cosí presto delle cose di Francia, benché
sapessi e' sua pensieri tutti essere vòlti alle cose di Italia, confortò la città a
volere fare impresa gagliarda contro a Pisa confortando si ingegnassino ancora avere
favore dallo imperadore, da Roma e da Napoli, e lui promettendo non mancare di tutti
quegli aiuti che fussino possibili. Le quali persuasioni e proferte accettandosi, e
seguitandosi e consigli in gran parte, non bisognando provedere di oratore a Roma perché
vi era messer Francesco Gualterotti, fu eletto a Napoli Bernardo Rucellai. |
Era morto molti mesi innanzi el re Ferrandino sanza figliuoli, ed era succeduto
Federigo suo zio, secondogenito del re Ferrando vecchio; ma parendo al duca che e' favori
del re di Napoli si potessino cercare piú cautamente e che el mandare imbasciadore fussi
di troppo dimostrazione, e di fare che el nuovo re di Francia diventassi inimico della
città, il che era contro al disegno aveva fatto che la città potessi essere buono mezzo
a accordarlo con Francia, persuase non si mandassi imbasciadore, e cosí si seguitò. E
per risolvere meglio con lui e' modi si avessino a tenere ed e' favori bisognassino in
questa impresa, vi fu mandato oratore messer Guidantonio Vespucci benché vi fussi oratore
stanziale messer Francesco Pepi, o per mostrare di stimare piú queste cose, o giudicando
che messer Guido fussi piú a proposito per essere uomo di piú riputazione ed anche piú
atto a questi maneggi di lui. E per disporre e' genovesi a non dare favore a' pisani e non
volere che e' viniziani loro inimici si facessino sí grandi, fu mandato per consiglio del
duca, imbasciadore a Genova, e fu Braccio Martelli a chi fu dato per sottoimbasciadore
Piero di Niccolò Ardinghelli. E cosí attendendosi allo ordine di questa spedizione, e
cosí e' viniziani sendo ingrossati in quello di Pisa, si fece a Santo Regolo uno fatto di
arme, e' particulari del quale non narro perché non sono in mia notizia. Lo effetto fu
che e' nostri furono rotti ed el commessario Guglielmo de' Pazzi ed el conte Rinuccio da
Marciano governatore del campo si ritrassono, benché con pericolo grande, salvi in Santo
Regolo. Ebbene Guglielmo universalmente imputazione grandissima, e fu in gran parte
attribuita alla temerità sua, el quale volenteroso non solo in campo aveva consigliato lo
appiccarsi, ma ancora insino quando era in Firenze aveva detto publicamente, e credo in
consiglio o negli ottanta, che e' bisognava fare diguazzare le arme. |
Questa rotta fu da principio di disordine grandissimo, non solo in quello di Pisa,
dove se e' nemici avessino voluto spendere e seguitare la vittoria non avevano
contradizione alcuna, ma eziandio in tutta quella provincia; la quale tutto dí era
infestata di scorrerie e prede da stradiotti albanesi, che condotti in Pisa da' viniziani,
scorrevano ora in quello di Volterra, ora in Valdinievole, ora in verso San Miniato ed
insino a Castello Fiorentino. Ma di poi sendo infiammati gli animi di tutti ed
ingagliarditi nelle avversità, fatta conclusione di strignere e' pisani, fu condotto per
nostro capitano generale Pagolo Vitelli dandogli di condotta, insieme con Vitellozzo suo
minore fratello, credo trecento uomini di arme; cosí si rimesse in ordine el conte
Rinuccio, riservatogli el titolo di governatore, benché con difficultà si accordassi di
rimanere a' soldi nostri e volere e' Vitelli per superiori. Né era minore la caldezza del
signore Lodovico, el quale doppo la giunta di messer Guido, consultate bene queste cose e
fatta una dieta a Mantova circa alle pratiche di Italia, mandò buono numero di cavalli in
quello di Pisa agli aiuti nostri sotto el signore di Piombino, messer Carlo degli Ingrati
ed altri condottieri. E perché si cognosceva che e' viniziani, per divertire la impresa
di Pisa, ci offenderebbono forse dalla banda di Romagna, per avere piú fortezza in quella
provincia, fu tolto a soldi nostri con ordine del duca, Ottaviano figliuolo di madonna di
Imola, e lei co' figliuoli e discendenti fatta cittadina di Firenze, acciò che la potessi
essere donna di Giovanni di Pierfrancesco, rispetto che nel 94, parendo che e modi di
Piero non fussino secondo la natura di quella casa, ma costumi Orsini, e che el parentado
loro avessi in molte cose nociuto assai alla città, si era fatta una legge che nessuno
cittadino potessi tôrre per donna alcuna forestiera che fussi signora o di sangue di
signori; e benché detto parentado in fatto fussi contratto, pure non si publicò mai
vivente Giovanni, el quale pochi mesi poi mori lasciandola grossa. |
Cosí ordinata la espedizione di Pisa, trovandosi in campo commessario Benedetto de
Nerli e di poi Iacopo di messer Luca Pitti, e per sottocommessario Francesco di
Pierfilippo Pandolfini, era el nuovo capitano molto sollecito ed industrioso in fare
cavalcate, in condurre artiglierie per luoghi montuosi e che era quasi impossibile, ed in
effetto in dare ordine a tutte le cose che fussino necessarie a una espedizione. Nel quale
tempo el duca di Milano condusse per capitano el marchese di Mantova, e promettendolo a
fiorentini per a Pisa, per dubio che el capitano nostro non avessi per male di avere
superiore, fu mandato da' dieci in campo Piero Guicciardini per posarlo in questa parte, e
cosí per confortarlo a fare qualche impresa ed intendere la intenzione sua; ma di poi si
posò questa pratica, perché el marchese si acconciò con viniziani, benché di poi
adiratosi con loro, ritornò presto a' servigi del duca. E perché era qualche opinione
che e' viniziani per fuggire questa guerra, non fussino alieni dallo accordo, pure che si
trovassi qualche onorevole modo da lasciare Pisa, furono mandati imbasciadori a Vinegia a
trattare questa pratica, messer Guidantonio Vespucci e Bernardo Rucellai, e per
sottoimbasciadore Niccolò di Piero Capponi; e quali stati a Vinegia forse due mesi,
veduto che e' viniziani simulavano, se ne ritornorono a Firenze sanza fare conclusione
alcuna. |
In questo mezzo el capitano nostro, fatto forte alla campagna, avendo. prima in
qualche battaglia leggiere danneggiati assai e' pisani, ne venne a campo a Vicopisano, e
preso prima prestissimamente uno bastione che vi era stato fatto da' pisani per fortezza
di quel luogo, espugnò in pochi dí Vico; la quale prima espedizione sua gli dette
grandissima riputazione, per essere Vico luogo forte e che nella antica guerra di Pisa non
si vinse se non con uno esercito piú grosso, ed in spazio di molti e molti mesi; e di poi
in questa nuova, si era nell'anno 1495 difeso dal campo nostro, quale benché fussi
governato da messer Francesco Secco, ed altri buoni capi e fussi di numero non minore,
nondimeno si era partito sanza effetto e molto danneggiato dagli inimici. |
Preso Vico, fu lunga consulta quello si dovessi fare: el capitano considerando quanto
Pisa fussi forte, ripiena di uomini valenti e disperati, ed a ordine di artiglierie e
tutte le cose necessarie a difendersi e cosí quanto quella espugnazione avessi a essere
difficile, giudicava che e' fussi bene pigliare e' luoghi vicini, insignorirsi in tutto
del paese, faccendo bastioni e luoghi forti, e cosí privargli d'ogni speranza di
soccorso. Molti, massime e' meno pratichi, erano in contraria opinione ed insuperbiti per
la vittoria di Vico e lo essere alla campagna sanza riscontro, desideravano si andassi
diritto a campo a Pisa, ed a questa risoluzione si accordava in Firenze tutta la
moltitudine. Durò questa varietà di pareri molti dí, e finalmente sendo el capitano
ostinatissimo, per dare principio al suo disegno ne andò a campo a Librafatta; la quale
presa, e di poi la Torre di foce, e fatti in certi passi che non si potevano guardare
altrimenti bastioni fortissimi, consumò la state. Di che nel popolo cominciò avere
carico grande, come se e non volessi condurre a fine la impresa, ma mantenerci nella
guerra; e non solo lui, ma ancora el duca di Milano che si diceva volere tenere la guerra
in luogo, perché e' viniziani e noi stessimo in sulla spesa. |
In questo tempo e' viniziani non avendo troppa commodità di mandare soccorso in Pisa,
per divertire questa espedizione cercorono romperci dalla banda di Siena; e perché la
città per fuggire questo pericolo, si era poco innanzi, per ricordi ed opera del duca di
Milano, accordata co' sanesi, accordo certo disonorevole benché necessario, perché si
sospesono per cinque anni le ragione di Montepulciano e gittossi in terra el ponte a
Valiano, Pandolfo Petrucci, che governava allora Siena, non volle acconsentire alle
dimande loro e dubitando di qualche scandolo drento, perché el popolo per odio de'
fiorentini vi era pure vòlto, richiese si mandassino per sua sicurtà gente in su'
confini, e cosí fu mandato al Poggio Imperiale el conte Rinuccio da Marciano con dugento
uomini d'arme. Disperati adunche e' viniziani da questa banda, mandorono gente in Romagna
alla volta di Marradi, dove a riscontro vi furono mandate parte delle nostre gente, ed el
duca di Milano vi mandò potente soccorso sotto el governo del conte di Caiazzo e di
Fracasso, in modo che con queste forze e col favore si traeva delle terre di madonna di
Imola, facilmente si difese lo stato nostro da quella banda, in modo che renduti vani in
ogni luogo gli sforzi de' viniziani, pareva che le cose nostre tutto dí migliorassino e
riducessinsi in buoni termini. Aggiugnevasi che nella città pareva ritornassi ogni dí la
unione, e già nel consiglio, quando si creavano e' magistrati, non erano difettati piú
e' piagnoni che gli altri; in modo che, creandosi del mese di ottobre lo uficio de' dieci
che aveva a entrare poi di dicembre, ne furono eletti con messer Guido uno de' capi
dell'altra parte, messer Domenico Bonsi, Batista Serristori e Luca di Antonio degli
Albizzi, che erano stati fautori del frate. |
Ma sopravenne sulla fine di questo mese uno accidente che rimescolò tutto lo stato
nostro; perché e' viniziani, avendo seco e' Medici, ebbono furtivamente in Casentino
Bibbiena, per trattato tenuto con certi parenti di ser Piero cancelliere di Piero de'
Medici ed eziandio per mala cura di Cappone di Bartolomeo Capponi, che vi era per questi
sospetti stato mandato commessario. Fu questa piaga di grande importanza, avendo e' nimici
in corpo ed in luogo sí propinquo alla città, e' quali erano molto piú temuti per avere
seco e' Medici che avevano molti amici del nostro contado. Dubitandosi adunche di Poppi,
Pratovecchio e di altri luoghi del Casentino, vi furono subito mandati fanterie e
commessari, fu posta la taglia drieto a Giuliano de' Medici, che prima non l'aveva se non
Piero; voltoronvisi le gente di Milano sotto la cura del Fracasso, perché el conte di
Caiazzo era già ritornato in Lombardia; e per cavarne a ogni modo gli inimici, si levò
in ultimo Pagolo Vitelli di quello di Pisa, dove non faceva nulla, e fu adiritto in
Casentino, dove fu creato commessario generale Piero Corsini, sendo ito per commessario
dalla parte di Pisa Piero Guicciardini. Fu alla fine del medesimo mese, nella creazione
della nuova signoria, eletto gonfaloniere di giustizia Bernardo Rucellai, el quale sendo
un poco amalato rifiutò, seguitando la natura e modi sua, di che si dirà in altro luogo;
ed èbbene gran carico, quasi come se e' non degnassi lo essere gonfaloniere e non si
potessi saziare la ambizione sua; fu in suo luogo sustituito messer Guidantonio Vespucci. |
Per la venuta di Pagolo Vitelli in Casentino non solo si confermorono le terre nostre,
ma ancora si cominciorono a strignere tutto dí gli inimici; in forma che pigliando animo
e' villani del paese che sono naturalmente uomini armigeri e sono in luoghi forti dove non
si possono adoperare e' cavalli, ne feciono molte volte occisione, trovandosi a tutto come
capo uno abbate Basilio dello ordine di Camaldoli, el quale aveva in Casentino una badia;
furono ancora rotti e perseguitati da Pagolo Vitelli tanto che finalmente le gente loro si
ridussono in Bibbiena col duca di Urbino e con Giuliano de' Medici, donde non si potevano
partire a loro posta e non avevano vettovaglia per molto tempo. E benché e' processi del
nostro capitano in quella provincia fussino e felici e industriosi, nondimeno perché e'
primi urti e piú spessi che ebbono gli inimici, furono dallo abbate Basilio e da'
paesani, si accrebbe molto nel popolo la opinione cattiva conceputa di lui la state
passata, come se e' volessi a compiacenzia del duca tenere la guerra viva; massime che poi
che gli inimici furono ridotti in Bibbiena, stimandosi fussi facile cosa lo acquistarla,
pareva al popolo le cose andassino molto adagio; il che nasceva perché lo esercito nostro
si poteva poco adoperare, sendo nel cuore del verno ed in luoghi montuosi ed aspri. |
Aggiunsesi che essendo el duca di Urbino malato gravemente in Bibbiena, el capitano e
Pier Giovanni da Ricasoli, che vi era commessario, gli concederono, sanza saputa de'
dieci, licenzia di uscirne ed andarsene a Urbino, allegando averlo fatto perché se e'
fussi morto lo stato suo sarebbe ito in mano de' viniziani; ebbene l'uno e l'altro gran
carico e nondimeno non ne fu altro. Per la qual cosa per tutta la città era molto
celebrato ed esaltato el nome dello abbate Basilio e pel contrario si sparlava
publicamente del capitano e anche del duca di Milano el quale con tutto che ogni dí
sollecitassi la impresa di Bibbiena, richiedendo di intendere quello bisognassi e
promettendo farlo largamente, con tutto avessi anche insino allora servito di gente e di
danari, nondimeno perché era in opinione di ambizioso ed astuto e che si governassi piú
tosto con girandole e tranelli che realmente non poteva tanto fare che in Firenze dalla
moltitudine ed ancora da molti che maneggiavano lo stato gli fussi creduto. |
Erano in questi termini le cose della città, e da altra parte Italia universalmente
si adirizzava a movimenti grandissimi perché el nuovo re di Francia, avendo per via del
matrimonio colla regina vecchia conservato al reame di Francia lo stato di Brettagna, ed
essendosi bene stabilito nel regno ed in tutto assicurato aveva in tutto vòlto el
pensiero al passare in Italia, prima alla impresa di Milano e poi di Napoli; ed essendo
cosa di momento grandissimo ne stavano molto sollevati tutti e' potentati di Italia,
secondo gli appetiti e passione loro ed e' termini in che si trovavano. |
El papa, desideroso di fare uno stato per Valentino suo figliuolo, né ci conoscendo
altra via che la passata de' franzesi, non cessava di continuo sollecitare e stimolare
questa impresa. |
Erano e' viniziani aviluppati in affanni grandissimi, perché oltre a' travagli e
rotte del Casentino ed el conoscere assolutamente non potere piú tenere Pisa né la
potere lasciare sanza gran danno e vergogna, si ritrovavano dalla parte di levante in
sospetto grande di guerra col turco, el quale si intendeva fare apparati grandissimi per
mare e per terra per venire a' danni loro; temevano ancora che el duca di Milano se si
posassi insieme collo imperadore e' fiorentini, non gli offendessi in Lombardia, e come
avevano sospetto di lui, cosí se ne riputavano grandemente ingiuriati, perché per opera
sua erano al disotto nelle cose di Pisa, nelle quali se avessino avuto a fare co'
fiorentini soli, arebbono ottenuto ciò che volessino; ed inoltre credevano che egli
concitassi e stimolassi el turco contro a di loro, mossi adunche da paura e da sdegno,
erano vòlti col pensiero alle cose di Francia e cercavano collegarsi col re contro al
duca, spignendovegli anche la ambizione, perché disegnavano acquistare qualche terra
dello stato di Milano. |
E' fiorentini avevano dua pensieri: l'uno cacciare e' viniziani di Casentino, l'altro
riavere Pisa; e perché l'uno e l'altro, massime el primo, non si potevono fare sanza
favore del duca, erano da un canto sforzati procedere con lui, da altro temendo assai la
potenzia del re ed anche avendo speranza da lui, se si accordassino seco della
restituzione di Pisa, stavano da principio ambigui, ma poi per conforto del duca si
risolvevano allo accordo. |
El re Federigo trovandosi nello stato molto debole e quasi sanza forza, con tutto che
avessi a participare del male, pure perché el pericolo di Milano era primo, o per non
potere o per non sapere, non pareva si risentissi in queste cose come sarebbe stato el
debito. |
El duca si trovava in pensieri grandissimi, conoscendo che la potenzia di Francia era
di gran lunga superiore alla sua; e considerato non si potere valere della unione di
Italia, per essere el papa certo con Francia ed e' viniziani dubii, teneva pratiche collo
imperadore; inoltre riputando Paolo Vitelli uomo valentissimo per potersene valere ne' sua
bisogni, desiderava da cuore che noi ci reintegrassimo col favore suo delle cose nostre,
parendogli che quando questo fussi per opera e beneficio suo, che non solo conseguirebbe
lo intento suo di Pagolo Vitelli, ma ancora arebbe a' sua bisogni tutte le forze della
città nostra. Ed inoltre sapendo e' viniziani essere stracchi delle cose di Pisa e che
volentieri se ne uscirebbono per via di accordo, e cosí sapendo quanto si tenessino
offesi da lui e desiderando placargli acciò che per sdegno non si accordassino col re,
cominciò, per fare loro beneficio a fare tenere pratica dal duca di Ferrara, come uomo di
mezzo, di composizione tra e' viniziani e noi, confortando caldamente la città volere
pigliare ogni accordo pel quale e' viniziani si uscissino di Casentino e di Pisa. Ed
inoltre dubitando che questo rimedio con viniziani non bastassi, confortava e' fiorentini
a fare accordo col re di Francia, parendogli che oltre a potere questo essere buono mezzo
a farlo venire in qualche composizione tollerabile col re, fussi ancora la via a escludere
e' viniziani dalla amicizia di Francia; perché, secondo le pratiche andavano a torno, el
re ci aveva a promettere la restituzione di Pisa, e cosí a obligarsi contro a' viniziani;
e consequentemente fatto l'accordo nostro col re, quello de' viniziani rimaneva
incompatibile; e cosí e' viniziani sarebbono forzati o unirsi con lui alla difesa degli
stati di Italia o almeno starsi neutrali e cosí lui colle forze sue e con qualche aiuto
dalla Magna, potersi piú facilmente difendere da Francia. |
Stando le cose in queste ambiguità e sospensioni, fu mandato messer Antonio Strozzi
da' dieci a Ferrara per questa pratica di accordo che era nelle mani del duca, ed a Milano
fu eletto imbasciadore, per meglio risolvere le cose nostre con quello principe, el
vescovo de' Soderini, benché vi fussi ancora oratore per stanza messer Francesco Pepi; e
di poi desiderandosi la espugnazione di Bibbiena, si disegnò mandare in campo due
commessari di riputazione, e' quali intendessino quel bisognava a quella impresa e la
riscaldassino tanto che se ne venissi al fine; e cosí furono eletti Giovan Batista
Ridolfi e Paolantonio Soderini Ma pochi dí poi, riscaldando la pratica di Ferrara, ed
avendo el duca grande intenzione da' viniziani della conclusione e volendo per piú
facilitarla transferirsi a Vinegia, richiese gli fussino mandati imbasciadori con mandati
pieni; e però vi furono eletti Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, e per
sottoimbasciadore Alessandro di Donato Acciaiuoli e per scambio loro in Casentino Antonio
Canigiani e Lorenzo di Pierfrancesco; e la medesima sera fu fatto a Roma imbasciadore
stanziale messer Antonio Malegonnelle, e per sottoimbasciadore Ruberto di Donato
Acciaiuoli. Ed innanzi gli imbasciadori partissino per Vinegia e Ferrara intendendosi per
lettere di Francia come l'accordo nostro si strigneva col re, e che e' viniziani pareva
avessino rotto sopravenne subito nuove fuora della opinione di tutti, essersi fatto
accordo e lega tra el re di Francia, papa e viniziani, e come e' viniziani si obligavano a
dare al re certa somma di danari, ed e converso acquistandosi lo stato di Milano, avevano
a avere Cremona con tutto el cremonese e la Ghiaradadda, benché queste condizioni furono
da principio segretissime. |
Alterossi la città assai per questa nuova, ma molto piú si alterò e sbigottí el
duca, parendogli avere gran carestia di partiti; nondimeno disposto a non si abbandonare,
mandò subito per le poste a Firenze messer Galeazzo Visconti, gentiluomo di Milano ed
apresso a lui di grande autorità, a intendere donde procedeva la tardità delle cose di
Bibbiena e sollecitare el capitano e gli uomini sua volessino una volta tirarla a fine, a
confortare la città che per ogni caso stessi bene armata e proveduta, ed in ultimo a
sollecitare la partita degli oratori per a Vinegia, perché, non sapendo ancora quanto lo
accordo fra el re ed e' viniziani fussi durabile, desiderava, se fussi possibile,
riconciliarsegli con questo beneficio, e quando non giovassi, che le cose nostre fussino
espedite per potersi valere de' Vitelli. Ed esposte messer Galeazzo queste cose, ne andò
in Casentino e comandò a Fracasso ne andassi a Milano, dove giunto, ebbe subito bando di
rubello per aver tenuto in Casentino pratiche co' viniziani di cattiva natura. |
In questo tempo lo uficio de' dieci accrebbe la condotta al conte Rinuccio, che fu
cosa perniziosa alla città; e perché si intenda meglio s'ha a sapere che fra e' Vitelli
ed el conte era emulazione grandissima perché el conte, sendo di una medesima età che
Pagolo e stato molto piú tempo di lui a' soldi nostri, aveva per male che lui gli fussi
stato preposto in titolo, e per questa cagione, quando Pagolo fu fatto capitano, si
sarebbe alienato da' soldi nostri; se non che per essere tenuto valente uomo e fedele, fu
ritenuto con molti prieghi e conservatogli el titolo di governatore del campo e datagli
tanta condotta quanta avevano e' Vitelli; e nondimeno non sendo bene contento, piú tosto
intraversava ed opponevasi alle imprese di Paolo che altrimenti e tutto dí cercava di
salire in piú condotta e piú condizione di lui. Da altra banda Pagolo, avanzandolo cosí
di virtú come di titolo comportava male volentieri questa emulazione, né gli pareva
giusto el conte avessi condotta quanto lui, e nondimeno, sendo cosí pregato, l'aveva
acconsentito, ma non arebbe già patito che egli lo avanzassi di condotta. Nascevano ogni
dí fra loro contese e dispareri, che non solo generavano divisione nel campo e tra'
soldati, ma ancora nella città, dove l'uno e l'altro aveva molti fautori, chi per
amicizia, chi perché giudicassino essere cosí el bene della città; in modo che per
questa discussione, che non era piccola, le imprese del Casentino erano ite molto piú
debole e fredde che non sarebbono ite. |
Aveva el conte tenuto segretamente cogli amici suoi una pratica che gli fussi
accresciuto la condotta, e per ottenerla operato astutamente che da Milano e molti luoghi
era venuto aviso che lui era per condursi con viniziani con gran vantaggi; in su' quali
avisi mostravano gli amici sua che questa sarebbe cosa perniziosa alla città e che l'arme
nostre diminuirebbono, ed e converso quelle de' viniziani si accrescerebbono in Toscana;
e' quali oltre allo avere piú gente, si varrebbono d'uno uomo valente e che, per essere
stato lungo tempo a' soldi nostri, aveva gran notizie de' passi e del paese, ed anche
amicizia con molti nostri sudditi. Ed essendo udite queste ragione nello uficio de' dieci,
de' quali si trovavano Luca d'Antonio degli Albizzi e Bernardo Rucellai suoi grandissimi
fautori, che era stato eletto in luogo di messer Guido che era ito capitano di Pistoia,
finalmente ne feciono la condotta non avendo in compagnia chi bene considerassi la
importanza della cosa. E perché in luogo di Giovanni Manetti, morto, era suto eletto de'
dieci Piero Guicciardini che si trovava commessario in quello di Pisa, dubitando che lui
mosso o dal bene della città o da essere amico di Pagolo non guastassi questa pratica,
sollecitorono la conclusione in modo che la feciono la sera che Piero tornò in Firenze,
ed essendo egli ito alla signoria e di poi a pigliare l'uficio ed in ultimo, non avendo
notizia di questa materia, preso licenzia de' compagni per essere stracco ed itosene a
casa, non gli dissono quello volessino fare, ma come fu partito, ne feciono el partito. Il
che intendendo Pagolo, ne fece fare da messer Currado suo cancelliere molte doglienze, in
modo che per posarlo fu necessario accrescere la condotta ancora a lui al pari di quella
del conte Renuccio. |
E cosí la città si trovò con tanto numero d'uomini d'arme adosso, che non poteva
soportare tanta spesa, benché piú volte si fussi fatto el calculo di quegli dovessino
tenere e non gli passare; e lo uficio de' dieci ne acquistò tanto carico, e cosí e'
primi cittadini, parendo allo universale che e' governassino secondo le loro spezialtà,
non secondo la utilità della città, che ne seguí pessimi effetti, come di sotto in
altro luogo si dirà. |
Partirono di poi gli oratori e vennono a Ferrara, e quivi aboccatosi con quello
principe, pochi dí poi ne andorono insieme con lui a Vinegia, intendendosi che e'
viniziani da cuore desideravano lo accordo. Quivi sendosi piú giorni dibattuto le cose
nostre, in ultimo. si compromessono tutte le differenzie nel duca di Ferrara, benché per
parte della città vi si andassi adagio, dubitando che piú non potessi in lui el rispetto
e timore de' viniziani che la giustiza: pure per conforto del duca di Milano vi si
concorse. |
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XVIII |
LODO DEL DUCA DI FERRARA. |
PAOLO VITELLI (1499). |
1499. Con questa azione si finí l'anno 1498, nel quale se bene fussino accidenti
grandi nondimeno furono molto maggiori quegli del sequente anno 1499, nei principio del
quale el duca Ercole dette in Vinegia el lodo delle nostre differenzie con viniziani. E lo
effetto fu che e' viniziani dovessino per tutto dí 25 di aprile, che era il dí di san
Marco, avere lasciato Pisa e Bibbiena e tutte le cose tenevano in quello contado e per
satisfazione di parte delle spese avevano fatte in quella guerra, dovessino avere da noi
in termine di quindici anni ducati centottantamila, pagandone ogni anno ducati dodicimila,
dovessino e' fiorentini, recuperando Bibbiena, perdonare a' bibbienesi; ed in caso che e'
pisani volessino essere compresi in questo accordo, si intendessi el commerzio e governo
della città renduto a' fiorentini, e' quali avessino a riavere tutto el contado di Pisa,
a mandare in Pisa uno podestà, con questo che Vicopisano e le fortezze fussino tenute da'
pisani per loro sicurtà, ed el duca di Ferrara vi avessi a mandare uno dottore che fussi
proposto alle appellazioni, e credo ancora al criminale. |
Dispiacque assai a' viniziani questo lodo, perché dicevano che rimanendo e' pisani
abandonati, venivano assolutamente in mano de' fiorentini, e però, che recuperando, come
si poteva dire, e' fiorentini per virtú di questo lodo Pisa, dovevano essere condannati a
satisfargli di presente almeno di buona parte delle spese fatte in questa guerra che
ascendevano alla somma di ducati settecentomila o piú; e dolsonsi in modo del duca, che
egli temé assai non gli fussi fatto villania e fu costretto, per satisfare loro,
aggiugnere pochi dí poi al lodo certe dichiarazione, le quali restrignevano le
preeminenzie e iurisdizione che e' fiorentini avevano a avere in Pisa, e fortificavono la
sicurtà de' pisani. E fatto questo, doppo qualche dí si risolverono volentieri al lodo,
non già ratificandolo espressamente, ma cavando le gente di Pisa e Casentino al tempo
debito, dissono averlo ratificato co' fatti. |
Furono le medesime doglienze ne' fiorentini, a' quali dispiacquono due cose: l'una che
rimanendo le fortezze a guardia ed in mano de' pisani, loro non riacquistavano el dominio
della città, in modo che e' pisani rimanevano liberi di potere ogni volta di nuovo
ribellarsi, il che era credibile farebbono, rispetto alla ostinazione e malignità loro ed
allo odio grande ci portano; l'altra che e' pareva aspro che e' viniziani, e' quali, per
avere occupato le cose nostre e molestatoci ingiustamente, avevano di ragione a rifarci di
quello avamo speso, fussino pel lodo fatti creditori di ducati centottantamila; né ci
pareva beneficio l'avere a rilasciare Pisa ed el Casentino, sapendosi che erano in termini
che vi potevano poco stare, e però furono ambigui al ratificare; ma confortandone
instantemente el duca di Milano, e mostrando che ogni principio di entrare in Pisa in
qualunque forma era da stimare assai, perché non mancherebbono poi de' modi a
insignorirsene interamente, e che la somma del danaio per essere divisa in tempi lunghi
non era grave, e promettendo anche aiutargli in questo pagamento, finalmente ratificorono. |
Minore ambiguità fu ne' pisani, perché parendo loro essere stati rivenduti da'
viniziani, e non si fidando delle promesse de' fiorentini e che e' patti avessino a essere
loro osservati, non vollono in modo alcuno acconsentire, benché el duca di Milano tenessi
pratiche ed ogni industria che e' si disponessino. E cosí el duca rimase ingannato delle
ragioni per le quali si era affaticato su questo accordo, perché né e' viniziani gliene
seppono grado, né e' fiorentini per la ostinazione de' pisani rimasono in modo espediti
che si potessi valere di loro o di loro gente. |
Fatto lo accordo ed osservato dalle parte principale, e' fiorentini entrorono in
Bibbiena abandonata e gittorono le mura in terra, il che fu biasimato perché parve contro
allo accordo, nel quale si era promesso perdonare agli uomini di Bibbiena; parve ancora
disutile, perché per rispetto de' pisani pareva tempo da usare dolcezza. Pisa rimase in
mano de' pisani, e cognoscendosi bisognava la forza, dirizzandosi gli animi a farne
impresa, perché Pagolo Vitelli, fatto lo accordo, era ito a Castello non molto fermo
colla città, vi fu mandato da' dieci Piero Corsini, el quale, fatte con lui nuove
riconvenzione, lo ricondusse in quello di Pisa, e lui vi rimase commessario insieme con
Pierfrancesco Tosinghi che vi era prima commessario per stanza. |
Nel quale tempo avendosi a creare e' dieci di balía nuovi, e faccendosene secondo lo
ordine le nominazioni in consiglio grande dove andorono sempre a partito e' primi uomini
della città, non fu mai possibile ne vincessi nessuno, e benché la signoria ne facessi
molte volte pruova, tutto fu vano, in modo che e' fu necessario lasciare la città in
tempi di guerra e di imprese grande. sanza el magistrato de' dieci. Le cagioni furono,
perché la guerra di Pisa era stata molto lunga e vi si era speso drento somma infinita di
danari con quegli si erano dati al re di Francia, e tutti sanza frutto e successo alcuno,
in modo che sendo multiplicato ogni di e' nostri disordini, la moltitudine che non
considera la circumstanzia delle cose, credeva che e' fussi proceduto perché e' primi
cittadini non avessino voluta la recuperazione di Pisa anzi avessino avuto caro tenere la
città in continui affanni, acciò che la avessi piú bisogno della opera loro e per avere
piú facilmente occasione, quanto piú fussino stracchi ed indeboliti e' cittadini, mutare
el consiglio grande: e perché questi primi sempre intervenivano nel magistrato de' dieci,
però el nome di quello magistrato era in sommo odio, e vulgarmente per gli uomini piú
popolani si diceva: "né dieci né danari non fanno pe' nostri pari".
