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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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VITA

Di: Vittorio Alfieri

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EPOCA SECONDA - ADOLESCENZA

ABBRACCIA CIRCA OTTO ANNI DI SOGGIORNO NELL'ACCADEMIA

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Primo amoruccio, e primo viaggietto.

In una villeggiatura che io feci di circa un mese colla famiglia dei due fratelli miei principalissimi amici, sentii per la prima volta, sotto aspetto non dubbio la forza d'amore, per una loro cognata, moglie del fratello maggiore; brunetta, piena di brio, e di una protervia, che mi facea gran forza. I sintomi di quella passione in me, di cui ho dappoi provato così lungamente le vicende tutte, erano malinconia ostinata; un cercar sempre l'oggetto amato, e trovatolo appena, sfuggirlo; un non saper che le dire; un correre dei giorni interi per la città, per vederla passare in tale, o in tal via; un desiderar d'esser solo, e non poterci pure stare; insomma tutti quegli alti effetti sì bene dal nostro maestro d'amore descritti, e da così poche persone intesi, e da quasi nessuna provati in quella loro immensità. Questa prima mia fiamma, che non ebbe pur mai conclusione nessuna, mi rimase lungamente semi accesa nel petto: ed in tutti i mie' viaggi l'avea sempre tacitamente per norma; e dicevami; se tu acquisti tale, o tal pregio, tu potrai forse al ritorno piacer veramente, e dar corpo a queste ombre.

Nell'autunno dell'anno susseguente feci un viaggietto col mio curatore fino a Genova, e fu questa la mia prima uscita del paese. Il mare mi rapì veramente l'anima, e la posizione di quella magnifica città mi esaltò molto la fantasia; se avessi allora avuto ancora dei poeti per le mani, ci avrei fatto versi; ma da quasi due anni non apriva più un libro, se non qualche romanzi francesi, e qualche prosa di Voltaire, che mi dilettava singolarmente. Nell'andare, e venire di Genova ebbi il piacer sommo di rivedere la madre, e la città mia, da cui quasi da ott'anni mancava, e in quell'età ott'anni son secoli.

Tornato di Genova, mi pareva già di aver fatto gran cosa, e visto molto: ma quanto me ne teneva, senza però soverchiarli, cogli amici di fuori, altrettanto me ne rimpiccioliva coi compagni di dentro, che venivano di così lontani paesi, come Inglesi, Pollacchi, e Moscoviti. Questo mi dava una grande smania di viaggiare.

Due anni e più passai in tal guisa in quel primo appartamento, finché, essendomi io fin dall'entrarvi fatto inscrivere nei postulanti impiego nelle truppe, venuto l'Aprile del 1766 piacque al Re di fare una promozione universale, in cui fui compreso; e benché mi fossi mille volte dappoi pentito di tal domanda, non l'osando pure ritrattarla, mi convenne accettare, e fui porta insegna nel reggimento nazionale della provincia di Asti. Spiaceami questa promozione, perché questo mi levava dall'Accademia, dove mi era avvezzato molto bene, e si stava allora volentieri, per la vita dissipata che si facea, ed i compagni che avea dentro e fuori. Pure mi si convenne adattarmi, in quel Maggio, lasciai l'Accademia, e fatta una brevissima comparsa a quel reggimento, dove feci esattissimamente quello che c'era da fare, abborrendone pure la nullità, e la soverchia dipendenza, tornai a Torino, dove ebbi nella casa della sorella un appartamento a parte e mio, dove attendeva a spendere, e dar pranzi agli amici, ed ai compagni forestieri dell'Accademia. La voglia di correre, e l'impazienza di giovinezza mi spinsero a raggirare un pochino per ottenere di viaggiare; ma solo, vedea bene ch'era impossibile; onde mi diedi a collegarmi più strettamente con un Fiammingo ch'era in Accademia, sotto un aio inglese, vecchio di ottimo grido, e questi doveano partire nell'autunno per fare il lor viaggio d'Italia. Fu questa la mia prima sottigliezza usata con qualche seguito, per indurre il vecchio a domandare ai parenti, e curator mio di lasciarmi viaggiare con lui. La cosa riuscì; il Re, che nel mio paese d'ogni più piccola privata cosa s'ingerisce, accordò la licenza, e tutto fu in punto per partir nell'Ottobre di quell'anno. E qui do fine a questa seconda parte; che contenendo con più minutezza cose ancor più insipide forse che la prima, potrà benissimo esser saltata a piè pari, da chiunque non si cura di vedere nella pianta uomo quel primo sviluppo delle nostre facoltà intellettuali, e dei nostri vizi, e virtù.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:08/02/2001 17.51

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