16. Il figlio di
Suyodhana
No, le ultime tigri di Mompracem non erano vinte
ancora, però potevano esserlo ben presto, non sapendo
più dove rifornirsi del combustibile così necessario a
loro, quanto e forse più della polvere da sparo.
Il carbone diminuiva a vista d'occhio ed i pozzi
erano quasi vuoti e nessuna speranza si offriva
d'incontrare qualche nave. Era necessario prendere una
decisione suprema, e fu subito presa da Sandokan e da
Yanez, d'accordo con Tremal-Naik e coll'ingegnere
americano.
Fu deliberato di raggiungere senza indugio l'isola di
Gaya, dove si erano raccolti i prahos in attesa della
fine della guerra, non già che colà potessero sperare
di trovare del combustibile, ma per aver almeno, nel
momento supremo, l'appoggio di quei velieri e nel
medesimo tempo per inviarne alcuni a Bruni a far carico.
Trattandosi di piccoli legni mercantili, che potevano
inalberare qualsiasi bandiera, nessuno avrebbe potuto
sollevare ostacoli se avessero chiesto d'imbarcare del
carbone.
La questione consisteva nel poter raggiungere
quell'isola, lontana più di quattrocento miglia, prima
che la squadra alleata che doveva ormai aver abbandonate
definitivamente le acque di Sarawak, piombasse sul Re
del Mare e lo sorprendesse coi fuochi semispenti,
obbligandolo ad accettare la lotta contro forze
enormemente superiori.
Pel momento non pareva che quel gran pericolo lo
minacciasse perchè al mattino, da un giong che veniva
dal sud, avevano avuto l'assicurazione che nessuna nave
da guerra era stata veduta nelle acque di Labuan, nè in
quelle di Bruni.
Il Re del Mare, appena terminato quel breve
consiglio, fu subito diretto verso il nord-est, in modo
da passare molto lontano anche da Mompracem e di tenersi
a ponente dei due grandi banchi di Samarang e di Vernon.
Per economizzare più che era possibile il carbone,
erano stati spenti mezzi forni, sicchè l'incrociatore
non s'avanzava più che colla velocità di appena sei
nodi all'ora.
Sandokan, più che Yanez, era diventato nervosissimo,
di pessimo umore.
Lo si vedeva passare delle lunghe ore sulla
passerella di comando, scrutare ansiosamente
l'orizzonte, in preda ad una crescente preoccupazione.
Non era più l'uomo tranquillo, impassibile d'un tempo,
sicuro della sua nave e delle sue artiglierie, che se ne
rideva dei pericoli e li affrontava col sorriso sulle
labbra, fumando flemmaticamente la sua pipa.
Parecchie volte al giorno scendeva nei depositi di
carbone, ormai quasi vuoti, o si arrestava dinanzi ai
forni, a quelle bocche affamate che domandavano
insistentemente alimento, provando delle terribili
strette al cuore quando i fuochisti precipitavano, fra
le fiamme quasi morenti, palate di combustibile.
Quando risaliva aveva la fronte tempestosa e
passeggiava cupo, taciturno, per lungo tempo, fra le
torri di poppa e di prora, colle braccia incrociate e la
testa china, senza parlare con chicchessia.
Solo duecentotrenta miglia dividevano il Re del Mare
dalle coste occidentali del Borneo, quando una grave
notizia si sparse a bordo.
Un piccolo veliero che veniva dal sud e che era stato
interrogato, aveva dato una risposta che aveva fatto
fremere l'intero equipaggio dell'incrociatore.
- Incrociatori inglesi al sud-ovest.
- Quanti?
- Due.
- Incontrati quando?...
- Ieri sera. -
Bisognava fuggire. Quelle due navi dovevano essere le
avanguardie di qualche squadra e potevano giungere da un
momento all'altro e scoprire il corsaro.
- Vadano le nostre ultime provviste di combustibile,
- aveva detto Sandokan a Yanez.
- E poi?
- Saremo pronti pel combattimento.
Il Re del Mare aveva subito affrettata la corsa.
Fuggiva a precipizio, dodici nodi all'ora, sacrificando
le ultime tonnellate di combustibile, colla magra
speranza d'incontrare qualche nave mercantile e di
saccheggiarla del suo carbone prima che giungesse la
squadra.