Aggiugnevasi che, come interviene quando e' cittadini non hanno uno sopracapo chi e'
temino o riverischino, le spezialtà di molti che erano stati de' dieci, erano sute
grandissime, sí in dare favori estraordinari a qualche condottiere, come dicemo di sopra
del conte Rinuccio, sí in volere fare guadagnare qualche cosa a' cittadini loro parenti o
amici, in modo che quando si era fatto qualche fazione, avevano mandato fuora sanza alcuno
proposito uno numero grandissimo di commessari; delle quali cose erano multiplicate assai
le spese della città, ed oltre a una difficultà estrema che si era introdotta di vincere
provisione di danari in consiglio grande, el nome del magistrato de' dieci era allora piú
esoso al popolo che cosa si potessi loro proporre. E però disperata la signoria, che ne
era gonfaloniere di giustizia per maggio e giugno Francesco Gherardi, che e' si vincessino
e' dieci, governava lei le cose della guerra, chiamando sempre una pratica de' primi
cittadini, per consiglio de' quali si deliberavano le cose importante; e vòlti gli animi
di tutti alla impresa di Pisa, esaminando le forze nostre e degli avversari, si conchiuse
che, poi che e' pisani erano abbandonati e per le condizione di Italia non potevano
sperare soccorso potente di luogo alcuno le nostre gente sole erano atte a espugnarla
sanza e' favori del duca di Milano; al quale dispiacque assai el non essere richiesto,
parendogli che la città non volessi in questo caso obligo seco, per non essere tenuta
aiutarlo nella guerra contro a Francia, che tutto di riscaldava. |
Fatta questa conclusione, e bisognando danari per la esecuzione, si messe in consiglio
grande una provisione di danari la quale aveva difficultà grandissima a vincerla per le
condizioni dette di sopra, e perché el popolo desiderava che nella elezione de e'
magistrati di drento e di onore si seguitassi quello modo che si teneva negli ufici di
fuora e di utile, cioè di imborsare tutti quegli che avessino vinto per la metà delle
fave e una piú, e però davano le fave bianche a ogni cosa. Fecesene pratica, e veduto
quanto importava Pisa alla città e come la impresa, per essere e' pisani soli, era molto
riuscibile e piú che fussi stata in tempo alcuno doppo el 94, con tutto che el desiderio
del popolo si cognoscessi dannoso alla città, pure per meno male si conchiuse di fare una
nuova provisione di danari, nella quale si congiunse che gli ufici di drento si
eleggessino come quelli di fuora, eccetto che e' si nominassi chi doveva andare a partito.
E cosí proposta questa provisione, era el popolo tanto infastidito del pagare danari, ed
anche aveva sí poca fede in Paolo Vitelli, che non si sarebbe vinta; se non che Francesco
Gherardi gonfaloniere con tanta destrezza ed umanità e con modi tanto dolci e da prudente
seguitò di proporre la provisione, che finalmente per virtú sua, benché non sanza
difficultà grande, si ottenne. |
La quale vinta, subito si dettono danari in campo, ed el capitano nostro andatone a
campo a Cascina con sua grandissima gloria in pochissimi dí la espugnò. Benché, come lo
menava la sorte sua, questa vittoria gli multiplicassi carico col popolo; perché in
Cascina fu preso Rinieri figliuolo di messer Pietro Paolo dalla Sassetta, el quale, sendo
nella guerra de' pisani a' soldi nostri, si era di poi partito occultamente, non so per
che cagione, ed itosene a Pisa, dove in ogni tempo, e massime quando el duca Ercole dette
el lodo, aveva operato assai contro alla città, confortando allora e' pisani a non volere
ratificare; e perché questi portamenti erano in lui tanto piú molesti quanto piú erano
alieni da uno nostro raccomandato e che fussi stato a' soldi nostri, però era in sommo
odio al popolo. Aggiugnevasi che sendo costui stato non molto innanzi a Milano, si
riputava che se el duca malignava nelle cose di Pisa, di che la città non era in tutto
chiara, lui sapessi el segreto suo; e però sendo lui stato preso, fu subito scritto al
capitano che l'aveva nelle mani, lo mandassi a Firenze, e si giudicava che da poi che e'
fussi esaminato di quello sapeva, gli sarebbe tagliato el capo; ed aspettandosi a Firenze,
venne nuove come lui si era fuggito, ed in fatto fu lasciato da Paolo, el quale non volle
essere bargello di uno soldato da bene e valente. Ma a Firenze chi aveva sospetto di lui
interpretò perché e' non volle che Rinieri, che sapeva e' segreti de' pisani e si
credeva sapessi quegli del duca circa alle cose di Pisa, lo scoprissi di pratiche tenute
col duca e co' pisani contro alla città, e per questa voce si accrebbe grandemente la
mala opinione era di lui ed el carico aveva di malignare in queste cose. |
Presa Cascina, usci la signoria vecchia con tanta grazia e favore di Francesco
Gherardi, che sanza dubio molti anni innanzi non era stato uno gonfaloniere di giustizia
che fussi uscito con benivolenzia pari a lui, in modo che al certo e' si trovava con piú
credito ed autorità nel popolo che altro cittadino da Firenze; ed entrata la signoria
nuova, fatta per tratta, si attendeva e nella città ed in campo a provedere le cose
oportune per andare a campo a Pisa. |
Nel quale tempo crescevano ogni dí le angustie del duca di Milano, perché el re di
Francia si ordinava e metteva in punto con gran celerità, el papa, con tutto avessi
tenuto qualche pratica di accordo col duca, si era dichiarato talmente pel re, che
monsignore Ascanio disperato di potere fare frutto con lui ed anche forse temendo di sé,
aveva abbandonato la corte ed itosene a Milano; nel medesimo termine erano e' viniziani
risoluti interamente, per la ambizione di acquistare Cremona, alla disfazione dello stato
di Milano; le cose della Magna erano sí fredde che e' disegni fatti di quella provincia
riuscivano fondati in aria; non si poteva durante la impresa di Pisa fare fondamento in
Pagolo Vitelli. In modo che el duca era in cattivi termini, e massime che per sue colpa si
privava di uno rimedio che sarebbe stato in sue potestà, perché sendo nate certe
differenzie tra lui ed el marchese di Mantova, suo capitano, circa alla condotta, le quali
erano nutrite da messer Galeazzo da Sanseverino per ambizione di essere lui capitano in
luogo del marchese, fu sí poco in questa parte el giudicio del duca, che non vi pose
rimedio; in forma che el marchese si alienò da lui e cosí per colpa sua gli uscí di
mano uno instrumento che pareva attissimo o a guidare lo esercito contro a' franzesi o a
difendere lo stato di Milano dalla banda de' viniziani. |
Per le quali cose vedendosi a Firenze la debolezza sua, ed instando el re che la
città si dichiarassi in suo favore, erano vari e' pareri de' cittadini: alcuni non si
volevano inimicare al duca, parendo fussi cattivo pagamento agli aiuti e favori ci aveva
dati, e' quali erano stati di natura che si poteva dire per opera sua e' viniziani essere
stati cacciati di Toscana; ed inoltre giudicando che el duca colla potenzia sua e co'
favori trarrebbe della Magna, si difenderebbe in modo che non sarebbe inghiottito sí
facilmente come era la opinione di molti, ed a questo parere concorrevano massime quegli
che si erano travagliati contro al frate, che sempre erano stati inclinati alle cose del
duca e piú alieni da Francia, alcuni altri considerando la gran potenzia del re di
Francia congiunto co' viniziani e col papa, facevano giudicio che lo stato di Milano non
avessi rimedio e che e' fussi pazzia volere perire con lui, ricordando quanto fussi stato
el danno della città nel per volere opporsi al re Carlo; e cosí sendo di varie opinione
e' cittadini, non se ne faceva conclusione o risoluzione alcuna. |
In questo tempo, sendo a ordine gli apparati della guerra, Pagolo Vitelli col nostro
esercito si pose a campo a Pisa a dí... ed avendo piantate le artiglierie, cominciò a
strignere la terra. e di poi el dí di san Lorenzo, non sendo ordine al dare la battaglia
presono e' soldati suoi Stampace, ròcca forte di Pisa. Per la quale perdita in modo
sbigottirono e' pisani che si cominciorono a ritirare indrieto, e messer Piero Gambacorti
ed alcuni altri fuggirono a Lucca, in forma che se e' si seguitava la vittoria, Pisa era
sanza dubio el dí nostra. E durò questa occasione, come dicono, bene otto o dieci ore,
ma el capitano che non aveva ordinato el dí dare la battaglia, non credendo forse che e'
nimici fussino in tanto terrore e disordine, fermò e' soldati sua; e però e' pisani
rincorati feciono ripari da quella parte, in modo che per la via di Stampace non si
potessi entrare nella terra. Erano intanto cominciate nel campo nostro, per la cattiva
aria che vi suole essere in quegli tempi, certe febre pestilenziale, delle quale molti
erano già amalati, e fra gli altri tutti a due e' commessari, che ne morí Piero Corsini,
e furono mandati subito in luogo loro Francesco Gherardi e Paolantonio Soderini e' quali
vi ammalorono in pochi dí, in forma che e' cittadini vi andavano male volentieri; pure vi
fu mandato Luigi della Stufa e Pierantonio Bandini che subito ammalorono; e vi fu di poi
mandato Piero Vespucci che ancora lui in ultimo ne tornò ammalato a Firenze. |
In questo mezzo el capitano aveva colle artiglierie gittato in terra tanto muro, che
molti giudicavano che, dandosi la battaglia, Pisa si otterrebbe; e lui non lo negava, ma
diceva sarebbe con molta uccisione degli uomini suoi, e però essere meglio differire el
darla tre o quattro dí, perché sarebbe in terra tanto muro, che al certo con poco danno
e pericolo de' soldati si vincerebbe, e però essere meglio pigliare el partito piú
sicuro, massime che in sí piccola dilazione non poteva sopravenire nulla che piggiorassi
le condizione nostre. E finalmente avendo diterminato el dí di dare la battaglia, ed
essendo quello dí venuta per sue richiesta in Firenze la tavola di Santa Maria Impruneta,
erano tante multiplicate le malattie in campo, che vi si trovò sí poco numero di sani,
massime essendo ammalato ancora el capitano, che non si potette dare la battaglia; e pochi
dí poi, diminuendosi ogni dí lo esercito nostro ed essendo entrati in Pisa, mandati da'
lucchesi, trecento fanti, disperata la vittoria, si levò da campo. La quale cosa gli
accrebbe infinitamente el carico aveva nella città, e non solo appresso la moltitudine ed
e' volgari, ma ancora appresso a molti che usavano el palagio ed avevano autorità. |
E cosí si terminò questa impresa di Pisa, la quale fu cominciata con speranza
grandissima di avere a riuscire, avendo uno esercito grosso, uno capitano valente, e gli
inimici soli ed abbandonati di soccorso da tutti e' potentati di Italia. Ma el fine fu
vergognoso e con assai danno, rispetto alla spesa fatta che fu grande, ed alla morte di
piú commessari, cioè di Piero Corsini, Francesco Gherardi, Paolantonio Soderini e
Pierantonio Bandini, de' quali Francesco Gherardi che nuovamente era salito in somma
benivolenzia, non poté piú dolere alla città; la quale universalmente non si dolse
della morte di Paolantonio, perché con tutto fussi valentissimo uomo e molto prudente ed
eloquente ed amatore della libertà, nondimeno era tenuto ambizioso, e che desiderassi
mutare el governo e ristrignere lo stato in pochi cittadini. |
Levato el campo da Pisa, si creò la signoria nuova per settembre ed ottobre, che ne
fu gonfaloniere Giovacchino Guasconi, nel principio della quale trattando Paolo,
desideroso di recuperare l'onore suo, che si rifacessi el campo, e di ritornare a Pisa,
mostrando per molte ragioni che erano capace a qualche savio, che la impresa era facile,
nondimeno la città vi rinculava e si risolveva al no, parte per essere stracca, parte per
non avere piú fede in Pagolo, el sospetto del quale ogni dí cresceva per molti conti,
massime doppo la tornata di Piero Vespucci che ne fece malissima relazione. In modo che
non potendo la cosa stare piú cosí, che fussi capitano nostro uno riputato inimico
nostro, anzi bisognando facessi qualche effetto, in ultimo Bernardo Rucellai, Filippo
Buondelmonti, Luca degli Albizzi, concorrendo ancora nel parere loro Antonio Canigiani e
Braccio Martelli che erano commessari in campo, ristrettisi col gonfaloniere e con
Francesco Guiducci e Niccolò di Alessandro Machiavelli che erano de' signori, gli
persuasono volessino fare punire Pagolo; e disposti per mezzo di questi tre gli altri
signori, eccetto Antonio Serristori, che per essere in casa ammalato non gli fu conferito
nulla, la signoria commesse a' commessari di Cascina quello avessino a fare; e' quali
sotto colore di praticare el rifare el campo, lo chiamorono in Cascina a consiglio e quivi
lo sostennono, e subito, come era ordinato, el signore Piero dal Monte e conte Pirro da
Marciano ne andorono al padiglione di Vitellozzo per pigliarlo, ma intesa la cosa, sendo
urtati da certi suoi uomini, ebbe tempo a salvarsi e si fuggí a Pisa, donde poi si
ridusse a Castello. |
Venuta a Firenze la nuova della presa di Pagolo, la quale era segretissima a tutti e'
primi cittadini, eccetti quegli che ne erano stati autori, la signoria, volendolo a
Firenze, mandò subito per lui Filippo Buondelmonti e Luca di Antonio degli Albizzi, e'
quali trovatolo per la via bene guardato, la sequente sera lo condussono a Firenze; ed
avendolo subito esaminato a parole né cavandone cosa alcuna, lo messono alla fune ed
avendogli dati piú tratti di fune e non confessando, lo ritrovorono con altri tormenti,
ed ogni cosa in vano. E cosí avendo ricerche le lettere e scritture sua, ed esaminato con
ogni modo Cerbone da Castello suo cancelliere, e messer Cherubino dal Borgo a San Sepolcro
molto confidato suo, non vi trovorono cosa di sustanzia per la quale potessino comprendere
che egli avessi, o per pratiche tenute con altri principi o per inclinazione sua ingannato
la città. Ma sendo el gonfaloniere ed e' compagni in ferma opinione che lui avessi errato
e che per essere uomo valente non si lasciassi sforzare da' tormenti, e cosí che messer
Cherubino e Cerbone non confessassino perché lui non conferissi con loro e' sua segreti,
lo effetto fu che gli otto per comandamento della signoria gli feciono, la sera poi che
era stato condotto a Firenze, a ore ventitré, tagliare el capo, con grandissimo gaudio di
tutto el popolo che lo riputava nocente, stando cheti e' cittadini di riputazione, a chi
dispiaceva, per non venire in sospetto d'avere tenuto queste pratiche con lui. E cosí
ebbe miseramente fine Pagolo Vitelli, el quale era allora in piú riputazione che altro
capitano di Italia. |
Fu sanza dubbio uomo valentissimo nella arte militare e di buono animo ed atto a cose
grandi, ed aveva condotta la vittoria di Pisa in termini, che si può dire, quando vi fu a
campo, si riducessi a uno asso: ma ebbe molte parte da non satisfare a una republica come
questa: fu uomo avaro, e che con ogni cavillazione cercava di vantaggiarsi sempre nelle
condotte e ne' pagamenti; fu rozzo, e che seguitando le opinione sue non mostrava di
stimare punto e' commessari ed e' cittadini si avevano a maneggiare seco, il che lo fece
venire a noia a molti; volse sempre, nelle imprese che aveva a fare, tanti ordini e
provedimenti, ed andare con tanta sicurtà e vantaggio, che recava alla città una spesa
intollerabile, la quale trovandosi consumata per gli affanni di tanti anni, male
volentieri comportava tanto carico; tenne sempre pratiche ed amicizie in Pistoia, nel
Borgo a San Sepolcro ed in molte terre principale nostre, il che faceva sospetto a qualche
savio che e' non fussi vòlto a fare stato e signoria nel dominio nostro. |
Ma circa alla principale cause perché e' fu morto, è opinione quasi chiara che e'
fussi innocente; ed ècci una ragione potentissima, perché sendo lui nel mestiere del
soldo, lo stato e lo essere suo era in essere riputato uomo valente e fedele, le quali
cose tanto gli dava lo acquisto di Pisa e gli toglieva el non l'avere, che si può dire
fussi fondata in quella impresa la gloria e riputazione sua; e si vede che l'avere Pisa
gli recava grandissimo onore ed utilità sanza alcuno danno, e pel contrario el non
l'avere, detrimento grandissimo sanza conoscervi drento compense di beneficio alcuno;
inoltre se egli avessi malignato, non è da credere l'avessi fatto per suo disegno
proprio, ma per qualche suo interesso che dependessi da satisfarne a altri: a' pisani non
è credibile, perché da loro non poteva conseguire o danari o condizione o cosa alcuna,
eccetto el dominio di Pisa, el quale gli sarebbe stato debito, sendo quella città
spogliata ed avendola a difendere col suo; di poi di tanti pisani che si sono presi ne'
tempi seguenti ed esaminati, de' quali ne è stati alcuni a chi erano noti tutti e'
segreti di Pisa, ne sarebbe stato qualcuno da chi si sarebbe intesa questa pratica; a
altri potentati di Italia ancora non è verisimile, né mai fu persona vi pensassi,
eccetto al duca di Milano del quale si ebbe sospetto; e nondimeno chi considererà bene ne
farà el giudicio medesimo, perché gli è certo che el duca, massime in questi ultimi
tempi, desiderò assai che noi riavessimo Pisa per potere usare per capitano Pagolo in chi
aveva gran fede, e quando fussi stato di appetito contrario, non è da credere che Pagolo
l'avessi stimato, vedendolo in tanto pericolo col re di Francia che non ne poteva piú
sperare cosa alcuna. In modo che per queste ragione io tengo certissimo che Pagolo andassi
dirittamente colla città, e desiderassi per lo interesse ed onore suo sopra ogni altra
cosa la vittoria di Pisa. |
Il che è tanto piú credibile, quanto meglio si possono giustificare le calunnie
dategli e che lo mettevano in sospetto: e prima, se preso Vicopisano e' non volle andare
diritto a Cascina e di poi alla espugnazione di Pisa, anzi finí la state nello acquisto
di Librafatta, di Torre di foce ed in fare bastioni ne fu cagione perché e' pareva
impossibile, sendo in Pisa molti valenti uomini pisani e molti soldati de' viniziani, ed
essendo aperta la via del soccorso, acquistarla se prima non si chiudevano e' luoghi donde
potessi venire aiuto; la quale cosa fatta, giudicava che el vedersi stretti e sanza
speranza di piú aiuto gli invilirebbe tanto che piú facilmente si condurrebbono, ed
inoltre che per questo modo mancherebbono loro le cose necessarie, in modo che o colle
arme o colla fame se n'arebbe onore. E che questa fussi ragione di savio ci hanno dimostro
poi gli effetti, e' quali ci hanno mostro quanto sieno stata difficile le imprese fatte
contro a' pisani, ancora soli ed abbandonati da ognuno. |
Se le cose del Casentino andorono piú adagio che non si sperava o desiderava, ne fu
cagione lo essere nel cuore del verno ed in luoghi asprissimi, la emulazione fra lui ed el
conte Rinuccio, che faceva gli effetti suoi ancora in Firenze, e' provedimenti che per la
stracchezza della città e malo governo si facevano tardi e deboli. Se lasciò andare
Rinieri della Sassetta, non fu per dubio che e' rivelassi le pratiche sue col duca, le
quali né l'uno né l'altro, quando fussino state, gli arebbe confidate, ma perché
vedendolo andare a una morte e strazio manifesto, seguitò in questo la commune
consuetudine de' soldati di Italia, che considerando a' casi che possono intervenire in
sé, si riguardano l'uno l'altro. Se el dí di san Lorenzo, che si prese Stampace, non
seguitò contro agli inimici, fu perché quella vittoria fu sanza ordine ed improvisa, ed
in dí che non era deputato el dare la battaglia, in modo che lui non sapendo el disordine
degli inimici, si stette come prima aveva disegnato; se e' differí poi el dare la
battaglia, fu perché non considerando a' casi estraordinari delle malattie, giudicò Pisa
essere in termini che conveniva si pigliassi, e però volle piú tosto differire tre o
quattro dí per acquistarla con poco pericolo e facilmente, che averla piú presto con
difficultà e danno grandissimo; se in ultimo e' non dette la battaglia, ne furono causa
le malattie, delle quali lui non era indovino, né vi poteva riparare. Per le quali cose
si può conchiudere e fermare la innocenzia sua, e nondimeno la opinione contraria era
tanto radicata in quasi ognuno, che la sua morte fu gratissima, in modo che Giovacchino
Guasconi, benché e' non fussi valente uomo, anzi, come di poi si scoperse, debole e da
poco, ne acquistò grandissima riputazione ed autorità. |
Soportò la morte Paolo con animo grandissimo e come si apartiene a' valenti uomini,
non vilmente querelandosi e dolendosi, non faccendo segno di sbigottirsi e perturbarsi di
una morte violenta e sí vicina e sempre dicendo che per suo conto e' sua figliuoli né
quegli di casa sua non potrebbono mai essere chiamati traditori. Fu impiccato con lui
messer Cherubino dal Borgo che era nostro ribelle, e Cerbone fu confinato nelle Stinche in
perpetuo. |
Fatto questo, el gonfaloniere volonteroso in tutte quelle cose in che e' credeva
satisfare alla moltitudine, propose una legge, che e' si creassino cinque uomini con
autorità di rivedere dove erano andati e' danari aveva spesi la città, ed e' conti di
chi gli aveva maneggiati, e chiarire debitori chi si trovassi in mano danari apartenenti
al commune, la quale legge vinta e creati e' cittadini, fu cosa ridicula che, come gli
uscí di palagio, fu notificato a loro, ed el primo che fussi da loro condannato. E la
cagione fu, perché sendo lui imbasciadore in Francia, ed a Milano messer Francesco Pepi,
si fece una legge per la quale si accrescevano e' salari agli imbasciadori; e perché le
leggi raguardano in futuro, messer Francesco Pepi e lui, che già erano fuori, non vi si
includevano e non vi furono compresi espressamente, o per inavvertenzia di chi la fece o
pure perché cosí fussi la loro intenzione. Di che ritornati a Firenze, e parendo che, se
bene secondo el rigore non avessino a godere el beneficio di quella legge, pure che la
equità gli aiutassi e vi fussi la medesima ragione che negli altri che furono fatti poi,
cercorono di essere pagati in quella forma; e Giovacchino sendo gonfaloniere scioccamente
fece pagare sé e messer Francesco. E però subito come fu uscito, sendo notificati a'
cinque uficiali, furono chiariti debitori di quella somma e condannati a riporre su quello
che avevano soprapreso, e cosí la legge fatta da Giovacchino in danno ed infamia di altri
per satisfare al popolo, ritornò in capo suo. |
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XIX |
LA FINE DEL POTERE DEGLI SFORZA A MILANO |
PRIME CONQUISTE DEL VALENTINO (1499-1500). |
In questo tempo, e poi che el campo nostro si levò da Pisa ed innanzi fussi morto
Pagolo Vitelli, e' franzesi, e con loro messer Gian Iacopo da Triulci fuoruscito di Milano
ed inimico del duca, scesi in sullo stato di Milano, presono Non, castello fortissimo, ed
altri luoghi di quello stato; da altra banda e' viniziani roppono guerra di verso Lodi. Ma
perché el duca si rincorava difendersi da' viniziani con poca perdita e gli premevano
piú e' franzesi, spinse tutte le gente sua a Alessandria della Paglia alle frontiere de'
franzesi sotto messer Galeazzo a Sanseverino, el quale era bellissimo giostratore, ma per
viltà e poca esperienzia nella arte militare non punto atto a guidare uno campo; dove
venendo e' franzesi doppo uno acquisto prestissimo i Valenza, Tortona ed altri luoghi
circumstanti, inviliti bruttamente sanza aspettargli abandonorono Alessandria in modo che
tutta quella provincia si dette subito a' franzesi; ed el duca sbigottito, non avendo
soccorso d~ luogo alcuno, dubitando non essere rinchiuso in Milano accompagnato da
monsignore Ascanio suo fratello, da messer Galeazzo da Sanseverino ed altri gentiluomini,
insieme co' figliuoli e col tesoro si fuggí nella Magna, e lasciò el castelletto bene
guardato, fattone castellano Bernardino da Corte suo allevato, con disegno che tenendosi
el castelletto, di fare esercito nella Magna, e per via del castello recuperare Milano. |
E partito lui, e' milanesi, che già avevano deputati alcuni gentiluomini a governo
della terra, mandati imbasciadori a' franzesi, si dettono loro; e quali, entrati drento
pochi dí poi, per defetto del castellano che vi era drento, el quale el duca aveva scelto
per piú fedele, acquistorono el castelletto; e cosí tutto lo stato di Milano venne
interamente in mano del re, eccetto Cremona e la Ghiaradadda, le quali, secondo le
convenzioni, furono de' viniziani, benché e' cremonesi, non ostante che el campo de'
viniziani fussi intorno alle mura stessino molti dí duri e mandassino imbasciadori al re
che gli volessi accettare. Ma el re, con tutto che ne fussi stimolato molto da' milanesi,
non vi volle acconsentire né mancare della osservanzia della fede, e loro sanza colpo di
spada acquistorono uno stato di entrata ducati centocinquantamila lo anno, e che era el
terzo del ducato di Milano, benché in quel tempo medesimo avessino grandissimi danni dal
turco, che tolse loro Modone, Lepanto, Corone, luoghi importantissimi. E cosí facilmente
si perdé lo stato di Milano e divisesi in mano degli inimici sua..... |
La quale cosa benché dolessi a tutti quegli a chi dispiaceva Italia squarciarsi e
venire al tutto in mano di barbari e da altra banda e' viniziani ogni dí diventare
maggiori, nondimeno ognuno d'accordo confessò che e' modi e portamenti di quello principe
l'avessino meritato. Perché se bene e' fu signore di grande ingegno e valente uomo, e
cosí mancassi di crudeltà e di molti vizi che sogliono avere e' tiranni, e potessi per
molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtú furono oscurate e
coperte da molti vizi; perché e' fu disonesto nel peccato della soddomia, e come molti
dissono, ancora da vecchio non meno paziente che agente; fu avaro, vario, mutabile e di
