TRE CROCI
di Federigo Tozzi
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a Luigi
Pirandello CAPITOLO III Dopo mangiato,
Niccolò era sempre disposto all'allegria, ma così volubilmente che ingiuriava chiunque
gli diceva una parola più di quelle che volesse ascoltare. Giulio, invece,
durante tutto il chilo, faceva ripetizione alle nipoti; ed Enrico andava a dormire per un
paio d'ore. Niccolò disse: - Non mi
parlate, perché vado in bestia! Mi fate rodere dalla rabbia! Mi sentivo così allegro,
invece! Lasciatemi: sto bene solo, a parlare con me stesso. Io solo m'intendo! Poi escì
camminando lentamente e strenfiando; quasi sudando, benché fosse d'ottobre. Gli era
venuta la gotta, come agli altri fratelli; e, da quanto aveva impippiato, moveva a pena le
gambe. Per la strada,
fingeva di fare il viso da ridere; e se qualcuno, allora, si preparava a fargli
altrettanto, egli lesto si scansava e mostravasi arcigno; quasi offeso. Tornato dalla
passeggiata alla Lizza, che gli bastava per fumare tutto il sigaro, trovò in bottega un
suo amico, Vittorio Corsali, che era agente d'una compagnia d'assicurazioni. - Oh, oggi, non
voglio discorrere troppo! Mi fa fatica! - Non so come
faccio a darti fastidio se non ho aperto bocca da quando sei venuto! - Non importa!
A me le persone danno fastidio anche se stanno zitte! - Ma io, come
dicevo a tuo fratello Giulio, ero venuto per proporti un buon affare! - Non ho voglia
di affari! Parlane con lui. Ma quando non ci sono io, perché oggi non posso sopportare
né meno una mosca che vola. E si mise a
ridere, come per fare una bravata da smargiasso. Era un riso violento, sensuale e acre. Il
Corsali disse a Giulio: - Aspetterò
che gli passi! Niccolò,
allora, fu preso dal furore: - E io ti dico
che non devi parlarmi! Hai capito? Io ti prendo per il collo, e ti metto fuori di bottega! Egli respirava
forte, mordendosi le mani. Il Corsali, che
era per aversene a male, quantunque Giulio gli facesse cenno che non lo prendesse sul
serio, allungò un passo verso la porta, per andarsene. Niccolò gli
fece, a pena voltato, una risata così spontanea e gioconda, che quegli restò stupefatto. - Non ti eri
accorto che celiavo? - Non è questo
il modo di trattare gli amici. Ma Niccolò non
voleva sentirselo dire; e ridoventò minaccioso e provocante. Vittorio
Corsali era magro, senza capelli e i baffi bianchi. Quando parlava, gli si vedevano i
denti; e tutta la testa pareva, all'incirca, un cranio di volpe. Giulio domandò al
fratello: - Quando è che
ti senti disposto ad ascoltarlo? Ci farai il piacere di dircelo. - Tutte le
volte che vuoi, meno che oggi. - Ma domani io
vado con il calesse a Radicondoli, per affari della mia compagnia d'assicurazioni. E là,
dal piovano, ho visto un crocifisso d'argento... Niccolò, che
cominciava ad ascoltare, si volse con veemenza: - Lo vende? - È quello che
volevo dirti! Niccolò pareva
adirato e come se avesse da leticare: - Sei sicuro
che mi piacerà? - Io credo. - Tu non
capisci niente: non mi fido. - Lo so che tu
mi ritieni uno sciocco! Giulio chiese: - Quanto
pretende? È avaro? - Ci vogliono,
a quel che ho capito, due fogli da cento. Niccolò
fremeva: - Digli al
prete che se lo ficchi in gola! Non fa per me. Io compro da quelli che non sanno vendere.
