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LE VITE DE' PIÚ ECCELLENTI ARCHITETTI, PITTORI, ET SCULTORI ITALIANI, DA CIMABUE INSINO A' TEMPI NOSTRI
Nell'edizione per i tipi di Lorenzo
Torrentino - Firenze 1550

di Giorgio Vasari

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RAFAEL DA URBINO

 

(SEGUE DA..)

Et appartato da questi si vede il Santissimo Onia Pontefice, pontificalmente vestito, con le mani e con gli occhi al cielo, ferventissimamente orare, afflitto per la compassione de' poverelli che quivi perdevano le cose loro et allegro per quel soccorso che dal ciel sente sopravenuto. Veggonsi oltra ciò, per bel capriccio di Rafaello, molti saliti sopra i zoccoli del basamento et abbracciatisi alle colonne, con attitudini disagiatissime, stare a vedere; et un popolo tutto attonito in diverse e varie maniere, che aspetta il successo di questa cosa. Nella volta poi che vi è sopra fece quattro storie: l'apparizione di Dio ad Abraam nel promettergli la moltiplicazione del seme suo, il sacrificio d'Isac, la scala di Iacob e 'l rubo ardente di Moisè, nella quale non si conosce meno arte, invenzione, disegno e grazia che nelle altre cose lavorate di lui.

Mentre che la felicità di questo artefice faceva di sé tante gran maraviglie, la invidia della fortuna privò de la vita Giulio II, il quale era alimentatore di tal virtú et amatore d'ogni cosa buona. Laonde fu poi creato Leon X, il quale volle che tale opera si seguisse, e Rafaello ne salí con la virtú in cielo e ne trasse cortesie infinite avendo incontrato in un principe sí grande, il quale per eredità | di casa sua era molto inclinato a tale arte. Per il che Rafaello si mise in cuore di seguire tale opera e nell'altra faccia fece la venuta d'Atila a Roma e lo incontrarlo appiè di Monte Mario che fece Leon III Pontefice, il quale lo cacciò con le sole benedizzioni.

Fece Rafaello in questa storia San Pietro e San Paulo in aria con le spade in mano, che vengono a difender la Chiesa.

E se bene la storia di Leon III non dice questo, egli per capriccio suo volse figuralla forse cosí, come interviene molte volte che con le pitture come con le poesie si va vagando, per ornamento dell'opera, non si discostando però per modo non conveniente dal primo intendimento.

Vedesi in quegli Apostoli quella fierezza et ardire celeste che suole il giudizio divino molte volte mettere nel volto de' servi suoi per difender la santissima religione.

E ne fa segno Atila, in sun un cavallo nero balzano e stellato in fronte, bellissimo quanto piú si può, il quale con attitudine spaventosa alza la testa e volta la persona in fuga; sonvi cavalli bellissimi e massime un gianetto macchiato, che è cavalcato da una figura, la quale ha tutto lo ignudo coperto di scaglie a guisa di pesce, il che è ritratto da la Colonna Traiana, nella quale son i popoli armati in quella foggia. E si stima ch'elle siano arme fatte di pelle di coccodrilli. Èvvi Monte Mario che abruccia, mostrando che nel fine della partita de' soldati gli aloggiamenti patiscano di ciò. Ritrasse ancora di naturale alcuni mazzieri che accompagnano il papa, i quali son vivissimi e cosí i cavalli dove son sopra et il simile la corte de' cardinali et alcuni palafrenieri che tengono la chinea dove è a cavallo sopra in pontificale, ritratto non men vivo che gli altri, Leon X e molti cortigiani, cosa leggiadrissima da vedere a proposito in tale opera et utilissima a l'arte nostra, massimamente per quegli | che di tali cose son digiuni. In questo medesimo tempo fece a Napoli una tavola, la quale fu posta in San Domenico nella cappella dove è il Crocifisso che parlò a S. Tomaso d'Aquino; dentro vi è la Nostra Donna, San Girolamo vestito da cardinale et uno angelo Rafaello ch'accompagna Tobia.

Lavorò un quadro al signor Leonello da Carpi, il quale fu miracolosissimo di colorito e di bellezza singulare, atteso che egli è condotto di forza e d'una vaghezza tanto leggiadra, che io non penso che e' si possa far meglio; vedendosi nel viso della Nostra Donna una divinità e ne la attitudine una modestia che non è possibile migliorarla.

Finse che ella a man giunte adori il Figliuolo che le siede in su le gambe, facendo carezze a San Giovanni piccolo fanciullo, il quale lo adora insieme con Santa Elisabetta e Giuseppo.