La sorveglianza era stata raddoppiata a bordo. Uomini
dagli occhi di linee vegliavano sulle coffe.
Intanto Sandokan aveva dato l'ordine di prepararsi
per la battaglia, che presumibilmente doveva essere
l'ultima, a meno d'un miracolo.
Centoquaranta miglia ancora, poi la velocità si
rallenta. I pozzi sono esausti e le caldaie rantolano
affievolendosi di minuto in minuto.
Il momento terribile s'avvicina, eppure tutti sono
calmi a bordo perchè tutti, da lungo tempo, hanno fatto
il sacrificio della loro vita. Nessuno ha paura della
morte che li minaccia e guardano impassibili le acque
che diverranno i loro veli funebri.
Forse rimpiangono una cosa sola: quella di morire
lontani da Mompracem.
Alle otto di sera il Re del Mare s'arrestò quasi,
addosso al grande bacino di Vernon. Tutto quello che
poteva dar calore era stato divorato dagli immani forni
delle macchine.
I barili di catrame, le casse di canape imbevute
colle provviste di liquore del quadro, le materie grasse
della dispensa, i mobili delle sale, perfino le brande e
gli effetti dell'equipaggio.
Se si fossero potute trasformare le pareti metalliche
della nave in altrettanto combustibile, quegli uomini
non avrebbero esitato a farlo, pur di raggiungere le
coste del Borneo già ancora troppo lontane.
Sandokan, sentendo la nave ad arrestarsi, si era
diretto lentamente verso poppa, più cupo che mai,
appoggiandosi alla murata.
Non aveva pronunciata una parola, nè aveva fatto
alcun gesto. Aveva solamente accesa la pipa, fumando con
maggiore furia del solito, fissando gli sguardi
sull'orizzonte, che rapidamente diventava tenebroso e
Yanez lo aveva imitato.
Era da quella parte che veniva il pericolo e lo
sentivano appressarsi terribile, formidabile,
schiacciante ed implacabile.
L'oscurità era piombata sul mare, tingendo le acque
d'un colore quasi nero. Qualche rada stella appariva in
cielo, fra gli strappi delle nubi salite colla brezza
che soffiava dal sud.
Un silenzio profondo regnava a bordo, da che le
macchine avevano cessato di funzionare, eppure tutti i
duecento e cinquanta uomini che formavano l'equipaggio
dell'incrociatore erano sulla coperta, chi sulle murate,
chi dietro i giganteschi pezzi delle torri. Ma nessuno
parlava.
Verso mezzanotte Tremal-Naik s'avvicinò a Sandokan,
il quale non aveva ancora abbandonato il suo posto.
- Amico mio, - gli disse, - che cosa ci rimane da
fare?
- Prepararci a morire, - rispose la Tigre della
Malesia, con voce calma.
- Io sono pronto, e le fanciulle?
Sandokan invece di rispondere, stese la destra verso
l'ovest, e disse:
- Eccole: le vedi?
- Chi, Sandokan?
- Le navi nemiche.
- Di già! - mormorò l'indiano che non seppe frenare
un brivido.
- Accorrono come belve feroci per distruggere le
ultime tigri della Malesia. I loro sguardi sono ormai
fissi su di noi.
Tremal-Naik guardò nella direzione indicata, mentre
gli uomini di guardia sulla piattaforma gridavano:
- Navi a poppa!
Parecchi punti luminosi scintillavano sull'orizzonte
ed ingrandivano rapidamente.
- Sono pronti i nostri uomini? - chiese Sandokan.
- Sì, - rispose Yanez che gli stava presso.
- E le fanciulle? - domandò con un tremito.
- Sono tranquille.
- Vorrei salvarle.
- Che cosa dovremmo fare?
- Sbarcarle su una scialuppa e allontanarle prima che
quelle navi ci rinchiudano.
- Si rifiuteranno; mi hanno giurato che se dovremo
morire, esse s'inabisseranno con noi.
- Vi è la morte qui!...
- L'aspettano.
- Salvale, Yanez.
- Ti ripeto che si rifiuterebbero; non insistere.
- Ebbene, sia!... Se dovremo morire, non cadremo
invendicati!... A me, tigri di Mompracem!
