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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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 BulletIl Marito di ElenaBullet

di: Giovanni Verga

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BulletIV

 

Lo zio Luigi telegrafò ad Altavilla che il nipote aveva fatta la frittata. Il telegramma arrivò in casa Dorello mentre la famigliuola stava per mettersi a tavola. Don Anselmo impallidì leggendolo, e lo porse senza dir parola alla cognata; la quale lasciò cadere il cucchiaio nel piatto. Gli altri rimasero allibiti coi gomiti sulla tovaglia, davanti alla finestra tutta verde del noce dell'orto.

Nessuno osava fiatare; le ragazze, spaventate, si guardavano in faccia quasi fossero state colte in fallo. Dopo qualche momento donna Barbara tornò a prendere in silenzio il tondo del cognato per riempirlo, ma questi disse con un gesto calmo, levando la mano collo smeraldo al dito.

- No, non ho più fame.

Si passò il tovagliuolo sulla bocca, quasi a tergerne l'amaro, lo ripiegò, lo posò sulla sponda, e salì in camera sua a frugare nelle carte che erano sullo scrittoio. La cognata rimasta colle figliuole, si cacciò le mani nei capelli, senza dir nulla.

Le ragazze sparecchiarono in silenzio, e andarono a rincantucciarsi nelle loro stanzette. Lo zio canonico non uscì nel dopo pranzo. Verso sera la cognata andò a picchiare timidamente all'uscio di lui.

- Sto mettendo in ordine le sue carte, - disse il canonico leggendo negli occhi sgomenti della povera madre. - Ci vorrà un po' di tempo, perché non mi sarei aspettato di dovergli rendere questi conti così presto.

La poveretta si lasciò cadere su di una sedia vicino all'uscio, annientata, colle braccia in croce sulle ginocchia, seguendo macchinalmente cogli occhi lagrimosi ogni gesto del cognato, il quale sembrava tranquillo. Infine, vieppiù spaventata da quella calma, balbettò:

- Siamo rovinati!

- Voi altri no. Per voi altri finché vivrò ci penserò io, se volete continuare a star con me; rispose il canonico.

Ma lei piangeva in silenzio colle mani sul viso. Poi balbettò:

- E lui?...

- Ecco qui - rispose il cognato. - Egli ha settemila lire di sua rata sul patrimonio paterno. Se si contenta di pigliare le vigne di Rosamarina, quantunque valgano qualcosa di più, e quel che gli tocca della casa paterna, faremo le cose all'amichevole, a risparmio di spese, e sarà meglio per tutti.

- Settemila lire!... Son poche per vivere!

Allora il prete si strinse nelle spalle, e fu il solo movimento brusco che gli scappò.

- Qualcosa di dote gli porterà la moglie. Poi ha un'eccellente professione, e dovete pensare che gli altri vostri figliuoli non hanno neppure quella, e non vi sono costati tanto! Egli ci ha rovinati tutti!

La madre a tutte quelle ragioni rispondeva piangendo. Infine calmata tutta a un tratto, quasi lo Spirito Santo l'avesse illuminata, colle membra ancora scosse dai singhiozzi, e la faccia bagnata di lagrime, disse:

 - Andrò io stessa alla città, da mio figlio. Gli parlerò, gli toccherò il cuore. Egli ha avuto sempre il cuore buono per la sua mamma!

Il cognato la guardò in viso, come fosse colpito anche lui da quell'ispirazione. Poi tornò a leggere il telegramma, e scosse il capo, per dire che era inutile.

- Fate come volete, conchiuse porgendole il dispaccio.

La povera madre si mise in viaggio il domani all'alba, con un fardelletto che Rosalia si affaccendò a metterle insieme tutta sgomenta quasiché partisse per l'America nella carrozzaccia sconquassata che portava la posta alla stazione.

Il cognato l'accompagnò sino al ballatoio.

- Se si ravvede, se vuol tornare qui, la casa è sempre aperta, diteglielo, per lui, ma per lui soltanto!

 

Il giovane, non osando farsi più vedere dai genitori di Elena, era andato a stare all'albergo. I suoi camerati in massa gli avevano prestato cento lire, col viso serio, come gli fosse accaduta una sventura, e il più anziano, uno studente di medicina, alla prima barzelletta che avevano arrischiato i compagni sull'avventura di lui, sentenziò che sarebbe stato meno male se si fosse rotta una gamba. A Cesare per disgrazia erano rimaste le gambe sane e vagabondava tutto il giorno, come un delinquente, finché tornava a buttarsi rifinito sul letto, cogli occhi stralunati, e il viso sfatto. Così rientrando a casa trovò nella sua cameretta la mamma, seduta vicino all'uscio, pallida e stanca anche lei, col suo fardelletto posato accanto sul tavolino.

