TRE CROCI
di Federigo Tozzi
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CAPITOLO IV Il cavaliere
Orazio Nicchioli, assessore comunale e capo di parecchie congregazioni di carità, era
sicuro di trovare sempre la stessa accoglienza deferente. Entrava con un'aria di
bonarietà affettuosa, procurando di non far sentire che egli si considerava il padrone
della libreria; e voleva bene da vero a tutti e tre i fratelli. Aveva una bocca
da bambino, e l'arricciava sempre. Guardava, abbassando la testa, da sopra le lenti. Il giorno dopo
che i due fratelli avevano pianto, domandò sottovoce a Giulio perché non sentisse
Niccolò: - Come vanno le
cose? Giulio
arrossì, e gli rispose: - Non cambiano. - Ma... niente
di peggio? - No, no! Niccolò
aspettava che gli rivolgesse per primo la parola, e con lui era quasi umile. Gli chiese: - A me non
parla? - Perché
dovrei fare una differenza tra lei e Giulio? Lei se ne sta sempre rincantucciato in
codesta sedia! Povero signor Niccolò! - Qui ci sto
meglio che in tutti gli altri posti. Quasi
involontariamente, gli venne da scherzare anche con lui; ma sorrise e basta. Giulio,
invece, si sentiva un poco sconvolto; e doveva stare attento di non perdere la testa.
Sarebbe andato via volentieri, per fare a meno di parlargli; come quando trovava il
pretesto magari d'andare a comprarsi un francobollo, ed esciva trattenendosi fuori più
che poteva. O come Enrico che fingeva d'avere un sacco di faccende, svignandosela subito;
sebbene Niccolò non gliela perdonasse. Ma il Nicchioli
doventava, qualche volta, così affettuoso che essi non sapevano più che contegno tenere.
E Niccolò disse: - Giulio,
dàgli una sedia! - La prendo da
me. - Non ci
mancherebbe altro! Piuttosto, le do la mia. Ma nondimeno
non si alzò; seguitando a dire: - Siccome lei
ci fa sempre il piacere di venirci a trovare, sia tanto buono di trattenersi quanto vuole. Il cavaliere,
allora, s'intenerì; ed essi, avvedendosene, cercarono di dirgli cose gradite: - Come sta sua
moglie? - Sta bene:
grazie. - E il bambino? - Ingrassa
sempre più. - Che bel
bambino! Il cavaliere
n'era tanto orgoglioso che non trovava né meno più le parole per lodarlo a modo suo: - È...
veramente... un prodigio! Bello... forte... Come devo dire?... Robusto... ben fatto... i
piedini... le manine... Intelligente!... Capisce più di noi!... Basta fargli... psi...
psi... si volta subito... E ha quattordici mesi precisi... L'ha compiuti tre giorni fa...
È la mia consolazione!... Niccolò
cominciava ad aver voglia di ridere, ma fece finta di starnutire. Il cavaliere
disse a Giulio: - Venga con me:
facciamo una passeggiata insieme. Così, ne parliamo un poco! Giulio, non
potendo rifiutare, si mise il tubino e rispose: - Vengo subito! - Io parlo
volentieri soltanto di lui. Per me, al mondo non c'è altro. Niccolò gli
faceva cenno di sì con la testa. Andarono fino a
Porta Camollia e poi in Pescaia, per rientrare in città da Fontebranda. La strada di
Pescaia cala girando sotto una poggiaia dirupata e sterposa, sempre più alta; e Siena si
ritira e si nasconde sempre di più dietro ad essa. La campagna, a destra, divalla dentro
un collineto lunghissimo e avvignato. Al Madonnino Scapato, si scopre soltanto San
Domenico; massiccio e rosso, su un rialzo che sporge. Il cielo era tinto di una nebbiolina
rosea; e il Monistero, su un'altura più ritta e più lontana, pareva dello stesso rosso,
con due cipressi accanto; scuricci e acuminati. Un torrente affossato, strosciando giù
per le gorate, veniva dalla sua collina fino alla strada, tra un arruffio tremolante di
pioppi storti e arrembati; impolloniti. Accanto ai pioppi, c'era l'erba di un verde così
forte e fresco che il Nicchioli smise di parlare del suo bambino, per dire a Giulio: - Questi campi
li baratterei volentieri con i miei di Monteriggioni. Ma si riprese
subito, e non dette tempo al libraio di rispondere. Egli aveva raccontato, benché non
fosse la prima volta, quanti medici avevano assistito la sua moglie partoriente; tutto
quel che era accaduto, con i pericoli ed i rimedii. Poi, quante balie aveva dovuto
provare, prima di azzeccarne una che avesse latte sufficiente. Ora, era giunto
all'infiammazione delle gengive per i denti che cominciavano a spuntare. Cavò di tasca un
libretto foderato di cartone bianco, con i margini dorati; e disse: - Vede: io, per
non dimenticare niente, segno tutto qui. Il bambino non piange mai... né meno la notte...