Le navi nemiche accorrevano a tutto vapore, formando
un ampio semicerchio, che doveva più tardi restringersi
fino a rinchiudersi, per prendere in mezzo il Re del
Mare e mandarlo rotto, fracassato, a picco col numero
strabocchevole delle loro artiglierie.
Sandokan e Yanez, che nel supremo momento del
pericolo avevano ritrovata la loro calma, impartivano
gli ordini con voce tranquilla.
Quando videro che tutti gli uomini erano a posto di
combattimento, andarono sulla passerella di comando.
Sull'albero militare di poppa avevano fatto innalzare
la bandiera rossa colla testa di tigre nel mezzo.
Quattro fasci di luce, proiettati dai riflettori, si
erano concentrati sul Re del Mare, sempre immobile,
illuminandolo come in pieno giorno.
- Sì, guardateci: siamo noi, - disse Sandokan.
Quattro grosse navi a vapore, senza dubbio le più
poderose della flotta degli alleati, si erano
silenziosamente disposte in semi-cerchio intorno al Re
del Mare, minacciandolo colle numerose artiglierie.
Nessun colpo era però stato sparato.
Aspettavano l'alba per impegnare la lotta o per
intimare la resa, parola questa che non esisteva nella
lingua del fiero pirata.
Darma si era accostata silenziosamente alla murata di
poppa. Era pallidissima, ma tranquilla, come tutto
l'equipaggio dell'incrociatore. Il suo sguardo vagava da
una nave all'altra con viva insistenza. Che cosa
cercava? Certo sir Moreland.
Una voce segreta le diceva che l'uomo amato doveva
essere vicino, su una di quelle poderose corazzate che
dovevano demolire il povero ed ormai impotente Re del
Mare.
Intanto le navi alleate, che avevano spenti i
riflettori elettrici, giravano lentamente intorno
all'incrociatore, stringendo sempre più il cerchio.
Sfilavano come fantasmi nella notte tenebrosissima e
pareva che i loro fanali, come occhi ardenti, si
fissassero sanguinosamente sulla loro vittima.
Non erano però ancora a portata utile delle grosse
artiglierie. Sicuri ormai di tenere le tigri di
Mompracem, non si davano premura di stringersi troppo
addosso ad esse.
Verso le due del mattino, Sandokan e Yanez che non
avevano mai lasciato il loro posto, furono veduti
scendere lentamente dalla passerella, e dirigersi verso
il centro della nave. Erano sempre freddi, impassibili.
S'avvicinarono a Tremal-Naik che stava appoggiato ad
un argano, seguendo con gli sguardi inquieti sua figlia
che vagava, come un fantasma sul castello di prora.
- Amico, - gli disse Sandokan con accento triste. -
Qui domani si inabisseranno le ultime tigri di Mompracem.
Tremal-Naik aveva provato un brivido ed aveva alzata
vivamente la testa.
- Chi credi che siano quegli incrociatori per poter
vincere la tua poderosa nave? - chiese.
- I quattro grossi incrociatori che hanno cercato di
catturarci nella baia di Sarawak. Noi siamo certi di non
ingannarci.
- E quelli affonderanno il tuo Re del Mare?
- Ne ho la convinzione.
- Ed anch'io, - disse Yanez. - Quelle navi devono
possedere un'artiglieria formidabile e sono in quattro.
- E poi siamo immobilizzati, - aggiunse Sandokan.
- Infine che cosa volete concludere? - chiese
l'indiano.
- Proporti di recarti a bordo di una di quelle navi e
di arrenderti, conducendo con te tua figlia e Surama.
Tremal-Naik si era rizzato, facendo un gesto di
sorpresa e insieme di dolore.
- Io allontanarmi da voi! - esclamò. - Oh no, mai!
Se qui morranno le ultime tigri di Mompracem a cui io
debbo la vita e tanta riconoscenza, morranno anche il
vecchio cacciatore della jungla nera e sua figlia.
- Io debbo avvertirti però che tua figlia ama ed è
riamata da un uomo che potrebbe farla felice, - disse
Sandokan.
- sir Moreland, è vero? - disse Tremal-Naik. - Me
n'ero accorto. Avete informato Darma del grave pericolo
che corriamo?
