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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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di: Giovanni Verga

Flower Bar

ATTO SECONDO
Salotto in casa della Landi. In fondo una galleria che mette dalla destra all'anticamera e dalla sinistra alla sala da ballo. A destra l'appartamento di Adele; a sinistra le altre sale. Lumi e fiori dappertutto.
SCENA I
Il cavalier Falconi dalla destra. La contessa Baglini dal fondo; Adele andandole incontro.
CONTESSA. Giungo tardi!
ADELE. Grazie, contessa, di esser venuta, ancorché tardi.
CONTESSA (avanzandosi e salutando in aria motteggiatrice il Falconi). Cavaliere!... Che fortuna! Ma io v'incontro sempre sui miei passi!
FALCONI (con galanteria). Non è colpa vostra, madama, giacché da otto giorni procurate sempre di rivolgere altrove i vostri passi.
CONTESSA. E perché dovrei essere in collera con voi? Avreste qualche colpa sulla coscienza? (ironica e con accento significativo). (ad Adele) Ma questa è una festa, non un semplice the danzante! Una festa incantevole! Quanti bei fiori! Che bijou di salotto! Madama, il suo è un soggiorno da fate!
ADELE (con grazia). In questo momento lo credo anch'io giacché le fate son venute a trovarmi.
FALCONI. Si può dire che vi si hanno dato rendez-vous.
CONTESSA (ironica). Badate, cavaliere! Le mie amiche dicono che l'adulazione mi ha guastata.
ADELE. In compenso però i suoi amici vorranno provarle il contrario.
CONTESSA. Dio mio, è naturale! Resta poi a vedere chi abbia ragione dei due.
FALCONI. Gli amici di sicuro, poiché sono di sesso diverso.
CONTESSA. Non è una buona ragione neanche quella. Gli amici non saranno invidiosi, ma potrebbero essere bugiardi (sorridendo ma con significazione al Falconi).
FALCONI. Non apro più bocca. Mi accorgo che non ne indovino una.
ADELE. Sarebbe incredula, contessa?
CONTESSA. Sì e no! Da otto giorni in qua, per esempio, credo meno agli omaggi che alle tacite e misteriose adorazioni... di cui avrei riso... È bizzarra! (con significazione) Ho visto un miracolo! L'amore più cieco, più ardente che nasconde gelosamente le minime sue manifestazioni. Il delirio della passione che si maschera d'indifferenza. Ho visto un giovane che corre dietro al suo sogno, al suo ideale da Milano a Firenze e da Firenze a Livorno senza cercare di farsi conoscere, senza chiederle un'occhiata o una parola... Un amore da pazzo, sì, perché noi non abbiamo altra parola per dinotare questa sublime aberrazione dell'anima che si pasce delle sue febbri, dei suoi sogni, e dei suoi palpiti, che passa le notti sotto le finestre della donna amata per vedere soltanto l'ombra di lei passare dietro le cortine... Ma da una settimana in qua sarei tentata di credere piuttosto all'amore di un uomo che mi amasse in tal istrana guisa che non a quello di un galante che mi assediasse con mille proteste prese al formulario della galanteria (al Falconi con sorriso sarcastico, mentre vuol sembrare leggero). Per carità non badate alla mia supposizione, ché non mi conosco tali meriti da permettermi una simile ambizione!
ADELE. È strano.
CONTESSA. Sì, è strano, come tutto ciò che è poesia. Ma qualche volta bisogna credere alla poesia se non altro perché non è prosa... Ci credo anch'io!... e non sono delle fortunate!
ADELE. Ah! la poesia! (con sorriso d'incredulità)
CONTESSA. Ah! i poeti!
ADELE (collo stesso ingenuo e spensierato sorriso). Credo d'indovinare...
CONTESSA. Voglio essere discreta!
ADELE. E l'ideale, il sogno, la dea incognita? (c.s.).
CONTESSA (con sardonica aria di discrezione). Ah! davvero, voglio essere discreta!
ADELE (c.s.). Per un sogno!
FALCONI. Una pazzia addirittura!
CONTESSA (c.s.). Eh! sogni di sonnamboli che possono avere le loro conseguenze.
ADELE (ridendo). Ah!
CONTESSA. Non crede ai sonnamboli, madama? (c.s.).
ADELE. Non bisogna mai creder nulla sulla parola: né i falsi entusiasmi, né le tacite e misteriose adorazioni.
CONTESSA (con doppio senso). Quello che dite potrebbe essere una crudeltà...
ADELE (vivamente e con dignità), Per chi?
CONTESSA (c.s.). Per nessuno e per tutti. Una bella signora fa senza saperlo la felicità o la disperazione di cento sconosciuti. con un sorriso o una parola che per essa non hanno alcuno indirizzo né alcun secondo fine.
ADELE (con grazia). Contessa, a sua volta ella adopera la più pericolosa delle adulazioni: quella che è più delicata.
CONTESSA (con grazia ed un sorriso significativo). Non ho che una scusa, madama: io non le ho fatto mai il torto di dubitare neppure un istante della sua penetrazione.
ADELE (seccamente e con dignità). Le assicuro che non ho nulla penetrato... come non mi pare che ci sia nulla da penetrare. (con grazia) Del resto ella non mi ha detto il nome dei sonnamboli... ed io non mi curo di conoscerlo.
CONTESSA (c.s.). Perdoni, signora... Ma capirà benissimo che in argomenti così delicati la discrezione è un dovere... (come per cambiare discorso, con altro tono, ma, con raddoppiamento di sarcasmo) Ma il signor Giliotti?... È un pezzo che non lo vedo! Verrà alla sua festa?
ADELE (con dignità). Perché mi fa questa domanda, contessa?
CONTESSA. Il signor Giliotti è poeta e di codesto sonnambolismo potrebbe dircene forse qualche cosa.
ADELE. Ah!... Il signor Giliotti ha dimenticato di lasciarmi la sua carta da visita... e non conoscendo il suo indirizzo non ho potuto avere la fortuna d'invitarlo (con dignità).
CONTESSA. Oooh!... (ironica).
ADELE. Perché tanta sorpresa?
CONTESSA. Il signor Giliotti è così perfetto gentiluomo!... e quest'oblio degli usi sociali... tanto straordinario!...
ADELE. Che vuole?... Una dimenticanza è tanto facile e scusabile... in questi tempi di bagni e di divertimenti... Tant'è bisogna rassegnarsi: il signor Giliotti non potrà spiegarle la sua teoria del sonnambolismo.
CONTESSA. Meglio così. Simili malattie del cuore vanno curate col sistema omeopatico.
FALCONI. Quando non si curano all'ospedale dei matti.
CONTESSA (con ironia). Sapete il proverbio, cavaliere: Tutti i matti non sono all'ospedale!... Ma, a proposito di matti, sciorinateci il vostro resoconto galante della giornata.
FALCONI. È poverissimo... all'infuori di un meschino duello, di una sfida corsa l'altra sera al Ricasoli. Il termometro dell'highe-life segna il bel tempo stabile, ch'è quanto dire la noia a 20 gradi Reamur.
ADELE. Ma mi pare che sia abbastanza!... e anche troppo! Un duello!... Vuol dire una riputazione compromessa, forse, e del sangue sparso!
FALCONI (con fatuità). Oh, nulla! Proprio nulla! Una bazzecola!
CONTESSA. Infatti si parla di uno scandalo, e quel che più mi rincresce, avvenuto nel mio giardino, il dì che ebbi il piacere di riunire alcuni amici in casa mia, a Montenero... Non so bene... Si diceva di un colloquio interrotto... di una sorpresa... di una signora orribilmente compromessa... Ma Dio! come si diventa maligni a questo mondo!... E tutto ciò con tale insistenza e tali particolari che avrei dovuto crederci anch'io... (guardando con significazione il Falconi) se non avessi avuto delle prove in contrario.
FALCONI. Oh, contessa, è naturalissimo. Il vostro giardino è il boschetto di Armida, e così, per dare al quadro il colore locale ci avranno ricamate su le ninfe... coi relativi tête-a-tête.
CONTESSA. Ecco, madama, il solo poeta di cui io debba contentarmi!
ADELE. E probabilmente la conseguenza di tutto questo sarà una persona disonorata ed un'altra uccisa!... Conveniamone, signori, che per un cicaleccio di buona società è una cattiva azione.
CONTESSA (con ironico doppio senso). Oh, madama! Quei signori quasi quasi ci direbbero che nella menzogna più assurda c'è sempre qualche cosa di vero, e che la calunnia perché si attacchi bisogna che trovi un appicco... Del resto la società dei bagni si annoia; non è vero, cavaliere? Il termometro dell'highe-life segna lo sbadiglio, e un cavaliere che si rispetti, che conosca appena appena il suo mestiere deve avere sulla punta delle dita la cronaca degli scandali. E la vostra, cavaliere?