Ei sentì darsi un tuffo nel sangue e rimase immobile dinnanzi a lei, avvilito, colle braccia penzoloni, gli occhi impietriti, il mento cascante.

Sua madre s'era preparata tutto il discorso lungo la strada, colle risposte di lui, figurandosi al vivo gli atti, le inflessioni di voce, i menomi gesti, il pentimento del figliuolo il quale si sarebbe buttato piangendo fra le sue braccia, e sarebbe tornato al paese con lei. Con quelle immagini nella mente andava fissando lagrimosa i campi che fiancheggiavano la strada, gli alberi che sfilavano, quasi per stamparseli in mente, per gustare la gioia del contrasto nel momento in cui avrebbe rifatta quella strada con suo figliuolo. Il sole sorgeva glorioso come una promessa fra le gole dei monti, e la poveretta diceva al sole colle mani giunte, fervidamente: - Vergine santa! Vi ringrazio! Vi ringrazio, Dio mio! - Ma adesso al cospetto del figliuolo atterrato, a guisa di un reo, lei rincattucciata accanto all'uscio come un'estranea, non sapeva che dire, non si rammentava una sola di quelle parole che dovevano toccargli il cuore. Scoraggiata, cominciò a far greppo in silenzio, al pari di una bimba, sporgendo il labbro, e tremando tutta pei singhiozzi rattenuti. Quell'angoscia puerile diveniva straziante su quella faccia sbattuta, sotto quei capelli bianchi.

- Oh mamma! oh mamma! singhiozzava il figliuolo cadendole finalmente ai piedi, colla faccia sui ginocchi di lei. - Oh mamma! - E non sapeva dir altro.

La povera mamma piangeva cheta cheta, china su di lui, tastandolo colle mani sulla faccia e sulle spalle; gli accarezzava il capo come quando bambino se lo teneva allo stesso modo fra le ginocchia, singhiozzando ad alta voce dalla gioia. Andava persuadendolo così: - Sai, l'annata è stata scarsa. Il grano è andato tutto a male. Sulla vigna ha grandinato. Quest'inverno c'è stata una gran mortalità di pecore, sì che i Forano hanno venduta la casa. Ci vuole l'aiuto di Dio! - Tutte quelle povere ragioni dei poveretti che sono eloquenti soltanto per loro, e colle quali le pareva che tutto fosse accomodato. Talché, sperando che Cesare fosse già partito, le sembrava di scorgere il sole radioso del mattino in quella cameruccia sconosciuta che le aveva stretto il cuore d'angoscia al primo entrare.

Come furono più calmi andò a sedersi sulle ginocchia del figliuolo, e se lo teneva abbracciato stretto, colla testa sull'omero, ripetendo in cuor suo:

- Vergine santa, vi ringrazio! Sono state le anime del Purgatorio che gli hanno toccato il cuore al figlio mio! È stata l'anima di suo padre!

E si dava a rassettare ogni cosa per la stanza, quasi ora si sentisse a casa sua, sollevata da un gran peso, colle mani tremanti tuttavia, disfaceva il suo fagottino, guardando dove potesse mettere la roba: - Mi terrai qui, con te, non è vero? Poi domani torneremo insieme al paese. Tuo zio ti manda a dire che t'aspetta a braccia aperte. Andremo domani. Ora mi sento stanca, sono vecchia. Mi sento vecchia.

- No, mamma, balbettò il figliuolo. Non posso più tornare a casa!...

Fu come se ricordasse, e rimase colle sue robe sulle braccia, che non sapeva dove metterle. Poi le posò un'altra volta sul canterano, giunse le mani scarne, forte forte: - E cosa hai fatto che non puoi tornare a casa? Cosa hai fatto, figlio mio?...

Egli non rispose, scuotendo il capo, cogli occhi colmi di lagrime, seduto tristamente sulla sponda del lettuccio, stringendo fra le mani il fazzoletto fradicio.