poco animo; ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale,
per essere arbitro di Italia, lo costrinse a fare passare el re Carlo ed empiere Italia di
barbari; e poi sendo tornato el re Carlo in Francia ed essendo tempo da riunire Italia, a
acconsentire anzi confortare e' viniziani pigliassino la guardia di Pisa, acciò che la
guerra e perturbazione di altri aprissi la via a qualche suo ghiribizzo, le quali cose per
giusto giudicio di Dio, ritornorono, benché con danno e ruina di altri, finalmente sopra
el capo suo. |
Spacciato lo stato di Milano, la città nostra rimase molto ambigua ed in aria,
perché, avanti che le genti del re scendessino in Italia, sendo richiesti dal re
capitolare seco contro al duca di Milano, l'avevano sempre recusato, allegando non poterlo
fare perché el duca guasterebbe loro la impresa di Pisa, pure strignendoli, si gli era
secretamente promesso di non gli essere contro, con speranza che espedite le cose di Pisa,
si procederebbe piú là. Venute di poi le gente sua in Italia, strignendo ogni di piú
lui la declarazione, la città se ne risolve tanto adagio, che lui acquistò prima Milano
che se ne facessi conclusione alcuna, nondimeno gli oratori nostri feciono seco in Lione
una bozza di appuntamento con condizione assai ragionevole, con riservo che fra tanti
giorni avessi a essere approvato dalla città. |
Nel qual tempo sendo già venuto el re in Italia e parendogli; per essere le
condizione sua migliore, da potere trarre da noi piú somma di danari, o perché gli fussi
fatte sinistre relazione di noi che ci intendessimo col duca di Milano, stimulato ancora
da' viniziani inimicissimi nostri e da messer Gian Iacopo da Triulzi al quale e' pisani
aveano offerto el dominio di Pisa, e lui ne ricercava el consenso del re, mutò le
condizione di quello si era ragionato in Francia, in modo che innanzi si facessi
conclusione, furono le difficultà molte ed e' trattati lunghi; pure finalmente si fece
conclusione, intervenendovi per la città con libera commissione gli oratori vecchi ed e'
nuovi che erano stati mandati a congratularsi: messer Francesco Gualterotti, Lorenzo Lenzi
ed Alamanno Salviati. Di che fu lo effetto che noi fumo finalmente accettati da lui in
lega, e si obligò a mandare le gente sue a recuperare e restituirci Pisa e le cose
nostre, eccetto Serezzana, ed e converso la città si obligò pagare a lui quella
quantità di danari di che eravamo debitori al duca Lodovico, che ce ne aveva serviti in
prestanza, che furono circa a fiorini venticinquemila, dargli un certo sussidio di uomini
d'arme e di fanterie, in caso gli fussi molestato lo stato di Milano; e cosí per la
impresa disegnava fare del reame di Napoli, servirlo di quattrocento uomini di arme e
cinquemila svizzeri pagati per tre mesi, o in cambio di quegli svizzeri dargli ducati
cinquantamila, tôrre a instanzia di San Piero in Vincola per nostro capitano el prefetto
di Sinigaglia suo fratello. E si stipulò el contratto, e per molte parole e segni sue si
fece allora giudicio fussi bene disposto inverso la città; e cosí stato poco a Milano,
si ritornò di Francia, dove lo seguitorono per conto della città messer Francesco
Gualterotti e Lorenzo Lenzi. |
Ne' medesimi tempi sendo gonfaloniere di giustizia per novembre e dicembre Giovan
Batista Ridolfi, uomo che per conto della casa, di essere riputato prudentissimo, e per
molte qualità era stimato assai si propose in consiglio grande una provisione di danari,
la quale non si vincendo ed essendo ita a partito molte volte, Giovan Batista non potendo
soportare che una provisione sí necessaria non si vincessi rittosi disse che se gli animi
de' cittadini erano volere abandonare la città, che quegli eccelsi signori non lo
patirebbono e, quando non avessino altro rimedio, sosterrebbono le paghe del Monte de' tre
quattro e sette per cento. La quale parola benché fussi detta con animo libero ed
affezionato alla città, nondimeno dispiacque tanto a chi la udí, che ricimentandosi
subito la provisione, gli scemò el favore in tanta somma che non fu piú possibile
vincerla. Il che ho voluto dire, perché chi ha a governare la città si ricordi che chi
non può sforzare e' popoli, bisogna che proceda con loro con dolcezza e pazienzia; e come
si viene all'aspro, cominciono a sdegnare ed intraversarsi, in modo che non si dispongono
piú a fare nulla. |
In questo tempo Cesare Borgia, chiamato el Valentino per avere in Francia uno stato di
quello titolo, con le gente di papa Alessandro suo padre ne venne allo acquisto dello
stato di Imola e Furlí, ed el re, secondo le convenzioni fatte con loro quando ottenne la
dispensa, gli serví di trecento o quattrocento lancie di piú condotte, sotto el governo
di monsignore di Allegri, con tutto che per noi si facessi grande instanzia che prima
mandassi a espedire la impresa di Pisa, ed el re vi fussi inclinato; ma lo vinse la
importunità del papa. La quale cosa vedendo quella madonna, donna di grandissimo animo e
molto virile, mandatone a Firenze e' figliuoli, benché grandi, con tutto el mobile suo,
si preparò gagliardamente alla difesa, ma sendo abbandonata da tutti, perché nessuno
ardiva opporsi a chi aveva el segno e favore di Francia, finalmente ribellandosi e'
popoli, e lei sendo rinchiusa ed assediata nella ròcca di Furlí, el Valentino, per male
guardia per trattato di quegli che erano drento, ebbe la ròcca, dove presa madonna
Caterina la mandò a Roma; e cosí insignoritosi di quello stato, fondò el principio suo
e cominciò, per essere in sulle arme e co' danari e forze della Chiesa, a essere temuto. |
Circa a questi tempi ancora, sendo venuto el tempo della prima paga s'aveva a fare a'
viniziani de' ducati quindicimila per conto del lodo del duca di Ferrara e non essendo
fatta, e' viniziani feciono rapresaglia delle robe nostre che erano in sul territorio
loro; la quale cosa non fu di danno, perché a' piú de' mercatanti fiorentini che vi
erano, non fu tocco nulla per privilegi avevano della civiltà, e gli altri, sendone stati
avvertiti, avevano assentate le cose loro, in forma che non se ne patí niente, e
nondimeno, come si intese a Firenze, vi fu deputato imbasciadore per giustificare le cose
nostre messer Guidantonio Vespucci, e di poi, parendo che questa gita fussi invano, mutato
el consiglio in meglio, non fu mandato. |
Nel medesimo anno, essendo gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio messer
Francesco Pepi, ed avendo la città bisogno di danari, doppo molte dispute si propose
finalmente una gravezza ingiusta e disonesta ed in grandissimo danno di coloro che avevano
entrata di possessione. Erasi doppo el 94 posta, per uno magistrato deputato a ciò, una
decima universale a tutti e' beni de' secolari, ed erasi usata qualche anno, ponendone
secondo e' casi che occorrevano, una, dua o tre per volta. ma perché questa decima
gittava poco, chi era trovatore di gravezze nuove ordinò in detto tempo che vi si facessi
su una scala in su quegli che pagavano di decima da cinque ducati in su, e di cinque
ducati in cinque si multiplicassi, in modo che quando si poneva una decima chi aveva di
entrata cinquanta ducati gli toccava a pagare cinque ducati solo, chi n'aveva trecento,
gliene sarebbe tocco da ottanta o cento; in modo che dove quello pagava uno decimo della
entrata sua, questo altro ne pagava uno quarto o uno terzo, e chiamavasi decima scalata.
Di modo che ponendosi l'anno tre o quattro di queste decime, chi aveva di entrata ducati
cinquanta pagava un terzo o un quarto della entrata sua; chi n'aveva trecento pagava tutta
la entrata sua; e multiplicandosi proporzionabilmente, chi aveva di entrata cinquecento o
seicento ducati, pagava l'anno una volta e mezzo o dua la entrata sua. |
Questo modo cosí proposto, benché fussi ingiustissimo e di danno al publico, perché
gli è utilità della città mantenere le ricchezze, pure pensando ognuno alle commodità
sua, aveva favore assai; principalmente tutti e' poveri, avendo a avere una gravezza,
volevano piú tosto questa che una altra, perché la gli offendeva poco, tutti coloro che
erano ricchi di danari la favorivano, perché la non gli percoteva; restavano solo quegli
avevano molte possessioni, e' quali erano pochi; e se alcuno altro, se ne ritraeva per la
disonestà della cosa. Messasi a partito in consiglio e non si vincendo le prime volte vi
parlò su Luigi Scarlatti che era di collegio, molto vivamente, mostrando che egli era
ragionevole che chi aveva piú ricchezze sentissi piú e' carichi della città,
soggiugnendo che se e' si dolevano che questa gravezza gli impoverissi, che e' gli
scemassino le spese, e se non potevano tenere cavalli e servi, facessino come lui che
andava in villa a piè e si serviva da sè; e con queste ed altre simili parole si
riscaldò in modo che el parlare suo di dispiacere e di disonestà avanzò la provisione.
La quale si vinse con carico grande della signoria apresso agli uomini da bene, e tanto
piú quanto sendo stato messo innanzi questo modo alla signoria passata, Giovan Batista
Ridolfi, che era gonfaloniere benché non fussi ricco di possessione, l'aveva sempre
ostinatamente ricusata, in modo che a tempo suo non si apiccò mai. |
Ritornato, come di sopra è detto, el re in Francia, lasciato bene guardato el
castelletto e gente assai alle stanze nello stato nuovamente acquistato, e' milanesi che
sommamente avevono desiderata la ruina del duca Lodovico, avevano mutato volontà, e con
tutto che e' modi de' franzesi non fussino stati disonesti in verso loro e non gli
avessino oppressati ed in effetto non si potessino dolere della signoria loro, nondimeno
sendo di natura e sangui diversi, ed inoltre non si potendo assettare a mancare di quegli
piaceri ed ornamenti dava la corte, ne erano tanto infastiditi che non gli potevano
comportare; e però molti gentiluomini stimolorono segretamente el duca che era nella
Magna, che e' volessi ritornare, mostrandogli la via essere facile a riacquistare lo stato
suo. E però lui, seguitando e' loro conforti, ragunato buono esercito, accompagnato da
Ascanio e gli altri che l'avevano seguitato, ne venne alla volta di Milano, e non trovando
contradizione alcuna, riebbe pacificamente, da el castelletto in fuora tutto quello
tenevano e' franzesi di suo. E parendogli essere certo che e' franzesi ritornerebbono con
grosso esercito in Italia, si volse a tutti quegli rimedi che e' poteva pensare
importassino la salute sua: condusse assai svizzeri e lanzinech, in modo che fece uno
potente esercito mandò subito a Vinegia a pregargli volessino essere seco, promettendo
loro quietanza di Cremona e Ghiaradadda, ed anche qualche altro vantaggio; scrisse a
Firenze congratulandosi come con amici e richiedendo in tanto suo bisogno la restituzione
di quegli danari aveva prestati loro, fece le medesime opere col pontefice; ed ogni cosa
invano perché né el papa, né e' viniziani, né e' fiorentini vollono in modo alcuno
scostarsi dal re. Fece ogni sforzo di ottenere el castelletto, ma difendendosi e' franzesi
gagliardamente ed avendo abondanzia d'ogni cosa, non lo ottenne. |
Ma come la nuova di questa ribellione fu in Francia, si messono con somma velocità in
ordine le gente da ritornare alla ricuperazione, e passorono e' monti con gran prestezza;
nel quale tempo la città osservando le convenzione aveva col re, gli dette certa somma di
danari in scambio degli uomini d'arme e fanterie di che era pe' capitoli obligata a
servirlo per difesa della ducea di Milano. Da altra banda e' franzesi che erano in Romagna
agli aiuti del Valentino, stretti insieme si ritrassono per tutto lo stato di Milano in
Novara, donde che el duca parendogli non potere reggere tanta piena e bisognare tentare la
fortuna, raccozzato tutto lo esercito suo, ne venne a Mortara alle frontiere de' franzesi,
con animo di fare fatto di arme. Ma quegli svizzeri erano nel campo suo, tenuto pratica
con svizzeri erano a' soldi del re, quando fu el tempo di apiccarsi si tirorono da parte
in forma che, abandonato dalle fanterie, fu con poca fatica rotto, e lui miserabilmente
preso, ed insieme messer Galeazzo da Sanseverino; monsignore Ascanio fuggendo, fu in sulle
terre de' viniziani preso da Bartolomeo d'Albiano loro condottiere e menatone prigione a
Vinegia. |
E' milanesi, udita la nuova, non avendo riparo alcuno, capitolorono, salvo l'avere e
le persone, con patto di pagare al re in certi tempi ducati trecentomila, di che el re
rimesse loro poi buona parte. El quale accordo dispiacque tanto a svizzeri, a chi era
stato promesso che Milano andrebbe a sacco, che, rubate, le artiglierie del re, si
tirorono da canto in luogo sicuro, e fu necessario, per accordargli, dare loro, credo,
ducati centomila che s'erano di presente avuti da' milanesi; e cosí Milano tornò
nuovamente in mano del re, ed el duca ne fu menato prigione in Francia. E poco poi lo
seguitò monsignore Ascanio, perché e' viniziani richiestine dal re, benché male
volentieri, pure per paura che avevano di lui gliene dettono, e per la medesima paura
roppono e' salvocondotti a tutti e' gentiluomini milanesi che si erono fuggiti in sul
loro, e gli dettono prigioni al re. E cosí gli Sforzeschi perderono interamente lo stato,
sendo presi el duca ed Ascanio, e Caterina madonna d'lmola cacciata di signoria, ed
inoltre un piccolo figliuoletto di Giovanni Galeazzo menatone in Francia e quivi fatto
abate di una grossa badia, rimasene solo Giovanni signore di Pesero che poco poi perdé lo
stato, ed Ermes fratello minore di Giovanni Galeazzo, uomo di poco sentimento, ed e'
figliuoli del duca Lodovico, e' quali erano nella Magna in corte di Massimiliano; e cosí
si notò che tre grandi casa di Ragona, Sforzeschi e Medici, che avevano acquistato
potenzia in Italia, averla ancora perduta quasi in uno medesimo tempo. |
|
XX |
GUERRA DI PISA. DISORDINI A PISTOIA. |
IL VALENTINO CONQUISTA FAENZA (1500). |
1500. Cominciò di poi l'anno 1500 con grandissima speranza di reintegrarsi delle cose
nostre. Erasi la città molto rallegrata della vittoria del re, perché, sendo lui
espedito, pareva potessi attendere a mandarci le gente alla impresa di Pisa, come era
obligato pe' capitoli fatti a Milano; e tanto piú si credeva lo dovessi fare, quanto piú
doppo la perdita di Milano eravamo stati constanti seco, e pagatogli quegli aiuti a che
eravamo tenuti, e lui aveva continuamente promesso che riavendo Milano, riconoscerebbe la
fede e fatiche nostre, e si presupponeva che, mandandoci le gente, la riputazione e forze
loro fussino tali che assolutamente ci avessino a insignorire delle cose nostre. Fu
adunche per publica commessione richiesto dagli oratori nostri ricordatagli la integrità
ed affezione della città, di volerci osservare le promesse; ed inoltre Lorenzo Lenzi, uno
degli oratori, uomo vòlto al bene ma poco prudente, lo richiese sanza averne commessione,
di Siena e Lucca, a che rispondendo el re: "se io ve lo dessi, che daresti voi a
me?" rispose in modo appiccò la pratica di danari. Della quale cosa ebbe a Firenze
carico grandissimo, parendo che questa offerta potessi essere cagione di fare pensare al
re in che modo potessi cavare della città tanta somma di danari, sanza acquistarne
nondimeno Siena o Lucca; e fu riscritto agli oratori che tenessino pratica delle cose
nostre e non pensassino a quelle d'altri. |
El re adunche, richiesto della osservanzia de' capitoli, rispose essere parato; e si
dette ordine che uno esercito grosso di uomini d'arme franzesi e fanterie di svizzeri e
guasconi partissino a uno tempo diputato alla volta di Pisa, e fu dato loro per capitano
monsignore di Beumonte, el quale, per averci al tempo del re Carlo restituito Livorno, era
riputato amico e confidato alla città. Ed essendosi data a queste genti una paga del mese
di maggio, si dondolò tutto el mese di che erano pagati innanzi partissino; perché
avendo messer Giovanni Bentivogli per paura di questo esercito capitolato col re di
pagargli in certi tempi ducati quarantamila, ed interim dargli buona sicurtà e cosí e'
signori della Mirandola, Coreggio e Carpi non volle Roano che si trovava a Milano e
apresso a lui Piero Soderini, comandare a dette gente cavalcassino se prima non aveva
ricevuto quelle sicurtà, e cosí consumorono tutto maggio in Lombardia a' propositi del
re, benché pagati da noi. E però, non si potendo muovere sanza dare una altra paga, si
fece una pratica grande di cittadini di quello era a fare, perché molti, insospettiti di
questo indugio e dubitando non fussino inganni, giudicavano che e' fussi meglio
rispiarmare e' danari e non tentare una impresa che sarebbe di spesa grandissima e di poi
riuscirebbe vana. Finalmente vincendo al modo usato la cupidità di Pisa, si diterminò
seguitare e mandossi loro una altra paga, la quale giunta, si rassegnarono dette genti in
Parmigiana, dove si trovò piú di millecinquecento fanti oltre al numero disegnato, e'
quali bisognò pagare, ed avuta la paga si partirono per venirne a Pisa per la via di
Pontriemoli; vennono di poi a Pietrasanta, e mandorono in Lucca a chiedere fussi
consegnata loro, protestando altrimenti di trattargli come inimici e rubelli del re. Sopra
la quale dimanda, benché in Lucca fussi tumulto grande, parendo agli uomini savi e da
bene per fuggire maggiore male di concederla, e la multitudine di negarla, pure alla fine
consegnorono loro e la terra e la fortezza. |
Vennonne di poi all'intorno di Pisa, dove erano già giunti Giovan Batista Ridolfi e
Luca di Antonio degli Albizzi elèttivi commessari generali, e vi si accamporono del mese
di giugno, sendo la opinione d'ognuno confermata per la riputazione aveva e per le
gagliardissime parole avevano usate, che l'avessino in pochi dí a inghiottire. La quale
opinione fu assai ingannata dagli effetti, di che fu principalmente cagione la
disubbidienzia ed e' disordini loro, accompagnata nondimeno da qualche nostro difetto
d'avere scarsamente e con poco ordine proveduto a munizioni e vettovaglie. Perché
consumando e straziando naturalmente quella gente quantità assai di vettovaglie, e non ve
ne sendo in quegli primi giorni che vennono in sul terreno nostro, molta abondanzia,
cominciorono le fanterie a rubare quelle che venivano ed a disordinare el campo. Alle
quali cose non ponendo el debito rimedio el capitano, benché desideroso di vincere la
impresa ma per non essere atto a farsi stimare ed ubbidire come si richiedeva benché sul
principio che si ridussono a campo a Pisa si portassino piú moderatamente, in forma che
feciono gagliarda fazione circa al battere el muro della terra con le artiglierie e dare
una battaglia fiera, pure per ogni poco di vettovaglia che mancava ritornando a' primi
modi multiplicorono tanto e' disordini, che non solo rubavano e mettevano a sacco le
vettovaglie che venivano in campo, ma etiam cominciorono a fare ogni dí varie dimande
disoneste e porre nuove taglie, delle quali non sendo contenti, gridavano e minacciavano
el commessario nostro, che vi era rimasto solo Luca degli Albizzi, perché Giovan Batista,
dicendo essere malato, si era tornato a Firenze. E finalmente el dí che si dava la paga
a' svizzeri, e' guasconi, non sendo venuto ancora el tempo della paga loro a otto o dieci
giorni, gridando che la paga non s'aveva a dare in uno medesimo campo a diversi tempi, si
levorono da campo e presono la via di Lucca; né mai, benché fussino mandati a
richiamare, vollono tornare indrieto, in forma che el campo diminuito di fanterie, fu
constretto a levarsi quasi come rotto, con grandissima diminuzione della riputazione loro,
la quale era grandissima per avere insino a quello dí ottenuta ogni impresa che avevano
fatta. E nel partire, una compagnia di svizzeri, venuta nuovamente in campo da per loro
come venturieri, come uomini bestiali e sanza ragione prese Luca degli Albizzi nostro
commessario chiedendo una paga, in forma che fu constretto per uscire delle loro mani
promettere loro milletrecento ducati per una paga; e' quali, come fu libero da loro, gli
mandò loro di quegli si trovava del commune. |
Udita a Firenze questa partita loro, si fece giudicio nella multitudine che questo
fussi stato inganno fatto per ordine del re, in modo che nello universale se ne sparlava
sí bruttamente, quanto fussi possibile; da altra parte el re, dolendosi assai di questo
disordine e parendogli metterci di onore grossamente, desiderava fermare almeno le genti
di arme in sul nostro per fare a' pisani una guerra guerreabile, insino a tanto che noi
fussimo a ordine di danari ed altre cose necessarie a potere rifare la impresa. La quale
cosa essendogli negata, parte per la impossibilità della città, parte per el sospetto
nato negli animi del popolo, si cominciò a alterare forte con noi, dicendo che questi
disordini erano nati per non si essere provisto di vettovaglie e munizioni come si doveva,
o perché cosí credessi per suggestione di quegli capitani che erono stati nella impresa,
o pure perché, non ostante sapessi el vero, volessi salvare l'onore delle sue genti el
piú poteva. Alterossi ancora assai perché non avendo noi, come è di costume de'
svizzeri, voluto pagare loro la paga del ritorno, perché ci pareva che e' portamenti loro
la avessino male meritata e perché gli uomini savi non potevano disporre el popolo a
questi pagamenti e' quali non si potevano sanza porre nuovi danari fare, cominciorono a
gonfiare gli animi. Di che el re si sdegnò assai, e rivocate le gente, si riserbò
Pietrasanta e pochi mesi poi la rendé a' lucchesi, avutone però buona somma di danari; e
cosí disposti male gli animi tra el re e noi, la città rimase seco di mala condizione,
ed el timore fu causa non si rompessi seco apertamente, ma mala volontà e poca fede vi
era quanto fussi possibile. |
Poi che e' franzesi furono levati da campo da Pisa e partiti ultimamente de' terreni
nostri e noi da altro canto spogliati di gente e riputazione e disordinati di danari,
perché el popolo stracco di tante spese e disperato di ogni buono successo, non voleva
vincere alcuna provisione di danari, e' pisani cominciorono a scorrere el contado di Pisa,
per la qual cosa chi era a guardia di Librafatta e del bastione della Ventura, bastione
fortissimo, avendo carestia di vettovaglie, e cosí di qualche munizione, ne dettono piú
volte aviso a Firenze; ed erano e' mancamenti loro sí piccoli, che con dugento o trecento
ducati si potevano riparare. Ma la signoria, che ne era gonfaloniere di giustizia Piero
Gualterotti, uomo da poco nelle cose dello stato, e de' signori tra gli altri Filippo
Buondelmonti, Piero Adimari, Piero Panciatichi e Piero di Niccolò Ardinghelli, non vi
providono, e vollono più tosto alcuni di loro rimborsarsi di certa somma di danari che
avevono prestati al commune, che soccorrere quegli luoghi acquistati e fatti con
grandissima spesa e perdita di tempo. In forma che andandovi e' pisani a campo, quegli di
drento mancando loro vettovaglie ed altre cose necessarie a difesa, si arrenderono, ed e'
pisani avuta questa vittoria, si riserborono Librafatta ed el bastione disfeciono e
rovinorono insino a' fondamenti. E cosí disordinandosi lo stato nostro successe a tempo
de' medesimi signori un altro maggiore inconveniente. |
È la città di Pistoia divisa antichissimamente in due parti: Panciatichi e
Cancellieri, e' quali sendo famiglie nobilissime avevono infetta e macchiato delle loro
divisione tutta la città ed el contado in modo che tra loro ed e' seguaci erano state
piú volte uccisione grandissime e cacciate ora dell'una parte ora dell'altra, in forma
che questi odi ed acerbità erano doppo el corso di molti anni e di molte offese diventati
in loro sí naturali, che eziandio poi che perderono la loro libertà e vennono sotto la
iurisdizione fiorentina, si continuorono non ostante che, avendo perduto la
amministrazione della città, fussi in parte cessata la materia per la quale gli uomini
sogliono contendere. Ed avendo nelle loro quistione a ricorrere a Firenze, avevano operato
in modo che tutti gli uomini della città che maneggiavano lo stato erano, continuandosi
ancora ne' descendenti, battezzati fautori chi di una parte, chi di una altra; e nondimeno
con una moderazione, che e' si ingegnavano che queste quistioni procedessino piú tosto
con favori, che con arme ed uccisione. |
Doppo el 94 vi era quella medesima rabbia, e piú ne' sequaci ed aderenti ancora che
ne' capi, perché l'una e l'altra famiglia, sendo per le antiche sedizione delle città di
Italia fatti de' Grandi, non potevano secondo le legge di Pistoia participare degli ufici
e preeminenzie loro ed inoltre e' Cancellieri, venuti in povertà, erano in bassezza e di
poco credito e qualità. E' Panciatichi ancora, benché non fussino sí poveri, nondimeno
non erano in quella ricchezza né in quello numero di uomini e potenzia che solevano
essere, il che era proceduto da queste parti, nelle quali l'una e l'altra casa aveva
sempre portato adosso tutti e' carichi e le spese, e non participato di quegli pochi utili
che vi erano, e pel contrario e' partigiani trovatisi piú a participare la utilità che
e' pesi; in modo che sendo loro cresciuti, erano in tanto seguito che sostenevano el pondo
della parte, e vedutosi per gli altri che v'avevano fatto bene, ognuno per acquistare
cresceva tutto dí queste quistione. E benché e' non fussino in piú odio fra loro che e'
solessino essere innanzi al 94, nondimeno, per essere la città nostra diminuita di forze
e di riputazione vi si cominciorono a esercitare piú vivamente; in forma che
multiplicando d'uno inconveniente in uno altro, vi si era tenuti molti anni quasi
fermamente commessari che si ingegnassino di pacificargli e non gli lasciare disordinare.