FALCONI. Nemmeno il più meschino scandalo. Il termometro vuole avere ragione per forza.
CONTESSA (con ironia). Chissà! Mettetelo all'ombra di un viale coperto... o dietro i vetri di una serra... e forse avrà torto.
FALCONI. Potrebbe esser guasto e mentire.
CONTESSA. No, no: quel povero strumento non ha abbastanza spirito per dire una bugia: anzi spesso vien confermato dagli sforzi che si fanno per ismentirlo... Che so io... una lettera... delle scuse che nessuno si sognava di chiedere e che valgono la confessione di un tono... (il cavaliere fa un movimento). E allora io do ragione al termometro. Confessate mio caro, che è un utilissimo strumento, e se si potesse consultare sempre (con accento significativo ma senza esagerazione) chissà se non servirebbe a prevenire certe infermità ridicole e pericolose... (ridendo con leggerezza). E il medico non avrebbe bisogno di tastare il polso.
FALCONI (imbarazzato ma cercando di rimettersi). Io mi curo all'indiana, senza il medico.
CONTESSA (c.s.). In tutti i casi?
FALCONI. Sì, perché spesso non occorre che una cavata di sangue!
ADELE. Oh! eccoci allo spettro rosso di voi altri signori uomini!
CONTESSA (c.s.). Quando non è lo spettro bianco!
FALCONI (in aria spavalda che vuol fingersi modesta). Signore mie, protesto!... Ho il dovere di protestare... in questo momento specialmente... Io prendo troppo sul serio il duello per lasciar supporre... che si possa servirsene come di spauracchio... di fantasma...
ADELE. Ho detto spettro rosso come avrei potuto dire spettro bianco, e non mi disdico. È uno spettro ch'è ridicolo quand'è bianco, ma è brutale quando è rosso.
FALCONI. Domando mille perdoni, ma io trovo invece che il duello è la salsa della vita, il piccante delle buone avventure. Senza il duello non ci sarebbero più belle creanze. Tolgasi il duello e non rimarranno più che le legnate da paltronieri... Infine, francamente... io non sento la vita che allorquando la gioco sulla punta della spada.
CONTESSA (sorridendo con ironia). Anche quando sapete di aver cattivo giuoco?
FALCONI (con enfasi da gradasso). Non so se avrò cattivo giuoco; ma so che giocherò del mio meglio!
CONTESSA. Avrò è un tempo definito! C'è del serio adunque sotto questo cattivo scherzo?
ADELE. Signore, io avrei amato meglio ignorare una disgrazia che non posso impedire.
FALCONI (c.s.). Oh, non è nulla! Non ci pensi!... Proprio una bagatella!...
CONTESSA. Vi battete?
FALCONI (c.s.). Non l'ho detto.
CONTESSA. Avrei dovuto indovinarlo. Ecco che il termometro ha ragione!... All'ombra però.
SCENA II
Un domestico recando un biglietto di visita e detti.
DOMESTICO. Il signore che mi ha dato questo biglietto desidera sapere se madama potrebbe accordargli alcuni minuti.
FALCONI (piano alla contessa nel tempo che Adele legge il biglietto). Siete inesorabile! Avete ricevuto la mia lettera?
CONTESSA (ironica). La prova che il termometro non mentiva? Sì.
FALCONI (c.s.). Vorrete ricevermi? Vorrete permettermi che io mi giustifichi?
ADELE (al domestico). Ma certamente, che venga!... Non occorreva... (domestico via). È il Signor Avellini che impiega tutto questo cerimoniale... Io non capisco... L'avevo pur pregato di venire a prendere il the...
CONTESSA (al cavaliere con ironia). Scommettiamo che il signor Avellini saprà dirci il motivo del vostro duello?
SCENA III
Paolo Avellini dal fondo, e detti.
ADELE. Signor Avellini, ho molto a lagnarmi di lei. Ella si fa troppo desiderate dai suoi amici... e dippiù, quando si decide di venirli a trovare lo fa con tutto il cerimoniale di un ambasciatore (dandogli la mano).
PAOLO. Perdono, madama; ma vengo infatti come ambasciatore a chiederle pochi momenti di udienza... e temevo di abusare del suo tempo adesso che è reclamato dai suoi invitati.
ADELE. Gli invitati saranno indulgenti se la sua missione è urgente.
PAOLO. No, signora; può aspettare e aspetterà.
CONTESSA. Che nuove di quelle care Merelli?
PAOLO. Da qualche giorno non ho la fortuna di vedere le signore Merelli.
CONTESSA (sardonica al Falconi). Che mi dicevate dunque, cavaliere, che la Lucrezia fosse indisposta?...
FALCONI (sorpreso). Io, contessa?...
CONTESSA (c.s.). Avete cattiva memoria! Vi aiuterò...
FALCONI (imbarazzato e con vivacità). Ah, sì!... Adesso mi rammento benissimo... Infatti si diceva che madamigella... fosse indisposta.
CONTESSA (c.s.). In seguito di una sorpresa... di una paura avuta... e quel che più mi dispiace in casa mia, traversando la serra dei fiori... per aver messo il piede su di una innocentissima lucertola che prese per un serpente... Ma sarà cosa da nulla, spero... per lei... (stendendo la mano a Paolo con un sorriso ironico) e pei suoi amici.
PAOLO (freddamente). Grazie, contessa.
ADELE. Ma lei, signor Avellini, è di una negligenza veramente colpevole... anche per un avvocato.
CONTESSA (ironica). Gli avvocati sono filosofi.
PAOLO (c.s.). Infatti, contessa, io sono avvocato.
CONTESSA (c.s.). Ed anche filosofo!
PAOLO (c.s.). E anche filosofo.
ADELE. Però l'aspetta una sì bella fortuna che la sua filosofia verrà messa a ben dura prova.
CONTESSA (c.s.) Eh! Chissà che il signor Avellini non sia già agguerrito contro tutte le prove possibili?... Ma a proposito di guerra guerreggiata, voi che dovete saperlo, diteci qualche cosa del duello del cavaliere, il quale, per un caso miracoloso, è discreto.
FALCONI. Ma contessa!... Vi prego...
PAOLO. So soltanto che il cavaliere dovrà battersi.
ADELE. Con chi?
PAOLO. È un segreto del cavaliere.
CONTESSA (con doppio senso ed aria sardonica). Notate, caro Avellini, che ho creduto superfluo farvi quest'ultima domanda!
SCENA IV
Il domestico annunziando; indi la signora Merelli, Lucrezia e il comm. Gaudenti.
DOMESTICO. Le signore Merelli. Il signor Commendatore Gaudenti.
ADELE (andando ad incontrarli). Oh! che fortuna!
CONTESSA (piano a Paolo nel tempo che il Falconi si è scostato alquanto per andare incontro ai nuovi arrivati). Mio caro Avellini, vi do un consiglio d'amica sincera: imparate la scherma da oggi a domani, se potete, altrimenti darete buon gioco su tutti i punti a quel cattivo cavaliere.
SIG.RA MERELLI (ad Adele). Il suo invito è stato così gentile, che non abbiamo voluto mancare, sebbene il commendatore veramente abbia dovuto sacrificarmi mille importantissime occupazioni.
GAUDENTI. Proprio! Proprio!... Ma per avere il piacere!
ADELE. Grazie a lei e al commendatore! Non speravo più di vederle! Madamigella, ella ha torto di tenere in pena i suoi amici! Come va?
LUCREZIA. Ma benissimo, come sempre.
CONTESSA (al cavalier Falconi, fingendosi sorpresa). Che dicevate adunque, cavaliere?
FALCONI (imbarazzatissimo). Ma io... M'avevano pur detto... Capiranno bene... Siccome è un pezzo che non ho l'onore di vedere le signore Merelli... Proprio un secolo!...
ADELE. Sarà stato un falso allarme, una cattiva notizia che non ha fatto altro male che quello di renderci più vivo il piacere di stringere la mano a madamigella (con grazia e stringendole le mani).
SIG.RA MERELLI. Cavaliere, dove va ella a pescare le indisposizioni di mia figlia?
GAUDENTI. Se madamigella è sempre fresca come una rosa...
CONTESSA. Commendatore, non s'è più visto! E le sue lezioni di cavallerizza?...
GAUDENTI. Le dirò, bella dama... La signora Merelli... le mie importantissime occupazioni... Anche stasera veramente non avrei potuto... Ma la signora lo volle...
SIG.RA MERELLI. Il commendatore diceva di no ed io dicevo di sì.
CONTESSA. Ed è stato sì!
SIG.RA MERELLI. Sfido io!
ADELE. Il commendatore sarà stato felice di confessarsi dalla parte del torto.
GAUDENTI. Eh, eh... bella signora... Ma propriamente io non dicevo...