Se capita nella libreria, lo prendo a pedate. Diglielo! Dio ne guardi, se mi viene a
cercare! E spalancò la
bocca, come se avesse voluto morderlo. Poi, sorridendo, si racchetò. Si mise disteso su
la sedia, guardando ora il fratello e ora l'amico, con gli occhi luccicanti di godimento;
stimolandoli a ridere. Aveva in tutto il viso una ilarità così piacevole, che anche gli
altri la sentirono subito. Ma quando Niccolò li vide così cambiarsi, disse con rammarico
afflitto e brusco: - Non mi
parlate! Poi, come se il
Corsali non ci fosse, si mise a parlare con il fratello: - Hai mandato
quelle fatture? - Devo metterle
dentro le buste. - O che
aspetti? - In giornata
ci penserò. - Hai segnato
bene tutto? - Ho ricopiato
dal libro. - Con le date? - Con le date. - Vorrei sapere
perché non pagano! - I signori
vogliono fare il loro comodo. Niccolò
picchiò con l'anello del mignolo su la cassapanca; poi, disse, sbadigliando: - Mi duole la
testa: m'ha fatto male quell'intingolo troppo impepato. - Sei tu che lo
vuoi così! - Stasera, c'è
il pollo? - Credo. - Se no, vado a
mangiare a qualche trattoria. - Ci puoi
andare: nessuno te lo proibisce. Non è la prima volta. - E tu che
mangi, Vittorio? - Io? Io mangio
quel che trovo: minestra magari come la broscia, lesso, e poi, se c'è, un cirindello di
cacio quanto basterebbe per metterlo nella trappola a un topo. Niccolò fece
una risata, e disse: - Io vorrei
trovarmi la tacchina; per domani. Ci credi che il lesso io non lo potrei né meno mettere
in bocca per biascicarlo? Egli era gaio e
festoso; e si mise a raccontare una delle sue barzellette. Ne sapeva sempre nuove; e
allora rideva anche con lo stomaco, sussultando: - Questa è
bella da vero! Trovatene un altro che le scovi come me! Anche Giulio
rideva, ma a gola chiusa. Niccolò seguitò: - Dio, come
rido! Mi vengono perfino le lacrime agli occhi! Mi fa perfino male! Stanotte, la mia
moglie s'è destata e m'ha detto: o che hai da ridere? Perché mi ricordavo sognando di
quella che dissi l'altro giorno. Ripetila anche a lui, Giulio! Le mie facezie bisognerebbe
stamparle. Ma divenne
serio, perché Enrico entrava in bottega. Era ancora assonnato e intontito; camminava
tutto dinoccolato e cozzò nel banco dov'era lo scaffale dei libri. - Oh, non ci
vedo! Ho dormito male: c'era, sotto le finestre, il marmista che faceva un chiasso, con
certi tonfi! Quando si sa che c'è uno a dormire, dovrebbero avere più riguardo! Pareva
che facesse a posta! Vorrei sapere che bisogno avesse di sbatacchiare! - Gli sarà
arrivato il marmo! - Eh, ma si
tratta di educazione! Non ci sta mica lui solo nella casa! Che m'importa del suo marmo?
Sarebbe lo stesso che importasse a me delle sue corna! La moglie glie le fa tutti i
giorni. Lo dicono! - E a lui che
importava se tu volevi dormire? - Che discorsi
mi fate? Dei due, domandiamolo a chi volete, la ragione l'ho io. Io ci scommetto quel che
volete: qualunque gentiluomo darebbe ragione a me. Perché, se io dormo, lui può lavorare
lo stesso; mentre io mi son dovuto destare. Quando sono sceso, volevo leticarci. Ma,
un'altra volta, non starò zitto. Sono troppo buono! E tu perché ti sei succhiata tutta
la bottiglia del cognacche? Niccolò
rispose: - Compratene
una per te. - Certo! Da qui
in avanti, farò così! Anche se tra fratelli ci si tratta a questo modo! Io credevo di
trovarcene almeno un bicchierino! - E hai bevuto
l'acqua? - L'acqua?