ma quando lo sentimmo piangere... mia moglie, sensibile e nervosa com'è... si allarmò
subito... perché a nessuno dei due era venuto in mente che poteva trattarsi dei denti...
mandammo, immediatamente, le dico immediatamente, a chiamare il medico di casa... che, per
dire la verità, a suo onore... venne subito... in carrozza... È uno dei pochi medici
scrupolosi, dei quali ci si possa fidare... Io non ne chiamerei mai un altro... Badi,
m'ero scordato di dirle... che il bambino aveva la febbre... In casa avevamo già perso la
testa... chi correva di qua... chi di là... Era venuta anche la mia suocera, che voleva
mettere le mignatte... Ma io non volli... sebbene sia un rimedio che non mi dispiaccia...
Mia moglie piangeva... Le lascio immaginare tutto il rimanente!... E siccome egli
temeva che Giulio si distraesse, lo costringeva sempre a guardarlo negli occhi come faceva
lui. Quando
tornarono alla libreria, Giulio non ne poteva più. E il cavaliere disse a Niccolò: - Abbiamo fatto
una magnifica passeggiata. Lo domandi a suo fratello. - Lo credo; se
me lo dice lei! - Ma ne faremo,
presto, un'altra! E verrà lei con me, Niccolò! - Io a piedi
non posso camminare. - E perché? Se
cammino perfino io! Giulio disse: - Noi abbiamo
tutti e tre la gotta, come lei sa! - È una cosa
che fa vergogna. Mi permettano di dirlo francamente... Ah, se l'avessi io... - Che cosa
farebbe? Ma il cavaliere
non seppe quel che rispondere; e restò male, a pensarci. Dopo cinque minuti, riprese: - Se l'avessi
io... vorrei guarire! Ah, non potrei sopportarla! E fissò in
viso i due fratelli; che si affrettarono a farsi vedere convinti. Ma Giulio aveva
paura che il Nicchioli volesse farli parlare parecchio per conoscere meglio il loro animo.
E, siccome si riteneva più colpevole degli altri, gli pareva che il Nicchioli già
sospettasse. E tutte le volte che egli entrava in bottega, si sentiva già perso e
chiudeva gli occhi. Anche Niccolò aveva paura, ma cercava di pensare ad altro; perché lo
pigliava una specie d'immobilità. E, allora, sbagliava anche a rispondere; come se fosse
stato sordo e non capisse. Gli saliva il sangue alla testa; e, se il cavaliere si
tratteneva molto, stava male tutta la giornata. Giulio, a lungo
andare, aveva perso la salute; e dimagrava; benché, ormai, il suo carattere non potesse
più cambiarsi. Una volta era stato di modi distinti, quasi signorili; ed ora si
rassegnava male a portare sempre lo stesso vestito blu; lustro e magagnato. Il Nicchioli li
ammonì: - È inutile
che ve lo ridica, mi pare: se il denaro dei vostri incassi fosse poco, me lo dovete
avvertire. Badate che io, in contraccambio del favore che vi ho fatto, non esigo da voi
altra sincerità... Voi capite che anch'io... benché possa essere... fino a un certo
punto... un signore... devo sapere come... si trova il mio denaro. Niccolò andò
a cambiare di posto a una fila di libri; spolverandoli con un gomito. Ma anche Giulio
stette zitto. Il cavaliere si meravigliò un poco; e, credendo d'averli offesi, seguitò: - Badiamo che
io... vi parlo così.. perché vi sono amico... ve ne do la prova... Non mi crediate
cattivo o... pentito della firma messa... Vi ho detto che... a farmi restituire ciò che
è mio... non ho nessuna fretta... Io so che voi siete buoni e leali... come me... Mi
vergognerei a sospettare... Non mi sbalùgina né meno per la mente! Giulio lo
avrebbe supplicato di smettere; e Niccolò ficcava all'incontrario i libri nello scaffale,
che era anche troppo corto. Passava tutto
il reggimento, e si sentivano soltanto i passi cadenzati. Involontariamente, tutti e tre