SIG.RA MERELLI (Piano ad Adele e alla contessa). Veramente quel povero commendatore non ci aveva colpa... Ma se sapeste, mie care, quante cure! quante gravissime occupazioni!... Gran brutta cosa, da un certo lato, essere persone di merito! Quel povero commendatore!... Non lo lasciano tranquillo un momento, che è un momento!... E anche adesso... c'è per aria qualche cosa di grosso per lui... qualche cosa come un titolo di barone e una poltrona in Senato!...
CONTESSA. Oh!
SIG.RA MERELLI. Sì, proprio! La signora che sposerà sarà una baronessa!... Non dico altro... Mi raccomando, veh! Signor Avellini!... È un secolo che non si vede!...
PAOLO. Ho avuto torto, madama, e ne domando perdono.
SIG.RA MERELLI. Oh! non a me!...
LUCREZIA. Oh! i magnifici mazzi! Come si chiama questo bel fiore, cavaliere?
CONTESSA (frapponendosi al Falconi che vuole avvicinarsi da solo a Lucrezia). Cavaliere mio, vi risparmio un fiasco. È un'azalea, madamigella. Il cavaliere in fatto di fiori conosce soltanto quelli della sua fioraia. Non andate in collera per questo, caro Falconi, io vi rendo giustizia per tutte quelle conoscenze dello sport che vi hanno meritato la riputazione di perfetto cavaliere... E a proposito di sport diteci chi fu il vincitore alle ultime corse.
FALCONI. Sempre quel diavolo di Bern. L'altro giorno al Club si scommetteva che egli ferra i suoi cavalli con dei biglietti da mille lire.
ADELE. È ferrarli un po' forte!
CONTESSA. E che ne dicevano i suoi amici del Club?
FALCONI. Che quando si posseggono dei cavalli ferrati in oro non si ha il diritto di farli correre con quelli ferrati... come semplici mortali.
CONTESSA. L'osservazione è spiritosa.
FALCONI. Quanto siete buona, contessa!
CONTESSA. Modestia a parte, cavaliere. (sottovoce, vedendo ch'egli tenta accostarsi a Lucrezia) Ma guardate quella povera bambina!... Son sicura che ha qualche cosa a dirvi... della farfalla che avete cercato insieme.
FALCONI (supplichevole e sottovoce). Siete spietata! Ma se vi giuro...
CONTESSA (forte). Che giova, caro mio! Il signor Avellini è scettico come... un avvocato. Non vi crederebbe.
SIG.RA MERELLI. Che si dice del signor Avellini?
CONTESSA (a Paolo). Amico mio, il cavaliere mi assicura che la causa di quel duello di cui dovete saperne qualche cosa sia una calunnia.
PAOLO. È verissimo!
CONTESSA. Oh!... Ecco una credulità... prodigiosa!
GAUDENTI. Ah! Ah! So anch'io di che si tratta. Poiché le storielle galanti anch'io... Qualche cosa come un appuntamento... un colloquio interrotto sul più bello... Ah! Ah!
SIG.RA MERELLI (dandogli sulla voce). Ma commendatore! Noi non vi domandiamo le vostre storielle da giovinotti! (piano) Che discorsi son questi, davanti alla mia bambina! Ma avete perduto la testa!
ADELE. Ci siamo occupati anche troppo di quella stupida ciarla. Ma di là devono esserci venti ballerini che attendono ansiosamente il regalo che vado a far loro. (accennando a Lucrezia) Commendatore, in quella sala c'è un tavolino di scacchi. Le procurerò un partner degno di starle a fronte: la contessa Gigotti.
SIG.RA MERELLI (afferrando il commendatore e prendendone il braccio). Il commendatore mi deve una rivincita... È diggià impegnato.
GAUDENTI. È verissimo... Domando scusa... Sono impegnato.
SIG.RA MERELLI (conducendolo via). Sareste stato capace di accettate, signor Ganimede! (vanno via).
LUCREZIA (imbarazzata, cercando di far segno al Falconi). ... Il mio carnet!... Non l'ho più!... Che il commendatore l'abbia lasciato lì, per caso? (fingendo di cercare vicino al cappello che il commendatore ha lasciato sul tavolo presso l'uscio in fondo).
CONTESSA (frapponendosi fra lei e il Falconi). Madamigella, giacché non lo trova, vuol permettermi di offrirle il mio?
LUCREZIA (con dispetto mal dissimulato). Grazie! (via con Adele dalla galleria che mette alla sala da ballo).
SCENA V
La contessa Baglini, il cavalier Falconi e Paolo alquanto in disparte presso il tavolo dei giornali.
CONTESSA (vedendo che il Falconi, preso il cappello che il commendatore aveva lasciato sul tavolo, cerca di andarsene). Ah! ah! ah! Dove andate? Così presto! Tutte quelle dame vi terranno il broncio per una settimana, e per vendicarsene... (osservando in aria ironica il cappello del commendatore che il Falconi ha fra le mani) metteranno in caricatura il vostro cappello di una forma assai singolare per un fashionable vostro pari.
FALCONI (piano e supplichevole). Ebbene!... Giacché non volete ascoltarmi... Giacché non volete permettermi che mi giustifichi... Partirò, sì... Vi leverò l'incomodo... Ma accordatemi cinque soli minuti... forse anche per l'ultima volta...
CONTESSA. Voi sapete che ricevo tutti i giovedì. Venite giovedì.
FALCONI. Servitore umilissimo, contessa mia (per partire).
CONTESSA. Volete andarvene ad ogni costo?... Decisamente bisogna che io vi accusi alla padrona di casa.... (sorridendo ironica), o ricorra al Commendatore Gaudenti per farmi spiegare l'ostinazione che mettete a voler scambiare il suo cappello col vostro... e sì che ci corre!... Ma via! Lasciate quel povero tubo del Commendatore. (Falconi mal dissimulando l'interna stizza va a deporre sul tavolino il cappello). Povero cavaliere!... In parola d'onore che mi fate proprio pena in questo momento. Dovete trovarvi come tra l'incudine e il martello... Mi fate l'effetto di quelle maschere che ridono d'un occhio mentre piangono dell'altro...
FALCONI (stizzito e a mezza voce). Contessa, io rido di tutt'e due gli occhi!... e se cercate qualcheduno che debba piangere volgetevi dall'altra parte. (via dalla sinistra).
SCENA VI
La contessa Baglini e Paolo Avellini.
CONTESSA (si volge verso di Paolo, lo guarda comicamente, indi scoppia a ridere). In verità, no! Non mi avete l'aria di un uomo che pianga.
PAOLO (freddamente). Madama, voi avete detto che io sono filosofo, ed i filosofi non piangono mai.
CONTESSA. Per orgoglio.
PAOLO (c.s.). No, ma perché la filosofia insegna anzitutto che certe disgrazie vanno sopportate con rassegnazione.
CONTESSA. Sapete, signore, che io non saprei giudicare se siete... troppo filosofo... o molto screanzato.
PAOLO (con ironica galanteria). Contessa, voi siete troppo bella, e soprattutto troppo buona, perché io possa alludere a voi.
CONTESSA (ironica). Grazie!... Però devo confessare che i vostri principi sono comodissimi. Peccato che qualche volta essi non reggano alla più piccola prova... che so io... ad uno stormire di fronde... all'eco di un viale... all'illusione ottica prodotta dai vetri di una serra... Allora si lasciano bravamente da parte i principi e si mette mano alla spada.
PAOLO (c.s.). La mia dorme nel fodero.
CONTESSA (sorpresa). Non vi battete?
PAOLO. No.
CONTESSA. Sul serio?
PAOLO. Seriissimamente.
CONTESSA (in aria sarcastica). Ma l'eco?
PAOLO. Poteva sbagliarsi.
CONTESSA (c.s.). Scettico! Non credete nemmeno agli echi!
PAOLO. Ci credo come alle false testimonianze.
CONTESSA (con comica serietà). Mio caro Paolo permettetemi che io vi faccia i miei complimenti! Non c'è che dire. La vostra fede ha del miracoloso, giacché nulla la scuote... neanche le false testimonianze. È quella stessa fede che fece i santi... e che oggi fa i mariti. Bisogna inchinarsi dinanzi al miracolo, ed io m'inchino per la prima. Eccovi un documento, una prova scritta, come dite voi altri avvocati, (mostrandogli una lettera) che giustificherà pienamente la vostra fede e smentirà le false testimonianze. È un prezioso autografo del cavalier Falconi. Ve lo leggerò. (legge).
«Contessa, per grazia, ascoltatemi! Siete in errore, mi hanno calunniato dicendovi che io sia stato sorpreso nel vostro giardino in colloquio amoroso colla signorina Merelli; e voi avete creduto che amando voi si possa far la corte ad altra donna! Ah! voi non mi amate come io vi amo! Permettetemi che io venga a provarvelo ai vostri piedi, giustificandomi». (a Paolo) Vedete che avete fatto bene a non svegliare la vostra spada!