Ed in ultimo, avendo l'una parte e l'altra piú volte fattisi ingiuria e venuti in
uccisione, la conclusione fu che a tempo di questa signoria, e' Cancellieri avendo avute
fanterie del bolognese, donde sempre avevano tratto favore, per essere prima Rinuccio e
poi Chiarito, pistolesi di quella parte, a' servigi di messer Giovanni Bentivogli,
assaltorono con arme la parte panciatica, e non vi si potendo riparare pe' rettori e
commessari vi erono, gli cacciorono di Pistoia ed arsono tutte le casa de' capi di quella
parte. |
Ebbene la signoria grandissimo carico, perché intendendo le cose disordinarsi non vi
feciono e' provedimenti bisognava e lasciorono scorrere e fare effetti di natura che
furono per importare, come piú chiaramente si dirà, la ribellione di Pistoia; in modo
che uscirono di magistrato con grandissimo carico, gridando molti popolanotti, che si
voleva seguitare lo esemplo de' passati e non fare de' signori di casa di famiglia, e
questo per essere stato gonfaloniere Piero Gualterotti. e de' signori Filippo
Buondelmonti, Piero Adimari e Piero Panciatichi, tutti di famiglia. E' Panciatichi
cacciati ne vennono miserabilmente a Firenze, dove consultandosi le cose loro, era gran
disparere tra' cittadini, e molto si riscaldavano e' fautori dell'una parte e dell'altra.
Gli amici de' Panciatichi erono in minore numero ed anche andavano lentamente e ne erano
quasi capi Piero Soderini, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati, e' quali non
si scoprivano molto e procedevano con rispetto; ma lo universale e la multitudine del
popolo era volta in beneficio loro, mossi, come è usanza de' popoli, dalla compassione. |
Allegavasi per costoro molte ragione: el debito della città superiore, che è di
tenere e' sudditi in piú quiete sia possibile ed in modo che e' possino usare e godere le
cose loro, né essere molestati quando si portano bene; e se pure errano, avergli a punire
e' superiori, non permettere che e' sudditi sieno giudici e castigatori l'uno dell'altro.
Aggiugnevasi che e' Cancellieri non solo avevano errato in fare tanto eccesso, ma eziandio
sprezzato tutti e' comandamenti e bandi de' nostri uficiali e commessari e contro a mille
proibizione ed in sugli occhi loro avere per spazio di piú dí continuato ardere le casa
e guastare Pistoia, e però essere necessario per sicurtà dello stato farne tale
dimostrazione, che sia esemplo a tutti gli altri sudditi che e' non abbino ardire muoversi
contro alla voluntà della città, in ultimo essere da considerare bene che sendo stati e'
delitti loro grandissimi, e conoscendo eglino quanto abbino offeso la città, non si
fiderebbono mai anzi alla prima occasione si ribellerebbono, e la disubidienzia loro
mostrava questo animo, e però essere necessario prevenire ed assicurarsene in modo col
restituire e' Panciatichi alla patria ed alle facultà, che piú non s'avessi da
dubitarne. |
Avevano e' Cancellieri moltissimi fautori: una parte naturalmente; una parte di quegli
erano stati inimici de' Medici, e' quali odiavano e' Panciatichi perché Lorenzo e la casa
de' Medici gli aveva sempre favoriti; una parte di quegli erano stati inimici de' Vitelli
perché una sorella di Paolo e di Vitellozzo era maritata a uno figliuolo di Niccolaio
Braciolini, uno de' capi panciatichi, e per questo rispetto e Vitelli avevano sempre dato
favore a quella parte. Eranne capi messel Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai messer
Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Guglielmo de' Pazzi, e' Nerli, Lorenzo di
Pierfrancesco, Luca d'Antonio degli Albizzi, Iacopo Pandolfini, de' quali, Giovan Batista
Ridolfi se ne portò sempre costumatissimamente messer Guido e Bernardo Rucellai se ne
scopersono in modo che n'ebbono grandissimo carico, e fu dal popolo imputato a loro in
gran parte questo disordine. |
Ingegnavansi di giustificare le cose fatte da' Cancellieri essere state per difetto e
colpa de' Panciatichi, e che loro avevano dato principio a questo movimento, e però
giustamente essere tornato loro in capo scusavano la disubbidienzia, la quale non si era
usata con animo deliberato, né contro al pubblico e segni o iurisdizione della città
nostra, ma in sulla furia e contro a' loro inimici; mostravano che sendo e' Panciatichi
stati favoriti da' Medici e Vitelli nostri rubelli erano amici degli inimici nostri, e
però essere da vezzeggiare e' Cancellieri acciò che non lasciassino gli inimici nostri
alterarci lo stato di Pistoia. Conchiudevano che quando e' fussi l'utile della città
procedere contro a' Cancellieri, che si voleva considerare se si poteva fare, essere
Pistoia nelle mani loro, noi trovarci sanza arme, sanza forze sanza riputazione e sanza
danari; e però essere pericolo che, veduto l'animo nostro, non prevenissimo e si
ribellassino; consigliare loro che si cercassi colle ragione, co' conforti e modi buoni
posare queste quistione, rapacificargli insieme e fare che d'accordo e' Cancellieri gli
rimettessino in Pistoia. |
Consumavasi con queste quistione el tempo, né si faceva risoluzione e quelle si
facevano, per essere la città debole e sanza timone, non si eseguivano; in forma che in
ultimo e' Panciatichi, disperati avere a tornare col braccio della città, si attesono a
fare forti nel contado dove avevano gran parte, e vi si fece assai disordini ed uccisioni
come di sotto si dirà, con grandissima vergogna e vituperio della città. Ed allora si
conobbe quanto sarebbe stato utile non si lasciare vincere alla ira e ritenere la gente di
Francia alle stanze perché e' pisani non arebbono preso el bastione e Librafatta, ed e'
pistolesi, per paura di quelle forze e riputazione, non arebbono tanto disordinato. |
In questo tempo sendo entrata la signoria nuova per settembre ed ottobre, che ne fu
gonfaloniere Niccolò Zati, si rifece el magistrato de' dieci el quale era vacato piú di
uno anno, e benché molte signorie avessino tentato rifargli, nondimeno non si era mai
potuto ottenere pure ora, considerato quanto importava alla città che non vi fussi uno
magistrato di uomini prudenti e' quali vegghiassino continuamente le cose publiche e
durassino parecchi mesi, fu piú facile a condurvi lo universale. Ma perché el nome de'
dieci di balía era in tanto odio e quella autorità sí amplissima dispiaceva tanto, che
el popolo non vi arebbe mai acconsentito, fu necessario, poi che altrimenti non si poteva,
creare una provisione che e' si facessino e' dieci ne' modi usati eccetto che, dove prima
si toglievano quegli delle piú fave, ora si traessino a sorte di quegli avessino vinto el
partito per la metà delle fave ed una piú, e colla autorità che davano le legge loro;
eccetto che e' non potessino fare pace, triegua o lega, fare condotte di cavalli, né fare
commessari per piú tempo che di otto dí, le quali cose si intendessino riservate al
consiglio degli ottanta. |
E cosí vinta questa provisione e limitata la balía, si feciono e' dieci, che ne
furono el gonfaloniere, messer Francesco Gualterotti, Piero Soderini, Giuliano Salviati,
Giovacchino Guasconi ed altri. |
Creossi poi la signoria sequente, che ne fu gonfaloniere Giovan Batista Bartolini, el
quale ebbe piú favore che messer Antonio Malegonnelle, uomo dottissimo e di grande
riputazione, perché allora la grazia di Giovan Batista era tale che avanzava di fave
tutti gli altri cittadini della città, in modo che, sendo andato Antonio del Vigna, uno
de' dieci, capitano o vero podestà di Pistoia, fu fatto in poco tempo, e credo gli
esercitassi a uno tratto, gonfaloniere di giustizia, de' dieci ed uficiale di Monte, che
si feciono sanza carico di prestare al commune e per le piú fave, in modo che si dette
quello uficio non a' piú ricchi, ma a chi aveva piú credito e benivolenzia col popolo. |
A tempo di questa signoria, el Valentino ne venne a campo a Faenza, della quale era
signore Astore Manfredi, piccolo fanciullo e sotto la protezione de' viniziani; ma perché
el Valentino aveva non solo el braccio del papa, ma ancora el favore del re di Francia, e'
viniziani, preponendo l'utile allo onesto, rinunziarono la protezione e non gli vollono
dare aiuto, in modo che sendo quella città abbandonata da ognuno, Valentino vi venne a
campo. Ma sendo quegli di drento ostinatissimi a difendere el signore loro, feciono una
gagliarda resistenzia, in forma che concorrendovi le neve ed e' tempi aspri, che era nel
cuore del verno, fu el Valentino constretto levarsene di campo, avendo prima e con le
artiglierie e con battaglie tentato ogni cosa per averla. |
Successe a questa signoria gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio Piero di
Simone Carnesecchi, uomo bonario, ma di poca esperienzia e giudicio nelle cose dello
stato; a tempo del quale, trovandosi la città sanza danari, sanza forze e soldati, ed el
popolo in modo strano ed ostinato a non prestare fede a' suoi cittadini, che non voleva
fare provisione alcuna, si trovava la città in gran disordine: da una banda el contado di
Pisa in pericolo grande ed esposto a essere tutto di corso da' pisani, da altra le cose di
Pistoia in modo infiammate ed infistolite, che si dubitava che una parte non si gittassi
in collo al Valentino, massime quegli di drento. A' quali inconvenienti non potendo
riparare la signoria, chiamò con animo grande una pratica di circa quaranta cittadini de'
principali, e ragunatigli insieme, propose loro in che termini si trovassi la città, e
che loro, per la affezione portavano alla patria, volevano consiglio in che modo s'avessi
a riparare, disposti a seguitare tutto que[llo] fussi consigliato dalla pratica. E fu la
proposta loro di natura, che si comprese che e' concorrebbono ancora, quando cosí paressi
a quegli cittadini, a levare via el consiglio grande. |
Cominciossi adunche a consultare quello fussi da fare, e si trovorono le opinioni
varie: a alcuni pareva che si mutassi lo stato del popolo e creassisi una balia di
cittadini che avessino autorità quanto tutto el popolo di riformare e disporre delle cose
della città; pareva a alcuni altri che e' non si toccassi el consiglio, ma si togliessino
tutti e' cittadini che erano stati gonfalonieri di giustizia o commessari generali o
imbasciadori a papi re e duchi, e' quali durassino a vita ed avessino quella autorità che
aveva el consiglio degli ottanta con qualche amplificazione piú, come sarebbe che di
questo numero s'avessino a creare e' dieci di balía e simili cose; altri giudicavano che
el fare tanta alterazione sarebbe con troppa difficultà, scandolo e pericolo, e però,
poi che e' non si poteva facilmente correggere tutti e' difetti che aveva el presente
governo, che e' si correggessino quegli che erano piú facili al condurgli e piú nocivi
alla città; e che fra l'altre cose, la tardità e difficultà del provedere a' danari era
quella che era cagione di molti danni e disordini, conciosiaché o non si vincevano le
provisione del danaro, o se si vincevano, si vincevano sí tardi e doppo el tempo che
giugnevano a cosa fatta; in modo che quello che da principio si sarebbe schifato con mille
ducati, non si poteva poi medicare con centomila; e perché la esperienzia tutto dí
mostrava che queste provisione avevano piú fave nere che la metà, ma la difficultà era
a condurle a dua terzi delle fave, però, che si facessi una provisione che, dove prima
bisognava a vincersi nel consiglio una provisione di danari che avessi e' dua terzi delle
fave, bastassi per l'avenire ne avessi la metà ed una píú. |
E cosí sendo di opinione diverse, stettono in pratica piú dí, e finalmente
riscaldando e' dispareri e non si concordando, non feciono risoluzione alcuna e
cominciorono quando uno e quando uno altro a non volere piú ragunarvisi; e fra gli altri
Piero Soderini, sendo richiesto, non vi volle mai intervenire per parere amatore del
governo presente ed acquistarne la benivolenzla del popolo; e cosí si scoperse che,
benché a' primi cittadini dispiacessi questo modo di vivere e desiderassino si mutassi e
si emendassi, nondimeno era in loro sí grande la varietà de' pareri e la disunione
causata per diversi rispetti e la poca fede ed intelligenzia avevono l'uno coll'altro, che
nelle cose di racconciare lo stato non se ne sarebbe mai accozzati dodici di uno parere
medesimo. Cosa brutta che tra e' primi cittadini della città e' quali avevano e' medesimi
interessi nelle cose e di ragione dovevano avere e' medesimi giudici, fussi, in quello che
si può dire concerneva lo essere loro, sí poca fede, sí poca unione e sí poco animo. |
Fu di poi creato gonfaloniere di giustizia per marzo ed aprile Piero Soderini e
postagli allato una debole signoria, in modo che ne era padrone e disponevane a suo modo;
e fu el disegno suo vòlto a farsi uomo populare e tenere termini in questo magistrato
d'averne a piacere alla multitudine; e però dove prima e' sua antecessori solevano, e
cosí si era osservato continuamente doppo el 94, ragunare pratiche de' primi cittadini
co' quali si consultavano le cose importanti dello stato, lui chiamò pratiche rade volte,
ma le conferiva e consultava co' collegi, e' quali quasi tutti e quasi sempre erano uomini
spicciolati e di poca qualità. Di qui nasceva dua effetti a suo proposito: l'uno, che
egli ne acquistava grazia nel popolo, sendo tenuto amatore del consiglio, e che e' non si
intendessi co' cittadini che erano a sospetto allo stato; l'altro, che sendo e' sua
compagni ed e' collegi uomini deboli e di poco intendimento, si rapportavano in tutto al
parere suo, e cosí lui era signore ed arbitro delle deliberazioni s'avevano a fare.
Seguitonne uno effetto pessimo per la città, perché e collegi, avezzisi a suo tempo a
intendere tutti e' segreti della città e deliberare tutte le cose importanti, vi vollono
poi a tempo e successori perseverare drento, ed in modo dare giudicio di tutte le cose di
momento, che questa usanza pessima introdotta da lui fu, come i sotto si dirà, ne' casi
di Arezzo quasi cagione di rovinare la città. |
|
XXI |
LE CONQUISTE DEL VALENTINO IN ROMAGNA |
LUCREZIA BORGIA. RIFORME IN FIRENZE (1500-1501). |
1501. Seguitò lo anno 1501, sendo ancora gonfaloniere di giustizia Piero Soderini,
nel quale tempo el Valentino, fatto già, doppo l'acquisto di Imola e Furlí, signore di
Rimino e di Pesero, e con poca difficultà, perché quegli signori Pandolfo Malatesta, e
Giovanni Sforza, inteso lo sforzo suo e non avendo riparo, non lo aspettorono ritornò a
campo a Faenza; e benché e' faventini sostenessino da principio ostinatamente lo impeto
suo, pure di poi a ultimo stracchi e non avendo speranza di soccorso, gli arrenderono la
città, pattuita prima la salute e liberazione di Astore loro signore. La qual cosa non
osservò, perché lo menò seco prigione, ed usatolo, come si disse, libidinosamente,
perché era fanciullo bellissimo, lo fece in ultimo amazzare, mostrando In uno tempo
medesimo perfidia, lussuria e crudeltà grande. E cosí el Valentino acquistata Faenza e
fatto signore di tanti stati di Romagna, venne in riputazione grande, e massime perché
aveva un buono esercito ed era signore valente e molto liberale ed amato da' soldati ed
aveva a' soldi sua Giampaolo Baglioni, Vitellozzo Vitelli, Paolo Orsini e quasi tutta la
milizia di Italia; in modo che la città nostra non si trovando con ordine di forze e di
danari, e con la piaga di Pisa e di Pistoia, e drento con poco ordine e governo, né
avendo intelligenzia e dependenzia alcuna da Francia, cominciò a temerne assai, massime
per essere a' soldi sua e' Vitelli e gli Orsini inimici della nostra città. |
Espugnata che ebbe el Valentino Faenza, ne venne alla volta di Bologna per fare pruova
di mutare quello stato ed insignorirsene per la Chiesa, ma vedendo che e' Bentivogli erano
drento bene provisti e che la impresa sarebbe lunga e difficile, fatto certo accordo con
loro e tocca buona somma di danari, si partí. E non essendo ancora uscito del bolognese,
messer Giovanni fece amazzare messer Agamennone figliuolo di messer Galeazzo Mariscotti
con certi altri sua fratelli, dicendo avevano tenuta pratica di dare al Valentino Bologna,
o perché in fatto fussi vero o pure perché sotto questo colore volessi levarsegli
dinanzi, parendogli che messer Agamennone fussi uomo di ingegno ed ambizioso, e che per
nobilità e per molti conti avessi séguito e riputazione grande in Bologna. Partito el
Valentino di Bologna, se ne venne nel mese di maggio, sendo gonfaloniere di giustizia
Lorenzo di Lotto Salviati, in su' terreni nostri, e per la via di Valdimarina ne venne a
Campi, avendo lasciato Piero de' Medici a Luiano in bolognese ed avendo con seco
Vitellozzo e gli Orsini. |
Dette questa cosa alterazione assai nella città, perché el popolo fece giudicio che
e' fussi venuto con ordine de' cittadini principali, e' quali con questo mezzo volessino
mutare lo stato, ed accrebbesi questo sospetto, perché essendo entrato Valentino colle
gente in Valdimarina che è luogo stretto, fu opinione del volgo che se si fussi mandate
le gente si potevano, sarebbe stato rotto, ma che chi l'aveva fatto venire, fussi stato
operatore della salvazione sua. Per le quali cose inveleniti gli animi, e sparlandosi
publicamente di molti, massime di Bernardo Rucellai di Lorenzo di Pierfrancesco, di
Benedetto de' Nerli, di Alfonso Strozzi e simili, fu pericolo che la moltitudine non
corressi col fuoco a casa e' cittadini piú nominati; ma seguitando poco poi l'accordo con
Valentino, si fermorono le cose, perché come Valentino fu giunto e férmosi a Campi,
faccendo e' sua molti danni ne' luoghi circumvicini, gli fu mandati piú oratori, fra gli
altri el vescovo de' Pazzi, Benedetto de' Nerli, Piero Soderini ed Alamanno Salviati, e'
quali finalmente feciono accordo con lui, e cosí se ne stipulò el contratto: che e' si
partissi de' terreni nostri sanza fare piú danno o lesione alcuna; fussi condotto per
nostro capitano generale per tre anni, con certo numero d'uomini di arme e con condotta di
ducati trentamila l'anno, lasciassisi Cerbone cancelliere de' Vitelli, a instanzia di
Vitellozzo. E cosí convenuto, si partí accompagnato da Piero Soderini, Luigi dalla Stufa
ed Alessandro Acciaiuoli, e' quali usassino seco l'uficio di imbasciadori ed attendessino
come commessari a fare provedere pe' luoghi donde aveva a passare, acciò che e' non
seguissi disordine; e benché si usassi tutte le diligenzie, nondimeno e' sua feciono
molti danni pe' terreni nostri. |
Questa venuta del Valentino potette essere causata da se proprio perché stimassi,
veduti e' disordini della città, averne a migliorare condizione, o disegnando la condotta
o qualche altro acquisto; ma lui disse da poi molte volte cogli uomini nostri in sua
giustificazione che quando partí del bolognese, la intenzione sua era andarsene per
Romagna e non toccare e' terreni nostri, ma che sendone richiesto instantissimamente da
Vitellozzo e gli Orsini, non potette loro negarlo; ma che poi, vedendosi in sul nostro,
volle pigliare quello vantaggio potette avere. Da altro canto Vitellozzo e gli Orsini,
parlando a Campi separatamente cogli imbasciadori nostri che erano iti al duca Valentino,
mostrorono con parole e gesti efficaci che Vitellozzo non pretendeva avere ricevuta
ingiuria alcuna dalla città, ma da pochi cittadini, de' quali quando si pigliassi qualche
onesto modo che vi fussi drento lo onore suo, sanza lesione però di chi l'aveva offeso,
che e' vorrebbe essere buono figliuolo e servidore della città, e cosí gli Orsini
perché e' conoscevano molto bene quanto questa amicizia potessi essere utile per l'una
parte e per l'altra. Le quali offerte loro non furono accettate, perché la brigata non se
ne fidava, e dubitavasi non l'avessino fatto per mettere qualche disunione e scandolo. |
Quel che si fussi la cagione di questa venuta, la fu di gran terrore a' cittadini savi
per piú cagione: l'una per il sospetto che prese el popolo a torto che e' cittadini vi
tenessino mano, el quale multiplicò molto nella mente degli uomini e con tanta infamia
de' primi, che a casa Piero Soderini furono dipinti ceppi e forche; l'altra, perché la
città si trovava male condizionata col re, ed in modo che non molti giorni innanzi, non
si gli faccendo e' pagamenti che s'avevano a fare per virtú de' capitoli fatti a Milano
secondo e' debiti tempi aveva molto svillaneggiato di parole Pierfrancesco Tosinghi nostro
imbasciadore, insino a dirgli che non voleva che egli stessi in corte perché non vi
voleva imbasciadori degli inimici suoi; e però dubitorono e' piú savi che questa mossa
di Valentino non avessi origine da lui, che ci volessi battere con questo bastone. E per
levarsi da dosso tanto affanno, acconsentirono a una condotta violenta, e che non si
poteva osservare per la somma del danaro, e perché la città non si sarebbe potuta fidare
di lui; e cosí feciono provisione di danari al re, in modo che lui addolcito comandò al
Valentino che non ci molestassi. Partitosi el Valentino, ne venne in quello di Siena e con
ordine di Pandolfo Petrucci suo intrinseco amico, voltò le gente a Piombino, ne cacciò
el signore e si insegnorí di quello luogo con gran dispiacere della città che si doleva
che ne' luoghi vicini multiplicassino tanto le forze sue. |
Sopravenne quasi nel medesimo tempo a Italia nuovo accidente, perché el re di
Francia, desideroso recuperare el reame di Napoli e veduto el re Federico tenere pratiche
grande con Ferrando re di Spagna, per non avere a combattere a un tratto con lui e con
Spagna, aveva segretamente fatto accordo con Spagna di dividere insieme quello regno per
metà; e di poi mandò le gente sue nel reame, le quali passorono pe' terreni nostri poco
di poi che el duca Valentino si era partito. Da altra parte el re di Spagna, sendo ancora
segreto questo accordo fatto con Francia, mandò in Calavria una armata grossa con buono
esercito, fattone capitano Consalvi Ferrando uomo valentissimo, dimostrando al re Federico
farlo per suo aiuto; ma come e' franzesi entrorono nel reame, si scoperse in loro favore. |
El re Federigo, vedutosi tanta piena adosso, aveva fatto disegno di tenere Capova e
messovi drento gran numero di fanterie ed ancora cavalli assai ed el conte Rinuccio da
Marciano condotto pochi mesi innanzi a' soldi sua; ma e' fu tanto l'impeto e la gagliardia
de' franzesi, che alla prima battaglia, e credo el primo dí poi che ebbono piantato le
artiglierie, la espugnorono e vi feciono drento grandissima uccisione e crudeltà, e di
soldati, fra' quali fu morto el conte Rinuccio, e di terrazzani, ché in su quella furia
non perdonorono a sesso né a età alcuna. La quale cosa intesa che ebbe el re Federigo,
abbandonato Napoli, si fuggí in Ischia, e pochi dí poi capitolò co' capitani del re
dare loro Ischia e le fortezze del reame che erano in mano sua, e lui andarsene in
Francia, dove avessi a essergli assegnato dal re uno stato di entrata di trentamila scudi
l'anno; e cosí fatto questo accordo, si fece secondo e' patti la divisione tra Francia e
Spagna, nella quale a Spagna toccò Calavria e credo lo Abruzzi, a Francia toccò Napoli,
Capua, Caeta, l'Aquila ed el resto del reame. |
Nel medesimo anno e del mese di settembre o di ottobre, papa Alessandro maritò
madonna Lucrezia sua figliuola bastarda a don Alfonso primogenito di Ercole duca di
Ferrara; el quale parentado fu per la parte del duca disonorevole, per essere lei bastarda
e di casa privata, ed inoltre avere avuti dua mariti; uno el signore Giovanni di Pesero,
dal quale fu menata, ma di poi el papa, fatto provare che gli era impotente, lo disfece,
l'altro un bastardo di casa di Ragona, el quale fu di notte morto in Roma dal duca
Valentino; e di poi perché era ferma opinione che el papa suo padre e Valentino suo
fratello avessino avuto a fare con lei. E cosí pel contrario essere la casa da Esti
nobilissima ed usa a parentadi grandi, perché la donna del duca Ercole ' era stata
figliuola del re Ferrando, e la prima donna di don Alfonso, che era morta sanza figliuoli,
era stata figliuola del duca Galeazzo; e nondimeno fu tanta la instanzia che ne fece el re
di Francia per satisfare al papa, tanta la dote, sí grande la sicurtà se ne cavò,
perché al duca gli parve con questo parentado fermare lo stato suo, che e' si stimò piú
l'utile che l'onore; e cosí le cose del papa procedevano con grandissimo favore di
fortune. |
Ne' medesimi tempi si trattava accordo tra el re di Francia da una parte e Massimiano
e Filippo arciduca di Borgogna da altra parte, la qual cosa desiderandosi assai da
Francia, venne el cardinale di Roano, che assolutamente governava el re a Milano, e di
quivi ne andò nella Magna a aboccarsi collo imperadore. Dove, doppo trattato di qualche
dí, si conchiuse con molti patti segreti che pretendevano a acconciare a modo loro le
cose di Italia, lega ed intelligenzia tra quegli principi, e publicamente si maritò a uno
piccolo figlioletto dello arciduca una piccola fanciullina figliuola del re di Francia,
promettendogli per dote lo stato di Milano; le quali convenzione, come di sotto si dirà,
non ebbono effetto alcuno. |
Fatta che ebbe monsignore di Roano questa conclusione, ne venne a Milano, dove gli fu
mandato imbasciadori dalla città messer Antonio Malegonnelle e Benedetto de' Nerli. La
cagione fu perché el re pretendeva che non avendo noi fattigli certi pagamenti a' debiti
tempi ed inoltre non gli avendo pagati per la impresa del reame ducati cinquantamila in
luogo de' fanti, secondo la forma de' capitoli fatti a Milano, essere rotti quegli
capitoli, e lui non essere piú obligato a alcuna nostra protezione. E se bene la città
si potessi assai giustificare, e massime perché a cinquantamila ducati non era obligate
se non doppo la recuperazione di Pisa e le altre cose nostre, nondimeno essendo lui piú
potente, ed avendo nelle nostre differenzie a essere giudice e parte, non accettava alcuna
nostra giustificazione, mostrando apertamente essere male disposto contro a noi, e però
la paura s'aveva di lui ed el desiderio che e' non avessi a malignare, era una delle
cagioni che inclinava e' cittadini a volersi accordare seco. Ma la potissima era che noi
ci trovavamo sanza soldati e sanza forze e sanza dependenzia di potentato alcuno che ci
potessi difendere, ed e converso si vedeva essere in sull'arme e potentissimo el duca
Valentino signore di Romagna e di Piombino, ambizioso ed inimico nostro e che aveva
occasione di nuocerci per non avere noi osservatagli quella condotta che si era fatta per
necessità, e con lui in condotte ed intelligenzia stretta e' Vitelli, gli Orsini,
Giampaolo Baglioni, lo stato di Siena e tutta quella fazione. Aggiugnevasi lo essere fuora
e' Medici e' quali intendendo la male disposizione del papa e del re ed e' disordini
nostri, tenevano strette pratiche con l'uno e con l'altro, promettendo somme grandi di
danari se fussino restituiti in casa, ed a questi effetti si trovava Giuliano in Francia. |
Le quali cose conosciute molto innanzi da savi cittadini, erano state cagione che loro
avevano un pezzo innanzi desiderato che si facessi di nuovo qualche appuntamento col re;
ma la multitudine che era stracca dello spendere ed inoltre male disposta e contenta del
re, non conoscendo da se medesima e' pericoli e non prestando fede a altri, non ne aveva
mai voluto udire nulla; pure ora allargandosi e multiplicando tutto dí e' pericoli
nostri, conscendeva piú facilmente. E perché si sapeva quanto monsignore di Roano poteva
nel re, e che, acconcio lui, era acconcio ogni cosa, però vi fu mandati a trattare seco a
Milano e' sopradetti imbasciadori, e' quali non feciono conclusione, perché Roano con
varie cagioni differí tanto, che ebbe a tornare in Francia, dove lo seguitorono, oratori
nuovi per la città, monsignore de' Soderini e Luca d'Antonio degli Albizzi, e' quali
ebbono un maneggio molto difficile per la ingordigia che era in Francia e le contradizione
che avavamo di Italia. In modo che dove si credette facessino in prima giunta apuntamento,
furono da Lione rimessi a Bles, a Bles dondolati con varie scuse, tanto che vi consumorono
in vano circa a otto mesi sanza avere mai una buona parola, anzi ributtati sempre con modi
villani dal re, dal Roano e da tutta la corte, e fatto in presenzia loro carezze e date
lunghe audienze a Giuliano de' Medici, el quale prometteva loro danari assai, ed aveva per
la via di Roma facultà di dare loro sicurtà di banchi. In forma che si ritrasse che la
pratica nostra si mandava de industria a lungo e che la intenzione del re non era
capitolare con noi, anzi lasciarci correre adosso qualche piena, a fine che o noi stretti
dalla necessità ci gli cacciassimo sotto con qualche suo grande vantaggio, o veramente
che fussimo forzati rimettere e' Medici in casa, sperando in ogni tempo potersi piú
valere di loro che del presente stato; il che si vergognava fare colle arme e forze sue,
non avendo nessuna giusta causa rispetto a portamenti nostri e la fede osservata colla
casa sua. |
Stavane la città molto sospesa ed in ambiguità grande e sanza speranza di alcuno
buono effetto, ma successe che, raffreddando lo accordo di Massimiano col re, lui mandò
in Italia alcuni imbasciadori, fra' quali fu Ermes fratello del duca Giovan Galeazzo.