Questo quadro è oggi appresso il reverendissimo Cardinale di Carpi, della pittura e scultura amator grandissimo. Et essendo stato creato Lorenzo Pucci, Cardinale di Santi Quattro, sommo penitenziere, ebbe grazia con esso che egli facesse per San Giovanni in Monte di Bologna una tavola, la quale è oggi locata nella cappella, dove è il corpo della Beata Elena da l'Olio, nella quale opera mostrò quanto la grazia nelle delicatissime mani di Rafaello potesse insieme con l'arte.

Èvvi una Santa Cecilia che, a un coro in cielo d'angeli abbagliati, sta a udire il suono et è data in preda alla armonia, vedendosi nella sua testa quella astrazzione che si vede nelle teste di coloro che sono in estasi; oltra che sono esparsi per terra instrumenti musici che non dipinti, ma vivi e veri si conoscono, e similmente alcuni suoi veli e vestimenti di drappi d'oro e di seta, e sotto quelli un ciliccio maraviglioso.

Èvvi un San Paulo che posato il braccio destro in su la spada ignuda e la testa posta | appoggiata alla mano, dove si vede espressa la considerazione della sua scienzia, non meno che l'aspetto della sua fierezza conversa in gravità; vestito d'un panno rosso semplice per mantello e tonica verde sotto quello, alla apostolica, e scalzo. Èvvi una Santa Maria Maddalena che tiene in mano un vaso di pietra finissima, in un posar leggiadrissimo e svoltando la testa par tutta allegra in una vivezza della sua converzione, che certo in quel genere penso che meglio non si potesse fare; cosí le teste di Santo Agostino e di S. Giovanni Evangelista.

E nel vero che l'altre pitture da quei che l'hanno dipinte, pitture nominare si possono, ma quelle di Rafaello vive: perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue e vivacità viva vi si scorge; per il che questo li diede, oltra le lodi che aveva, piú nome assai.

Laonde furono però fatti a suo onore molti versi e latini e vulgari, de' quali metterò questi soli per non far piú lunga storia di quel che mi abbi fatto:

 

Pingant sola alii referantque coloribus ora;

Caeciliae os Raphael atque animum explicuit.

 

Fece ancora dopo questo un quadretto di figure piccole, oggi in Bologna medesimamente in casa il Conte Vincenzio Arcolano, dentrovi un Cristo a uso di Giove in cielo e d'attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezecchiel; uno a guisa di uomo e l'altro di leone e quello d'aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non meno raro e bello nella sua piccolezza che sieno l'altre cose sue nelle grandezze loro. A Verona mandò della medesima bontà un quadro in casa i Conti da Canossa, et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo.

E similmente un | quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza nelle sue case, cosa bellissima. Avendo egli in quello fatto una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo di tanta bellezza ne l'ignudo e nelle fattezze del volto, che nel suo ridere rallegra chiunche lo guarda; senza che Rafaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si possa fare nell'aria di una vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtú, senza che l'abito suo è tale che mostra una semplicità et onestà infinita. E nel vero non penso per una tanta cosa si possa veder meglio. Èvvi un San Giovanni a sedere ignudo et un'altra santa ch'è bellissima anch'ella. Cosí per campo vi è un casamento, dove egli ha finto una finestra impannata che fa lume alla stanza dove le figure son dentro.

Fece in Roma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse Papa Leone, il Cardinale Giulio de' Medici et il Cardinale de' Rossi, nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure; quivi è il velluto che ha il pelo, il domasco addosso a quel papa, che suona e lustra; e le pelli della fodera son morbide e vive, gli ori e le sete contrafatti sí, che non colori ma oro e seta paiono.

Vi è un libro di carta pecora miniato che piú vivo si mostra che la vivacità, un campanello d'argento lavorato che maraviglia è a voler dire quelle parti che vi sono.

Ma fra l'altre una palla della seggiola brunita e d'oro nella quale, a guisa di specchio, si ribattono (tanta è la sua chiarezza) i lumi delle finestre, le spalle del papa et il rigirare delle stanze; e sono tutte queste cose condotte con tanta diligenzia, che credasi pure e sicuramente che maestro nessuno di questo meglio non faccia, né abbia a fare.

La quale opera fu cagione che il papa di pre|mio grande lo rimunerò, e questo quadro si trova ancora in Fiorenza nella guardaroba del duca. Fece similmente il Duca Lorenzo e 'l Duca Giuliano con perfezzione non piú da altri che da esso dipinta nella grazia del colorito, i quali sono appresso a gli eredi di Ottaviano de' Medici in Fiorenza.

Laonde di grandezza fu la gloria di Rafaello accresciuta e de' premii parimente, perché per lasciare memoria di sé fece murare un palazzo a Roma in Borgo Nuovo, che Bramante lo fece condurre di getto.