PAOLO (freddamente). Siate tranquilla. Dorme sempre.
CONTESSA (dopo averlo guardato un istante comicamente ma con ironia, gli stende la mano). Decisamente mio caro Avellini, fate bene ad ammogliarvi. Voi renderete felice vostra moglie!
PAOLO (freddamente ma con dignità). Lo spero almeno; e la prova ne sia che comincio dal mettere sotto la salvaguardia del mio onore una fanciulla tanto ingenua da ingannarsi sul valore dei suoi sentimenti, tanto pura da non comprendere che le promesse e i giuramenti dell'uomo che giurando d'amarla le consiglia di sposare un altr'uomo erano un mortale insulto per lei. Io ho fiducia nel dovere, contessa; il matrimonio ci salverà entrambi: me dal prostituire la mia dignità correndo dietro una chimera... (inchinandosi con ironica galanteria), una seducentissima chimera!... lei dalla più pericolosa tentazione ch'è quella che sembra venire dal cuore.
CONTESSA (c.s.) Ma bravo! bravo di cuore! Caro Avellini, voglio aiutarvi ad ogni costo; voglio rendervi un servigio. Spero di arrivare a convincervi che io sono la migliore vostra amica... Questa lettera certamente ha sbagliato indirizzo, ma m'incarico io del ricapito. Mi promettete di ballare con me la seconda contradanza se vi rendo questo servigio?
PAOLO (con ironica galanteria). Voi mi domandate come un compenso ciò che è una vera fortuna per me.
CONTESSA. Vi farò un prezioso dono in contraccambio... e non avrò altro merito che quello di farvelo trovare quando l'avete già sotto la mano... Mio Dio! come siete stupidi, voi altri filosofi! Non ci siamo che noi teste vuote capaci di sorprendere un intrigo in un segno impercettibile fatto colla coda dell'occhio... nel domandare come si chiami un fiore a chi ne deve sapere quanto di astronomia... o nell'andare a cercare un carnet dove si sa bene che non c'è... (ridendo) o nell'insistenza di un cavaliere qualunque a voler andar via ostinandosi a scambiare il suo cappello con quello di un commendatore qualunque... (rendendo il cappello di Gaudenti). V'immaginereste mai, signor avvocato, che quel venerabile cilindro del commendatore sia in flagrante delitto di contrabbando verso le RR. Poste?... Quel povero Commendatore ne sarebbe scandolezzato assai... eppure a sua insaputa, il suo Ufficio Postale deve funzionare con più regolarità di quello del governo... e scommetterei che il corriere d'oggi deve recare dispacci importantissimi... a giudicare da certe occhiate eloquenti... da certe insistenze... Il cavalier Falconi aveva una premura maledetta di affacciarsi alla Posta, ma io non glie ne ho dato il tempo... ed eccovi qui... (traendo un bigliettino dalla fodera del cappello in aria di trionfo). Ah! Non m'ingannavo! Tocca a voi entrare nei vostri diritti di marito. Eccovi.
PAOLO. Contessa, io non vorrei commettere un'indiscrezione neanche se li avessi cotesti diritti.
CONTESSA. Sarebbe provvidenziale l'ostinata cecità di certuni!... Ebbene leggerò io. (legge)
«Ingrato! Ho tanto sofferto e voi non mi avete scritto il più piccolo rigo per tranquillizzarmi! Sono sulle spine! Che si dice di noi? Si sa la scena del giardino? Bisogna che io vi parli. Verrò apposta al the della signora Landi. Procurate d'incontrarmi da sola dopo la prima contradanza che ballerò». (a Paolo dandogli il biglietto). A voi! Tenetelo per le grandi occasioni.
PAOLO (con calma). Infatti voi mi rendete un gran servigio procurandomi un colloquio che desideravo avere con madamigella Lucrezia.
CONTESSA (sempre sardonicamente). Davvero? In tal caso vi spiano ancora dippiù la via. Lasciate fare. La vostra delicatezza non avrà a soffrire. (mette la lettera che ricevette dal cavaliere nel cappello del commendatore ove trovò quella di Lucrezia pel Falconi). Fatevi trovar qui dopo la prima contradanza... e non dimenticate di mandarmi il primo biglietto di partecipazione... Ma soprattutto non abbandonate neanche per un minuto il campo di battaglia. (vedendo il cavatier Falconi) Vedete che gli avvoltoi già sentono l'odor della preda.
SCENA VII
Il cavalier Falconi dalla sinistra, indi Adele dalla sala da ballo, e detti.
CONTESSA (al Falconi). Caro cavaliere, scommetto che cercate ancora il vostro cappello per andarvene! Non voglio che vi partiate così (prendendone il braccio e vedendo entrare Landi). Madama, le denuncio un disertore!
FALCONI (imbarazzato). Ma, signore mie...
ADELE. Davvero, cavaliere? Io intercedo per le mie invitate
FALCONI. Madama... troppo gentile!...
ADELE. E anche lei, contessa... Non balla?
CONTESSA. Ho accordato un giro per le sale al cavaliere... a condizione che s'impegni a vincere Berri alle prossime corse. (via col Falconi dalla sinistra).
SCENA VIII
Adele e Paolo.
ADELE (con grazia). Signore, la sua missione s'impazienta forse aspettando, e non vorrei fare attendere più oltre un così gentile ambasciatore. Ascolto.
PAOLO. La mia missione è così delicata... che se non avessi la coscienza di compiere un dovere... se non contassi su tutta la sua bontà...
ADELE. Oh, mio Dio! È una vera missione diplomatica adunque?
PAOLO. Una missione d'amico.
ADELE. Ah! Meglio così! L'accetto con tutto il cuore! (stringendogli la mano).
PAOLO. Poco fa si parlava di un duello.
ADELE. Sì, a quanto pare causato da uno scandalo...
PAOLO. Peggio ancora! Una calunnia!
ADELE. Ah! Bisogna smentirla, se si può!
PAOLO. Ohimè, signora!... Mi condanni, se vuole, ma io non posso smentirla in modo assoluto senza rigettarne gli effetti su di una persona... di cui l'onore deve stare al di sopra del mio...
ADELE. Ma signore... Io non saprei indovinare...
PAOLO. Ella infatti non potrebbe immaginare tanta bassezza! Ecco perché quello che è uno scandalo per tutti resta ancora un mistero per lei... ed ecco perché ciò che mi resta a dirle è il più difficile... Ma lo dirò! È un dovere d'onestà,
ADELE. Mio Dio!
PAOLO. Lo scandalo che si dice avvenuto nel giardino della contessa Baglini, il dì che fummo invitati tutti noi, ricade su di una persona... che è innocente... Ma la sua stessa innocenza le fa avere le apparenze del torto perché non la mette in guardia contro le maligne insinuazioni di una folla di maldicenti e d'invidiose che travisano i suoi più semplici atti di cortesia per farne degli indizi di colpa... Quella persona... quella donna... è bella... è il sospiro di tutti i galanti... perciò un tristo, un avventuriero di buone fortune approfittando del mistero di cui si circonda quel romanzetto sbozzato all'ombra di una serra, si è servito del nome di quella persona per farsene credere egli l'eroe.
ADELE (vivamente e come colpita). Bisogna che mi dica tutto, signore!... tutto!
PAOLO. Son venuto per questo, madama.
ADELE (c.s.). Si parla di me?... Voglio saperlo!... Oh Dio! Dio mio!
PAOLO. Dirle tutto è stato mio dovere d'amico, d'uomo onesto. S'ella continuasse ad ignorare di essere lo scopo di tanta calunniosa maldicenza questa si servirebbe delle apparenze che possono sembrare più insignificanti per darsi tutto l'aspetto della verità... Ella non avrebbe immaginato al certo che c'è un uomo così abbietto da approfittare delle gentili maniere con cui è ricevuto in casa sua per accreditare le sue menzogne di trionfi immaginari.
ADELE. È un'infamia!... Un'orribile infamia!
PAOLO. Tanto più orribile che può fare un male immenso.
ADELE. E c'è chi crede a quest'infamia?
PAOLO. Ier sera, al Caffè Ricasoli il cavalier Falconi raccontava a chi voleva e a chi non voleva udirlo, con tutte quelle misteriose e trasparenti reticenze che sono la bava del veleno, una spiritosa storiella, di cui, naturalmente, si faceva l'eroe. Tutti conoscono il cavaliere per uno sfacciato millantatore, ma la storiella era piccante, e raccontata con un certo garbo... Si rideva... Il cavaliere inoltre citava degli indizii di un'amicizia confidente... quasi intima... si offriva di dare delle prove... Un giovanotto, un cuore onesto, che si trovava lì presso, gli diede una di quelle mentite che si lavano col sangue e una sfida ebbe luogo.