Fermoronsi costoro in Firenze piú dí e quivi feciono una capitolazione colla città, che
in caso che Massimiano passassi in Italia per la corona dello imperio, la città pel
debito aveva collo imperio, fussi tenuta a sovvenirlo di trentamila ducati in certi tempi.
Prese el re per questa stanza degli imbasciadori e poi per la capitolazione qualche
sospetto, che se e' ci stranava troppo noi non ci alienassimo in tutto da lui e
gittassimoci in collo a Masimiano, col quale, come è detto di sopra, cominciava a
ingrossare; in forma che o per questa o per altre cagione, fece fuora di ogni opinione lo
apuntamento con noi. Lo effetto del quale fu che noi fussimo obligati per tre anni dargli
ogni anno ducati quarantamila; e lui per questo tempo si obligò alla protezione nostra
contro a qualunque ci offendessi, e di mandare a' bisogni, quando lo richiedessimo, per
difesa nostra quattrocento lancie. E benché questa somma di danari fussi grave alla
città che era stracca per tante spese, nondimeno fu riputata buona nuova, parendo che
rispetto alla riputazione e potenzia del re, né el Valentino, né e' Vitelli, né alcuno
potentato di Italia ci dovessi molestare. |
Fatto questo appuntamento, ed essendo cessato el sospetto di guerre esterne, e non si
pensando ancora alle cose di Pisa per la stagione dello anno che non era ancora da fare
imprese, si volse el pensiero a due cose importanti della città: l'una, perché el comune
aveva in queste guerre accattato moltissimi danari da' suoi cittadini, e però si trovava
in molto debito e disagio perché se n'aveva a pagare loro gli interessi, pigliare qualche
modo che in uno spazio di tempo si scaricassi questo debito, in forma che vi fussi drento
la salvezza de' cittadini con piú commodità del commune che fussi possibile, l'altra
perché e' podestà e capitani che venivano a rendere ragione nella città, menavano seco
uomini imperiti ed ignoranti, e' quali o tenevano le lite immortale o le decidevano non in
quel modo sarebbe stato giusto, pigliare forma che e' ci venissi a giudicare uomini
valenti e buoni, acciò che la giustizia, che è uno de' membri principali della città,
si amministrassi rettamente. |
Ed alla prima parte, doppo lunghe consulte, si prese uno disegno secondo el quale el
comune veniva a scaricarsi in sei anni di tutto el debito de' danari prestati, ma per le
avversità e spese che seguitorono nella città non si poté osservare; all'altra si
ordinò che si eleggessi uno consiglio di giustizia che dovessi cominciare a novembre
prossimo 1502, al quale si deputassino cinque dottori forestieri, uomini valenti, eletti
da' signori e collegi, con salario di ducati cinquecento per uno, e' quali dovessino stare
tre anni, ed avessino tutti insieme a giudicare le cause civili; e dalle sentenzie loro
non si potessi appellare se non a loro medesimi. E perché gli uomini da bene piú
facilmente ci venissino sendo aggiunto l'onore allo utile, si ordinò che sempre uno di
loro fussi podestà, durando ciascuno nella podesteria per sei mesi; il che benché fussi
fatto con ragione, nondimeno ha disonorato lo ufficio della podesteria, perché questi
dottori sono stati eletti uomini di qualità che molti uomini nobili che solevano appetire
questo uficio per onorarsene, ora non lo desiderano. E questo modo di giudicare che si
chiamò consiglio di giustizia o vero Ruota dura ancora che siàno a dí 23 di febraio
1508, benché si sia fatta qualche variazione nello ordine del procedere, nel numero de'
giudici e del salario e nondimeno non ha fatto el frutto che si sperava e che doveva,
perché la malignità e la ignoranzia nostra è stata tale, che e' sono stati eletti quasi
sempre uomini non idonei, e di poi entrati in uficio sono stati guasti, in modo che sono
riusciti cattivi, e noi dapocamente e cattivamente gli abbiamo soportati. |
|
XXII |
RIVOLTA DI VALDICHIANA E D'AREZZO. |
RICONQUISTA DI PISTOIA (1502). |
1502. Successe lo anno 1502, anno di grandissimi movimenti e variazione per la città
nostra; nel principio del quale parendo a' cittadini di essere per lo apuntamento fatto
col re, sicuri da potere essere molestati, volsono gli animi alle cose di Pisa, alle
quali, poi che e' franzesi vi furono a campo, si era atteso poco; e consultandosi quello
fussi da fare, si conchiuse che e non fussi di andarvi a campo perché la spesa sarebbe
grande, e sí grande che la città esausta e piena di molti carichi la potrebbe male
comportare; di poi la impresa sarebbe difficile, perché noi non avevamo a soldo uomini di
qualità, né ci era in Italia chi condurre se non e' Vitelli e gli Orsini riputati
inimici nostri, ed el marchese di Mantova che non si poteva tôrre perché se ne sarebbe
dispiaciuto al re di Francia suo inimico, eraci poche altre arme di qualità, e quelle
erano obligate a' viniziani ed al re di Spagna, come el conte di Pitigliano, signore
Bartolommeo d'Alviano ed e' Colonnesi; e però non si poteva fare uno esercito potente da
andare a campo a Pisa, e quando si potessi fare, che e' pisani erano sí ostinati e
valenti nelle arme, e la città loro sí munita e piena di artiglierie e cose necessarie
al difendersi, che non se ne poteva sperare facilmente vittoria, e massime che arebbono
qualche rinfrescamento di fanti o dal Valentino o da' viniziani o da' nostri vicini, il
che era facile a fare a ogni potentato benché piccolo, perché era spesa che aveva a
durare pochi dí. |
Queste ragione cosí saviamente considerate e confermate colla esperienzia di molti
anni che aveva dimostro quale frutto si fussi fatto delle provisioni gagliarde, feciono
volgere gli animi de' cittadini a pensare che e' sarebbe bene dare loro el guasto al grano
e di poi recuperare Librafatta e tenere cavalli quivi e negli altri luoghi oportuni del
contado per proibire che in Pisa non entrassi vettovaglia per terra. E di poi fatto
questo, si potrebbe col soldare qualche legno tenere chiusa la via di mare, e cosí
temporeggiando ingegnarsi di consumargli in uno anno o in due colla fame, al quale male
non potrebbe resistere né la fortezza di Pisa, né la valentia degli uomini che vi erano
drento; e gli altri potentati di Italia non vi potrebbono cosí di facile riparare,
perché sarebbe cosa di grande spesa e disagio avere continuamente a mettere drento in
Pisa e tenerla provista di vettovaglie; ed e contrario noi potremo fare queste cose con
poca spesa; allegando che se cosí si fussi fatto dal 94 in qua e non atteso alle
espedizione grosse, noi ci troverremo in piú danari assai, ed e' Pisani sarebbono tanto
stati consumati ed attenuati, che Pisa sarebbe qualche anni innanzi stata nostra. |
Fatta questa conclusione, perché non vegghiava uficio di dieci, perché el popolo
invelenito nella venuta di Valentino contro a' primi cittadini, non aveva voluti poi
creare, la signoria commesse a parecchi cittadini che attendessino a questa espedizione, e
mentre che con gran caldezza si attendeva a questo ordine e' pisani contro alla
espettazione di ognuno presono furtivamente Vicopisano, per tristizia di alcuni fanti che
vi erano drento, o per dapocaggine o cattività di Puccio Pucci che vi era castellano, el
quale n'ebbe bando di rubello. Ma riscaldandosi per questa perdita piú gli animi degli
uomini, fu subito aviato giú messer Ercole Bentivogli governatore delle nostre gente, ed
eletto per commessario generale Antonio Giacomini, el quale per essere stato già soldato
del signore Ruberto da Sanseverino ed essere uomo vivo ed in sull'arme aveva gran
riputazione nel popolo di essere valente uomo nella guerra, ed inoltre fede, perché era
tenuto amatore del popolo e di questo consiglio, e che sanza alcuno rispetto si opporrebbe
a' cittadini grandi. |
E' pisani, intesi gli apparati nostri, avendo richiesto di aiuto ed offerto la città
a' viniziani, al Valentino ed a tutti e' potentati di Italia, e non trovato sussidio di
gente d'arme e da stare alla campagna, avuto, credo, qualche danaio da' lucchesi,
condussono el Fracasso che si stava a Sacchetto in quello di Mantova sanza danari ed
aviamento. El quale messosi presto in ordine, ne venne con pochi cavalli alla volta di
Pisa, e passando sotto Barga, fu assaltato da quegli uomini che avevano avuto da Firenze
notizia della sua venuta, e per essere in luoghi stretti dove non si poteva adoperare
cavalli, e con minore numero assai di gente, non si poté troppo difendere, anzi volto in
fuga fu seguitato da quegli uomini, in modo che sendo già uscito del nostro, fu preso da'
nostri in su' terreni del duca di Ferrara e ne venne preso a Firenze; dove come e' fu la
nuova, e' collegi, in mano di chi era allora la republica, gridavano che si gli dovessi
tagliare el capo; cosa sanza ragione, che uno soldato che andava a servire chi gli dava
danari avessi a essere punito nella persona. |
Dettono in questo mezzo le gente nostre el guasto, non però per tutto, perché non si
poterono accostare in Barbericina ed in certi luoghi sotto Pisa, e di poi ne vennono a
campo a Vicopisano, dove sendo accampati, successe uno accidente grandissimo che fece
voltare gli uomini a altri pensieri di maggiore importanza, del quale acciò che meglio si
intenda la alterazione descriverò in che termini si trovassi la città. |
L'avere apuntato con Francia, e di qui el parere di essere assicurato del Valentino,
Vitelli, Orsini e degli altri inimici nostri, e di poi una speranza se non molto
propinqua, almeno non molto rimota, delle cose di Pisa, aveva assai rallegrati e
confortati e' cittadini, in modo che e' Monti erano cresciuti di pregio; ed appressandosi
di poi nel mese di giugno la festa di san Giovanni, si era fatte, faceva ed ordinava feste
assai, in modo che e' parevano ritornati quegli tempi lieti che erano innanzi al 94;
quando dallo oratore nostro di Francia, che vi era Luca degli Albizzi, perché monsignore
di Volterra era in viaggio che ritornava in Italia, vennono avisi di avere ritratto che
non ostante la protezione del re l'animo degli inimici nostri era di manometterci, e se
volessino intendere la minuta, vedessino di porre le mani adosso a uno ser Pepo
cancelliere di Pandolfo Petrucci, el quale di Francia dove aveva cerca licenzia dal re e
non ottenuta di farci questo assalto, si ritornava a Siena, ed a chi era noto ogni cosa. |
Avuto questo aviso, fu subito mandato commessario a Arezzo ed in quelle circumstanzie,
dove si dubitava rispetto alla vicinità de' Vitelli, Guglielmo de' Pazzi, uomo leggiere e
di poco governo e cosí tenuto universalmente nella città: ma perché lui come era eletto
accettava ed era presto al cavalcare, ed e' cittadini prudenti e di riputazione fuggivano
pe' disordini della città queste cure, fu deputato lui, e piú facilmente, perché messer
Cosimo suo figliuolo era vescovo di Arezzo. E poco poi, dato buono ordine, fu preso ser
Pepo a Firenzuola, e condotto a Firenze fu esaminato a parole, e non si ritraendo nulla
non si procedé piú oltre, perché Pandolfo, intesa la nuova, aveva velocissimamente
scritto a Firenze che ciò che fussi fatto di offesa a ser Pepo, lui lo rimetterebbe, e
moltiplicatamente, nella persona di molti cittadini che si trovavano al Bagno a San
Filippo in quello di Siena, e che subito erano stati sostenuti da lui. Per la qual cosa,
avendosi rispetto a quegli privati, ser Pepo fu licenziato e lasciatone andare a Siena,
non si sendo intesi e' maligni umori che erano in Arezzo, e' quali di subito scoppiorono. |
Avevano alcuni de' primi aretini tenuto pratica con Vitellozzo di ribellarsi dalla
città, la quale cosa, trovandosi Guglielmo a Anghiari, gli fu particolarmente notificata
da uno Aurelio da Castello inimico di Vitellozzo, di che lui, ritornato in Arezzo per
provedere ed empiere la cittadella di fanti per assicurarsi della terra, ne conferí col
capitano, e sepponla sí bene governare, che innanzi fussino forti si publicò. Gli
aretini, vedendosi scoperti, presono le arme, e preso Guglielmo ed Alessandro Galilei che
vi era capitano e Piero Marignolli podestà, gridorono "libertà" e si
ribellorono. Udito el romore, el vescovo che era in Arezzo fuggí nella cittadella, e
cosí alcuni uficiali fiorentini che vi erano, e Bernardino Tondinelli ed alcuni altri
aretini affezionati alla città. Dèttonne e' ribelli subito aviso a Vitellazzo, el quale
dolendosi che la cosa era scoperta troppo presto ed innanzi al dí disegnato, in modo che
lui non era in ordine, ne venne con pochi cavalli in Arezzo, dove per parecchi dí furono
sí pochi provedimenti e poche forze, che è manifesto che se vi si mandavano le gente
nostre, non avevano opposizione a entrare in cittadella e di quivi facilissimamente
recuperare la terra; ma non si fece, perché cosí fussi a qualche buono fine ordinazione
di Dio, o perché la fortune volessi ancora giuoco de' fatti nostri, e farci con nostro
danno tenere pazzi e da pochi. |
Venne la nuova di questa ribellione in Firenze a di... di giugno a mezzanotte; e di
tratto la signoria, che ne era gonfaloniere Francesco d'Antonio di Taddeo, mandò pe'
collegi e pe' principali cittadini della città; e proposto el caso e dimandati e' pareri,
alla pratica pareva che importando Arezzo quanto faceva, non s'avessi rispetto alle cose
di Pisa, né alla vittoria si sperava di dí in di dí Vicopisano dove erano a campo le
gente nostre, ma si mandassino subito a Arezzo innanzi che la cittadella si perdessi o e'
nimici vi ingrossassino piú. |
E' collegi, come fanno gli uomini da pochi ed ignoranti, insospettiti cominciorono a
credere che questa nuova di Arezzo non fussi vera, anzi cosa finta da' primi cittadini, e'
quali volessino per questo modo indiretto impedire lo acquisto di Vicopisano, e la
fondavano in sul credere che per avere occasione di mutare el governo, desiderassino che
la città stessi in affanni continui e Pisa non si riavessi. E però consigliorono che le
gente non si levassino di quello di Pisa anzi si seguitassi la impresa di Vico e l'altre
fazione vi s'avevano a fare; ed in questa opinione concorrevano ancora alcuni de' signori,
e massime Giovan Batista de' Nobili ed uno Batistino Puccini artefice, uomo ardito,
caparbio, e che aveva piú lingua che persona, ed inimico capitale de' cittadini
principali. E fu necessario seguitare el loro parere, perché, da poi che Piero Soderini
era stato gonfaloniere, avevano, avezzi da lui, presa tanta licenzia ed autorità, che
volevano intendere tutte le cose publiche, e che le si deliberassino a modo loro e cosí
si perdè la occasione di ricuperare Arezzo facilmente e con poca spesa, per cagione, come
è detto, de' collegi, e si vedde non per ognuno, ma pe' piú savi, quanto fussi stato lo
errore di Piero Soderini in avere per ambizione messo adosso a loro tutto el pondo della
città. |
Sopravennono di poi gli avisi come Vitellozzo era in Arezzo e che la ribellione era
chiara, a' quali non prestavano fede e' collegi ed el popolo accecati in questa pazzia;
pure risonando da ogni banda questo romore, mandorono Simone Banchi, che era di collegio,
in verso Arezzo, a intendere se Vitellozzo vi era o vi era stato. El quale tornato riferí
assolutamente essere falso, e che, se bene gli aretini avevono prese le arme e
ribellatisi, non vi era entrato forestiere alcuno; e però e' collegi si confermavano in
opinione che e' non fussi necessario per la ricuperazione di Arezzo levare la gente di
quello di Pisa, ma che e' bastassino e' contadini ed uomini del paese, a' quali si era ne'
primi dí mandati commessari per levargli e mettergli insieme. Non facevano cosí gli
inimici nostri, anzi sollecitavano con ogni industria di non perdere una tanta occasione,
perché Vitellozzo, come fu giunto in Arezzo, parendogli che le cose fussino in termini
che se le genti nostre che erano in quello di Pisa vi venivano, non vi fussi rimedio,
statovi poche ore e confortati gli uomini con speranza di soccorso e lasciatovi messer
Iulio suo fratello bastardo e vescovo di Castello, se ne partí o per paura o per
sollecitare e' provvedimenti; e pochi dí poi, inteso non vi essere venuto soccorso
alcuno, vi ritornò con buono numero di cavalli, e doppo lui non molto, el signor Paolo
Orsini e Fabio suo figliuolo, e con loro Piero de' Medici ed alcuni uomini di arme di
Giampaolo Baglioni. Le quali cose intese a Firenze, si conobbe chiaramente che la
ribellione di Arezzo era vera e che bisognava provedervi con ogni forza e però si scrisse
al commessario in quello di Pisa, che subito aviassi le gente nostre in verso Arezzo, e
cosí si levò el campo da Vicopisano, dove se fussino stati piú uno dí o dua lo
ottenevano. Trattossi ancora creare e' dieci nuovi, e benché e' collegi repugnassino un
poco, pure finalmente, conosciuto in quanto pericolo fussi lo stato nostro si conchiuse, e
furono eletti da cominciare subito el magistrato, Piero Soderini, Piero Guicciardini,
Niccolò Zati, Giuliano Salviati, Filippo Carducci, Antonio Giacomini, Pierfrancesco
Tosinghi... |
. . . . . . . . |
Erasi scritto in Francia a Luca d'Antonio degli Albizzi che vi era solo oratore, el
caso di Arezzo, e come sendovi venuti prima e' Vitelli e poi gli Orsini, e qualche gente
di Giampaolo, soldati del duca Valentino, si cognosceva questo essere ordine del papa e
duca Valentino; aggiuntavi una intelligenzia di Vitelli, Orsini, Baglioni e di Pandolfo
Petrucci, non meno inimici della maestà sua che della città; e che e' non arebbono fatto
questa impresa per fermarsi in noi soli sapendo che offendendo noi si offendeva la maestà
del re che ci aveva in protezione; ma che el disegno loro era, fatto questo principio ed
accresciutene le forze loro, cavare la maestà sua di Italia; pregassilo adunche
instantemente volessi, e per osservanzia della fede sua e perché si trattava dello
interesse suo proprio, commettere a monsignore di Ciamonte, suo luogotenente a Milano, che
ci mandassi secondo l'apuntamento fatto le quattrocento lancie, e quando` non bastassino,
piú numero perché nella offesa nostra era la offesa sua. |
Trovorono questi avisi el re che veniva alla volta di Lione, e risentitosi
mirabilmente, disse che cognosceva la malignità di chi ci offendeva, e che potento
caccierebbono ancora lui di Italia; e che voleva riparare a' nostri pericoli non solo
colle quattrocento lancie ma ancora con tutto lo sforzo e potenzia sua, e venire subito
personalmente in Italia. E scrisse a Ciamonte espedissi con ogni prestezza le gente di
arme che erano nello stato di Milano alla volta di Toscana, e perché le non passavano la
somma di dugento lancie, dette ordine mandare nuove gente in Lombardia; scrisse allo
oratore suo che era a Roma, che con ogni instanzia dimostrassi al papa quanto questo
insulto gli dispiaceva, e lo confortassi a volere levare le gente de' terreni nostri,
altrimenti lo tratterebbe da inimico; mandò un suo araldo in Toscana con lettere a
Vitellozzo, a Pandolfo, a Giampaolo, agli Orsini, a comandare loro che ci restituissino le
cose nostre ed uscissino del nostro: se non, che gli perseguiterebbe come inimici
capitali, disse allo oratore avisassi a Firenze la sua ottima disposizione e gli apparati
pronti, e soggiugnessi guardassino bene el guscio della città propria perché, quando
bene perdessino tutto el resto del dominio, lui lo renderebbe loro. |
In questo mezzo si soldò a Firenze molti condottieri, de' quali nessuno accettò,
eccetto Morgante Baglioni cugino di Giampaolo; ma sendogli proibito dal papa e Valentino,
differí piú dí, pure finalmente per osservare la fede, come uomo franco, si metteva in
ordine e voleva venire in ogni modo; ma Giampaolo, veduto che e' si faceva innanzi e
dubitando che per questa condotta non acquistassi lo appoggio nostro, lo fece occultamente
avvelenare. Erano intanto le gente nostre venute in Valdarno, e perché gli inimici erano
sí ingrossati in Arezzo che avevano molto vantaggio di numero e di buoni capi, non
vollono per paura andare piú innanzi; in modo che quegli della cittadella di Arezzo, che
avevano insino allora fatta buona resistenzia e portatisi virilmente con somma laude del
vescovo de' Pazzi che vi era drento abandonati da speranza di soccorso e non avendo piú
che mangiare, furono constretti a arrendersi, salve le persone di tutti eccetto che di
nove, e' quali avessino a rimanere prigioni di Vitellozzo a sua elezione. Scelse adunche
el vescovo e tutti e' fiorentini vi erano, e Bernardino Tondinelli a chi voleva male,
perché era stato cancelliere del conte Renuccio loro emolo, el quale fu pochi dí poi
morto da Bernardino Camarani suo genero crudelissimamente, insieme con tutti e' sua
figliuoli che si trovavano in Arezzo. |
Era in questo mezzo ito a Siena con licenzia della signoria, chiamato da Pandolfo
Petrucci, ser Antonio Guidotti da Colle, uomo pratico nelle cose dello stato, ed assai
intrinseco con Pandolfo per essersi trovato a tutti e' maneggi che si erano fatti nelle
cose di Siena; e ritornato a Firenze, riferí come Pandolfo, conoscendo che e' successi
del Valentino ed ogni acquisto che egli facessi in Toscana sarebbe in fine la ruina sua
come degli altri, desiderava posare questo fuoco e riconciliare Vitellozzo colla città e
fare una intelligenzia di tutti questi stati di Toscana. Inteso questo, vi fu mandato
subito occultamente oratore messer Francesco Gualterotti, datogli commessione di praticare
uno accordo, nel quale avessi a intervenire eziandio Vitellozzo con una condotta e titolo
onesto, pure che lo effetto fussi che e' non parlassi de' Medici, non si parlassi per
satisfare a Vitellozzo di offesa di alcuno cittadino, non di cosa che fussi contro alla
maestà del re di Francia, e che si riavessino tutte le cose perdute in questo assalto. |
Stette messere Francesco in una villa intorno a Siena parecchi dí e finalmente se ne
tornò sanza conclusione, o perché cosí fussi da principio el disegno per addormentarci