Avvenne in questo tempo che la fama di questo mirabile artefice fino in Fiandra et in Francia era passata; per che Alberto Durero tedesco, pittore mirabilissimo et intagliatore di rame di bellissime stampe, divenne tributario delle sue opere a Raffaello et e' gli mandò la testa d'un suo ritratto condotta da lui a guazzo su una tela di bisso, che da ogni banda mostrava parimente e senza biacca i lumi trasparenti, se non con acquerelli di colori era tinta e macchiata, e de' lumi del panno aveva campato i chiari, la quale cosa parve maravigliosa a Raffaello, per che egli gli mandò molte carte disegnate di man sua, le quali furono carissime ad Alberto. Era questa testa fra le cose di Giulio Romano, ereditario di Raffaello in Mantova. Perché avendo veduto Raffaello lo andare nelle stampe d'Alberto Durero, volenteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteva, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente, il quale riuscí tanto eccellente che fece stampare le prime cose sue: la carta de gli Innocenti, un Cenacolo, il Nettunno e la Santa Cecilia quando bolle nell'olio.

Fece poi Marco Antonio per Rafaello un numero di stampe, le quali Rafaello donò poi al Baviera suo garzone, ch'aveva cura d'una sua donna, la quale Rafaello amò sino alla mor|te e di quella fece un ritratto bellissimo che pareva viva viva, il quale è oggi in Fiorenza appresso il gentilissimo Matteo Botti, mercante fiorentino, amico e familiare d'ogni persona virtuosa e massime de i pittori, tenuta da lui come reliquia per lo amore che egli porta all'arte e particularmente a Rafaello.

Né meno di lui stima l'opere dell'arte nostra e gli artefici il fratello suo Simon Botti che, oltra lo esser tenuto da tutti noi per uno de' piú amorevoli che faccino benefizio a gli uomini di queste professioni, è da me particulare tenuto e stimato per il migliore e maggiore amico che a lungo si possa con isperimenti provare, oltra al giudizio buono che egli ha e mostra nelle cose dell'arte. Ma per tornare a le stampe, il favorire il Baviera fu cagione che si destassi poi Marco da Ravenna et altri infiniti, talché le stampe in rame fecero, de la carestia loro, quella copia ch'al presente veggiamo.

Per che Ugo da Carpi che d'invenzione aveva il cervello in cose ingegnose e fantastiche, trovò le stampe di legno, che con tre stampe si possa il mezzo, il lume e l'ombra contrafare, le carte di chiaro oscuro, la quale certo fu cosa di bella e capricciosa invenzione e di questa ancora è poi venuta abbondanza.

Egli fece per il monasterio di Palermo detto Santa Maria dello Spasmo, de' frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che porta la croce, la quale è tenuta cosa maravigliosa, conoscendosi in quella la impietà de' crocifissori che lo conducevano a la morte a 'l Monte Calvario con grandissima rabbia, dove il Cristo, appassionatissimo nel tormento dello avvicinarsi alla morte, cascato in terra per il peso del legno della croce e bagnato di sudore e di sangue, si volta verso le Marie, che del dolore piangono dirottissimamente. Èvvi fra loro Veronica che stende le braccia | porgendoli un panno, con uno affetto di carità grandissima. Oltra che l'opera è piena di armati a cavallo et a piede, i quali sboccano fuora della porta di Gierusalemmo con gli stendardi della giustizia in mano, in attitudini varie e bellissime.

Questa tavola, finita de 'l tutto, ma non condotta ancora a 'l suo luogo, fu vicinissima a capitar male, con ciò sia che e' dicono che, essendo ella messa in mare per portarla in Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente che, cosí incassata come era, fu portata dal mare in quel di Genova; dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, percioché sino alla furia de' venti e l'onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera. Della quale, divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et appena che co' favori stessi del papa ella fusse renduta loro, satisfacendo prima e bene a chi la aveva salvata.

Rimbarcatala dunque di nuovo e condottola pure in Sicilia, la posero in Palermo, nel quale luogo ha piú fama e riputazione che 'l monte di Vulcano.

Mentre che Rafaello lavorava queste opere, le quali non poteva mancare di fare, avendo a servire per persone grandi e segnalate, oltra che ancora per qualche interesse particulare e' non potesse disdire, non restava però con tutto questo di seguitare l'ordine che egli aveva cominciato de le camere del papa e delle sale. Nelle quali del continuo teneva delle genti che con i disegni suoi medesimi gli tiravano innanzi l'opera, e continuo rivedendole sopperiva con tutti quelli aiuti migliori che egli piú poteva ad un peso cosí fatto.

Non passò dun|que molto che egli scoperse la camera di Torre Borgia, nella quale aveva fatto in ogni faccia una storia, due sopra le finestre e due altre in quelle libere.

Era in una lo Incendio di Borgo Vecchio di Roma, che non possendosi spegnere il fuoco, San Leone IIII si fa alla loggia di palazzo e con la benedizione lo estingue interamente: nella quale storia si vede diversi pericoli figurati, da una parte v'è femmine che dalla tempesta del vento, mentre elle portano acqua per ispegnere il fuoco con certi vasi in mano et in capo, sono aggirati loro i capegli et i panni con una furia terribilissima: oltre che molti si studiano a buttare acqua, i quali accecati dal fumo, non cognoscono se stessi.