- Io son vecchia. Per me fa pure quello che vuoi. Ma pensa che le tue povere sorelle rimarrebbero in mezzo a una strada se tuo zio ci abbandonasse anche lui.

- Ah! mamma! rispondeva il giovane scuotendo il capo e col fazzoletto fra le mani. Se sapeste! se sapeste!

- Sì, sì, lo so, figlio mio! povero figlio mio! Lo so quel che devi averci in cuore! Ma cosa puoi farci se siamo poveri! Tu non sai... tu non sai nulla!... Alle volte, quando aspettavi la mesata, tuo zio non dormiva la notte. A Natale, che massaro Nunzio non aveva mandati i denari del vino, e il camparo era tornato colle mani vuote dalla fiera, che giornata! Per noi non importava, perché le tue povere sorelle sono avvezze a tutto, e con quattro legumi... Ma il martello era per te... Colui non sa come fare, in paese forestiero! - diceva tuo zio. Allora ho pianto tanto, seduta in un cantuccio della camera, ché pensavo - Lui, non sa come fare in paese forestiero! - e mi pareva di vederti andare affamato per le vie della città che non conoscevo, di là dei monti, a quell'ora che solevi tornare a casa, quand'eri al paese, e le tue sorelle ti conoscevano al rumore dei passi, e dicevano: - Questo è lui che torna a casa. - Vedi, le tue sorelle non sono belle come tante altre, no, non sono belle come tante altre, ma ti vogliono bene di più... e parlavano sempre di te, la sera, mentre facevano la calza nel tinello, sotto il quadro grande, e dacché sei partito ti rammenti? che eravamo tutti sul ballatoio, finché ti si poté vedere, non hanno mancato un giorno di rifarti il tuo letto, come se avessi dovuto tornare, la sera, e la tua stanza è rimasta tal quale l'hai lasciata, e nessuno se ne è mai servito, nemmeno quando si raccolsero tante di quelle carrubbe, ma tante, che non si sapeva dove metterle, e ce n'erano persino due cestoni sotto il letto di tuo zio. Tuo zio ha detto - Mettetene una manciata nel forno, che gli piacciono tanto a lui, quando tornerà.

- No, mamma! ripeteva il figliuolo. - Io non posso più tornare a casa...

- Ma cosa hai fatto, che non puoi tornare a casa? Dillo a tua madre! Cosa hai fatto?

- Ho fatto... che ella è fuggita da casa sua per amor mio. È fuggita con me. Ha abbandonato i suoi parenti, e non ha più nessuno, mamma!

A quella risposta la poveretta non seppe più che dire. Non pensava più all'abbandono del figliuolo e allo sgomento di ricomparir con quella notizia alla presenza del cognato. Aveva dinanzi agli occhi le sue ragazze che fuggivano coll'amante come quell'altra, il sottosopra della casa al primo momento che si scopriva la terribile disgrazia. Allora si mise a raccogliere lentamente le sue cose, accasciata, senz'altra speranza. In quel momento le cadde sotto gli occhi il ritratto di Elena, inchiodato a capo del letto, nella sua bella cornice dorata, colle labbra e le sopracciglia possenti sul volto color d'ambra.

La poveretta rimase un istante immobile lì accanto, col suo fagottino in mano, umiliata dalle sue vesti meschine e dalla sua figura timida e magra, colle povere dita ossute intrecciate nel nodo del fardelletto. Oramai sentiva che tutto era finito, e che sarebbe stato inutile lottare coll'incantesimo di quella bellezza che le aveva tolto il cuore del figliuolo. Soltanto soffriva uno schianto doloroso, e una desolata pietà pel suo ragazzo che doveva penar tanto nel vederla partire. Ella non pensava ad altro. Gli diceva: - Senti, io devo andarmene perché il treno sta per partire. È meglio tornar presto al paese giacché le tue sorelle son rimaste sole, e tuo zio si adirerà maggiormente se gli facciamo aspettare la risposta. Sarà tanto di risparmiato nella spesa del viaggio.

Ora lui sconvolto andava su e giù per la stanza, come cercasse qualche cosa, collo sguardo fisso e vitreo.

Sua madre sulla soglia, gli disse:

- Io pregherò Dio perché tocchi almeno il cuore di tuo zio. Le anime sante mi aiuteranno, Cesare!

Ei si era messo il cappello in capo, macchinalmente, e voleva levarle di mano il fardelletto, senza sapere che facesse. - Ora abbracciami! - gli disse la madre - ché se tuo zio non vuol perdonarti forse non ti vedrò mai più. Son vecchia, e potrei morire.