ne' provedimenti, o pure perché e' successi di Vitellozzo, di che ora si dirà, gli
facessino mutare pensiero. Perché come Vitellozzo ebbe avuto la cittadella, si volse a
Cortona e subito l'ebbe per accordo, e cosí la rocca, per viltà del castellano; cosí
acquistò in uno momento el Borgo a San Sepolcro, Anghiari, Castiglione Aretino, la Pieve
a San Stefano, el Monte a San Sovino e ciò che noi tenavamo in questa provincia. La quale
celerità nacque perché gli uomini delle terre, veduto non avere soccorso alcuno, si
davano per non perdere le loro ricolte, mossi ancora piú facilmente perché gli
pigliavano in nome di Piero e del cardinale de' Medici, e cosí pareva loro che e, si
trattassi non di ribellarsi ed alienarsi dal dominio fiorentino, ma di darsi a' nostri
medesimi e di avere a vivere sotto e' fiorentini, ma governati piú tosto da uno stato che
da uno altro, benché ancora vi fussi alcuni che lo facessino per affezione avessino a
Vitellozzo. E cosí e' castellani che erano nelle fortezze, alcuni per viltà, alcuni per
amare Piero de' Medici, si dettono, non ostante che le fortezze fussino di sito
fortissime, e dato che male proviste pe' disordini dalla città, si sarebbono pure potute
tenere qualche tempo. |
E cosí ogni cosa era da Arezzo in fuora che usava el nome della libertà, sotto Piero
de' Medici in nome, ma in fatto nelle mani di Vitellozzo, che le teneva o a stanza di
Piero de' Medici o per farne la voluntà di Valentino, o come piú tosto si stimò per
farne uno stato per sé. E benché questo acquisto fussi grandissimo e presto, nondimeno
fu molto maggiore la occasione se ne perdé; perché messer Ercole Bentivogli ed e'
soldati nostri erano in modo impauriti, e nella città era tanta viltà per questa ferita
sí súbita, aggiunto massime che non vi era danari, non ordine, non buono governo, non
forze, non concordia, non fede, che se, subito preso Arezzo, fussino col nome e favore de'
Medici venuti alla volta della città, egli è certo che e' soldati nostri non gli
arebbono aspettati, e si crede che in Firenze si sarebbe fatta qualche mutazione e
rientrato Piero de' Medici; e cosí loro arebbono potuto disporre non solo di Valdichiana,
ma di tutto el dominio nostro a loro modo. Ma quello Dio che ci ha piú volte aiutato
nelle estremità, non volle lasciare perire la città e però Vitellozzo, o diffidandosi
che la impresa di Firenze avessi sí presto a riuscire, o vinto dalla cupidità di
acquistare el Borgo e la Valdichiana e farsene uno stato, se n'andò a quella volta; in
modo che di poi la città per e' caldi avisi di Francia e le provisione del re, a che
prima si era prestata poca fede, riprese animo. |
Avevano e' dieci, intesa la commessione che el re dava a Ciamonte subito per piú
riputazione e piú espedizione presta, mandato in Lombardia a levare quelle gente Piero
Soderini, el quale vi trovò poche gente e sí poco ordine che la esecuzione si ritardò
molti dí, in tanto che e' venissi di Francia nuovi avisi e provedimenti; in modo che
stando la città sospesa ed ambigua della volontà del re, che fu in quello tempo che
Vitellozzo era ito alla volta del Borgo, avendosi a creare la nuova signoria per luglio ed
agosto, el popolo, dubitando che e' primi cittadini non volessino mutare lo stato, non ne
fece alcuno gonfaloniere, ma elesse Giovan Batista Giovanni uomo di poca qualità e
riputazione e da poco; ma come volle la sorte della città fece una signoria ottima, che
ne furono capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli. |
Entrò la nuova signoria in calendi di luglio e trovò la città in tanti disordini e
pericoli, che forse non erano tanti quando el re di Francia venne in Firenze perché se
bene allora si trattava di condizione intollerabile, nondimeno concernevano piú tosto le
facultà de' cittadini e la ritornata di Piero con la ribellione di quegli che l'avevano
cacciato, che la perdita della libertà e diminuzione di quello dominio ci era restato;
qui, perduto Arezzo e quasi tutto lo stato nostro, si vedeva ridotta in termini la città,
che, se el re non riparava, bisognava cedere alle condizioni che volessino gli avversari,
le quali si mostravano sí dure, che per meno male si sarebbe desiderata la ritornata di
Piero, perché si dubitava non avere a pigliare el giogo del papa e Valentino, e le
esecuzione di Francia erano sí tarde, che poca fede vi s'aveva drento. |
Entrata adunche la nuova signoria, cominciorono a migliorare le condizioni della
città; in che s'ha a presupporre che, sendo el gonfaloniere uomo da poco e di poca
qualità, ne erano capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò di Girolamo
Morelli, e con questi aveva Alamanno tanta fede ed autorità, che si può dire lui
governassi ogni cosa, e ciò che nacque di bene, nascessi prima per virtú ed opera sue e
poi de' compagni. Costoro adunque, vòlti a difendere la libertà e lo imperio con franco
animo, ed essendo el fondamento principale el fare danari, el primo dí che entrorono,
comandorono a' capitani di parte guelfa vendessino certe mulina, e perché e' bisognava el
partito de' loro collegi, de' quali la maggiore parte non era in Firenze, mandorono a dire
a' capitani che cassassino gli assenti e traessino gli scambi; e cosí ubbidito e ragunati
e' collegi, non si vincendo la provisione, comandorono loro non uscissino di quivi insino
a tanto l'avessino vinta, in modo che e' furono necessitati al venderle, ed in pochi dí
si venderono e vennesene in sul danaio. |
Posesi intanto un certo accatto a' cittadini piú ricchi, e perché molti non
pagavano, la signoria comandò loro pagassino sotto pena di rapresentarsi al bargello, e
cosí si riscosse la somma intera, non avendo e' signori alcuno rispetto a' parenti ed
amici loro. E cosí riscaldavano con ogni vivacità le provisione della città, la quale
ebbe sorte avere in quello tempo, si può dire per capo suo, uno simile a Alamanno, che
era di natura viva libera e calda, e che aiutava el bene sanza rispetto alcuno, e da
piacergli piú e' rimedi vivi e forti che altrimenti, come allora richiedevano e' bisogni
publici, ne' quali era pericolosa ogni dilazione in modo che se el timone fussi stato in
mano di qualche uomo che fussi proceduto adagio e con rispetti, ancora che fussi stato
uomo prudente era pericolo che la città non gli perissi sotto. |
Intanto ci furono avisi di Francia, come el re ne veniva a dirittura in Italia con
animo prontissimo di salvare noi ed abattere gli avversari e molto male disposto in verso
el papa e Valentino; e già le gente franzese erano arrivate in su' terreni nostri ed
adiritte a Montevarchi, dove el campo nostro faceva capo. Per la venuta delle quali, sendo
gente bellissime, era molto alleviata la città, con tutto che ci fussi una difficultà
grandissima di avere a provedere a vettovaglie, delle quali e' franzesi logorano e
straziano assai, e se ve ne fussi stato mancamento, era pericolo che, sendo uomini
bestiali ed impazienti, non si disordinassi ogni cosa, pure con una voluntà ardente si
vincevano tutte le difficultà. |
Era intanto el re venuto in Asti, e quivi trovati nuovi oratori nostri messer
Francesco Gualterotti e Luigi dalla Stufa, co' quali si congiunse a visitare el re Piero
Soderini, e raccolto allegramente dalla maestà sue e discorrendo e' fatti nostri, gli
parve necessario aggiugnere alle sue gente che erano in Toscana quattro o cinquemila
svizzeri, de' quali voleva che la città ne pagassi tremila; e perché e' dubitava che el
papa e Valentino insieme con Vitelli, Orsini e quella fazione, non facessino resistenzia,
e cosí le quattrocento lancie non fussino abastanza, dette ordine di inviare con altre
quattrocento lancie monsignore dalla Tramoglia capitano famosissimo, affermando che quando
questo non bastassi, lui seguiterebbe personalmente con ogni suo sforzo, perché la
intenzione sue era restituirci quello ci avevano tolto e' communi inimici e di poi
distruggergli. E fatta questa risoluzione, mandò subito uno suo uomo a levare e'
svizzeri, e volle che Luca degli Albizzi venissi a Firenze in sulle poste a portare di
bocca questa conclusione e confortare al pagamento de' tremila svizzeri, a che la città
acconsentí. |
El duca Valentino era in questo tempo a' confini di Urbino, ed avendo fatto certo
accordo con quello principe lo assaltò furtivamente in modo che non si guardando, in
spazio di pochissimi dí gli tolse tutto quello ducato, ed el duca fuggitosi con gran
pericolo, se ne andò a Vinegia. E benché el Valentino desiderassi la nostra distruzione,
la quale in fatto si procurava co' soldati e forze sue, e però avessi voluto congiugnere
el resto del suo esercito con Vitellozzo, nondimeno sapendo quanto el re si era risentito
di questo insulto e la venuta sua gagliarda in Italia, si fermò e fece intendere a
Firenze che mandandogli uno uomo si poserebbono per aventura queste cose, ed al medesimo
effetto el papa richiese si mandassi a sé, in modo che a Roma fu subito mandato messer
Francesco Pepi, ed al Valentino monsignore de' Soderini. Furono le pratiche diverse
perché el papa prometteva la restituzione di tutto, se si gli lasciava el Borgo a San
Sepolcro per essere di ragione terra di Chiesa; el duca prometteva la restituzione intera,
se gli fussi osservata la condotta sua e se a Firenze si introducessi uno stato nuovo,
ristretto in pochi cittadini, con chi lui si potessi fidare e consultare le cose
occorrenti. Ma non si consentendo nulla di queste dimande, massime intesosi chiaramente
l'animo buono del re, el vescovo fu revocato da Urbino ed el Pepe fu lasciato a Roma,
ristrettagli però la commessione del praticare. |
Giunti e' franzesi a Montevarchi, Vitellozzo si ritirò verso Arezzo, e benché prima
avessi detto che verrebbe co' franzesi a giornata, o almeno ritiratosi in Arezzo farebbe
una difesa memorabile, pure poi considerando che el papa e Valentino gli mancavano sotto
ed anche per satisfare al re si gli volterebbono contro, e che tutto lo sforzo del re
verrebbe adosso a lui, mancatogli l'animo deliberò accordarsi, e tenuta stretta pratica
co' capitani franzesi, che erano monsignore di Lancre e monsignore Imbalt, conchiuse con
loro contro alla voluntà della città; in forma che lo effetto era che noi recuperavamo
tutte le cose nostre eccetto Arezzo che rimaneva libera. Di che sendosi caldamente dato
aviso agli imbasciadori erano in corte, el re scrisse a' suoi capitani che questo accordo
non andassi innanzi e che voleva che Arezzo ed ogni cosa ritornassi; e però fu constretto
in ultimo Vitellozzo accordare con loro, mettendo in loro mano, a stanza del re, Arezzo e
tutte le terre aveva prese; e cosí, partitosi lui, gli Orsini ed e' Medici, e' capitani
franzesi presono ogni cosa in nome del re, el quale sopratenne la restituzione insino a
tanto che e' si pagassino e' tremila svizzeri; la quale parte accordata, mandò monsignore
di Milone a Firenze con ordine del potere restituire e di operare intorno a ciò quanto
gli fussi commesso dalla città. |
Venne Milone a Firenze, e bisognò, innanzi che gli andassi a Arezzo, accordare
monsignore di Ravel, nipote di Roano che era creditore della ragione de' Medici di
ottomila ducati; la quale cosa perché si espedissi, Alamanno Salviati obligò alla
osservanza di questo accordo la sua proprietà; e cosí ne andò Milone alla volta di
Arezzo e con lui furono deputati commessari a ricevere le terre, Piero Soderini e Luca
d'Antonio degli Albizzi, e' quali presono pacificamente la possessione di Arezzo e di
tutte le terre perdute. Le quali trovorono essere state vote da Vitellozzo di tutte le
artiglierie e tutti gli aretini che erano stati capi contro alla città essersi fuggiti in
gran numero, a' quali fu dato bando di rubello, e cosí si posò in tutto questo movimento
con grande spesa, pericolo e travaglio, dove se non fussi stata la pazzia de' collegi, si
sarebbe fermo con poca fatica e disagio, e sanza averne a avere obligo con persona. |
Erasi nella venuta del re in Italia conceputa speranza che volendo lui mandare
monsignore della Tramoia e disfare gli inimici sua, che noi, assicurati da ogni banda ed
avendo lo appoggio di questo esercito, facilmente recupereremo Pisa, el quale disegno
mancò, perché el duca Valentino come e' vedde el re venuto in Italia, e che a visitarlo
vi era concorso, oltre agli oratori nostri, gli oratori viniziani, e personalmente el duca
Ferrara e marchese di Mantova, el cardinale Sanseverino, a chi fu rilasciato el Fracassa
suo fratello, e di piú lo Orsino che era ito a dolersi de' tristi modi del pontefice e
finalmente che tutta Italia faceva capo a lui, inteso ancora quanto el re fussi male
disposto e come e' mandava in Toscana monsignore della Tramoia e tante gente di arme e
fanterie, sbigottito assai, né vedendo altro rimedio, ne venne in poste a Milano a
giustificarsi col re; in modo che e' si riconciliò seco cogli effetti che di sotto si
diranno, e cosí rimanemo certi che per quello anno non si attenderebbe alle cose di Pisa. |
Trovavasi addosso a tempo di questa signoria la città una altra peste di grandissimo
pericolo e di vituperio, cioè le cose di Pistoia, le quali erano tutto dí piggiorate ed
incancherite, perché poi che e' Panciatichi furono cacciati di Pistoia, attendendo e'
Cancellieri a perseguitargli nel contado si levò su dalla parte panciatica un contadino
giovane chiamato Franco, el quale era di persona gagliardissimo e di buono cervello e di
natura quieta e che volentieri attendeva a fare e' fatti sua. Costui in difendere la villa
sua da' Cancellieri che gli assaltorono, si portò si bene e con forze e cervello, che
cominciando a acquistare riputazione, non solo fu fatto capo degli uomini vicini a sé, ma
in brieve tempo di tutta la parte panciatica; in modo che lui ne era interamente signore e
ne disponeva a arbitrio suo, e con questo seguito si affrontò due volte in battaglia
grossa co' Cancellieri e gli roppe, faccendone occisione di piú di dugento per volta. |
Questi successi de' Panciatichi furono utili alla città, perché furono uno freno a'
Cancellieri di non potere malignare, la quale cosa, se fussino stati liberi, arebbono
fatto, perché parendo loro avere offeso e disubbidita la città, cominciavano a non
fidarsene. Nondimeno le cose erano in cattivi termini, perché l'una parte e l'altra stava
malissimo contenta: e' Panciatichi, se bene si erano difesi nel contado, nondimeno non
erano sí superiori potessino ritornare nella terra; e' Cancellieri, se bene tenevano e'
Panciatichi fuora, non potendo usare e godere la maggiore parte del contado, erano in
grande angustie; in modo che l'una parte e l'altra arebbe preso partito co' principi
forestieri, e ribellatisi e fatto a ogni male giuoco; e cosí la città al presente non si
valeva di Pistoia e conosceva che sanza dubio si ribellerebbono. Per la qual cosa la
signoria, faccendone massime instanzia e riscaldandovisi su Alamanno Salviati, deliberò
assicurarsene, e poi che e' non giovavano gli unguenti ed impiastri, usare a ultimo el
ferro ed el fuoco. Alla quale cosa non concorrendo e' dieci di balía e mostrando alla
signoria che pericoli erano in questa via, Alamanno avuta licenzia da' compagni di dire
quello che gli paressi, gli punse forte, mostrando che quella era la intenzione della
signoria, e quando non la eseguissino, che la signoria notificherebbe a tutto el popolo
come loro erano quegli che non volevano che Pistoia si recuperassi, per la qual cosa loro,
ristrettisi, attesono a eseguire vivamente quello ordine. Comandossi adunche a moltissimi
capi dell'una parte e dell'altra, che fra uno certo termine comparissino a Firenze, con
animo che, se non ubbidivano, di procedere piú oltre. Stettono tutti ambigui. e
finalmente per meno male, temendo per avere la città le gente franzese in Toscana,
comparirono tutti el dí determinato, eccetti pochi che si fuggirono ed ebbono bando di
rubello; e volle la sorte che e' venissino innanzi alla signoria el dí medesimo o el dí
allato che comparirono gli imbasciadori aretini mandati doppo la recuperazione. E cosí la
città si riassicurò di Pistoia, e si rimesse drento la parte panciatica e fecesi in
spazio di piú mesi molti ordini, quali al presente non è necessario raccontare. |
Successe in questi tempi uno caso che fu per fare un poco di scompiglio nella città,
e se fussi seguito arebbe impedito gli ordini che si feciono: questo è che poi che e'
furono creati e' dieci non si conferivano piú, come si soleva, tutti gli avisi a'
collegi; e però avendosi un dí a vincere un partito fra e' collegi e non si vincendo, un
collegio de' Peri, per l'arte minore, disse che ne era cagione perché non si conferiva
loro le cose occorrente. Il che sendo rapporto alla signoria. Alessandro Acciaiuoli, che
era Proposto, propose tra e' signori che e fussi casso, e subito si vinse; di che e'
collegi sdegnorono assai e volevano appellassi al consiglio e loro parlare in suo favore;
il che seguendo si sarebbono in modo alienati dalla signoria, che mai piú concorrevano a
bene nessuno; ma confortati da savi cittadini che le condizione della città non pativano
queste quistioni, finalmente si posorono, e quello che era stato casso non appellò. |
|
XXIII |
RIFORME DELLA COSTITUZIONE FIORENTINA. |
IMPRESE DEL VALENTINO. |
PIERO SODERINI GONFALONIERE A VITA (1502). |
Assettati con somma laude e felicità questi disordini che apartenevano alla
conservazione dello imperio e della quiete di fuora, la signoria volse gli animi a
riordinare le cose e lo stato della città, per la disordinazione del quale nascevano
tutti gli altri disordini e confusione, che erano di natura che perseverandosi in essi,
ciascuno dubitava avere a vedere el fine ed ultimo esterminio della città. In che s'ha a
intendere che e' sarebbe difficile immaginarsi una città tanto conquassata e male
regolata quanto era la nostra, e tutto el male procedeva per non vi essere uno o piú
uomini particulari che vegghiassino fermamente le cose publiche e che avessino tale
autorità che, consigliato quello fussi utile a fare, potessino di poi essere instrumenti
a condurlo a esecuzione, anzi mutandosi di due mesi in due mesi le signorie, e di tre e
quattro in tre e quattro e' collegi, ognuno per la brevità del tempo che aveva a essere
in magistrato, procedeva con rispetto e trattava le cose publiche come cose di altri e
poco apartenente a sé. Aggiugnevasi che e' signori ed e' collegi, per e' lunghi divieti
che danno le legge della città alla casa ed alla propria persona dall'una volta
all'altra, non possono essere el piú delle volte se non uomini deboli e di poca qualità
ed esperienzia degli stati; in modo che se e' non prestano fede a' cittadini savi ed
esperti, anzi vogliono procedere di loro capo ed autorità, come interveniva allora
perché avevano sospetto che e' primi cittadini non volessino mutare lo stato, impossibile
è che la città non vadia in perdizione. Concorrevaci tutti e' disordini che fanno e'
numeri grandi, quando hanno innanzi le cose non punto digestite, la lunghezza al
deliberare, tanto che spesso vengono tardi; el non tenere secreto nulla, che è causa di
molti mali. |
Da questi difetti nasceva che non pensando nessuno di continuo alla città, si viveva
al buio degli andamenti e moti di Italia; non si cognoscevano e' mali nostri prima che
fussino venuti; non era alcuno che avisassi di nulla, perché ogni cosa subito si
publicava, e' principi e potentati di fuora non tenevano intelligenzia o amicizia alcuna
colla città, per non avere con chi confidare, né di chi si valere, e' danari andando per
molte mani, e per molte spezialità, e sanza diligenzia di chi gli amministrava, erano
prima spesi che fussino posti e si penava el piú delle volte tanto a conoscere e' mali
nostri e di poi a fare provisione di danari, che e' giugnevano tardi, in modo che e' si
gittavano via sanza frutto, e quello che si sarebbe prima potuto fare con cento ducati non
si faceva poi con centomila. |
Nasceva da questo che, bisognando ogni dí porre provisione di danari e provisione
grosse, la brigata doppo el corso di molti anni era sí stracca che non voleva vincere
piú provisione, in modo che non avendo danari, ogni dí la signoria sosteneva e'
cittadini piú ricchi in palagio e gli faceva per forza prestare al commune, e nondimeno
non se ne cavava tale provedimento che e' non fussino constretti a ultimo lasciare
trascorrere ogni cosa, stare sanza soldati, tenere sanza guardia e munizione alcuna le
terre e le fortezze nostre. E però e' savi cittadini e di riputazione, vedute queste
cattive cagione, né vi potendo riparare perché subito si gridava che volevano mutare el
governo stavano male contenti e disperati e si erano in tutto alienati dallo stato; ed
erano el piú di loro la maggior parte a specchio, né volevano esercitare commessarie o
legazione se non per forza e quando non potevano fare altro, perché sendo necessario pe'
nostri disordini che di ogni cosa seguitassi cattivo effetto, non volevano avere addosso
el carico e grido del popolo sanza loro colpa. |
Di qui procedeva che uno Piero Corsini, uno Guglielmo de' Pazzi erano tutto dí
mandati commessari, perché, non volendo andare gli uomini savi e di riputazione,
bisognava ricorrere a quegli che andavano volentieri; cosí andorono in Francia
imbasciadori uno Giovacchino Guasconi, uno Luigi dalla Stufa e simili che non accadde
nominare, perché uno messer Guidantonio Vespucci, uno Giovan Batista Ridolfi, uno
Bernardo Rucellai, uno Piero Guicciardini non andavano se non quando non potevano fare
altro. Di qui nasceva che la città non solo non aveva riputazione cogli altri potentati
di Italia, ma né ancora co' sua propri sudditi; come si vedde nelle cose di Pistoia dove
non sarebbono e' pistolesi tanto trascorsi, se avessino temuta o stimata la città.