Da l'altra parte v'è figurato, nel medesimo modo che Vergilio descrive che Anchise fu portato da Enea, un vecchio ammalato, fuor di sé per l'infermità e per le fiamme del fuoco; e vedesi nella figura del giovane l'animo e la forza et il patire di tutte le membra dal peso del vecchio abbandonato addosso a quel giovane.

Seguitalo una vecchia scalza e sfibbiata che viene fuggendo il fuoco et un fanciulletto gnudo, loro innanzi. Cosí da 'l sommo d'una rovina si vede una donna ignuda tutta rabbuffata la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo, che è campato da le fiamme e sta nella strada in punta di piede, a braccia tese per ricevere il fanciullo in fasce: dove non meno si conosce in lei l'affetto del veder di campare il figliuolo, che il patire di sé nel pericolo dello ardentissimo fuoco che la avvampa; né meno passione si scorge in colui che lo piglia, che si facci in lui il timore della morte. Né si può esprimere quello che si imaginò questo ingegnosissimo e mirabile artefice in una madre che, messosi i figlioli innanzi, scalza, sfibbiata, scinta e rabbaruffato il capo, con parte delle veste in mano, gli bat|te perché e' fugghino da la rovina e da quello incendio del fuoco. Oltre che vi sono ancor alcune femmine che, inginocchiate dinanzi al papa, pare che prieghino Sua Santità che faccia che tale incendio finisca.

L'altra storia è del medesimo San Leon IIII dove ha finto il porto di Ostia occupato da una armata di Turchi, che era venuta per farlo prigione.

Veggonvisi i Cristiani combattere in mare l'armata e già al porto esser venuti prigioni infiniti che d'una barca escano tirati da certi soldati per la barba con bellissime cere e bravissime attitudini, e con una differenza di abiti da galeotti sono menati innanzi a San Leone che è figurato e ritratto per Papa Leone X. Dove fece Sua Santità in pontificale, in mezzo del Cardinale Santa Maria in Portico, ciò è Bernardo Divizio da Bibbiena, e Giulio de' Medici Cardinale che fu poi Papa Clemente.

Né si può contare minutissimamente invero le belle avvertenze che usò questo ingegnosissimo artefice nelle arie de' prigioni, che senza lingua si conosce il dolore, la paura e la morte, come fa fede in tutta l'opera quel che si vede dipinto, fatto con arte e giudizio grandissimo.

Sono nelle altre due storie quando Papa Leone X sagra il Re cristianissimo Francesco I di Francia; cantando la messa in pontificale Sua Santità benedice gli olii per ugnerlo et insieme la corona reale. Dove oltra il numero de' cardinali e vescovi in pontificale che ministrano, vi ritrasse molti ambasciatori et altre persone ritratte di naturale, e cosí certe figure con abiti alla franzese usatisi in quel tempo. Nell'altra storia fece la coronazione del detto re, nella quale è il papa et esso Francesco ritratti di naturale, l'uno armato e l'altro pontificalmente. Oltra che tutti i cardinali, vescovi, camerieri, scudieri, cubicularii, sono in | pontificale a' loro luoghi a sedere ordinatamente come costuma la cappella, ritratti di naturale, come Giannozzo Pandolfini Vescovo di Troia, amicissimo di Rafaello e molti altri che furono segnalati in quel tempo.

E vicino al re è un putto ginocchioni che tiene la corona reale, che fu ritratto Ipolyto de' Medici, che fu poi cardinale e vicecancelliere, tanto pregiato et amicissimo non solo di questa virtú, ma di tutte le altre. Alle benignissime ossa del quale mi conosco molto obbligato, poiché il principio mio, quale egli si sia, ebbe origine da lui.

Non si può scrivere le minuzie delle cose di questo artefice, che invero ogni cosa nel suo silenzio par che favelli; oltra i basamenti fatti sotto a queste con varie figure di difensori e remuneratori della Chiesa, messi in mezzo da varii termini e condotto tutto d'una maniera, che ogni cosa mostra spirto et affetto e considerazione, con quella concordanzia et unione di colorito l'una con l'altra, che non si può imaginare non che fare.

E perché la volta di questa stanza era dipinta da Pietro Perugino suo maestro, Raffaello non la volse guastar per la memoria sua e per l'affezzione che egli gli portava, sendo stato principio del grado che egli teneva in tal virtú. Era tanta la grandezza di questo uomo che teneva disegnatori per tutta Italia, a Pozzuolo e fino in Grecia; né restò d'avere tutto quello che di buono per questa arte potesse giovare.