ADELE. Dio! Dio mio!... Anche il duello!... Non ci manca nulla perché lo scandalo sia completo!... E per me! (rimane un istante col viso fra le mani, poscia levando il capo in aria risoluta) Chi fu costui?
PAOLO. Madama...
ADELE (vivamente e con dignità). Signore, io non ho dato il diritto al primo venuto di usurparsi la mia riconoscenza neanche per difendermi da una calunnia!
PAOLO. Non è un usurpatore, poiché non si farà mai conoscere.
ADELE. Ma non capisce che se questo duello avrà luogo esso ferirà prima di tutto la mia riputazione? Che queste due spade lacereranno il mio onore?... Dica a quest'uomo che non ne voglio della sua difesa, della sua cavalleria... del suo eroismo da romanzo che si serve del nome di una povera donna per piedistallo!...
PAOLO (tristamente). Madama, egli darà il suo sangue senza pretender nulla di tutto questo.
ADELE (con amarissima ironia). Ah! il suo sangue!
PAOLO. Egli non ha toccato mai un fioretto, e il cavaliere è valente spadaccino.
ADELE (dopo aver esitato un istante). Chi è costui? Voglio saperlo!
PAOLO. Signora...
ADELE (improvvisamente, come colpita da un'idea). Ah!... il signor Giliotti! (come abbattuta, pausa). Oh! la mia testa!... la mia povera testa!... (dopo un'altra pausa e con vivacità estrema) Questo duello non lo voglio!
PAOLO. Signora...
ADELE. Oh, signor Avellini!... ella è un cuore onesto... Ella ha della stima per me... Non è vero?
PAOLO. Dippiù ancora: ho dell'amicizia!
ADELE. Ebbene! Mi aiuti! Che posso fare io sola?... Sono una povera donna senza difesa... tutti si credono in diritto di oltraggiarmi colla maldicenza... perché mi dicono bella... perché ho calcato le tavole del palcoscenico... Ho il peccato dell'arte!... Mi aiuti! Che bisogna fare?
PAOLO. Coraggio! Se gli onesti non avessero il conforto che la menzogna ha corta vita... e in questo caso è così facile la giustificazione!...
ADELE (vivamente e con dignità). Che!... scendere a delle giustificazioni!... Io!...
PAOLO. No. Basterà semplicemente mettere alla porta il Falconi. Chi ieri dubitava ancora della falsità delle sue millanterie così oggi dovrà esserne convinto.
ADELE. Ma che potrò fare per disarmare la malignità che sogghignerà della cavalleria di... di colui che prese le mie difese?... Anche pochi momenti or sono, in questo istesso luogo, io ho sentito sbattermi sul viso, però senza comprenderle, le più oltraggiose allusioni ad un amore romanzesco che io avrei ispirato... romanzesco tanto che dava occasione ad un'adulazione ironica, pungente come uno spillo... Le mie amiche... e ne ho molto di queste, rideranno dietro il ventaglio, parlando dell'eroico difensore che passa le notti sotto le mie finestre prima di andare a battersi... Oh! questo mi è stato detto signore! Mi è stato detto in faccia, qui, in questo istesso luogo!... Quelle allusioni, quei sarcasmi, quegli epigrammi erano a me diretti... e naturalmente si pensava che la devozione di quell'uomo... non dev'essere senza compensi...
PAOLO. Ahimè, signora! Nulla potrebbe fare per disarmare la malignità di coteste amiche che son gelose della sua bellezza, che le invidiano il suo romanzo. Ella ha un gran torto! Son ferite nella loro vanità, sono umiliate nella loro civetteria... Si vendicano!
ADELE. Ma è un'infamia!
PAOLO. Esse risponderebbero invece che è anche un'infamia quella di offuscarle colla bellezza e di involar loro, anche senza volerlo, gli omaggi di adoratori su cui avevano esse gettato gli occhi... Di coteste amiche tanto scandolezzate ne conosco una che sarebbe felicissima di compromettersi in modo orribile per quel matto poeta che per le sue stravaganze è diventato un oggetto di curiosità...
ADELE. La contessa!... colei!...
PAOLO. E cento altre.
ADELE. Gelosa!... Gelosa di me!... di me che non conosco colui... e non me ne curo...
PAOLO. Tanto meglio! La Contessa che se n'è curata tanto non ha potuto avere la soddisfazione di vedersi ringraziare delle sue sollecitudini!
ADELE (dopo aver meditato un istante). Questo duello non si farà! No!... Voglio vedere quest'uomo!!...
PAOLO. Perché? Sarebbe inutile.
ADELE. No, signore, non sarà inutile! È necessario che io lo veda, che gli parli!... Quest'uomo che ha un cuore così nobile... comprenderà... che bisogna risparmiarmi un'altra calunnia... e forse un rimorso...
PAOLO. Non verrà.
ADELE. Perché?
PAOLO. Non saprei dirlo... Bisogna indovinarlo quell'uomo... È così eccentrico, ma nello stesso tempo tanto orgoglioso... e quando saprà...
ADELE. Non gli dica nulla... Non gli dica che so tutto... Prenda un pretesto qualunque... Gli dica quel che vuole... Ma che venga!... che venga subito!
PAOLO. Signora...
ADELE (con vivacità). Ma non capisce che questo duello è un'infamia, un delitto, una cosa orribile!... che io devo fare tutto il possibile per impedirlo!... Che quell'uomo l'uccidera!...
PAOLO Ebbene, signora, verrà.
ADELE. Ed ora bisogna che io parli a questo cavaliere... Mio Dio... ma non adesso!... Ho la testa in fiamme! (via dalla destra; Paolo l'accompagna sino all'uscio).
SCENA IX
Paolo; indi Lucrezia, dalla sala da ballo.
LUCREZIA (entra in punta di piedi per vedere se la sua lettera sia ancora nel cappello del commendatore, prendendola). Ah! è ancora qui! (Accorgendosi di Paolo vuole andarsene).
PAOLO (salutando). Madamigella!... vi aspettavo.
LUCREZIA (imbarazzata). Me... signore?
PAOLO. Sì, sapevo che avreste dovuto trovarvi qui dopo la prima contradanza.
LUCREZIA (turbata). Chi ve l'ha detto?
PAOLO (mostrandole la lettera che la contessa gli fece trovare nascosta nel cappello). Il vostro biglietto. Permettetemi di considerano come se fosse stato diretto a me, poiché desidero avere cinque minuti di colloquio con voi.
LUCREZIA Ah! (consultando con un rapido sguardo la lettera che si nasconde nel pugno). Ma come?...
PAOLO. Voi cercavate del cavalier Falconi... Io vengo diritto al fatto... Perdonatemi se son costretto ad intavolare così bruscamente un colloquio spinoso; ma ho l'abitudine della franchezza, e spero che, almeno stavolta, gioverà a qualche cosa. Non ho il diritto di farvi dei rimproveri; entrambi abbiamo dei torti da perdonarci... e delle rappresaglie a prendere da chi ci tradì... Ecco perché vi stendo la mano e vi dico: Volete aiutarmi a vendicarci entrambi?... Non vi sgomentate. La nostra vendetta non farà del male a nessuno. Noi ci vendicheremo rendendoci felici. La contessa mi direbbe marito filosofo: voi forse mi chiamerete vostro amico. Voi amate il cavalier Falconi, cioè credete di amarlo, e non volete sposarmi per questo: lo so. Anch'io credevo amare una di quelle donne leggiere che hanno bisogno degli omaggi di tutti. Ho veduto che nel cuore di codeste donne c'è troppa vanità per esserci posto ad un affetto sincero. Il cavaliere non vi ama, egli v'inganna e vi tradisce vilmente. Uniamo le nostre mani e vendichiamoci così.
LUCREZIA. Signore!...
PAOLO. Se non potessi provarvi quello che dico forse passerei ai vostri occhi per un geloso che tenta di supplantare con illeciti mezzi il suo rivale. Invece eccomi semplicemente un amico che vi dice: Facciamo causa comune e prendiamo la nostra rivincita del tradimento di cui siamo state vittime collo stimarci scambievolmente. Io non vi dirò come abbia potuto arrivare a conoscere questa prova, ma il modo in cui l'ho avuta vi farà indovinare la mano di una gelosa rivale. Lucrezia, non vi siete mai domandata quale amore si fosse quello dell'uomo che pur giurandovi di adorarvi vi esorta ad unire il vostro destino a quello di un altro?... Se non l'avete indovinato, meglio per la vostra innocenza! In tal caso quella lettera (indicando la lettera che Lucrezia tiene in mano) vi proverà quale amore sia quello del cavalier Falconi. Non esitate, Lucrezia, leggetela, giacché quella lettera non è la vostra... La vostra eccola qui.