Vorrei mi schizzassero via gli occhi, se io ne ho messo mai in bocca una gocciola. Con
quella mi ci netto il codrione. Egli, quando
s'arrabbiava, aveva la voce di cattivo; e seguitò: - Me lo dite
per offendermi; ma io so tenervi al posto! Perché mi avete domandato se ho bevuto
l'acqua? O che tra fratelli non ci si deve portare rispetto? Non è vero, Vittorio? Se me
lo ripetono un'altra volta, questiono per da vero. Perché io sono permaloso. E, poi, per
le cose giuste! Niccolò gli
chiese: - Perché non
vai nella tua legatoria? - Io faccio il
mio comodo. Ne ho diritto quanto te. I libri non si rilegano mica con la mia pelle! Se
avete voglia di questionare, io sono sempre pronto; anche se siete in due contro di me. Giulio lo
guardò meravigliato e rispose: - Mi sembra che
noi ti lasciamo spifferare tutto quel che vuoi. - Per forza! Ho
ragione! - Io non ti
dico di no. - E, allora,
perché volete insistere? - Ti dico che
io non ho nessuna voglia di alzare la voce. - Tu, no; ma
Niccolò, sì. Allora,
Niccolò disse a Giulio: - Consiglialo
che se ne vada! E prese in mano
un vaso antico. - E tu, per
rompermi la testa, sciuperesti codesto vaso? Io adopro le mani! Fagli posare il vaso! Non
mica perché io abbia paura, ma perché la roba di bottega la deve tenere di conto! È
d'una terraglia che si scheggia a guardarla. E, poi, badate com'ha ammaccato con i piedi
la cassapanca! Sei un lezzone e uno sciupone. Vittorio, che
aveva voglia di ridere, disse: - Fatemi il
piacere di smettere, tutti e due. È vergogna, tra fratelli. O non vi volete bene? Enrico rispose: - Lui no: mi
farebbe a pezzetti se potesse! Giulio disse: - Non è vero! - Tu lo scusi
sempre, ma è così. Fagli posare il vaso. Non vuol dare mica retta! Non lo vuoi posare?
Me ne vado io! Accidenti a quando sono venuto! Dette
un'occhiata stizzosa anche allo scaffale dei libri, ed escì. Allora,
Niccolò disse: - Bisogna
metterci riparo! Deve smettere! - Ma sei anche
tu che non lo sai prendere! - Io vorrei che
morisse. Il Corsali
chiese: - E perché? - Il perché lo
so io! Non mi fate parlare! Se fossimo io e Giulio soli, le cose non ci andrebbero come ci
vanno! È tanto tempo che desidero d'essere io e Giulio soltanto! - Ma ormai,
c'è anche lui; ed è bene che ci resti fino a quando... Il Corsali non
capì a che alludesse; ma Niccolò gli tagliò lo stesso le parole, tremando tutto: - Zitto! Giulio capì
che poteva commettere un'imprudenza. E il Corsali, accortosene, disse perché fossero
tranquilli: - I fatti
vostri non li voglio conoscere. Io vengo qui da amico; e potete essere sicuri che non sono
né un pettegolo né un maligno. Giulio, allora,
si riprese: - È Niccolò
che fa immaginare non si sa che; con le sue gaglioffate. Niccolò,
picchiando le ginocchia insieme, esclamò: - Zitto, ti
dico! - Che cosa ho
detto? - Zitto, zitto! E si turò la
bocca con una mano. Il Corsali
s'era incuriosito, ma ormai capì che di più non avrebbero sciorinato. - Se avete
paura di me, io vi lascio. Niccolò gli
gridò: - No: voglio
che tu resti! Giulio
arrossiva come una giovinetta imbarazzata. Il Corsali disse: - Pochi minuti
fa, eravate così allegri! Niccolò gli
gridò più forte: - Io allegro?
Questa è la più grande calunnia che mi si possa inventare! Io non rido mai! Mai, hai
capito? - Perché non
te ne ricordi! - Basta! Basta!
Basta! Se lo dico io che non rido! Giulio fece
cenno al Corsali che se ne andasse. E, quando se ne fu andato, Niccolò si mise a
singhiozzare. - E, ora,
perché piangi? - Non ne posso
più! Allora anche
Giulio, che lo guardava, in piedi, da dietro la scrivania, sentì gli occhi empirsi di
lacrime bollenti; che lo accecavano. E non ebbero il
coraggio di guardarsi ancora. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 17/07/2005 14.02