si voltarono ai vetri della porta; sempre con lo stesso stato d'animo, che si faceva anzi
più intenso. All'improvviso, la banda attaccò, con tutti gli strumenti, una marcia. I
vetri tremarono; e tutti e tre si riscossero. Essi ascoltavano; e i loro sentimenti
parevano aumentare, benché in contrasto con la musica sgargiante; come stupefatti. Quando si fu
allontanata, essi si sentirono un'altra volta insieme, allo stesso punto, con l'animo
sospeso. Il Nicchioli aspettò un poco, e poi riprese: - Vedete come
siete voi?... Io sono differente... non per vantarmene... Niccolò disse
con la sua voce robusta, che faceva subito credere: - Se lei vuole,
noi restituiremo il suo denaro dentro due mesi! Al Nicchioli
questa risposta dispiacque, perché credette di avere irritato il loro amor proprio. - Lei prende le
cose sempre per il peggio! Giulio, con una
dolcezza che gli repugnava, disse: - Il cavaliere
non intendeva dire questo! Con te non si puo mai parlare! Lo scusi, perché né meno lui
sa quello che si dica! Doventa irresponsabile. Il Nicchioli fu
soddisfatto, e disse: - Nessuno...
più di me... conosce la vostra onestà... nessuno, più di me... vi stima. E non vi
basta!... Ci conosciamo fino da ragazzi... e sarei pronto a restare per voi senza pane...
se non avessi famiglia! Io vi chiedo soltanto di trattarmi... da amico... perché non
credo che possiate lamentarvi di me. Niccolò
riescì a ridere e gli disse: - Lo sa come io
sono lunatico! Ma il cavaliere
non s'era ancora sfogato, e Giulio dovette ascoltarlo per quasi una mezz'ora. Quando se ne
andò, Giulio disse: - Oh,
finalmente respiriamo! Niccolò
propose: - E se gli
dicessimo della cambiale falsa? Io scommetto che la pagherebbe! È così benefico! Non hai
sentito come parla? - E che importa
se parla in quel modo? Non bisogna approfittarne; e, forse, né meno credergli. - Tu non vuoi
mai tentare! - Perché sono
sicuro di quello che succederebbe! - Giulino, dai
retta a me! Ti dico che pagherebbe la cambiale! Dammi retta, almeno una volta! - Vuoi
assumerti tu la responsabilità di dirglielo? - Io? Io,
finché non se ne accorge, non gli dico niente. Enrico,
zoppicando per la gotta, aprì l'uscio. - Son venuto a
prendere una ventina di lire per il pesce! M'hanno detto che al mercato c'è una palomba
bianca come il sale, e una cesta d'anguille ancora vive! - Allora, hai
fatto bene a tornare! Ma, un'altra volta, se ci lasci soli quand'entra il cavaliere, ti
giuro che a casa non ti ci voglio più. Ma siccome
Giulio rideva, Enrico capì che non c'era pericolo di leticare. E disse: - Che vi ha
detto? Non capisco perché tutti i giorni si zeppi qui, come se la nostra libreria fosse
il suo confessionale! È un'indecenza. Quando la gente può stare tutto il giorno senza
fare nulla, cerca di passare le ore con le chiacchiere! Io, ora, se mi date i soldi, vado
a comprare il pesce. Ci vado da me, perché lo voglio scegliere. Suderò come un ciuco, a
portarlo fin su a casa. - Fallo portare
dal pesciaiolo! - No, no: non
mi fido. Ti ricordi quando ci barattò le triglie che puzzavano, e io le avevo scelte, a
una a una, fresche? Non c'è da fidarsi! Datemi i denari; se no, c'è caso che lo compri
qualche trattore o qualche signore. Giulio cavò
dal portafogli venti lire. Ed Enrico, prendendole come se fosse riescito a truffarle,
disse: - Il cavaliere
parla sempre di quel bambino, che crede suo! Più imbecille di lui, non c'è nessuno. E tutti e tre
fecero una risata. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 17/07/2005 14.03