LUCREZIA (quasi senza pensarci, ma con vivacità apre la lettera che ha trovato nel cappello, e che è quella del Falconi alla contessa, vi getta gli occhi e la scorre rapidamente). Ah!... il vile!
PAOLO. Queste viltà, nel gergo del bon ton, si chiamano tradimenti galanti.
LUCREZIA (dopo essere rimasta alcuni istanti in silenzio e col viso fra le mani). Signore... voi siete un uomo onesto... e un nobile cuore... Vi giuro che ho avuto sempre la più profonda stima pel vostro carattere... ma dopo questa prova della vostra delicatezza... della vostra generosità... io ho della gratitudine... della più sincera amicizia per voi... Sì, io sarò vostra amica... ma null'altro... Dopo quello ch'è accaduto io non potrei alzare gli occhi su di voi... senza arrossire... come arrossisco in questo momento. Ritirate la vostra parola, signore... Io porterò la pena della mia leggerezza e della mia irriflessione...
PAOLO. Non ritirerò la mia parola, Lucrezia, poiché la nobiltà del vostro cuore mi risponde di esso.
LUCREZIA. Ma se accettassi la vostra mano... dopo quella lettera... io sarei l'ultima delle donne!
PAOLO (sorridendo). No. Sarete semplicemente quello che sono state moltissime ottime madri di famiglia alla vigilia del loro matrimonio: l'ultima delle ragazze sentimentali e la prima delle buone mogli.
LUCREZIA (commossa). Oh! Paolo... Come non ho veduto prima d'ora qual nobile cuore sia il vostro?...
PAOLO. No, no, madamigella. Io ho forse agito per egoismo. Vi ho dato la mia parola per avere una rivincita qualsiasi da una donna che si faceva giuoco di me... onde non servire più oltre di trastullo alla vanità di una di quelle civette alla moda che amano il lusso degli adoratori come quello dei cavalli. Entrambi siamo partiti da un brutto movente... chissà se a mezza strada la stima reciproca non ci faccia incontrare quell'amicizia sincera e completa ch'è più durevole e forse più simpatica dell'amore istesso? Se credete che un giorno potrò arrivare ad ispirarvi una tale amicizia... allora... lacerate la vostra lettera (dandole la lettera di lei scoperta dalla contessa). Io l'ho dimenticata.
LUCREZIA (gli si accosta esitante, col capo chino e arrossendo gliela restituisce). No... serbatela... affinché io possa provarvi... colla devozione di tutta la mia vita... ch'essa non fu altro che un brutto sogno.
SCENA X
La contessa Baglini al braccio del cavalier Falconi, dalla sinistra.
CONTESSA (con doppio senso ironico). Caro signor Avellini, mi pare che sia tempo di reclamare il vostro ballo. (al Falconi) Cavaliere! Che lo scherzo di cui parlano i vostri amici vi riguardi un pochino?!... No, davvero! Non vi lascerò scappare così facilmente! Miei cari, aiutatemi a trattenere il cavaliere che vuole andarsene... Scommetto che ha paura del vostro scherzo!
LUCREZIA (con ironia). Sarebbe vero, cavaliere? Ma invece quello che vi resti di meglio a fare per sostenere la vostra riputazione di uomo di spirito è di riderne pel primo.
FALCONI (imbarazzato). Signore mie!...
LUCREZIA (c.s.). Perdonateci, cavaliere. Io non vi nominerò i colpevoli, ma intercederò per essi. Voi altri signori del Club avete messo alla moda le scommesse... e noi fummo tentati di scommettere... Una pazzia! Una fanciullaggine!... (con grazia). Guardateci, e scoprirete il reo! La riputazione del vostro spirito sembrava così incontestabile che ci fu chi ebbe il capriccio di metterlo in dubbio, e siccome il vostro lato vulnerabile è la vanità... (veramente voi non ci avete colpa, poiché le vostre numerose conquiste hanno giustificato la vostra vanità) così vi si attaccò da quel lato. (piano e con doppio senso ironico accennando alla contessa) Chissà se qualcuno dei colpevoli non si sia prestato allo scherzo per mettere alla prova la vostra costanza? (dandogli la lettera di lui alla contessa, trovata nel cappello invece della sua). Dimenticate lo scherzo e procurate per l'avvenire di non smarrire più i vostri autografi! In quanto a noi... (con grazia, prendendo la mano di Avellini), vi promettiamo di non ridere dell'avventura che fra noi due... accanto al fuoco...
FALCONI (con collera). Io invece vorrei trovare qualcheduno che ridesse onde renderlo responsabile di questo cattivo scherzo!
PAOLO (con ironica calma). Caro cavaliere, se cerca un gerente responsabile di questo scherzo procuri anzitutto di non farlo ridere... poiché uomo che ride è uomo disarmato.
FALCONI (minaccioso). Signore!
SCENA XI
Adele e detti; indi la signora Merelli e il comm. Gaudenti.
ADELE. Che c'è? Un altro duello! Ma, cavaliere, ella diventerà il Don Chisciotte dei bagni! Signori, voi conoscete l'avversione che ho per gli spettri rossi o bianchi... (con grazia), i voi siete troppo galanti per far paura ad una donna!
SIG.RA MERELLI. Mia cara Lucrezia, il Commendatore casca dal sonno e vuole andarsene ad ogni costo. (ad Adele) Mi rincresce, madama, di dovere abbandonare così presto la sua bella festa.
ADELE. Le sarò sempre grata di esserci venuta!
GAUDENTI. Oh! Non è propriamente che io abbia sonno... Ma alcuni lavori urgentissimi... Non son padrone del mio tempo!...
SIG.RA MERELLI. È verissimo! Sa bene... quella nomina di senatore che ci minaccia!... Tanti lavori... tanti fastidi... tante seccature!
ADELE. Le son proprio tenuta del sagrificio che me ne ha fatto... Ma si rammenti sarò più gelosa delle sue occupazioni (con grazia).
GAUDENTI. Madama!... Mi confonde!... Proprio!...
SIG.RA MERELLI. Eh, chissà!... Non potrei prometterglielo... veramente... Se ci fermeremo ancora qui... Ma non si può dire quello che avverrà da qui ad una settimana... Il commendatore dovrà forse andare a Firenze... a trovare dei Ministri... dei Senatori... che so io?... (piano alla contessa e ad Adele) E adesso che ho quasi collocata la mia bambina... Ci saranno altre novità forse... Si partirà in due coppie... per un viaggio di luna di miele (prendendo il braccio del commendatore).
LUCREZIA (vedendo che il cavaliere imbarazzatissimo per non sapere che fare è per svignarsela col cappello in mano). Che fate, cavaliere? (ironica) Rimanete, ve ne prego. Non sono egoista, e non vorrei mettere il lutto nella festa!... Non siate in collera con me. Avete avuto torto... (sottovoce e con grazia prendendo il braccio di Avellini). Ma io vi dovrò forse la mia felicità.
(Escono dal fondo la Sig.ra Merelli al braccio del commendatore e Lucrezia con Paolo).
SCENA XII
Adele, la contessa Baglini e il cavalier Falconi.
CONTESSA (sarcasticamente). Decisamente, povero cavaliere, alla vostra aria sembra che quello scherzo sia stato molto pungente!
FALCONI (cercando dissimulare il suo dispetto sotto un'aria di galanteria). Spine di rosa! Puntura lieve!
CONTESSA. Sarà stato qualche spillo invece che vi avrà punto.
ADELE (ironica). Punture galanti alle quali un uomo del bel mondo dev'essere abituato!
FALCONI. Eh!... pur troppo!
CONTESSA. No, no. Questi signori sono così vani! Pretendono saper giocare colle rose senza pungersi le dita... e quando hanno le mani in sangue si mettono i guanti per nascondercelo.
ADELE. Si tolga i guanti, cavaliere...
CONTESSA. Lasciateli, mio caro. (ad Adele) Egli sarebbe capace d'inventarci che cadde su di un mucchio di vetri.
ADELE (c.s.). Oibò!... il cavaliere mentire!
FALCONI. Ma, signore mie, mi pare che se ciò fosse dovrei anzi andare orgoglioso delle mie mani sanguinanti.
ADELE (c.s.). Come un veterano delle sue ferite?
FALCONI. Ma certamente! Chi è ferito sulla breccia non è forse un buon soldato?
ADELE (c.s.). Però io conosco di quei soldati che si feriscono da sé per farsi mettere in sicuro all'ambulanza.
CONTESSA. Allora credo che non ci resta di meglio a fare che preparare la vostra barella. (ridendo).
FALCONI. Se mi promettete di essere la mia suora di carità mi rassegno all'ospedale. (con galanteria).
CONTESSA (con comica esitazione e sorridendo ironica)... Preferisco vedervi in buona salute.