- Sì, - rispose Yanez.
- Che cosa ti ha detto?
- Che non lascerà la nostra nave.
- Non poteva rispondere diversamente, - disse
l'indiano, con orgoglio. - Il buon sangue non mente. Se
il destino ha segnato la nostra fine, si compia il fato.
Si strinsero la mano e si diressero tutti tre verso
il ponte di comando.
Ad un tratto Yanez si fermò, mandando un grido:
- Stupido! Ed io che lo avevo ancora dimenticato.
- Chi? - chiesero ad una voce Sandokan e Tremal-Naik.
- Il demonio della guerra.
Una pazza speranza aveva attraversato il cervello del
portoghese. Si era rammentato in quel momento dello
scienziato americano, di Paddy O'Brien, che teneva come
prigioniero in una delle cabine del quadro, guardato
giorno e notte. Scese rapidamente sotto coperta,
attraversò la corsia e s'arrestò dinanzi alla
stanzetta occupata dall'omiciattolo:
- Sveglia il prigioniero, - disse al malese di
guardia.
- È già in piedi, signor Yanez.
Yanez aprì la porta ed entrò. Paddy O'Brien stava
seduto dinanzi ad un tavolo e pareva immerso in un
calcolo intricatissimo, col naso su un foglio di carta
coperto di cifre.
- Voi, signor de Gomera? - disse il dottore,
assicurandosi gli occhiali. - Qual vento vi conduce qui?
È molto che non vi vedo e vi aspettavo.
- Dottore, - disse il portoghese senza preamboli, -
le navi nemiche ci hanno circondati e stiamo per venire
colati a fondo.
- Ah! - fece l'americano senza scomporsi.
- Voi mi avete detto che siete possessore d'un
tremendo segreto.
- E ve lo confermo.
- Ecco giunto il momento di esperimentarlo, signor
demonio della guerra.
- Fate portare in coperta le mie casse.
- Non farete saltare la nostra nave, invece? - chiese
Yanez un po' inquieto.
- Salterei anch'io insieme a voi e per ora non ho
alcuna voglia di morire, - rispose il dottore. - Signor
de Gomera, approfittiamo di questi momenti di calma.
Salirono in coperta, mentre i marinai portavano le
casse del dottore.
- Sono là le navi alleate, - disse Sandokan
accostandosi allo scienziato.
- Sì e vedo che vi hanno circondato, - rispose Paddy
O'Brien, corrugando la fronte. - Ecco quella che
salterà per prima.
Una nave, un piccolo incrociatore, che prima non era
stato scorto, si era staccato dal grosso della squadra e
girava attorno al Re del Mare mantenendosi ad una
distanza di due a tremila metri. Veniva per spiare o per
provocare il fuoco dei pirati di Mompracem?
Paddy O'Brien fece aprire le sue casse che
contenevano degli apparati elettrici, incomprensibili
per Yanez e per Sandokan.
Esaminò attentamente ogni cosa, senza fretta e con
gran calma, come un uomo sicuro del fatto suo, poi
volgendosi verso Yanez che lo sorvegliava colla destra
appoggiata al calcio della pistola, gli disse:
- Quando vorrete?
- Fate funzionare il vostro apparecchio.
- Ecco che la nave ci passa a tribordo: salterà, -
disse Paddy freddamente.
Un brivido era corso per le ossa di tutti i marinai
che circondavano l'americano. Sarebbe stato capace di
operare quel miracolo quel piccolo uomo?
- Attenzione, - gridò ad un tratto l'americano.
Aveva appena pronunciate quelle parole che un lampo
accecante ruppe bruscamente le tenebre, seguìto da uno
spaventevole rimbombo.
Una immensa colonna d'acqua s'era alzata attorno al
piccolo incrociatore, mentre una tempesta di rottami
cadeva tutto all'intorno.
Un immenso urlo, sfuggito da centinaia di petti, era
echeggiato lugubremente per l'aria, spegnendosi
bruscamente.
La nave era saltata e affondava rapidamente coi
fianchi squarciati.
Nel medesimo istante una granata scoppiava sul ponte
del Re del Mare fra l'apparecchio e Paddy O'Brien.