Aggiugnevasi a questi mali cosí publici che non sendo nella città nessuno che avessi
perpetua autorità, e quegli che erano in magistrato, per essere a tempo, procedendo con
timore e con rispetti era introdotta una licenzia sí publica e grande, che e' pareva
quasi a ognuno, massime che fussi di stirpe punto nobile, lecito di fare quello che e'
volessi. Cosí chi si trovava ne' magistrati, se avessi nelle cose che vi si trattavano
una spezialtà ed una voglia o onesta o disonesta bisognava che ne fussi satisfatto e
contento. |
Questi modi dispiacevano tanto a' cittadini savi e che solevano avere autorità, che
erano quasi stracchi del vivere, perché e' vedevano la città rovinare ed andarne alla
'ngiú cento miglia per ora vedevano essere spogliati di ogni riputazione e potere; il che
doleva loro e per rispetto proprio e perché in effetto quando gli uomini di qualità non
hanno, io non dico la tirannide, ma quello grado che si conviene loro, la città ne
patisce. Aggiugnevasi che ogni volta che nasceva qualche scompiglio, el popolo pigliava
sospetto di loro e portava pericolo che non corressi loro a casa, in modo che ogni dí
pareva loro, essere in sul tavoliere, e però sommamente desideravano che el governo
presente si mutassi o almeno si riformassi, in modo che la città fussi bene governata,
loro recuperassino parte del grado loro, ed in quello che avevano si potessino vivere e
godere sicuramente. Era el medesimo appetito in quegli che si erano scoperti inimici di
Piero de' Medici, perché per e' disordini della città avevano a stare in continuo
sospetto che e' Medici non tornassino, e cosí riputavano avere a sbaraglio lo essere
loro. Cosí gli uomini ricchi e che non attendevano allo stato, dolendosi di essere ogni
dí sostenuti e taglieggiati a servire di danari el commune, desideravano uno vivere nel
quale, governassi chi si volessi, non fussino molestati nelle loro facultà. |
Allo universale della città, che erano gli uomini di casa basse e che conoscevano che
negli stati stretti le casa loro non arebbono condizione, erano gli uomini di buone case,
ma che avevano consorti di piú autorità e qualità di loro e però vedevano che in uno
vivere stretto rimarrebbono adrieto; a tutti costoro, che erano in fatto molto maggiore
numero, piaceva molto el governo, nel quale si faceva poca distinzione da uomo a uomo
presente e da casa a casa; e con tutto intendessino vi era qualche difetto, pure ne erano
tanto gelosi e tanto dubio avevano che non fussi loro tolto, che come si ragionava di
mutare ed emendare nulla, vi si opponevano. Ma di poi, stracchi dalle grande e spesse
gravezze che si ponevano, da non rendere el Monte le paghe a' cittadini, ed in ultimo
mossi da questi casi di Arezzo e da tanto pericolo che si era portato, che si toccava con
mano essere causato da' disordini nostri, cominciorono a conoscere sí chiaramente che,
non si pigliando migliore forma, la città si aviava al fine suo, che e' diventorono
facili a acconsentire che si pigliassi qualche modo di riformare el governo, pure che lo
effetto fussi che el consiglio non si levassi, né lo stato si ristrignessi in pochi
cittadini. |
Trovando adunche la signoria la materia bene disposta ed essendovi caldi, massime
Alamanno Salviati, cominciorono a trattare e consultare quello che fussi da fare, e
finalmente discorrendo si risolverono che e' non fussi da ragionare di fare squittini, di
dare balía a' cittadini e cosí di levare el consiglio, per piú cagioni: prima, perché
come lo stato si ristrignessi in pochi, nascerebbe, come si era veduto ne' Venti ed in
molti altri tempi, divisioni e sette fra loro, in modo che lo effetto sarebbe che quando
si fussino prima bene percossi, bisognerebbe fare uno capo ed in fine ridursi a uno
tiranno; di poi, che quando fussi bene utile el fare cosí el popolo ne era tanto alieno
che mai vi si condurrebbe; e però non essere bene di ragionare né di attendere allo
impossibile, ma pensare un modo che, mantenendosi el consiglio, si resecassino quanto piú
si poteva e' mali della città e loro; e' quali erano in somma, che le cose grave ed
importante si trattavano per mano di chi non le intendeva; e' cittadini savi e di qualità
non avevano grado né reputazione conveniente; nella città si amministrava pe' magistrati
nostri poca giustizia e ragione, massime nel criminale. |
Occorreva a questo uno modo: creare a vita uno magistrato di venti, quaranta,
sessanta, ottanta o cento cittadini, e' quali creassino e' commessari ed imbasciadori,
come facevano allora gli ottanta e non avessino autorità di creare altri ufici e
magistrati per non tôrre la autorità al consiglio; vincessino le provisione di danari,
massime per finale conclusione, e cosí non avessino di poi a ire in consiglio; di loro si
creassino e' dieci; con loro si trattassino e consultassino le cose importante dello
stato, come si fa a Vinegia co' pregati. Di questo nascerebbe che, stando loro
continuamente, la città arebbe chi vegghiassi le cose sue; sendo e' piú savi della
città, sarebbono bene intese e consultate, prevederebbono di danari a' tempi e quando
bisognassi, arebbono sempre buona notizia delle cose che andassino a torno, perché loro
vi attenderebbono, sarebbonne di continuo avisati perché nessuno temerebbe essere
scoperto da loro, ed e' potentati di Italia non fuggirebbono el tenere pratica con loro,
perché arebbono di chi si fidare e con chi si valere. Cosí arebbono bene governate le
cose publiche, e' cittadini savi e di qualità ritornerebbono in grado e riputazione
conveniente; ed essendo nella città uomini che arebbono qualche autorità e riverenzia,
si reprimerebbe la licenzia di molti, ed e' magistrati nelle cose criminali farebbono piú
el debito loro, e se non lo facessino, non mancherebbe trovare de' modi che provedessino a
questa parte. |
Questa conclusione piaceva assai, ma si dubitava che el popolo per el grande sospetto
che aveva che non si mutassi lo stato, come e' vedessi ordinare deputazione di cittadini
non vi concorrerebbe, e però si risolverono che egli era meglio fare uno gonfaloniere di
giustizia che fussi o in perpetuo o per uno lungo tempo, di tre anni o cinque per due
cagioni: l'una perché quando bene si facessi quella deputazione di cittadini di che è
detto di sopra, nondimeno non pareva che avessi la sua perfezione se non vi fussi uno
gonfaloniere almeno per lungo tempo; e di poi feciono giudicio che essendo eletto uno
gonfaloniere savio e da bene, che avendo fede col popolo sarebbe poi el vero mezzo a
condurre facilmente quello o altro disegno, di che lo effetto fussi che le cose di
importanza si governassino per mano de' primi cittadini della città, e che gli uomini di
conto avessino quella autorità che meritamente si conveniva loro. E non pensorono che se
la sorte dava loro uno gonfaloniere ambizioso, che e' non vorrebbe in compagnia uomini di
riputazione, perché non gli potrebbe disporre e maneggiare a suo modo, e cosí che
essendo eletto libero non vorrebbe legarsi da se medesimo; e però che prima si doveva
fare gli ordini, poi l'uomo che vi aveva a vivere sotto, non prima l'uomo sciolto, che
stesse a lui se s'aveva a ordinare e legare, o no. |
Fatta adunche questa risoluzione nella signoria e di poi persuasola destramente a'
collegi, si cominciò a praticare e' modi e la autorità sua co' cittadini piú savi e si
conchiuse che la autorità sua fussi quella medesima che solevano avere pel passato e'
gonfalonieri di giustizia, non accresciuta né diminuita in alcune parte, eccetto che e'
potessi proporre e trovarsi a rendere el partito in tutti e' magistrati della città nelle
cause criminali. Questo fu fatto perché, trattandosi di uno delitto di uno uomo nobile,
se e' magistrati per rispetto vi andassino a rilento, lui la potessi proporre, e colla
autorità e presenzia sua muovergli a osservanzia delle leggi. |
Venne di poi in consulta quale fussi meglio, o farlo a vita o per tempo lungo di
qualche anno; a molti non pareva da farlo a vita, perché si potessi qualche volta mutare
e dare parte a altri; di poi se e' riuscissi uomo non sufficiente o per ignoranzia o per
malizia, che e' finirebbe qualche volta, e la città non l'arebbe adosso in perpetuo,
inoltre lo stare uno tempo lungo, bastare a fare quegli effetti buoni che si cercavano per
la creazione sua, perché la città arebbe chi vegghierebbe le cose publiche ed uno timone
fermo e che potrebbe introdurre gli ordini buoni; inoltre, che ricordandosi di essere a
tempo, non gli parrebbe avere tanta licenzia, quanta se fussi perpetuo, e piú
consentirebbe a ridurre e' cittadini al governo in compagnia sua, che se fussi a vita. |
A molti, fra' quali era Giovan Batista Ridolfi, pareva el contrario; assegnavanne
massime due ragione: l'una, che sendo fatto a vita, arebbe el maggiore grado che potessi
desiderare nella città e però che l'animo suo si quieterebbe e contenterebbe, e potrebbe
sanza rispetto alcuno pensare al bene della città, dove, se fussi a tempo, non poserebbe
forse cosí l'animo, ma penserebbe come vi si potesse perpetuare, o con favore della
moltitudine o con qualche via estraordinaria; il che non potrebbe essere se non con danno
ed alterazione grande della città; di poi, che sendo in perpetuo, potrebbe piú vivamente
fare osservare la giustizia e punire e' delitti, perché avendo a stare sempre in quello
magistrato, non arebbe rispetto e paura di persona, dove sendo a tempo, si ricorderebbe
avere a tornare un dí cittadino privato, e non vi sarebbe gagliardo, anzi procederebbe
con quegli riguardi che facevano gli altri magistrati della città, e cosí verrebbe a
mancare la osservanza della giustizia, che era uno di quegli effetti principali pel quale
si introduceva questo nuovo modo. Deliberossi finalmente non lo fare in perpetuo, ma per
tempo lungo di tre anni; e cosí sendo ferma la provisione e tirandosi innanzi, Piero
degli Alberti, Bernardo da Diacceto ed alcuni simili cominciorono a gridare che gli era
meglio farlo a vita e tanto intorbidorono, che quella provisione non si vinse, mossi
perché e' non piaceva loro farlo in modo alcuno e si persuasono che el popolo non
concorrerebbe mai a farlo a vita. |
La signoria adunche che ci era calda, massime Alamanno, alterata in su questa
contradizione, ordinò la provisione di farla a vita, e vi si aggiunse avessi a avere
cinquant'anni; non potessi avere magistrato alcuno della città; e' sue figliuoli non
potessino essere de' tre maggiori; fratelli e figliuoli di fratelli non potessino essere
de' signori, non potessino né lui né sua figliuoli fare trafico ed esercizio alcuno, il
che si fece acciò che ne' conti del dare ed avere non avessino a soprafare altri; avessi
di salario ducati milledugento l'anno; potessi essere, portandosi male, privato del
magistrato da' signori e collegi, dieci capitani di parte guelfa ed otto, congregati
insieme pe' tre quarti delle fave e' quali potessino essere chiamati a petizione di
qualunque de' signori potessi essere eletto ognuno che fussi inabile per conto di divieto
o di specchio. E fu presa sí larga questa parte, che e' si interpretò che etiam quegli
che vanno per le minore arte potessino essere eletti, il che si fece o per inavvertenza o
perché la arte minore ci concorressi piú volentieri. |
El modo del crearlo fussi questo: chiamassisi el consiglio grande, nel quale potessino
intervenire per dí tutti quegli avevano el beneficio non ostante fussino a specchio, il
che si fece acciò che chi fussi eletto fussi con consenso piú universale del popolo,
ognuno che fussi in consiglio avessi autorità di nominare chi gli pareva e quegli tutti
nominati andassino a partito, e tutti quegli che vincevano el partito per la metà delle
fave e una piú, o uno o piú che fussino, andassino un'altra volta a partito, e quello o
quegli che vincevano, andassino questa seconda volta a partito, e tutti quegli che
vincevano, riandassino poi a partito la terza volta; e di quegli che vincevano questa
terza volta, si pigliassi chi vinceva per la metà delle fave e una piú, ed avessi piú
fave che gli altri che fussino iti a partito la terza volta, se altri vi era ito; e questo
tale fussi gonfaloniere di giustizia a vita. |
Presesi questo modo perché la elezione non si sarebbe mai vinto si fussi cavata del
popolo; e però ordinorono questi vagli, acciò che avessi piú maturità che fussi
possibile. Aggiunsesi che la elezione si facessi a tempo della signoria futura, acciò che
el popolo potessi meglio pensare e risolversi a chi fussi a proposito, e che chi fussi
eletto, fussi publicato quando la signoria che aveva a entrare di novembre, e pigliassi el
magistrato in calendi di novembre prossimo futuro. Aggiunsesi in questa provisione un
altro capitolo, che dove gli ottanta si traevano a sorte di quegli che avevano vinto el
partito ora se ne pigliassi pochi piú di cento che avessino vinto per le piú fave, e di
quegli si traessino gli ottanta, dando la rata a' quartieri. Il che fu fatto acciò che in
quello consiglio si trovassino uomini piú scelti perché, come è detto di sopra, quando
in quello consiglio intervenissino tutti gli uomini savi e di qualità, sarebbe utilissimo
alla città. |
Ordinata e ferma questa provisione, e vinta fra' signori e collegi si misse negli
ottanta, dove si dubitò avessi assai difficultà, perché si credeva che molti cittadini
che pretendevano d'avere a essere gonfalonieri di giustizia se si creassi per dua mesi,
non vi concorrerebbono per non si privare di quella degnità. Aggiugnevasi che Bernardo
Rucellai publicamente la disfavoriva, e la cagione si diceva perché e' vedeva volgersi el
favore a Piero Soderini, del quale lui era particulare inimico; nondimeno sendo riscaldata
dalla signoria e da' collegi, si vinse con poca fatica la seconda volta che ebbono gli
ottanta. Chiamossi di poi el consiglio grande, ed avendovi parlato in favore chi era
deputato pe' collegi, e di poi Piero Guicciardini ed Iacopo Salviati ed altri uomini da
bene, si accostò el primo dí a poche fave; in modo che l'altro dí facilmente si
condusse alla sua perfezione. Acquistòvi, fra gli altri che la favorirono, gran laude
Piero di Niccolò Ardinghelli, giovane di trentuno o trentadue anni, che era de' dodici el
quale, avendovi per conto de' compagni parlato su piú volte, satisfece tanto a ognuno,
che pochi dí poi fu creato dagli ottanta commessario a Castiglione Aretino, e si fece una
via da dovere avere tanto stato quanto uomo da Firenze, se non se l'avessi poi tolto da se
medesimo. |
Vinta questa provisione e dato principio alla riordinazione della città, uscí la
signoria, la quale avendo trovata la città in somma confusione, smembrato Arezzo con
tutta quella provincia, Pistoia quasi perduta e ribellata, aveva rassicurata la città di
Pistoia, recuperato Arezzo e ciò che si era perso in quella rivoluzione, ed in ultimo
vinta la provisione di riformare lo stato, lasciato ognuno in somma allegrezza e speranza;
e però uscí meritamente con somma commendazione, sendo però ogni buona opera attribuita
a Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli, e sopra tutto a Alamanno,
in modo che e' tre quarti di quella gloria furono sua. |
Successe in luogo loro gonfaloniere di giustizia Niccolò di Matteo Sacchetti, a tempo
del quale la città richiese el re che per sicurtà nostra ci concedessi che le sue gente
che erano venute in Toscana, o almeno una parte di quelle sotto monsignore di Lancre,
rimanessino alle stanze in sul nostro. Rispose el re che era contento vi stessino qualche
tempo, ma perché potrebbe essere che n'arebbe bisogno per sé, le voleva potere rivocare
a ogni sua posta, non avendo rispetto se ci lasciassi provisti o no. Acconsentillo da
principio la città; di poi non se ne sapendo bene risolvere, tutte le gente si partirono
e tornorono in Lombardia, di che la città venne a entrare in nuovi pensieri, perché el
re, sendo riconciliato con Valentino, prese la volta di Francia; ed el Valentino contro
alla opinione di molti che credevano che lo dovessi menare seco in Francia e quivi
ritenerlo onestamente, accompagnatolo insino in Asti, se ne ritornò in Romagna agli stati
sua. Donde la città trovandosi sanza arme, cominciò a avere gran paura di lui, e benché
si intendessi che el re gli aveva alla partita raccomandato lo stato nostro, nondimeno si
dubitava che, avendo una occasione di offenderci, non la usassi, avuto poco rispetto al
re, col quale, secondo la natura de' franzesi, si truova doppo el fatto facilmente
rimedio, e lui ne aveva veduta la esperienzia, sendosi sí intrinsecamente riconciliato
seco, non ostante che el re si fussi persuaso che ciò ch'egli aveva fatto, fussi stato
per cavarlo di Italia, e massime che nella recuperazione di Arezzo e delle altre cose
nostre, el papa ed e' Vitelli e gli Orsini avevano publicamente detto che come el re fussi
partito di Italia, ci farebbe uno altro assalto, el quale sarebbe di natura che non
sarebbono e' franzesi ogni volta a tempo a liberarci. Ed essendo adunche in questa
ambiguità, sopravenne uno accidente, el quale per qualche poco di tempo ci assicurò; el
quale perché si intenda meglio, bisogna ripetere la origine sua da' fondamenti. |
Benché gli Orsini, Vitelli, Baglioni e Pandolfo Petrucci fussino o soldati o aderenti
ed in una intelligenzia col papa e col duca Valentino, nondimeno la unione piú stretta e
quasi una fazione era tra Vitelli, Orsini Baglioni e Pandolfo, e' quali per molti rispetti
e per correre una medesima fortuna, erano di una volontà medesima. Costoro conoscendo la
ambizione del duca Valentino e lo appetito suo infinito del dominare, el quale prima si
estendeva ne' luoghi piú vicini ed in quegli dove aveva qualche titolo e colore di
ragione, in fatto n'avevano sospetto e ne temevano, massime considerando che Perugia e
Città di Castello apartenevano di ragione alla Chiesa, e cosí una parte degli stati
degli Orsini, e l'altra, essere in su' terreni di Roma, e cosí, spacciati loro, accadere
di Siena. E però doppo lo acquisto di Faenza avevono avuto caro che e' non gli fussi
riuscita la impresa di Bologna, e perché non pareva da loro essere cosí gagliardi contro
al papa ed alla Chiesa, massime avendo lo appoggio di Francia, arebbono desiderato
rimettere Piero de' Medici in Firenze, parendo che colle forze di quello stato si
sarebbono assicurati. |
Da altra banda el Valentino secretamente gli aveva in odio e desiderava la ruina loro,
parte perché intendendo questi umori n'aveva preso sospetto, parte per ambizione e
desiderio di insignorirsi di quegli stati; e però fu opinione di qualcuno, che se bene da
un canto gli piacessi che noi avessimo perduto, o perché sperassi acquistare qualcuna
delle terre nostre, o perché credessi che noi per difenderci fussimo forzati pigliare
accordo seco con qualche suo grande vantaggio, da altro gli dispiacessi, dubitando che o
Vitellozzo non acquistassi per sé qualcuna di quelle nostre terre, o e' Medici
ritornassino in Firenze. Ma di poi venendone el re in Italia, lui e prima per lettere e di
poi a bocca col re, per sua giustificazione sempre disse che lui non aveva saputo nulla di
questo insulto, ma che era stata opera di Vitellozzo ed Orsini sanza sua participazione:
di che nacque che comandando el re a Vitellozzo che venissi a Milano, lui impaurito non vi
volle mai andare, allegando per scusa lo essere ammalato, e però el re si sdegnò molto
forte contro a Vitellozzo e cominciollo a riputare suo capitale inimico. |
Arebbe avuto el re, per lo ordinario, desiderio che Vitellozzo e gli Orsini perissino,
perché riputava essere utile a conservazione del suo stato che la milizia di Italia si
spegnessi, e però, aggiuntoci questo odio particulare, vi era su molto infiammato; da
altro canto, se bene si era adirato col papa e Valentino, non se ne fidava molto, pure per
essersi inimicato come di sotto si dirà, nel reame cogli spagnuoli, pensava,
riconciliandosi seco, potersene valere in quella provincia; e cosí da altro canto che se
fussi suo inimico, gli potrebbe nuocere nelle cose del reame, e si farebbe forse una
unione fra 'l papa, re di Spagna e viniziani, che lo metterebbe in assai pericoli. Per
questo, sendone massime persuaso da monsignore di Roano, con chi el papa si manteneva
assai faccendolo legato di là da' monti, ed esaltando e' sua nipoti alle dignità
ecclesiastiche, si contrasse uno accordo ed una unione tra loro, lo effetto della quale fu
che el re permetteva al Valentino insignorirsi di Bologna, di Perugia e di Città di
Castello e lui gli prometteva nel reame tutti e' favori possibili. E però sendo tornato
Valentino in Romagna e preparandosi alla impresa di Bologna, sentito che ebbono questo
Vitellozzo e gli Orsini e quella fazione perché non avevano ancora notizia quello che si
fussi designato degli stati loro, considerando che se el Valentino pigliava Bologna,
arebbono tutti a stare a sua discrezione, si ristrinsono insieme e deliberorono fare forza
di opprimere la grandezza del Valentino, innanzi che crescessi piú. Furono in questa
intelligenzia messer Giovanni Bentivogli, pel pericolo ed interesse suo e perché era
parente nuovamente degli Orsini, Pandolfo Petrucci, Giampaolo Baglioni, gli Orsini,
Vitellozzo Liverotto da Fermo ed el duca Guido di Urbino al quale si obligorono rendergli
e conservargli lo stato suo. E cosí accendendosi uno principio di nuovo fuoco, la città
diminuí assai la paura del Valentino, e cosí di Vitellozzo e degli altri. |
Nel quale tempo, secondo la provisione fatta di agosto, si venne alla creazione del
gonfaloniere a vita, e ragunato el consiglio grande dove intervenne piú che duemila
persone e fatte le nominazione, nelle quale nominò ognuno che volle nominare, andorono a
partito e' nominati che furono piú di dugento; e lo effetto fu che nella prima
squittinazione vinsono solo tre, che furono messer Antonio Malegonnelle, Giovacchino
Guasconi e Piero Soderini, e riandati a partito la seconda volta, non vinse se non Piero
Soderini, el quale riandando solo la terza volta, vinse el partito; in modo che, benché
el publico non scoprissi chi era fatto, nondimeno necessariamente si manifestò, poi che
la seconda e terza volta andò lui solo e cosí rimase fatto gonfaloniere di giustizia a
vita Piero di messer Tommaso Soderini, che a pena aveva cinquant'anni non ancora finiti. |
Le cagione perché lui fu in tanto magistrato preposto a tutti gli altri furono molte:
era di casa buona e nondimeno non piena di molti uomini, né copiosa di molti parenti, era
ricco e sanza figliuoli, era riputato cittadino savio e valente, era tenuto amatore del
popolo e di questo consiglio, aveva buona lingua. Aggiugnevasi che si era dal 94 in qua
affaticato assai nelle cose della città, e dove gli altri cittadini reputati come lui
avevano fuggite le brighe e le commessione, lui solo l'aveva sempre accettate, e tante
volte esercitate quante era stato eletto, e però n'aveva acquistato opinione di essere
buono cittadino ed amatore delle cose publiche; ed inoltre la multitudine, veduto
adoperarlo piú che gli altri e non pensando che la cagione era perché e' simili a lui
fuggivano gli ufici, credeva procedessi perché e' fussi piú valente uomo che gli altri.
Aggiunsesi el favore datogli da Alamanno ed Iacopo Salviati, e' quali, avendo amici e
parenti assai e trovandosi in somma grazia e credito del popolo, né essendo per la età
ancora capaci di quello magistrato, messono ogni loro forza che fussi eletto Piero
Soderini, mossi non per avere parentado ed amicizia intrinseca con lui, ma perché
riputorono che la creazione sua dovessi essere a beneficio della città; e fu di tanta
efficacia questo aiuto, che in ogni modo gli accrebbe el quarto del favore. Fu eletto,
sendo assente ed ancora commessario a Arezzo insieme con Antonio Giacomini perché Luca
d'Antonio degli Albizzi era morto in quegli giorni, in luogo di chi fu poi eletto Alamanno
Salviati; ed avuta la nuova della elezione, ne venne in Casentino, pochi dí poi venne in
Firenze standosi sempre in casa insino al dí che e' fussi publicato. |
In questo tempo gli Orsini, Vitelli e gli altri aderenti, fatta una dieta alla Magione
in quello di... e quivi conchiusa e publicata la loro nuova lega ed intelligenzia, ne
vennono nello stato di Urbino, el quale recuperorono con poca fatica, e renderonlo al
signore vecchio. Sbigottí assai el papa e Valentino di questo assalto; e pure voltisi a'
rimedi avisorono subito in Francia, chiedendo aiuto, feciono quanti soldati a cavallo ed a
piede potevano, e richiesono istantissimamente la città di collegarsi insieme, per
potersi valere di quella in tanto bisogno. Cosí da altra parte e' collegati feciono per
mezzo di Pandolfo Petrucci molte richieste, offerendo qualche commodità circa a Pisa la
quale cosa per intendere meglio, fu mandato occultamente a Siena ser Antonio da Colle, ed
in effetto non avendo loro facultà di farlo la città si risolvé di stare neutrale
insino a tanto che e' si intendessi chiaramente la voluntà del re di Francia. E perché
e' si credeva che e' sarebbe inclinato a favorire Valentino, per ritenerselo intanto con
qualche dimostrazione, vi fu mandato da' dieci a lui che era in Imola, Niccolò
Machiavelli cancelliere de' dieci, ed a Roma fu mandato ser Alessandro Bracci, uomo
esercitato in queste cose, per dare pasto al papa insino a tanto che vi andassi messer
Giovan Vettorio Soderini che vi era deputato oratore. |
Nel medesimo tempo la città, vedendosi spogliata di arme, condusse per capitano
generale el marchese di Mantova, el quale, el dí che fu fatta la condotta, si trovava in
Milano che ne andava a dirittura in Francia; ma perché el marchese si era di nuovo
riconciliato col re, del quale era stato lungamente inimico, el re non si fidava
interamente di lui, e però gli dispiacque questa condotta, parendogli che el mettere in
mano al marchese le forze della città nostra gli potessi in qualche accidente nuocere
assai. Disse adunche lui e Roano a Luigi dalla Stufa, che vi era oratore solo, perché el
Gualterotto non aveva passati e' monti, che el desiderio loro era, questa condotta non
andassi innanzi, e nondimeno che e, si facessi con tale destrezza che el marchese non si
accorgessi della cagione; e però fu necessario introdurre molte cavillazioni per
impedirla, tanto che lo effetto fu che la condotta non ebbe luogo; e pure el marchese
cognobbe che e' non era stato per difetto nostro, ma per opera del re. |
Entrò di poi in calendi di novembre el nuovo gonfaloniere di giustizia, nel quale
furono due cose nuove e singulari: l'una, essere creato a vita, l'altra, essere creato
diciotto mesi poi che era stato una altra volta: conciosiaché secondo le legge ordinarie
della città bisognassi dall'una volta alla altra stare almeno tre anni. Successene di poi
una altra non meno nuova, che mentre che e' sedeva in magistrato, furono de' signori e
collegi alcuni de' sua consorti Soderini, conciosiaché innanzi a lui non solo fussi
proibito el trovarsi insieme de' tre maggiori due di una casa medesima, ma ancora quando
era de' signori uno di una casa, da poi che era uscito avevono e' sua consorti divieto uno
anno a potere essere de' signori, e sei mesi de' collegi. Entrò con grandissima grazia e
riputazione e con universale speranza della città che non solo a tempo suo le cose
avessino a essere prospere, ma ancora s'avessi per opera sue a riformare ed introdurre un
vivere sí buono e santo, che la città n'avessi lungamente a godere, la quale si trovava
in molte onde e pensieri. |
Erasi quanto al governo di drento fatto uno principio buono, di avere creato uno
gonfaloniere a vita; ma come a una nave non baste uno buono nocchiere se non sono bene
ordinati gli altri instrumenti che la conducono, cosí non bastava al buono essere della
città l'avere provisto di uno gonfaloniere a vita che facessi in questo corpo quasi lo
uficio di nocchiere, se non si ordinavano le altre parte che si richieggono a una
republica che voglia conservarsi libera e fuggire gli estremi della tirannide e della
licenzia. E come non può essere chiamato buono nocchiere in una nave quello che non
provede a introdurre gli instrumenti di che sopra è detto necessari, cosí in questa
città non poteva essere chiamato buono gonfaloniere a vita quello che non provedeva gli
altri ordini necessari e riparava agli inconvenienti detti di sopra. |
Quanto alle cose di fuora, la città si trovava due piaghe proprie: una le cose di
Pisa, le quali se non si posavano ed in forma che Pisa fussi mostra, non ci potevamo
posare noi; l'altra e' Medici, che benché paressino molto deboli e con pochi amici e
sanza parte nella città, nondimeno se bene da loro propri non pareva ci potessino
offendere e perturbare, pure per la potenzia avuta nella città e nel contado nostro,
erano uno instrumento col quale e' potentati inimici nostri ci potevano piú facilmente
bastonare. Aveva la città di poi qualche altro male piú accidentale e meno proprio: la
inimicizia con Vitellozzo, el quale era uomo sí inquieto e di tale riputazione co'
soldati ed appoggiato in modo da quella fazione Orsini, Pandolfo e Baglioni, che e'
bisognava fare conto che, non si reconciliando o non si spegnendo, avessi a tenere la
città in continui sospetti ed affanni; la potenzia ed ambizione del papa e duca
Valentino, che era da temere assai rispetto alle forze grandissime della Chiesa e la
vicinità degli stati di Romagna con noi; lo essere el Valentino uomo valente ed in sulle
arme, e tanto piú quanto per le cose di Pisa la città nostra era debole e conquassata;
questi erano e' mali che piú si vedevano e palpavano per ognuno. Aggiugnevasi lo stato
grande de' viniziani e' quali se bene allora non offendevano né cercavano di offendere la
città, pure s'aveva a considerare che erano sí grandi, che perdendo o per morte o per
altro caso el re di Francia el domino di Milano e del reame Italia tutta rimaneva in preda
ed a loro discrezione. E dato che questo male fussi sí grande che la città da sé non vi
potessi riparare, pure aveva a pensare di fare lo sforzo suo, e con lo incitare contro a
loro el re di Francia, e con tenere le mani in sulle cose di Romagna, se mai per morte del
papa o per altro accidente si alterassino. Eraci da stimare assai le cose di Francia,
colle quali la città pareva in buoni termini, e che el re e monsignore di Roano, in chi
era el pondo d'ogni cosa, ci fussi affezionato; pure s'aveva a presupporre che la
avarizia, la leggerezza loro ed el rispetto che hanno a se medesimi era tanto, che di loro
s'aveva a cavare piú briga, piú spesa sanza comparazione che utile. |
Trovavansi in questi termini le cose nostre e perché piú si mescolavano allora e'
signori collegati ed el Valentino che altra cosa di Italia, però gli animi ed e' pensieri
di tutti erano vòlti a quelle. El subito acquisto dello stato di Urbino, e la riputazione
che aveva massime Vitellozzo, avevano tanto sbigottito el Valentino, che si trovava in
Imola, ed e' sudditi sua, che è opinione che se subito fussino andati alla volta di