Per che seguitando egli ancora fece una sala, dove di terretta erano alcune figure di Apostoli et altri santi in tabernacoli; e per Giovanni da Udine suo discepolo, il quale per contrafare animali è unico e solo, fece in ciò tutti quegli animali che Papa Leone aveva, il cameleonte, i zibetti, le scimie, i papagalli, i lioni, i liofanti e gli altri animali stratti. Et inoltre che di grot|tesche e vari pavimenti egli tal palazzo abbellí assai, diede ancora disegno alle scale papali et alle logge cominciate bene da Bramante architettore, ma rimase imperfette per la morte di quello e seguite poi col nuovo disegno et architettura di Raffaello, che ne fece un modello di legname con maggiore ordine et ornamento che non aveva fatto Bramante.

Perché volendo Papa Leone mostrare la grandezza della magnificenzia e generosità sua, Raffaello fece i disegni degli ornamenti di stucchi e delle storie che vi si dipinsero e similmente de' partimenti; et allo stucco et alle grottesche fece capo di quella opera Giovanni da Udine, e per le figure Giulio Romano, ancora che poco vi lavorasse, cosí Gio<van> Francesco, il Bologna, Perin del Vaga, Pellegrino da Modona, Vincenzio da San Gimignano e Polidoro da Caravaggio, con molti altri pittori che feciono storie e figure et altre cose che scadevano per tutto quel lavoro.

Il quale fece egli finire con tanta perfezzione, che sino da Fiorenza fece condurre il pavimento da Luca della Robbia. Onde certamente non può per pitture, stucchi, ordine, invenzioni piú belle né farsi, né imaginarsi di fare. E fu cagione la bellezza di questo lavoro che Raffaello ebbe carico di tutte le cose di pittura et architettura che si facevano in palazzo.

Dicesi ch'era tanta la cortesia in Raffaello, che coloro che muravano, perché egli accomodasse gli amici suoi, non tirarono la muraglia tutta soda e continuata, ma lasciarono sopra le stanze vecchie da basso alcune aperture e vani da potervi riporre botti, vettine e legne, le quali buche e vani fecero indebilire i piedi della fabbrica sí, che è stato forza che si riempia da poi, perché tutta cominciava ad aprirsi. Egli fece fare a Gian Barile in tutte le porte e | palchi di legname cose d'intaglio, lavorate e finite con bella grazia.

Diede disegni d'architettura alla vigna del papa, et in Borgo a piú case e particularmente al palazzo di M<esser> Gio<van> Batista da l'Aquila, il quale fu cosa bellissima. Ne disegnò ancora uno al Vescovo di Troia, il quale lo fece fare in Fiorenza nella via di San Gallo. Fece a' monaci neri di San Sisto in Piacenza la tavola dello altar maggiore, dentrovi la Nostra Donna con San Sisto e Santa Barbara, cosa veramente rarissima e singulare. Fece in Francia molti quadri e particularmente per il re San Michele che combatte col Diavolo, tenuto cosa maravigliosa. Nella quale opera fece un sasso arsiccio per il centro della terra che fra le fessure di quello usciva fuori alcuna fiamma di fuoco e di solfo; et in Lucifero incotto et arso nelle membra con incarnazione di diverse tinte si scorgeva tutte le sorte della collera che la superbia invelenisce e gonfia contra chi opprime la grandezza di chi è privo di regno dove sia pace, e certo di avere a·pprovare continovamente pena. Il contrario si scorge nel San Michele, che ancora che e' sia fatto con aria celeste acompagnato dalle armi di ferro e di oro, gli dà bravura e forza e terrore, avendo già fatto cader Lucifero, e quello con una zagaglia abbatte a rovescio, senza che egli è dipinto d'una maniera che tanto quanto l'angelo getta splendore; tanto piú cresce e multiplica paura e tenebre guardando Lucifero, che l'uno e l'altro fu talmente fatto da lui che egli ne ebbe dal re onoratissimo premio. Ritrasse Beatrice Ferrarese et altre donne e particularmente quella sua et altre infinite.

Era Rafaello persona molto amorosa et affezzionata alle donne, e di continuo presto a i servigi loro.

La qual cosa era cagione che, continuando egli i diletti carnali, era con rispetto da' suoi grandissimi amici osservato, | per essere egli persona molto sicura. Onde facendogli Agostin Ghigi, amico suo caro, allora ricchissimo mercante sanese, dipignere nel palazzo suo la prima loggia, egli non poteva molto attendere a lavorare per lo amore che e' portava ad una sua donna; per il che Agostino si disperava di sorte, che per via d'altri e da sé, e di mezzi ancora, operò sí che appena ottenne che questa sua donna venne a stare con esso in casa continuamente, in quella parte dove Rafaello lavorava, il che fu cagione che il lavoro venisse a fine.