L'americano aveva mandato un grido ed era caduto quasi
ai piedi di Yanez, il quale era sfuggito miracolosamente
alle scheggie del proiettile.
- Dottore! - gridò il portoghese, precipitandosi
verso di lui.
- Le... mie... le... mie... - mormorò il disgraziato
inventore, agitando le braccia con un gesto disperato.
Si portò le mani al petto, per comprimersi il sangue
che sfuggiva da un'orribile ferita.
Sandokan si era slanciato verso le casse.
Un grido di disperazione gli sfuggì.
La granata aveva distrutto l'apparato, e sminuzzato
le pile.
Yanez aveva alzato dolcemente la testa
dell'americano.
- Signor O'Brien, - disse, mentre un singhiozzo gli
moriva in gola.
Il ferito aprì gli occhi fissandoli sul portoghese.
Un rauco sibilo gli usciva dalle labbra a lunghi
intervalli.
- Fi... nito... fi... nito... - rantolò. Colla
destra lorda di sangue strinse quella di Yanez, poi si
raggomitolò su se stesso e ricadde.
- Morto, - disse Yanez con voce triste.
- Ecco la prima vittima, - rispose Sandokan.
Yanez depose sulla tolda il disgraziato inventore,
gli chiuse gli occhi, lo coprì con una tenda strappata
lì presso, poi levandosi in tutta la sua altezza,
disse:
- Tutto è finito: qui morranno le ultime tigri di
Mompracem. Tremal-Naik, Darma, Surama, nella mia
torretta e voi, ai vostri pezzi! Le nostre vite sono
nelle mani di Dio!...
- Ai vostri posti di combattimento! - gridò Sandokan.
- Mostriamo a costoro come sanno morire i pirati della
Malesia.
L'alba, un'alba rosea che annunciava una superba
giornata, fugava rapidamente le tenebre, tingendo le
acque di miriadi di pagliuzze d'oro.
Un colpo di cannone in bianco partì
dall'incrociatore più prossimo, il più grosso dei
quattro: intimava la resa.
Sandokan fece alzare subito la bandiera rossa,
segnale di combattimento.
L'incrociatore nemico invece di aprire il fuoco fece
dei segnali colle bandiere che significavano:
- Prima di cominciare il fuoco, mandate al mio bordo
le due fanciulle. Sir Moreland risponde delle loro vite.
- Ah! - esclamò Yanez. - Abbiamo l'anglo-indiano
dinanzi. Cercheremo di affondargli una seconda volta la
nave. Darma, Surama!
Le due fanciulle erano uscite dalla torretta.
- Si propone a voi di salvarvi su quelle navi, -
disse Sandokan. - Accettate voi? Una scialuppa è
pronta.
- Mai! - risposero energicamente le due fanciulle.
- Pensateci.
- No, - disse Darma. - Non lascerò nè voi, nè mio
padre.
- Comunicate la loro risposta, - comandò Yanez.
Un quartiermastro americano segnalò subito.
Allora si videro salire lentamente sugli alberetti di
maestra dei quattro incrociatori, quattro bandiere nere.
Un colpo di vento le allargò mostrando nel mezzo, in
giallo, una mostruosa figura con quattro braccia che
tenevano nelle mani degli strani emblemi.
Un grido di stupore ed insieme di furore era sfuggito
dalle labbra di Yanez, di Sandokan e di Tremal-Naik.
Avevano riconosciuto l'emblema dei thugs, degli
strangolatori indiani.
Erano dunque quelle le navi del figlio di Suyodhana,
del loro implacabile e invisibile nemico? Quelle
bandiere lo confermavano.
A bordo del Re del Mare successe un lungo silenzio,
tanto era lo stupore che aveva invaso tutti, poi la voce
metallica di Sandokan lo ruppe bruscamente:
- Fuoco! Fuoco! Fuoco!
Spaventevoli detonazioni coprono le sue ultime
parole. Le granate piovono da tutte le parti sul Re del
Mare, che il flusso ha insensibilmente portato verso il
banco di Vernon e che si trova sempre immobilizzato coi
fuochi spenti.
Sono uragani di ferro e d'acciaio che escono dai
grossi pezzi della coperta e da quelli di medio calibro
delle batterie: ma non sono diretti sul ponte del Re del
Mare dove si trovano, entro la torretta blindata, Darma
e Surama.