- Mamma! disse lui. Vorrei esser morto!

La madre, mentre se lo teneva fra le braccia, trasalendo in tutte le membra, rispose:

- Cosa vuoi che io faccia? Le tue sorelle non hanno altro sostegno se non tuo zio. Che vuoi che io faccia?

E andava ripetendo le stesse parole, mentre scendeva adagio adagio la scala, tenendosi alla ringhiera. Ad un tratto egli parve che si ricordasse di qualche cosa, corse in camera sua di nuovo, e tornò coi pochi denari che gli rimanevano in mano.

- Tenete, vi serviranno pel viaggio. Non ho altro, mamma!

- Ecco cos'è! osservò la mamma. Se fossimo ricchi né tu né io avremmo questa croce in cuore adesso!

- Aspettate, aspettate, ché voglio accompagnarvi alla stazione.

Al momento di montare in carrozza, mentre la povera forestiera guardava attonita e sgomenta il via vai della folla, e teneva stretta di nascosto sotto lo scialle la mano del figliuolo, ché così si sentiva stretto il cuore dall'angoscia e le pareva che glielo strappassero colle unghie, egli ripeté ancora:

- Aspettate, che voglio accompagnarvi per un altro po'.

Non gli bastava il cuore di staccarsi da lei. Ella lo sentiva, tenendogli sempre stretta la mano sotto lo scialle, seduta accanto a lui nel carrozzone, guardando la pianura grigia di stoppie che fuggiva dietro a loro. Infine dovette lasciarlo, per montare nella carrozzella sconquassata che aspettava i viaggiatori del paesetto, coi ronzini dormenti all'ombra magra delle robinie. E l'era parso che egli le avrebbe detto ancora: - Aspettate, che voglio accompagnarvi sino al paese... - stringendogli sempre la mano di nascosto sotto lo scialle.

Egli affacciato allo sportello, premendosi il fazzoletto sulla bocca, seguiva cogli occhi il mantice polveroso del legnetto che ondeggiava e traballava allontanandosi per la straduccia bianca. Quando non vide più nulla, si rincantucciò in un angolo, buio come l'animo suo, nella notte che avviluppava diggià ogni cosa, piangendo come un ragazzo. Ma allorquando i lumi della città cominciarono a risplendere nell'orizzonte, anch'egli si rischiarò, ripreso dall'immagine di Elena, e rifletteva che sua madre andava calmandosi essa pure, pensando alla famigliuola che l'aspettava al villaggio. Così la fiumana della vita li ripigliava e li allontanava sempre più.

La madre arrivò a casa di notte, affranta. Le ragazze dormivano, suo cognato solo vegliava aspettandola, come avesse indovinato che doveva tornare subito. Egli non disse una parola, mentre la cognata posava il fardelletto, e le sporse una sedia. Ma a lei quel silenzio le serrava maggiormente la gola. Allora il canonico, vedendola presa da un tremito nervoso in tutte le membra andò ad empirle un bicchier d'acqua.

- Pensate che se vi ammalate sarà anche peggio per le vostre figliuole - le disse egli con voce calma. - Alla fin fine non è morto nessuno.

La poveretta si fece animo, e raccontò finalmente tutto quello che sapeva, fissando timidamente in volto il cognato, per seguir ansiosamente l'effetto delle sue parole. Il prete rimase impassibile. Alla fine disse:

- Ora bisogna maritarli.

E siccome sua cognata lo guardava attonita:

- Se no sarebbe uno scandalo. Nel paese, a diritto o a torto, passo pel capo di casa, e il vescovo mi toglierebbe la messa. Del resto non potete impedire che vostro figlio si mariti. Se gli negate il consenso, glielo danno i tribunali.

- Io non glielo nego - balbettò ella timidamente, agitata fra la speranza e il timore, parendole che il cognato inclinasse di già a perdonare.

Il cognato approvò col capo in silenzio.

Allora la povera madre proruppe in lagrime di consolazione. - Lo sapevo che le anime del Purgatorio non ci avrebbero abbandonato! singhiozzava; e voleva correre a svegliare le figliuole per dar loro la buona novella che lo zio canonico perdonava al nipote e gli apriva le braccia.