FALCONI. Non vi date la pena di esser meco gentile, contessa!
CONTESSA. È la moda Jockey-Club.
FALCONI. Eppure sarei tentato di non credere alla vostra inimicizia. (con galanteria).
CONTESSA. Siete modesto!
FALCONI (come sopra). Volete dire che son fortunato... (piano), se è vero che avete prestato i vostri spilli alla signorina Merelli per mettermi alla prova!
CONTESSA (ironica). Non avete sospettato che anche questa supposizione potrebbe essere uno scherzo di Lucrezia?
FALCONI. Amo credere il contrario.
CONTESSA (c.s.). Alla buon'ora! Questo si chiama afferrare la fortuna pei capelli!... (piano e con grazia) Del resto è possibile che presto o tardi abbiate ragione!...
FALCONI (vivamente). Ah! quando, contessa?... quando?
CONTESSA (sorridendo con leggerezza). Quando avrete vinto sul turf quel diavolo di Berri. È una scommessa; sapete che noi donne siamo capricciose! Procurate di vincere! (stringendo la mano alla Landi). Addio, madama. Io conto su di lei tutti i miei giovedì perché mi aiuti ad incatenare questi signori attorno alle nostre poltrone. (vedendo che il cavaliere prende il cappello per accompagnarla) Cavaliere, rimanete. Vi lascio in troppo bella compagnia per avere il coraggio di farvi eclissare con me... Non vi date la pena di raggiungermi che quando avrete a darmi la buona notizia che avete vinto la vostra scommessa... Non vi perdonerò se non a condizione che diventiate il leone del giorno, e facciate omaggio del vostro chic. Addio (parte).
SCENA XIII
Adele e il cavalier Falconi.
ADELE. Ella non ha fortuna stasera, cavaliere!
FALCONI (imbarazzato ancora). Lo crede, madama?
ADELE. È la seconda volta che prende il suo cappello e vien pregato di deporlo col più grazioso sorriso; ma di tali sorrisi noi donne c'intendiamo. E per non farglielo tenere più in mano le dico: si metta a sedere e discorriamo.
FALCONI (con galanteria). Ecco invece che son ben fortunato!... È un vero favore!... oh, grazie!
ADELE. Grazie! Ma perché? Non siamo amici?... amici sinceri?...
FALCONI. Me ne vanto.
ADELE. E non è naturale che io stia più volentieri cogli amici?... Tanto peggio per gli altri!
FALCONI (inchinandosi). E tanto meglio per me!
ADELE (c.s.). Grazie! Del resto non ho la pretenzione di fare dei gelosi. Tutti i miei amici hanno gli uguali diritti alla mia stima, né credo che il mondo possa trovarci nulla da criticare.
FALCONI. Oh, certo!
ADELE. Ecco perché io ho la fiducia più completa, più cieca nell'amicizia: perché non so immaginare che la viltà più vile possa arrivare a calunniare il più nobile dei sentimenti, che l'abiettezza più turpe possa arrivare a commettere il più odioso attentato sotto la maschera dell'amicizia... Non ho ragione di pensare così?
FALCONI. Certamente... Anch'io sono del suo parere... perfettissimamente...
ADELE (stendendogli la mano e con amaro sarcasmo). Oh! lo sapevo: ecco perché siamo amici! Ma parliamo un poco delle sue buone fortune.
FALCONI (con finta modestia). Oh, madama!...
ADELE. Fra amici!... E poi tutti lo sanno... Ella ha una terribile riputazione!
FALCONI. Si esagera!... Si esagera di molto!...
ADELE (con amichevole confidenza sorridendo). Quella povera contessa!...
FALCONI. Lasciamola lì, di grazia.
ADELE (c.s.). Ingrato!
FALCONI. La contessa è bella, elegante, seducentissima...
ADELE. Ma...
FALCONI. Ma come ce ne sono tante altre.
ADELE. Ah! cerca una fenice!
FALCONI. L'avrei anche trovata! (con galanteria).
ADELE. Ah!... L'avverto, cavaliere, che cogli amici sono terribilmente indiscreta.
FALCONI. Madama...
ADELE. Voglio conoscere madama Fenice!
FALCONI. Non oso...
ADELE. Non osare!... lei... un Lovelace!... Sarebbe una galanteria? Temerebbe che io mi offendessi del paragone... Ah! cavaliere, ella fa torto al mio spirito!
FALCONI. No!... Non avrei nulla a temere!...
ADELE. Che!... Sarei una fenice anch'io?...
FALCONI (con entusiasmo). Un miracolo addirittura!
ADELE. Ah! ah! Povero cavaliere! Ma io sono una fenice della specie più comune!... come ce ne sono mille!
FALCONI (c.s.). Ah! s'ella si potesse mirare coi miei occhi! Se potesse giudicarsi col mio cuore!
ADELE (sardonica). M'innamorerei di me stessa?
FALCONI (c.s.). Al delirio!... alla follia!... come me!
ADELE. Oh! oh! Troppa roba per un capriccio!
FALCONI. Capriccio!
ADELE. Chiamiamolo un puntiglio. Vuol sapere cos'è questo capriccio? Glielo dirò! Si rammenta di quand'era bambino?
FALCONI. Che vuol dir ciò, signora?...
ADELE. Si rammenta quale balocco preferisse fra i cento giocattoli?
FALCONI. Madama...
ADELE. La luna.
FALCONI. Signora, io non posso tollerare...
ADELE. Sissignore, la luna! Non perché le sembrasse più bella o perché lo divertisse meglio dei suoi giocattoli, ma perché capiva per istinto che le sue piccole braccia che stendeva strillando per possederla sarebbero state sempre troppo corte per acchiapparla. È sorprendente come sia precoce nell'uomo la brama dell'impossibile! Adesso che non è più bambino, che è un perfetto cavaliere e si balocca con altri giocattoli più fragili ma più divertenti ella si è ricordato degli istinti da bambino, e si è convinto di essere innamorato di me perché ha sentito dire che il mio cuore è di accesso difficile assai... per poter dire: sono arrivato dove gli altri non hanno mai potuto pervenire! È un puntiglio di galante che vale un capriccio di bimbo.
FALCONI. No, signora! Tutto questo è ingiusto!... Non è vero.
ADELE (con scherno velato). Mi amate?
FALCONI. Ma io vi adoro!
ADELE. Per me?... o per gli altri?
FALCONI. Quali altri?
ADELE. I vostri amici, voi lo sapete, quelli cui dovete far credere alla vostra riputazione di seduttore! Me ne rincresce per voi, ma se mi aveste consultato io vi avrei dato un buon consiglio per far credere alla vostra buona fortuna e farvi invidiare da tutto il Jockey-Club.
FALCONI. Ma io non capisco...
ADELE (colla stessa amara ironia). Come siete poveri di spirito voi altri seduttori! Ci vuol molto ad inventare una storiella piccante, una di quelle calunniette, appoggiate a plausibili indizi... una di quelle astuzie di buon genere... che il volgo degli sciocchi chiama birbonate e vigliaccherie addirittura!... (riprendendosi). Mio Dio! è questione di ottica. Tutto sta a non esagerare, a non prendere sul serio i paroloni, le frasi rotonde! Infamie! Calunnie! Vigliaccherie!... Ma si può essere più stupidi! per un semplice tratto di spirito, uno di quegli aneddoti galanti profumati di tutte le grazie dello scandalo che le dame ascoltano turandosi le orecchie, e che piacciono a tutti!... Una persona perbene! un uomo elegante, che si batte per un sorriso equivoco e che si lava le mani con acqua di Colonia!... Eh! via!
FALCONI. Ma che bisogna fare per farvi credere al mio amore... ad un amore senza limiti!...
ADELE (sardonica). Come me lo dite!...
FALCONI. Ma io ve lo dico ai vostri piedi! (inginocchiandosi). Ve lo dico supplichevole! Ve lo dico con tutta l'anima mia!
ADELE (ridendo). Alzatevi, signore; ché i vostri pantaloni prendono cattive pieghe!
FALCONI (rizzandosi indispettito). Ah!
ADELE. Voi siete ridicolo posando da innamorato, Posate da seduttore invece e la vostra vanità sarà soddisfatta!... a prezzo del vostro onore potrebbero dire gli sciocchi... No, perché voi rubate quello degli altri!
FALCONI. Signora!...
ADELE (con dignità). Non ho finito. Per qualche cosa di simile dovete battervi col signor Giliotti. Questo duello non voglio che abbia luogo!
FALCONI (con rabbia concentrata sorridendo). Mi rincresce, signora, ma colui pagherà per tutti.
ADELE (con forza). Questo duello non avverrà! Vi perdono a questa sola condizione!
FALCONI. Grazie del perdono!