Quelle masse metalliche battono invece solamente i
fianchi dell'incrociatore, come se gli artiglieri
avessero ricevuto l'ordine di risparmiare le fanciulle,
i due comandanti e Tremal-Naik che sono con loro.
Delle granate vengono però lanciate contro le torri
che riparano i grossi pezzi da caccia, cercando
d'imbroccarli o di frantumare le grosse piastre di
ferro.
Il Re del Mare si difende furiosamente. È un vulcano
che fiammeggia da tutte le parti. Le ultime tigri di
Mompracem sono ben risolute a far pagar cara la vittoria
allo strapotente nemico.
I suoi grossi obici battono in breccia le navi
avversarie, danneggiando i ponti, squarciando le
ciminiere e aprendo larghi fori nelle piastre
metalliche. In mezzo a quel rimbombo assordante, si ode
tratto tratto la voce formidabile di Sandokan che urla:
- Fuoco, tigri di Mompracem! Distruggete, massacrate!
Ma quanto potrà resistere il Re del Mare al tiro
terribile di tante bocche da fuoco?
I suoi fianchi, quantunque solidissimi, dopo mezz'ora
cominciano a cedere; anche i suoi pezzi uno ad uno
vengono smontati e ridotti al silenzio. Le sue torri, ad
eccezione della torretta di comando, sempre risparmiata,
cominciano a sfasciarsi sotto quella pioggia incessante
di granate, e nelle batterie i morti si accumulano.
Sandokan e Yanez, chiusi nella torretta, contemplano
quel terribile spettacolo, calmi e sereni. Il primo si
morde di quando in quando le labbra a sangue; il secondo
fuma flemmaticamente la sua eterna sigaretta e sembra
solamente un po' commuoversi, quando il suo sguardo
s'incontra con quello di Surama.
Darma, seduta in un angolo, su un mucchio di cordami,
a fianco di Tremal-Naik, colle mani appoggiate agli
orecchi per attenuare il rombo assordante delle grosse
artiglierie, sembra che guardi nel vuoto.
D'improvviso, il Re del Mare, sollevato da una forza
misteriosa, sobbalza da prora a poppa, mentre una enorme
colonna d'acqua si rovescia sulla sua coperta
spazzandola. Tutto il suo scafo vibra e sembra
sfasciarsi come se scoppiassero le munizioni del Re del
Mare.
Horward, l'ingegnere americano, si precipita in quel
momento entro la torretta, pallido, esterrefatto:
- Hanno torpedinato il Re del Mare! - grida. -
Coliamo a fondo!
Grida selvagge salgono dalle batterie, confondendosi
cogli ultimi spari dei due pezzi da caccia della
coperta, ancora servibili.
Il fuoco cessa bruscamente sulle quattro navi
nemiche.
Sandokan volge un triste sguardo ai suoi due
compagni, poi dice:
- Ecco il momento supremo: la tomba è aperta per le
ultime tigri di Mompracem.
Alza Darma ed esce dalla torretta, seguìto da Yanez,
da Tremal-Naik e da Surama, e si arresta al di fuori a
guardare la sua nave.
Povero Re del Mare! La superba nave che ha resistito
a tante prove e che pareva invincibile, non è più che
una carcassa affondante.
Ondate di fumo sfuggono dai boccaporti dai quali
irrompono, neri di polvere e lordi di sangue, gli uomini
delle batterie.
- Una scialuppa in mare! - comanda Sandokan.
- Non occuparti di noi. Gli equipaggi degli
incrociatori vengono a raccoglierci.
Infatti numerose imbarcazioni si staccano dai fianchi
delle navi vittoriose ed accorrono a forza di remi.
Nella prima si vede sir Moreland, il quale sventola un
fazzoletto bianco.
La scialuppa, montata dalle due fanciulle, da
Tremal-Naik, da Kammamuri e da quattro rematori,
s'allontana dal Re del Mare perchè la nave affonda
sempre.
- Ed ora, - disse Sandokan con un gesto superbo, -
lassù, avvolto nella mia bandiera. Vieni Yanez: tutto
è finito.
- Bah! - fece il portoghese, gettando in aria una
boccata di fumo. - Non si può mica vivere all'infinito.