Fece in questa opera tutti i cartoni e molte figure colorí di sua mano in fresco.

E nella volta fece il concilio degli iddei in cielo; dove si veggono nelle loro forme abiti e lineamenti cavati da lo antico, con bellissima grazia e disegno espressi; e cosí fece le nozze di Psiche con ministri che servon Giove e le Grazie che spargono i fiori per la tavola; e ne' peducci della volta fece molte storie, fra le quali in una è Mercurio col flauto, che volando par che scenda da 'l cielo, et in un'altra è Giove con gravità celeste che bacia Ganimede; e cosí di sotto nell'altra il carro di Venere e le Grazie che con Mercurio tirano al ciel Pandora, e molte altre storie poetiche negli altri peducci. E negli spicchi della volta, sopra gl'archi fra peduccio e peduccio, sono molti putti che scortano bellissimi, che volando portano tutti gli strumenti de gli dèi: di Giove il fulmine e le saette, di Marte gli elmi, le spade e le targhe, di Vulcano i martelli, di Ercole la clava e la pelle del lione, di Mercurio il caduceo, di Pan la sampogna, di Vertunno i rastri della agricultura. Et a tutti ha fatto gli animali appropriati secondo gli dèi: pittura e poesia veramente bellissima.

Fecevi fare da Giovanni da Udine un ricinto intorno alle storie d'ogni sorte fiori, foglie e frutte in festoni divini. Fece | l'ordine delle architetture delle stalle de' Ghigi, et ancora nella chiesa di Santa Maria del Popolo l'ordine della cappella di Agostino sopradetto. La quale oltra il dipignerla, diede ordine che d'una maravigliosa sepoltura s'adornasse; dove a Lorenzetto scultor fiorentino fece lavorar due figure, che sono ancora in casa sua al Macello de' Corbi in Roma. Ma la morte di Rafaello e poi quella di Agostino fu cagione che tal cosa si desse a Sebastian Veniziano, che fino al presente la tiene coperta.

Era Rafaello dal nome e dall'opre tanto in grandezza venuto, che Leon X ordinò che egli cominciasse la sala grande di sopra, dove sono le vittorie di Gostantino, alla quale egli diede principio; e similmente venne volontà al papa di far panni d'arazzi ricchissimi d'oro e di seta in filaticci; per che Rafaello fece in propria forma e grandezza di tutti di sua mano i cartoni della medesima grandezza coloriti, i quali furono mandati in Fiandra a tessersi, e finiti vennero a Roma.

La quale opera fu tanto miracolosamente condotta che di gran maraviglia è il vedere come sia possibile avere sfilato i capegli e le barbe e dato morbidezza alle carni; opera certo piú tosto di miracolo che d'artificio umano, perché in essi sono acque, animali, casamenti e talmente ben fatti che non tessuti, ma paiono veramente fatti col pennello. Costò tale opra lxx mila scudi, e sono ancora conservati nella cappella papale.

Fece al Cardinale Colonna un S. Giovanni in tela, il quale portandogli per la bellezza sua grandissimo amore e trovandosi da una infirmità percosso, gli fu domandato in dono da M<esser> Iacopo da Carpi medico, che lo guarí; e per averne egli voglia, a se medesimo lo tolse parendogli aver seco obligo infinito et ora si ritrova in Fiorenza nelle mani di Francesco Benintendi. Dipinse a Giu|lio Cardinale de' Medici e vicecancelliere una tavola della Trasfigurazione di Cristo per mandare in Francia, la quale egli di sua mano, continuamente lavorando, ridusse ad ultima perfezzione. Nella quale storia figurò Cristo trasfigurato nel Monte Tabor et appiè di quello erano rimasti gli undici discepoli che lo aspettavano; dove si vede condotto un giovanetto spiritato acciò che Cristo sceso de 'l monte lo liberi, il quale giovanetto mentre che con attitudine scontorta si prostende gridando e stralunando gli occhi, mostra il suo patire dentro nella carne, nelle vene e ne' polsi contaminati dalla malignità dello spirto e con pallida incarnazione fa quel gesto forzato e pauroso. Questa figura fece egli sostenere da un vecchio che, abbracciatola e preso animo, fatto gli occhi tondi con la luce in mezzo, mostra con lo alzare le ciglia et increspar la fronte in un tempo medesimo e forza e paura. Pure mirando gli Apostoli fiso pare che sperando in loro, faccia animo a se stesso. Èvvi una femina fra molte, la quale è principale figura di quella tavola che inginocchiata dinanzi a quegli, voltando la testa loro et il tutto delle braccia verso lo spiritato, mostra la miseria di colui. Oltra che gli Apostoli chi ritto e chi a sedere, altri ginocchioni mostrano avere grandissima compassione di tanta disgrazia. E nel vero egli vi fece figure e teste, oltra la bellezza straordinaria, tanto di nuovo e di vario e di bello, che si fa giudizio commune de gli artefici che questa opera, fra tante quante egli ne fece, sia la piú celebrata, la piú bella e la piú divina.