ADELE (c.s.). Questo duello non avverrà. Io vi renderò ridicolo, vi renderò spregevole, vi renderò infame!... dirò tutto! tutto quello che avete fatto, tutto quello che siete!
FALCONI. Dica pure! Io farò! (per partire).
ADELE (con impeto). Ebbene!... Adesso non mi resterà alcun rimorso per questo assassinio! Il signor Giliotti si batterà alla pistola, petto a petto, tirando a sorte il primo colpo.
FALCONI (interdetto). Eh!... Ma... Ciò non è cavalleresco!...
ADELE. Ah! perché siete uno spadaccino preferireste assassinare cavallerescamente il vostro avversario che non sa di scherma!... Il signor Giliotti ha la scelta delle armi ed usa del suo diritto.
FALCONI (turbato). Ebbene... proverò che un cavaliere... quantunque ferito nel più vivo dell'amor proprio... non può negar nulla ad una dama... per parte mia rinunzio alla riparazione che mi è dovuta...
SCENA XIV
Il domestico, annunziando; indi Alberto.
DOMESTICO. Il signor Alberto Giliotti.
FALCONI (sardonico). Ah!... ecco il momento di prendere il mio cappello!...
ADELE (con dignità). Non ho più nulla a dirle, cavaliere! (al domestico) Accompagnate il signore e fate entrare. (Falconi via dal fondo).
ALBERTO (entra senza salutare il cavaliere). Signora, il mio amico mi ha detto che ella desiderava...
ADELE (fa segno ad Alberto di mettersi a sedere, e siede anche lei agitatissima di faccia a lui. Pausa). Signore... io non avrei osato... Mi perdonerà se... Non saprei io stessa... Sono così turbata!... Ella è un cuore onesto... Devo chiederle un gran servigio e forse una riparazione.
ALBERTO. A me, signora?
ADELE. So che dovrà battersi col cavalier Falconi.
ALBERTO. Ebbene?
ADELE. E so perché si batte!
ALBERTO. Ah!
ADELE. C'è di mezzo l'onore di una donna che soltanto voi due sapete ch'è innocente; ma il mondo dirà che fra due uomini che si battono per una donna ce n'è sempre uno che si batte perché ne ha il diritto. Ora domando a lei che sa come il cavaliere non abbia questo diritto: L'ha ella forse?
ALBERTO. No!
ADELE. In tal caso bisogna ch'ella rinunzi a questo duello, come vi ha rinunziato il cavaliere per la sua parte.
ALBERTO. E il mio onore?... Io non mi faccio giudice di quello del cavaliere.
ADELE. Ma io penso all'onore di una povera donna che diverrà la favola del mondo!
ALBERTO. I nostri secondi hanno avuto incarico di stabilire come causa del duello un diverbio d'argomento politico.
ADELE. Chi ci crederà?
ALBERTO. Madama... io invoco la sua stessa testimonianza... Crede che io sia un onest'uomo? Crede che io darei tutto il mio sangue per affogare ogni calunnia possibile? Ebbene!... Bisogna che io mi batta con quell'uomo!
ADELE. Perché?
ALBERTO. Non lo so!... L'odio! Lo detesto! Bisogna che io l'uccida o ch'egli mi ammazzi!
ADELE. Ahimè! È uno schermidore di prima forza!
ALBERTO. Che m'importa! Se potrò comunicare il mio odio alla mia spada troverò la via del suo cuore!
ADELE. Vi ucciderà!
ALBERTO. Che m'importa! Io l'odio!
ADELE (commossa). E se questo sangue fosse un rimorso per quella donna causa innocente del delitto?
ALBERTO. Un rimorso!! (esitando) Tanto meglio! È un ricordo che vale la vita di un uomo!
ADELE (c.s.). Ebbene no! Io non voglio! Io non voglio! Oh, signore, ascoltatemi, per tutto quello che avete di più sacro! Rinunziate a questo duello... e partite!
ALBERTO. Partire!... e perché?
ADELE. Perché... Bisogna dirvi tutto!... Perché voi mi fate un gran male!... Oh, no!... è la mia sciagurata posizione!... è la mia sventura!... è la viltà del mondo!... Sì, il mondo ch'è sciocco e maligno, il mondo che si pasce di pettegolezzi e di scandali ha raccolto con cura gelosa cento particolari che passerebbero inosservati se non fossero preziosi per la sua malignità!... (animandosi grado a grado con amara ironia). Stasera... un'amica... fra un sorriso e una stretta di mano mi parlava di un uomo... che passa le notti sotto le mie finestre... Ebbene, il mondo sorriderà nel ripetere la notizia... come sorrideva la mia amica!... Soltanto non si curerà di nascondere i denti con cui lacera tutto quello che c'è di più delicato nella donna... e aggiungerà che se quest'uomo ha seguita questa donna da Milano a Firenze non sarà senza una ragione... anzi c'è tutto a scommettere che egli non perda il suo tempo!...
ALBERTO (con impeto). Il mondo è vile!
ADELE (con dignità). Lo so!... Ma il mondo è forte della sua viltà, si nasconde dietro quella nebbia che si chiama voce pubblica ed ha una logica terribile!
ALBERTO (dopo aver esitato). Ebbene... gli si dica che quest'uomo è pazzo... gli si dica che è un poeta!... Il mondo si vendicherà col ridicolo della maldicenza che gli sfugge.
ADELE (stendendogli la mano). Signore!... Ella mi ha fatto un gran male senza saperlo... ma nello stesso tempo mi ha dato prova della sua lealtà!... Signore! Io sono una povera orfana. Da bambina ho provato tutti i mali di questo triste isolamento... Ho molto sofferto, ho pianto molto!... Non ho avuto altro conforto, altro amore che questa arte che forma il mio orgoglio ma è per me un altro motivo di debolezza. Son sola, sono artista, l'ultimo imbecille si crede in diritto d'insultarmi col suo oro!... Ecco quello che sono, signore! Sono stimata meno di una donna e la mia riputazione dev'essere al di sopra di quella di una duchessa!... Oh, signore!... è ben triste! non è vero?... ma è così!... Dica a quell'uomo che sia generoso... che parta... che abbandoni Livorno... Ci sarà una donna che lo ringrazierà da lontano... se ciò gli costerà qualche sacrificio!
ALBERTO (alzandosi bruscamente, ma risoluto). Partirà, signora!... Addio!
ADELE (lo segue collo sguardo, esitante, commossa). Signore!
ALBERTO (volgendosi, anch'egli assai commosso). Che volete dippiù, signora?
ADELE. Voglio che mi perdoniate le parole di poco fa... e che ci lasciamo amici!...
ALBERTO. Se c'è qualcuno che ha bisogno di esser perdonato son io!... Non ho che una parola di giustificazione: son poeta... son matto!... Ho qui nel petto questa lebbra che ci rode e ci rende miserando spettacolo al vulgo degli scioperati!... Se vi ho fatto del male accusatene questa follia che ha la stranezza di adorare alla sua maniera e di bruciare l'incenso alla sua divinità senza curarsi del mondo!... Accusatene questa febbre che mi arde le vene, questa larva che mi abbacina gli occhi, questo delirio che sconvolge la mia ragione! Accusatene voi, il giorno in cui vi vidi, questo istante in cui vi sto dinanzi! Accusatene i miei occhi che vi vedono, la vostra voce che mi parla, il mio cuore che divora la vostra bellezza da tutti i sensi del mio corpo! (amaramente) È un'infermità! una terribile infermità!... Bisogna guarirne e partire.
ADELE (commossa, esitante), Quando partirete?
ALBERTO. Domani, col primo treno.
ADELE (c.s.). Dove andrete?...
ALBERTO. Non lo so.
ADELE (con crescente commozione). Ci rivedremo?
ALBERTO. Forse.
ADELE (c.s.). Saremo amici?
ALBERTO. No.
ADELE. Perché?
ALBERTO. Non potrei che odiarvi se non posso amarvi. Addio!
ADELE (come fuori di sé, quand'egli è sulla soglia). Signore... Non mi lasciate così, signore! (pausa - indi avvicinandosi lentamente ad Alberto colle lagrime agli occhi). Siete cattivo, signore!... Vi ho domandato il vostro perdono... e voi mi lasciate in collera!...
ALBERTO. Io!... Dio mio!
ADELE. Ma se il mondo avesse torto?... Se il mondo fosse troppo meschino per giudicarci e condannarci?... e allora perché tanti dolorosi sacrifici di cuore?...
ALBERTO (commosso). Ah! voi dubitate di questo famoso giudizio del mondo?!...
ADELE (con incantevole abbandono). Adesso... sì!...
ALBERTO (con entusiasmo). E credete che ci sia una felicità al di sopra della sua condanna?!...
ADELE (dandogli le mani con abbandono). Ho bisogno di crederci!

 

 

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Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 23.39

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