Attraversarono il ponte ingombro di frammenti di
palle e di granate e salirono sulle griselle dell'albero
militare, arrestandosi sulle piattaforme.
In lontananza, Tremal-Naik, Darma e Surama facevano
cenno a loro di gettarsi in acqua. Risposero con un
saluto della mano e un sorriso.
Poi Sandokan, strappando la sua rossa bandiera che
gli sventolava sopra la testa, si avvolse fra le sue
pieghe, dicendo:
- È così che muore la Tigre della Malesia.
Sotto di loro, gli ultimi Tigrotti di Mompracem, un
centinaio circa, per maggior parte feriti, aspettavano,
impassibili e silenziosi, che il gran gorgo li
aspirasse, tenendo gli sguardi fissi sui loro due capi.
Il Re del Mare affondava lentamente, vibrando, e si
udivano le acque a muggire cupamente entro la stiva.
Le scialuppe degli incrociatori facevano sforzi
disperati per giungere in tempo a raccogliere quei
naufraghi, votatisi volontariamente alla morte. Quella
di sir Moreland era sempre la prima ed era subito
seguìta da quella montata da Tremal-Naik e dalle due
fanciulle che tornava verso la nave, avendo l'indiano
compreso il disegno disperato dei suoi vecchi amici.
Sandokan, sempre avvolto nella sua bandiera, li
guardava impassibile, con un superbo sorriso sulle
labbra. Yanez, colla fronte un po' corrugata, fumava la
sua ultima sigaretta colla sua calma abituale.
Quando le acque cominciarono ad invadere la coperta,
il portoghese lasciò cadere la sigaretta quasi finita,
dicendo:
- Va' ad aspettarmi in fondo al mare!
Ad un tratto, quando pareva che lo scafo dovesse
tutto sommergersi, la discesa di quella enorme massa
cessò bruscamente. Il flusso che aveva spinto la nave
verso l'est, doveva averla portata addosso al banco di
Vernon, più di quanto l'equipaggio supponeva e la
chiglia doveva essersi indubbiamente posata sul fondo.
Ed infatti, nel momento in cui le due scialuppe
montate una da sir Moreland e da sei marinai indiani e
l'altra da Tremal-Naik, Darma e Surama coi rematori
malesi giungevano sotto la scala di babordo, lo scafo
s'inclinava dolcemente a tribordo coricandosi di sul
fianco.
Sir Moreland, vedendo la nave ormai immobile, erasi
affrettato a salire sul ponte, seguìto subito da
Tremal-Naik e dalle due fanciulle.
Yanez si era voltato verso Sandokan, la cui faccia
appariva assai abbuiata.
- Nemmeno la morte ci vuole, - gli disse. - Che cosa
vuoi fare?
Si sbarazzò della bandiera e scese lentamente la
grisella, colla maestà d'un re che scende i gradini
d'un trono e si fermò dinanzi a sir Moreland,
dicendogli:
- Ebbene? Che volete fare di noi?
L'anglo-indiano, che pareva in preda ad una viva
commozione, si levò il berretto salutando i due eroi
della pirateria, poi disse con nobiltà:
- Permettetemi una parola, prima, signori.
Prese per una mano Darma, che era salita a bordo con
Surama e, conducendola dinanzi a Tremal-Naik, gli disse:
- Io l'amo ed ella m'ama: io non potrei vivere senza
vostra figlia, eppure i numi dell'India sanno quanto io
ho fatto per dimenticarla. Colmate con una vostra parola
il rivo di sangue che mi separava da voi onde il grido
terribile del mio assassinato genitore si spenga per
sempre. La sua anima mi è comparsa ieri notte e mi ha
detto di perdonare a tutti!
- Che cosa dite, sir Moreland? Di qual genitore
parlate? - chiese Tremal-Naik, con angoscia.
- Darma, mi amate? - chiese sir Moreland, senza
rispondere all'indiano.
- Sì, immensamente, - rispose la fanciulla
arrossendo e abbassando gli occhi.
- La guerra è finita fra noi, - disse sir Moreland,
- e la macchia di sangue è cancellata. Tremal-Naik
benedite i vostri figli.
- Ma chi siete voi? - gridarono ad una voce Yanez,
Sandokan e Tremal-Naik.