Ma il prete la fermò dolcemente, posandole sulla spalla la mano coll'anello, e disse:

- Adagio! Quanto a perdonare, perdono; ché devo andare a celebrar messa domani, ma altro non voglio né devo fare. Quel poco che posso per la famiglia di mio fratello lo dò volentieri. Ma non ho la prebenda di un vescovo, e non posso tirarmi sulle braccia anche la famiglia dei figli di mio fratello. Ognuno a casa sua. Se voi altri volete andare a stare con vostro figlio, padronissimi. Ma in casa mia no! pensateci bene.

Il giorno appresso dopo pranzo, lo zio canonico, invece di fare la solita passeggiata fuori del paese, andò a trovare il notaio suo amico, e scrissero insieme a don Liborio una bella lettera.

In casa dell'Elena, passato il primo sfuriare della burrasca, s'erano un po' calmati. Soltanto don Liborio invece di fare la solita partita continuava a girare i pollici sulla tabacchiera, seduto di faccia al ritratto di Elena che gli voltava sempre la schiena. Roberto, come un'ombra, arrivava all'ora solita, stringeva la mano in giro a tutti, e andava a mettersi al suo posto, colla sua regolarità d'impiegato.

Al giungere della lettera dello zio canonico che prometteva il consenso della madre del giovane, e voleva sapere quel che avrebbero assegnato in dote all'Elena, donn'Anna saltò su tutte le furie, ricordandosi dell'offesa mortale che avevano fatto alla sua casa, e cominciò a strillare che la gallina si piuma dopo morta, e invece loro erano ancora in vita, lei e suo marito, e non intendevano spogliarsi a beneficio di un'ingrata che li aveva piantati a quel modo. Del resto poi avevano un'altra figlia da maritare, e quella siccome era buona ed amorevole, meritava più dell'Elena. Lui, se aveva fatto quella prodezza voleva dire che si sentiva di mantenere la moglie, senza bisogno della dote. La sua figliuola portava con sé non una ma cento doti, con tutte quelle virtù che possedeva, e come l'avevano insegnata lei. Il signor avvocato poteva ringraziare Dio e i Santi per la fortuna che aveva acciuffata, e non andare a cercar altro.

Don Liborio, rigido come un Bruto, calcandosi sul capo il berretto ricamato, aggiungeva:

- Io non ho dote da assegnare! Io non ho più figlia!

Quanto al consenso lo diedero con tutte e due le mani. Alla fin fine avevano viscere paterne, e la mamma arrivò anche ad intenerirsi ricordando che a quel giovane gli aveva voluto bene, ed era arrivata a considerarlo come uno della famiglia. Don Liborio, rabbonito, confessò che gli era stato simpatico anche a lui, e per questo gli avevano aperto il cuore e l'uscio di casa, favore che non soleva accordare a tutti, Roberto era lì per farne testimonianza. Roberto, lì presente, accanto alla Camilla, affermava col capo.

- Un avvocato può arrivare a tutto al giorno d'oggi! - finiva don Liborio. - In quel giovane c'è la stoffa di un ministro.

E donn'Anna soggiungeva:

- Lo zio canonico poi, ch'è un servo di Dio, non dovrebbe badare tanto al sottile, per levare due anime dal peccato.

Ella rilasciò generosamente alla figliuola tutti gli abiti e il corredo che possedeva da ragazza. Il giovane aveva la sua rata di patrimonio paterno, pel valore di settemila lire, rappresentato dal fondo rustico di Rosamarina, e la rata della casa. Siccome il tempo stringeva e mancavano i denari di metter su un quartierino, i due sposi decisero d'andare a passare l'autunno nella loro proprietà.

Essi arrivarono in una piovosa giornata di ottobre, preceduti da un carro carico dei bauli, casse e cassettini di Elena. Il primo giorno alla Rosamarina fu malinconico, in quelle stanzuccie nude, dove si ammonticchiavano quei cassoni come in un magazzino di ferrovia, al cadere di quella giornata scialba, colla prospettiva del paesetto perduto nella nebbia, grigiastro e scolorito nel cielo scuro. Il giovane avrebbe voluto correre subito ad Altavilla per abbracciare sua madre. Ma il canonico gli fece sapere che ella stava poco bene, e l'avrebbe vista in chiesa, quando poteva cominciare ad uscire di casa.

Nel paese dicevano: - Come principia allegramente questo matrimonio d'amore!

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 17/07/05 17.58

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