Avvenga che chi vuol conoscere il mostrare in pittura Cristo trasfigurato alla divinità lo guardi in questa opera, nella quale egli lo fece sopra questo monte diminuito in una aria lucida con Mosè et Elia, che alluminati da una chiarezza di splendore | si fanno vivi nel lume suo. Sono prostrati in terra Pietro, Iacopo e Giovanni, in diverse e varie attitudini: che chi atterra col capo e chi con fare ombra a gli occhi con le mani si difendono da' raggi del sole e da la immensa luce dello splendore di Cristo; il quale vestito di color di neve et aprendo le braccia, con alzare la testa a 'l Padre, pare che mostri la essenzia della deità di tutte tre le Persone unitamente ristrette nella perfezzione della arte di Rafaello. Il quale pare che tanto si ristrignesse insieme con la virtú sua, per mostrare lo sforzo et il valor dell'arte nel volto di Cristo, che finitolo, come ultima cosa che a ·ffare avesse, non toccò piú pennelli, sopragiugnendoli la morte.

Aveva Rafaello stretta e domestica amicizia con Bernardo Divizio Cardinale di Bibbiena, il quale per le qualità sue molto l'amava, e però lo infestava già molti anni per dargli moglie, et egli non la recusava, ma diceva volere ancora aspettare quattro anni. Laonde lasciò il cardinale passare il tempo e ricordollo a Rafaello, che già non se lo aspettava, et egli vedendosi obligato, come cortese non volle mancare della parola sua e cosí accettò per donna la nipote di esso cardinale. E perché sempre fu malissimo contento di questo laccio, andava mettendo tempo in mezzo, sí che molti mesi passarono, che 'l matrimonio non s'era ancora consumato per Rafaello.

E ciò faceva egli non senza onorato proposito, perché, avendo tanti anni servito la corte et essendo creditore di Leone di buona somma, gli era stato dato indizio che alla fine della sala, che per lui si faceva, in ricompensa delle fatiche e delle virtú sue, il papa gli avrebbe dato un cappello rosso, che già infinito numero il papa aveva deliberato far cardinali, e persone manco degne di lui. Però egli di nuovo in luogo im|portante andava di nascosto a' suoi amori. E cosí continuando fuor di modo i piaceri amorosi, avvenne ch'una volta fra l'altre disordinò piú del solito, perché a casa se ne tornò con una grandissima febbre e fu creduto da' medici che fosse riscaldato. Onde non confessando egli quel disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue; di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove egli aveva bisogno di ristoro.

Per il che fece testamento e prima come cristiano mandò l'amata sua fuor di casa e le lasciò modo di vivere onestamente; e divise le cose sue fra' discepoli suoi, Giulio Romano, il quale sempre amò molto, Giovan Francesco Fiorentino detto il Fattore, et un non so chi prete da Urbino suo parente.

Ordinò poi che de le sue facultà in Santa Maria Ritonda si restaurasse un tabernacolo di quegli antichi di pietre nuove et uno altare si facesse con una statua di Nostra Donna di marmo, la quale per sua sepoltura e riposo dopo la morte s'elesse; e lasciò ogni suo avere a Giulio e Giovan Francesco, faccendo essecutore M<esser> Baldassarre da Pescia, allora datario del papa.

Poi confesso e contrito finí il corso della sua vita il giorno medesimo ch'e' nacque, che fu il Venerdí Santo d'anni xxxvii, l'anima del quale è da credere che come di sue virtú ha imbellito il mondo, cosí abbia di se medesima adorno il cielo.

Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de' Medici, la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava. La quale tavola per la perdita di Rafaello fu messa dal cardinale a San Pietro a Montorio allo altar maggiore; e fu poi sempre per la rarità d'ogni suo gesto in gran pregio tenuta.

Fu da|ta al corpo suo quella onorata sepoltura che tanto nobile spirito aveva meritato, perché non fu nessuno artefice che dolendosi non piagnesse et insieme alla sepoltura non l'accompagnasse.

Dolse ancora sommamente la morte sua a tutta la corte del papa, prima per avere egli avuto in vita uno officio di cubiculario et appresso per essere stato sí caro al papa che la sua morte amaramente lo fece piagnere.

O felice e beata anima, da che ogn'uomo volentieri ragiona di te e celebra i gesti tuoi et ammira ogni tuo disegno lasciato! Ben poteva la pittura, quando questo nobile artefice morí, morire anche ella che quando egli gli occhi chiuse, ella quasi cieca rimase.