Romagna, arebbono fatto in quello stato qualche grande sdrucito, e forse riportatane una
assoluta ed intera vittoria ma lo indugio loro fu tanto, o perché e' fussi lungo lo
accozzare insieme le forze di tante persone, dove sempre nasce mille difficultà o perché
e' fussino tenuti in pratiche di accordo, che el Valentino ebbe tempo prima fortificare le
fortezze e terre sua, di poi soldare cavalli e fanterie in somma da potersi difendere e di
poi aspettare a bell'agio l'aiuto di Francia, el quale veniva in suo favore molto
gagliardo perché el re subito scrisse a monsignore di Ciamonte, che era a Milano, che
spignessi in Romagna tutte le sue gente, e fece intendere che non mancherebbe di tutti
quegli aiuti che potessi. Per la qual cosa e' viniziani, di chi si era dubitato, feciono
intendere al papa e Valentino, che erano parati servirlo di tutte quelle gente che avevano
ed e' fiorentini al tutto si confermorono o di fare accordo col papa o di starsi neutrali. |
Di che sbigottiti assai e' collegati, cominciorono a tenere pratiche di accordo; e
finalmente gli Orsini, Vitelli e quella fazione si convennono restituire Urbino al
Valentino, tornare a' soldi sua, e che delle cose di Bologna e di messer Giovanni si
facessi uno compromesso. El quale capitolo perché fu sanza saputa di messer Giovanni, lui
sdegnatosi fece da parte un altro accordo con Valentino, l'effetto del quale fu che el
Valentino non molestassi quello stato e fussine servito per tempo di piú anni di certa
somma di danari e di uomini d'arme e cosí el Valentino, benché si trovassi forte in
sulla campagna e di sua gente e de' franzesi che erano arrivati in Romagna, fu contento a
lasciare stare Bologna, o perché cosí fussi el parere del re di Francia, di che messer
Giovanni era in protezione, o perché volessi, come di poi mostrò lo effetto, essere piú
espedito a attendere a altro. |
Né molto poi, sendosi simulatamente riconciliato co' collegati, ne vennono colle loro
gente Vitellozzo, Paolo Orsini, Liverotto da Fermo ed el duca di Gravina, che era di casa
Orsina, a trovarlo a Sinigaglia, dove lui industriosamente aveva esercito piú potente di
loro e sanza loro saputa, perché aveva condotto un gran numero di lancie spezzate, e
cosí avendo condotti pochi cavalli per volta, non si era inteso né saputo quanto numero
avessi fatto. Pose adunche loro le mani adosso e fece subito strangolare miserabilmente,
con un modo però nuovo e crudele di morte, Vitellozzo e Liverotto, e pochi dí poi el
signore Paolo ed el duca di Gravina; ed in quello dí medesimo el papa fece sostenere in
palazzo el cardinale Orsino e messer Rinaldo Orsini arcivescovo di Firenze e messer Iacopo
da Santa Croce, gentiluomo romano e de' primi capi di parte Orsina, de' quali fece subito
morire el cardinale; gli altri dua, avendogli sostenuti qualche tempo, lasciò. |
Cosí finí el dí suo Vitellozzo, e quelle arme che erano preposte a tutte le arme
italiane, in che è da notare che messer Niccolò suo padre ebbe quattro figliuoli
legittimi, Giovanni, Camillo, Pagolo e Vitellozzo, e' quali tutti nella milizia feciono
tale profitto che furono ne' tempi loro riputati de' primi soldati di Italia, in modo che
si faceva giudicio che avessi per la virtú di questi quattro fratelli a essere una casa
di grandissima potenzia ed autorità. Ma come volle la sorte, questi principi sí
felicissimi ebbono fini piú infelici: Giovanni innanzi al 94, sendo soldato di
Innocenzio, fu nella Marca, nella guerra di Osimo morto da una artiglieria; Camillo sendo
nel reame a soldo del re Carlo, fu, nella espugnazione di uno castello, morto da uno sasso
gittato dalle mura, a Paolo fu tagliato el capo, Vitellozzo fu strangolato; ed in effetto
tutti e quattro, sendo ancora giovani, perirono di morte violenta. |
Di Liverotto s'ha a intendere che e' fu da Fermo, di nobile casa; ed essendo valente
soldato ed in riputazione per essere cognato di Vitellozzo, e favorito da parte Orsina,
venne in disegno di occupare lo stato di Fermo, e vedendo che bisognava la forza, ordinò
che uno dí determinato molti soldati sua confidati spicciolati e sotto nome di altre
faccende, fussino in Fermo; el quale dí, essendovi lui, convitò in casa sua messer
Giovanni Frangiani suo zio, uomo di grande autorità, con parecchi altri cittadini
principali di Fermo, e doppo el convito, avendogli con parecchi sua compagni crudelmente
amazzati, corse la terra in suo nome, essendo impauriti tutti e' cittadini, e non avendo
alcuno ardire di parlare. Ma come volle la giustizia divina, avendo fatto questo eccesso
l'anno 1501 el dí di san Stefano, fu nel sequente anno, el dí medesimo di san Stefano,
fatto nel sopra detto modo morire dal duca Valentino. |
Morti che furono crudelmente costoro, el duca si voltò collo esercito suo verso
Città di Castello, dove si trovava messer Iulio vescovo di Castello e fratello bastardo
di Vitellozzo, ed alcuni garzoni figliuoli di Giovanni, Camillo e di Pagolo, e' quali
intesa la venuta sua, essendo sanza forze e sanza speranze, si fuggirono; di che lui
acquistata quella terra, andò subito alla vòlta di Perugia, nella quale entrò sanza
resistenzia, perché Giampaolo, non avendo rimedio, se ne fuggí. Vòlto di poi verso
Siena, sotto nome di volerne cacciare Pandolfo suo inimico, in fatto per fare pruova se
potessi insignorirsene, poi che e' vedde e' sanesi ostinati a difendersi, per virtú del
quale rimanendo Siena come si era, Pandolfo s'ebbe a partire ed andossene a Pisa, e
nondimeno rimasono nel governo gli aderenti ed amici sua, in modo che si poteva dire lo
tenessino fuora mal volentieri, ma per fuggire la guerra del Valentino, accordandosi
ancora lui a questo partito. Andossene di poi in terra di Roma allo acquisto degli Orsini,
dove in brieve tempo occupò ogni cosa, eccetto alcune terre di Gian Giordano. Aveva in
questo mezzo la città per mezzo di messer Giovan Vettorio Soderini oratore nostro a Roma,
trattato accordo col pontefice; e per questa cagione essendo stato eletto oratore al duca
Valentino Piero Guicciardini ed avendo rifiutato, vi fu mandato Iacopo Salviati, a tempo
che ancora era a' confini nostri e non si era ritirato in quello di Roma. E finalmente lo
effetto fu che doppo molte pratiche, sendo quasi fermi ed appuntati e' capitoli, non se ne
fece conclusione alcuna, ora rimanendo dal papa che voleva condizioni disoneste, ora da
noi che volavamo intendere l'animo del re di Francia. |
|
XXIV |
RIVALITÀ TRA SPAGNA E FRANCIA IN ITALIA. |
ELEZIONE DI GlULIO (1503). |
1503. Seguitò lo anno 1503, nel quale si détte mutazione grandissima alle cose di
Italia. Sul principio di questo anno la città desiderosa di armarsi, e di qualche arme
franzese per piú riputazione, tolse a soldo per conforto del re e di Roano e per mezzo
degli oratori nostri che erano in Francia, monsignore de' Soderini ed Alessandro di
Francesco Nasi, uno capitano franzese chiamato Baglí di Cane, uomo valente e di buona
riputazione nel mestiere delle arme. Fu la condotta sua cento lancie franzese, delle quali
cinquanta ne pagava la città, cinquanta ne erano accommodate dal re; e fecesi, perché si
credette che per conto de' franzesi, el papa e Valentino avessino a avere piú rispetto a
offenderci; e cosí si temporeggiavano le cose di Italia, quando nel reame nacque uno
accidente di momento grandissimo. |
Era fra e' franzesi e spagnuoli nata differenzia nel regno per conto della dogana di
Puglia, la quale non si potendo acconciare colle parole, si venne alle arme, dove
trovandosi e' franzesi piú forti e superiori di numero, occuporono quasi tutta la
Calavria; ma poco di poi avendovi el re di Spagna mandato rinfrescamento di gente, e
trovandovisi per lui Consalvo Ferrando; uomo valentissimo, si cominciorono a levare via e'
vantaggi, e l'una parte e la altra essere piú del pari. In questo mezzo Filippo duca di
Borgogna figliuolo di Massimiano re de' romani e genero del re di Spagna, venuto
personalmente in Francia a aboccarsi col re, praticò e concluse accordo fra questi
principi, per virtú del quale avendosi a levare le offese, e l'una parte e l'altra a
posare le arme, e cosí avendo el re di Spagna a ratificare quello che era stato fatto dal
genero di suo mandato, faccendosi per parte di quello re molte cavillazioni; lo effetto fu
che Consalvi venne nel reame a giornata co' franzesi e gli ruppe vittoriosamente. E di poi
seguitando la vittoria, acquistò in pochi dí Napoli con tutto el regno, ed espugnò con
somma industria e laude quelle fortezze di Napoli che erano riputate inespugnabile; e
cosí ogni cosa venne in sue mano, eccetto Gaeta, nella quale rifuggirono una parte delle
gente franzese. |
Alterossi e risentissi mirabilmente el re di questa percossa e benché dalla parte di
Spagna si facessino molte scuse ed introducessinsi nuove pratiche di accordo, veduto
alfine che tutte erano parole, si risolvé a fare uno sforzo ed una impresa potentissima
per recuperare lo stato e l'onore, e vendicare quella ingiuria che gli era stata fatta
sotto la fede degli accordi. |
Era in questi tempi nata fra lui ed el papa indegnazione, la quale ebbe forse origine
intrinseca, perché el re cominciava a non se ne fidare ed a temere della potenzia sua; ma
le cagione che apparirono di fuora, furono che doppo la morte degli Orsini, el re scrisse
al papa e Valentino, che in nessuno modo occupassino lo stato di Gian Giordano Orsino che
era suo soldato, e benché loro, spacciato che ebbono lo stato degli altri Orsini, da
Pitigliano in fuora, si accampassino a certe castella di Gian Giordano, el re se ne
riscaldò tanto con lettere e con messi, e fecene tanta instanzia, che doppo molte querele
del papa e Valentino, lo effetto fu che nacque uno accordo tra loro, per virtú del quale
le terre che erano in quistione s'ebbono a dipositare in mano del re. |
Aggiunsesi di poi che el Valentino, el quale aveva a andare nel reame in aiuto de'
franzesi, differí tanto con varie cagioni la andata, che e' seguitò el disordine detto
di sopra, del quale el papa e lui si rallegrorono assai, giudicando che questa mutazione
fussi a suo proposito. Per la qual cosa el re insospettito che non si accordassino con
Ispagna, fece concetto che aparterebbe molto a sue sicurtà degli stati di Italia potersi
valere di Toscana, e però disegnò di fare una unione di Firenze, Siena e Bologna. Ed a
questo effetto avendone conferito colla città e fatto che la prestò favore a questa
opera, fece ritornare Pandolfo Petrucci al governo di Siena, la quale cosa fu facile
perché e' sanesi amici di Pandolfo, in mano de' quali era lo stato, come ebbono intesa la
voluntà del re ed el favore che arebbono dalla città, posto da canto la paura del papa e
Valentino, pacificamente e sanza alcuno tumulto lo rimessono in Siena. E lui prima
promesse caldamente al re ed alla città, che come fussi tornato restituirebbe
Montepulciano, di che non fece nulla, allegando massime non essere in potestà sua,
perché el popolo non lo consentirebbe mai, e però bisognare aspettare qualche occasione,
la quale come venisse, lui eseguirebbe volentieri; e cosí in questa cavillazione differí
tanto, che e' si mutarono le condizione de' tempi. |
In questo tempo la città, ristretto lo esercito suo, si volse a dare el guasto a'
pisani, e' quali, mandati oratori al papa e Valentino, ebbono da lui aiuto di qualche
somma di danari e di fanterie, nondimeno el guasto si dette quasi per tutto, sendo
commessario Antonio Giacomini che allora in quello mestiere avanzava di riputazione tutti
gli altri cittadini. Ma perché e' non mancava chi tuttavia dessi soccorso, per via di
mare, di vettovaglie a' pisani, non ne seguitava quegli effetti che si disegnavano;
perché se bene ne seguitava qualche carestia e difficultà di vivere, pure la ostinazione
loro era tanta, che e' s'aveva a presupporre che innanzi arebbono acconsentito ogni cosa
che ritornare sotto la divozione della città, e però che non la difficultà, non la
carestia, ma la necessità e la forza sola gli aveva a condurre. Riebbesi, credo, quello
anno, e fu el sequente, Vicopisano e Librafatta, e presesi quasi a caso la Verrucola, che
sempre in questa guerra si era tenuta pe' pisani; dove si disegnò e cominciò a murare
una belle fortezza. |
Creò in questo tempo el papa molti cardinali, fra' quali messer Francesco Soderini,
vescovo di Volterra e fratello del gonfaloniere, uomo che per la età che era di circa a
cinquant'anni, per essere stato lungo tempo in corte, per essere litterato e di gran
cervello nelle cose del mondo ed assai costumato, secondo lo uso degli altri preti sí gli
conveniva quello grado. Nondimeno non gliene dettono questi meriti, ma lo acquistò con
qualche favore di Francia e della città, in nome; in fatto, lo comperò buona somma di
danari sendo cosí allora la consuetudine del papa, ed el Soderino, uomo in molte cose
virtuoso, pure, dove lo menava la avarizia e la ambizione, immoderatissimo e sanza
rispetto, sanza fede e sanza conscienzia alcuna. |
Aveva in questo mezzo el re ordinato uno esercito potentissimo di piú che
millecinquecento lancie franzese e quindicimila fanti, buona parte svizzeri; ed aviatolo
in Italia, fattone capitano generale monsignore della Tramoia che era el piú riputato
uomo nelle arme che avessi Francia, cosí richiesto el marchese di Mantova vi andassi
personalmente, servito ancora di qualche numero di uomini d'arme da Ferrara, Bologna e
Siena, e da noi del Baglí di Can colle sue cento lancie. E perché queste gente avessino
meno riscontro, avendo esaminato che tre cose gli potevano tòrre la vittoria: uno potente
soccorso che el re di Spagna mandassi nel reame, se e' viniziani favorissino quello re, se
el papa e Valentino si accordassino con lui, aveva, per divertire el soccorso di Spagna,
fatto uno altro esercito non meno potente di quello che veniva in Italia, e mandatolo in
Linguadoch a rompere guerra agli spagnuoli, acciò che, constretti difendersi da quella
banda, non potessino cosí attendere alle cose di Napoli; aveva mandato a Vinegia per
intratenergli oratore messer Constantino Lascari greco, che già aveva letto greco in
Firenze e di poi l'anno 94, andatosene in Francia, era favorito da Roano; aveva fatto
strignere el papa dagli oratori sua che residevano a Roma, che manifestassi la sua
intenzione. Dal quale però non si traeva se non risposte dubie ed ambigue, perché el
papa e Valentino sagacissimamente considerando di avere acquistato con favore del re di
Francia lo stato de' Colonnesi, Imola, Furli, Faenza, Rimino, Pesero e tanti stati in
Romagna, el ducato di Urbino Camerino, Fermo e gran parte della Marca, Perugia, Piombino,
gli stati degli Orsini e Città di Castello, e che col favore suo non poteva piú
acquistare, perché cosí era la voluntà del re, e n'aveva fatto pruova prima nelle cose
nostre di poi in Bologna, nello stato di Gian Giordano ed in Siena, e considerando ancora
che se el re otteneva la impresa del reame, lui e tutta Italia rimaneva a sua discrezione,
ed e converso che, accordandosi cogli spagnuoli, loro gli farebbono partiti larghi e
favorirebbonlo a acquistare Siena, Bologna e dello stato nostro, si risolveva a non volere
seguitare piú la amicizia del re di Francia; da altra parte considerando quanto grande e
potente era questo esercito, e con quanti apparati veniva a questa impresa, e cosí
certificandosi piú ogni dí e' viniziani, se bene desideravano che el re di Spagna avessi
vittoria, pure si starebbono neutrali, o se pure favorissino el re di Spagna, sarebbono
favori piccoli ed occulti, gli pareva entrare in troppo gran pericolo. Pure gli dava animo
el vedere essere nel reame pel re di Spagna uno esercito assai potente, ed esserne
capitano Consalvi Ferrante, uomo di grandissima virtú e riputazione, avere a soldo e'
Colonnesi, aspettare di Spagna el quale di poi venne un grosso rinfrescamento, essere in
pratica di condurre o di già avere condotto Bartolomeo d'Alviano Orsino, el quale, sendo
riputato de' primi condottieri di Italia si era partito da' soldi de' viniziani, o per non
essere di accordo delle convenzione, o perché loro sotto questo colore ne volessino
accomodare sanza loro carico el re di Spagna; in modo che congiunto a queste forze da per
sé grande l'esercito suo e del Valentino, gli pareva essere gran momento alla vittoria,
in modo che, fatti questi discorsi, è opinione che in ultimo, vinto dalla ambizione che
gli era ogni dí cresciuta collo imperio, si sarebbe alienato da Francia e seguitate le
parte di Spagna; quando, fuora della espettazione di tutti, morí del mese di... quasi di
subito. |
La cagione della sua morte si disse variamente; nondimeno la piú parte si accordò
che e' fussi stato veleno, perché faccendo uno convito a uno giardino, dove disegnava
avelenare alcuni cardinali per vendere poi gli ufici e benefíci loro, sendovi lui ed el
Valentino giunti a buon'ora e innanzi vi arrivassino le vettovaglie, ed avendo per el
caldo grande dimandato da bere, non vi essendo altro vino, fu dato loro, da chi non sapeva
lo ordine, di quello dove era el veleno, el quale bevuto inavvertentemente fece questo
effetto. E che questa sia la verità ne fa fede che lui morí o la notte medesima o el dí
sequente, fanne fede che Valentino ed alcuni altri che vi si trovorono, caddono in mali
lunghi e pericolosi e con segni di veleno, de' quali però non morirono, perché, per
essere giovani, non fece sí subito lo effetto suo come nel papa che era vecchio e però
ebbono tempo a curarsi. |
Cosí morí papa Alessandro in somma gloria e felicità, circa la qualità del quale
s'ha a intendere che lui fu uomo valentissimo e di grande giudicio ed animo, come
mostrorono e' modi sua e processi, ma come el principio del salire al papato fu brutto e
vituperoso, avendo per danari comprato uno tanto grado, cosí furono e' sua governi non
alieni da uno fondamento sí disonesto. Furono in lui ed abundantemente tutti e' vizi del
corpo e dello animo, né si potette circa alla amministrazione della Chiesa pensare uno
ordine sí cattivo che per lui non si mettessi a effetto: fu lussuriosissimo nell'uno e
l'altro sesso, tenendo publicamente femine e garzoni, ma piú ancora nelle femine; e tanto
passò el modo che fu publica opinione che egli usassi con madonna Lucrezia sua figliuola,
alla quale portava uno tenerissimo e smisurato amore; fu avarissimo, non nel conservare el
guadagnato, ma nello accumulare di nuovo, e dove vedde uno modo di potere trarre danari,
non ebbe rispetto alcuno: vendevansi a tempo suo come allo incanto tutti e' benefici, le
dispense, e' perdoni, e' vescovadi, e' cardinalati e tutte le dignità di corte, alle
quali cose aveva deputati dua o tre sua confidati, uomini sagacissimi, che gli allogavano
a chi piú ne dava. |
Fece morire di veleno molti cardinali e prelati, ancora confidatissimi sua, quali
vedeva ricchi di benefíci ed intendeva avere numerato assai in casa, per usurpare la loro
ricchezza. La crudeltà fu grande, perché per suo ordine furono morti molti
violentemente; non minore la ingratitudine colla quale fu cagione rovinare gli Sforzeschi
e Colonnesi che l'avevano favorito al papato. Non era in lui nessuna religione, nessuna
osservanzia di fede: prometteva largamente ogni cosa, non osservava se non tanto quanto
gli fussi utile, nessuna cura della giustizia, perché a tempo suo era Roma come una
spelonca di ladroni e di assassini; fu infinita la ambizione, e la quale tanto cresceva
quanto acquistava e faceva stato; e nondimeno, non trovando e' peccati sua condegna
retribuzione nel mondo, fu insino allo ultimo dí felicissimo. |
Giovane e quasi fanciullo, avendo Calisto suo zio papa, fu creato da lui cardinale, e
poi vicecancelliere; nella quale degnità perseverò insino al papato con grande entrata,
riputazione e tranquillità. Fatto papa, fece Cesare, suo figliuolo bastardo e vescovo di
Pampalona, cardinale, contra tutti gli ordini e decreti della Chiesa che proibiscono che
uno bastardo non possi essere fatto cardinale eziandio con dispensa del papa, fatto
provare con falsi testimoni che gli era legittimo. Fattolo di poi secolare e privatolo del
cardinalato, e vòlto l'animo a fare stato, furono e' successi sua piú volte maggiori
ch'e' disegni e cominciando da Roma, disfatti gli Orsini, Colonnesi e Savelli, e quegli
baroni romani che solevano essere temuti dagli altri pontefici, fu piú assoluto signore
di Roma che mai fussi stato papa alcuno; acquistò con somma facilità le signorie di
Romagna, della Marca e del ducato, e fatto uno stato bellissimo e potentissimo, n'avevano
e' fiorentini paura grande, e' viniziani sospetto, el re di Francia lo stimava. Ridotto
insieme uno bello esercito, dimostrò quanto fussi grande la potenzia di uno pontefice,
quando ha uno valente capitano e di chi si possa fidare; venne a ultimo in termini, che
era tenuto la bilancia della guerra fra Francia e Spagna; fu insomma piú cattivo e piú
felice che mai per molti secoli fussi forse stato papa alcuno. |
Morto Alessandro, si feciono nuovi concetti al papato e nuovi disegni de' pricipi; ma
sopra tutto ci fece fondamento monsignore di Roana, el quale si dette a credere che
trovandosi in collegio piú cardinali franzesi e molti italiani dependenti dal suo re, ed
essendo in Italia uno potentissimo esercito franzese, avere a essere fatto papa, alla
quale cosa aveva un pezzo innanzi aspirato. E considerando quanta riputazione e seguito
soleva avere in collegio monsignore Ascanio, aveva molti mesi innanzi operato che el re a
questo proposito l'aveva cavato di prigione e ritenutolo in corte onoratamente e però,
sendo venute le nuove della morte di Alessandro, Ascanio, ristrettosi con lui e mostrando
sommo desiderio della elezione sua, gli persuase che aggiunti gli amici e credito suo a
quello favore che e' vi aveva per lo ordinario per conto del re, la via essere facile. In
modo che con questa speranza Roano ne venne in Italia e menò seco monsignore Ascanio per
trovarsi alla nuova elezione, avendolo fatto prima giurare che a ogni volontà e richiesta
del re se ne ritornerebbe in Francia. E benché e' venissino non molto presto, nondimeno
per aspettare e' cardinali assenti, si era a Roma date tante dilazioni che e' furono a
tempo a entrare in conclave; e ne' medesimi giorni che e' passorono per Firenze, era
passato molte gente franzese, ed el marchese di Mantova, e monsignore della Tramoia, a chi
fu fatto grande onore e mandatogli incontro insino a Parma Alamanno Salviati. |
Giunti e' cardinali a Roma ed entrati in conclave in numero circa a trentotto, si
venne allo scrutinio, nel quale doppo molte pratiche ed aggiramenti restorono vani e'
pensieri di monsignore di Roano perché oltre alla opposizione che gli feciono gli
spagnuoli che erano in numero circa undici, tutti quegli cardinali che erono sanza
rispetto la contradissono in modo che e' si trovò sanza altro favore che de' cardinali
franzesi e degli italiani sudditi del re, del Soderino e del Medici e pochi altri
dependenti del re, che non erano tanti che forse ascendessino al terzo. E però sendo
disperato di sé, fece instanzia fussi fatto el cardinale Santa Prassede, di nazione
genovese, el quale per essere stato amico di Alessandro, aveva ancora grazia con molti
cardinali spagnuoli, nondimeno opponendosi a questa intenzione, fra gli altri, monsignore
Ascanio ed el cardinale de' Medici, la fine fu che doppo uno dibattito di circa dodici
dí, fu creato papa Francesco Piccoluomini, cardinale di Siena, uomo vecchio e di buoni
costumi e qualità, el quale in memoria di papa Pio secondo, suo zio, assunse el nome di
Pio terzo. Fatta la elezione, e' franzesi che non erano ancora passati el Tevere, ne
andorono alla vòlta del reame; ma perché monsignore della Tramoia, o per essere ammalato
o per altra cagione, ritornò indrieto, la cura ed el pondo di tutto lo esercito rimase
nelle mani del marchese di Mantova. |
Doppo la morte di Alesandro, el duca Valentino, sendo amalato, stette molti dí colle
gente sue in Roma, e fu opinione volessi fare forza di creare un pontefice nuovo a suo
modo, ma di poi, o sendo un poco alleggerito dal male o fatto altro disegno, usci di Roma
colle gente per venirsene alla vòlta di Romagna, ma el male lo impedi tanto che e' fu
necessario si fermassi verso Civita Castellana. Erano intanto e' Vitelli ritornati in
Castello, Giampaolo in Perugia, el duca Guido da Montefeltro in Urbino, gli Orsini negli
stati loro; in Piombino entrò gente e commessari in nome della città nostra, e' quali
potendolo ritenere per noi, lo restituirono, di commessione publica, a quello signore.
Solo gli stati di Romagna stavano fermi ne' quali certo, se fussi stato sano, si sarebbe
conservato perché gli aveva messo a governo di quegli popoli, uomini che gli avevano
governati con tanta giustizia ed integrità, che era sommamente amato da loro,
aggiugnevasi che arebbono avuto favore da' fiorentini, e' quali dubitavano che e'
viniziani non si insignorissino di qualcuno di quegli stati. Ma non potendo per la
infermità venire in quella provincia, Pesero e Rimino richiamorono e' signori sua, Imola
e Furli si dettono al pontefice, benché la ròcca fussi un pezzo tenuta in nome di uno
castellano spagnuolo che vi era drento, che cercava darla con suo vantaggio. |
Restava Faenza nella quale tenevano pratiche e cogli uomini e col castellano e'
viniziani; tenevanvi pratiche e' fiorentini, e' quali cercavano per alcuni vi erano
rimasti de' Manfredi, non tanto per amore loro, quanto perché la non venissi in mano de'
viniziani ed a questo effetto avevano mandato commessario a Castracaro Giovan Batista
Ridolfi; ma finalmente era la cosa ridotta in termini, benché io per non essere stato in
quegli tempi a Firenze non abbia notizia del particulare, che con poca spesa e' fiorentini
facevano di quella città quello che volevano, e si conchiudeva pe' savi cittadini che si
facessi a ogni modo per levare a' viniziani la oportunità di quella città, della quale
si varrebbono assai per le altre cose di Romagna e per le cose nostre per essere in su'
confini nostri e presso alla città a meno di trenta miglia. Non parve al gonfaloniere, o
perché avessi rispetto alla Chiesa, o perché avessi, e sanza bisogno, paura di non
entrare in nuova guerra co' viniziani, in modo che non se ne faccendo conclusioni, e'
viniziani finalmente, comperata la ròcca dal castellano, la acquistorono per sé; e ne'
medesimi dí avendo messo paura a Pandolfo Malatesta signore di Rimino, uomo da poco e
leggiere, comperorono da lui Rimino, dandogli in ricompensa, oltre a certa somma di
danari, Cittadella, castello in quello di Padova, e condotta. |
Era in questi tempi vacata di nuovo la Chiesa, perché el nuovo papa, sendo vecchio e
male sano, circa a uno mese poi che fu eletto papa, morí; ed essendo nel crearlo, perché
Roano si era tolto giú, stata concorrenzia fra monsignore di San Piero in Vincula, e
Santa Prassede, fu a ultimo creato Santo Piero in Vincula, chiamato Giuliano, di nazione
savonese, e nipote di Sisto, da chi era stato fatto cardinale, e nominato Iulio secondo.
Risentissi mirabilmente di questa perdita di Faenza e di Rimino, ma invano, perché e'
viniziani non l'avevono preso per rendergliene; in modo che sendo sdegnati gli animi,
stettono piú di uno anno innanzi mandassino oratori a dargli la ubidienzia. |
Mandò la città a costui subito, a dare la ubidienzia, sei imbasciadori, che furono
messer Cosimo de' Pazzi vescovo aretino, messer Guglielmo Capponi protonotario e maestro
d'Altopascio, quale era riputato amico del papa, messer Antonio Malegonnelle, Francesco
Girolami. |
Tommaso di Paolantonio Soderini e Matteo Strozzi, nella elezione de' quali, avoto
rispetto che e' vi fussi qualche uomo di autorità si cercò che gli altri fussino uomini
ricchi e da potere andare bene in ordine, come richiedeva una tale legazione. Costoro,
data la obedienzia, renderono Citerna al papa, la quale, essendo terra de' Vitelli, era
venuta in mano di Valentino e poi, doppo la morte di Alessandro, datasi a' fiorentini, ma
perché la era di ragione ecclesiastica, el pontefice la rivolle, e la città, per non si
adirare seco in una cosa di non molta importanza, e perché e' si concitassi tanto piú
contro a' viniziani, facilmente lo acconsentí. |
Intanto e' Baglioni e gli Orsini erano iti alla volta di Valentino per amazzarlo, ma
lui non avendo altro rimedio, sendo ancora ammalato si era ritirato in Roma, dove avendo
operato co' cardinali Spagnuoli per San Piero in Vincola ed avuto promesse grandi da lui,
venne nelle sue mani; dove, tenuto sanza effetto alcuno come prigione molti mesi, si
fuggí a Napoli a Consalvi, dove sendo raccolto con buona cera, fu di poi imprigionato e
mandato prigione in Spagna; e quivi stato in prigione piú d'uno anno, si fuggí
occultamente ed andossene in Navarra da' sua parenti, dove fu preso in battaglia assaltato
e morto. |
In questo mezzo erano e' franzesi entrati nel reame, e perché el marchese di Mantova
amalato si era ritornato a Mantova, sotto el governo de' capi franzesi erano venuti in sul
fiume del Garigliano, dove per la parte di Consalvo si era fatta resistenzia che non
potessino passare. Quivi stettono molti dí, ne' quali non facendo profitto alcuno
cominciorono, secondo che è la natura loro quando truovono riscontro a disordinarsi, a
andarsene in qua ed in là per la quale cosa Consalvi uomo valentissimo, conosciuta la
occasione, gli assaltò e dette una rotta grandissima. Fu in questo conflitto lodata assai
la virtú degli italiani, massime de' Colonnesi e di Bartolomeo d'Albiano; de' franzesi
una parte ne fuggí a Gaeta, fra quali Piero de' Medici, fuggendo, annegò nel Garigliano;
e pochi dí poi e' franzesi che erano in Gaeta privati d'ogni speranza, patteggiata la
salute loro, dettono Gaeta a Consalvo, in forma che tutto quello regno venne nelle mani
del re di Spagna, e la riputazione di Consalvo, che era chiamato el gran capitano,
cominciò a essere sí grande, che tutta Italia non diceva altro e n'aveva paura e
riverenzia. |
Né fu migliore la fortuna del re di Francia di là da' monti, perché in Linguadoch a
Salsa fu interamente rotto dagli spagnuoli lo esercito suo; per le quali cose essendo
quello re assai sdegnato e conoscendo esserne state in gran parte cagione e' disordini
degli uomini sua, deliberò volersi per lo innanzi trovare personalmente a tutte le
imprese s'avessino a fare, le quali tutte insino a quello dí aveva amministrate per mano
de' sue capitani; e cosí sendo molto sbattuta e debole la potenzia del re ed inviliti
assai per Italia gli amici e dependenti sua, fu ferma opinione che se Consalvi si fussi
fatto innanzi colle sue gente, arebbe co' danari medesimi degli italiani rivolto per tutta
Italia lo stato de' franzesi. Ma lui, o non considerando questo partito o per qualche
altro rispetto e fine incognito, acquistato che ebbe tutto el reame, eccetti quegli porti
che erano in mano de' viniziani co' quali teneva buona amicizia, fermò le arme; in modo
che poco poi tra Francia e Spagna si contrasse una triegua e si cominciò a praticare
accordo, el quale, come di poi si dirà, ebbe effetto. |