Ora a noi che dopo lui siamo, resta imitare il buono, anzi ottimo modo, da lui lasciatoci in esempio e come merita la virtú sua e l'obligo nostro, tenerne nell'animo graziosissimo ricordo e farne con la lingua sempre onoratissima memoria. Che invero noi abbiamo per lui l'arte, i colori e la invenzione unitamente ridotti a quella fine e perfezzione che appena si poteva sperare, né di passar lui già mai si pensi spirito alcuno. Et oltre a questo beneficio che e' fece all'arte, come amico di quella, non restò vivendo mostrarci come si negozia con li uomini grandi, co' mediocri e con gl'infimi.

E certo fra le sue doti singulari ne scorgo una di tal valore che in me stesso stupisco: che il cielo gli dette forza di poter mostrare ne l'arte nostra uno effetto sí contrario alle complessioni di noi pittori.

E questo è che naturalmente gli artefici nostri, non dico solo i bassi, ma quelli che hanno umore d'esser grandi (come di questo umore l'arte ne produce infiniti), lavorando ne l'opere in compagnia di Rafaello stavano uniti e di concordia tale, che tutti i mali umori nel veder lui si amorzavano et ogni vile e basso pensiero cadeva loro di | mente. La quale unione mai non fu piú in altro tempo che nel suo.

Questo avveniva perché restavano vinti dalla cortesia e dall'arte sua, ma piú dal genio della sua buona natura.

La quale era sí piena di gentilezza e sí colma di carità, che egli si vedeva che fino agli animali l'onoravano, nonché gli uomini. Dicesi che ogni pittore che conosciuto l'avessi, et anche chi non lo avesse conosciuto, lo avessi richiesto di qualche disegno che gli bisognasse, egli lasciava l'opera sua per sovvenirlo. E sempre tenne infiniti in opera aiutandoli et insegnandoli con quello amore che non ad artefici, ma a figliuoli proprii si conveniva.

Per la qual cagione si vedeva che non andava mai a corte che partendo di casa non avesse seco cinquanta pittori tutti valenti e buoni che gli facevono compagnia per onorarlo. Egli insomma non visse da pittore, ma da principe. Per il che, o Arte della pittura, tu pur ti potevi allora stimare felicissima avendo un tuo artefice che di virtú e di costumi t'alzava sopra il cielo!

Beata veramente ti potevi chiamare, da che per l'orme di tale uomo hanno pur visto gli allievi tuoi come si vive e che importi l'avere accompagnato insieme arte e virtute; le quali in Rafaello congiunte, potettero sforzare la grandezza di Giulio II e la generosità di Leone X nel sommo grado e degnità che egli erono a farselo familiarissimo et usarli ogni sorte di liberalità, talché poté co 'l favore e con le facultà che gli diedero fare a sé et a l'arte grandissimo onore. Beato ancora si può dire chi stando a' suoi servigi sotto lui operò, perché ritrovo ognuno che lo imitò essersi a onesto porto ridotto e cosí quegli che imiteranno le sue fatiche nell'arte saranno onorati dal mondo, e ne' costumi santi lui somigliando remunerati dal cielo. Ebbe Rafaello dal Bembo questo epitaffio: |

 

D<ATVR> O<MNIBVS> M<ORI>

RAPHAELI SANCTIO IOAN<NIS> F<ILIO> VRBINAT<I> PICTORI EMINENTISS<IMO> VETERVMQVE EMVLO CVIVS SPIRANTEIS PROPE IMAGINEIS SI CONTEMPLERE NATVRAE ATQVE ARTIS FOEDVS FACILE INSPEXERIS. IVLII II ET LEONIS X PONT<IFICVM> MAX<IMORVM> PICTVRAE ET ARCHITECT<VRAE> OPERIBVS GLORIAM AVXIT. V<IXIT> A<NNOS> XXXVII INTEGER INTEGROS. QVO DIE NATVS EST, EO ESSE DESIIT VIII ID<VS> APRIL<ES> MDXX.

 

ILLE HIC EST RAPHAEL, TIMVIT QVO SOSPITE VINCI

RERVM MAGNA PARENS, ET MORIENTE MORI.

 

Et il conte Baldassarre Castiglione scrisse de la sua morte in questa maniera:

 

Quod lacerum corpus medica sanaverit arte,

Hippolytum Stigiis et revocarit aquis,

Ad Stygias ipse est raptus Epidaurius undas;

Sic precium vitae mors fuit artifici.

Tu quoque, dum toto laniatam corpore Romam

Componis miro, Raphael, ingenio

Atque Urbis lacerum ferro, igni annisque cadaver

Ad vitam antiquum iam revocasque decus,

Movisti superum, invidiam indignataq<ue> Mors est,

Te dudum extinctis reddere posse animam

Et quod longa dies paulatim aboleverat, hoc te

Mortali spreta lege parare iterum.

Sic miser heu prima cadis intercepte iuventa,

Deberi et morti nostraque nosque mones. |


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/2005 22.27

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