- Io sono... il figlio di Suyodhana! Venite! Siete
miei ospiti.
Conclusione
Venti minuti dopo i quattro incrociatori lasciavano
il banco di Vernon su cui affondava a poco a poco nel
fango la carcassa del valoroso Re del Mare.
Sul più grosso, su cui si trovavano imbarcati tutti
i superstiti, compresi Kammamuri, Sambigliong e
l'ingegnere Horward, si erano radunati nella sala del
quadro Tremal-Naik, le due fanciulle, i due capi della
pirateria ed il figlio di Suyodhana.
Una viva ansietà, non esente da una grandissima
curiosità, pareva che si fosse impadronita di tutti.
Gli sguardi erano tutti fissi sul tigrotto dell'India,
che fino allora avevano creduto un ufficiale della
marina anglo-indiana e che si era seduto accanto a
Darma.
- Io debbo a voi delle spiegazioni, - disse il figlio
del terribile thug, - che non dispiaceranno nemmeno a
Darma e che serviranno a scusare la guerra lunga e
ostinata che io ho fatto a voi tutti. Non fu che a
venticinque anni che io fui informato per la prima volta
dal mio precettore, un indiano d'alto sapere e d'alta
casta, che io non ero il figlio d'un ufficiale
anglo-indiano, come fino allora mi avevano fatto
credere, bensì del capo della setta dei thugs, che
aveva sposata segretamente una donna inglese morta
dandomi alla luce.
Affidato alle cure d'una famiglia del gallese,
stabilita da molti anni a Benares, come l'orfano d'un
ufficiale della Compagnia Indiana e allevato
all'inglese, comprenderete facilmente quale terribile
impressione produsse in me la notizia comunicatami al
mio venticinquesimo anno, d'essere invece il figlio del
capo d'una setta da tutti gli onesti condannata. Il
testamento lasciato da mio padre, che mi rendeva padrone
di centosettanta milioni di rupie, depositati nella
banca di Bombay, m'imponeva di vendicare la morte della
Tigre dell'India. Esitai a lungo, credetelo, ma alfine
il grido del sangue s'impose e per quanto mi ripugnasse
l'idea di farmi vendicatore di quella setta, io, che
allora ero ufficiale della marina anglo-indiana, mi
lasciai vincere, suggestionato anche dal mio precettore.
Conoscevo tutta l'istoria, sapevo dov'era il vostro
rifugio e mi preparai alla guerra facendo costruire
cinque poderose navi. Sapendo che il governo inglese
viveva in continue inquietudini per voi, troppo vicini a
Labuan e che il rajah di Sarawak, il nipote di James
Brooke, altro non attendeva che l'occasione per
vendicare suo zio, andai a offrire al governatore della
colonia il mio aiuto e le mie navi. Volevo avervi tutti
nelle mie mani, per vendicare la morte di mio padre.
Mentre io mi preparavo sul mare, il mio precettore,
fingendosi un pellegrino della Mecca, sollevava i dayaki
del Kabatuan. Fortunatamente l'amore operò in me un
cambiamento. Spense a poco a poco l'odio che io nutrivo
per voi e mi abbandonai al destino. Gli occhi di questa
fanciulla mi avevano stregato e mi fecero vedere quasi
con orrore, l'enormità del delitto che io stavo per
commettere, nel voler vendicare quella sanguinaria setta
riprovata da tutti gli onesti.
Io non odo più, da molte notti, il terribile grido
di vendetta di mio padre. La sua anima deve essersi
placata. Mi perdoni, ma io, uomo civile, non posso più
diventare il vendicatore del thug dell'India. Signor
Yanez, Tigre della Malesia, siete liberi, assieme a
tutti i vostri uomini. Io solo vi ho vinti, io solo
quindi ho il diritto di condannarvi o di assolvervi e vi
assolvo.
Il figlio dei thugs stette fermo un istante, poi
rivolgendosi verso Tremal-Naik, gli disse:
- Volete essere mio padre?
- Sì, - rispose l'indiano. - Siate felici, figli
miei, e che la pace non sia più mai turbata, ora che i
thugs non sussistono più.
L'anglo-indiano e Darma con una mossa simultanea si
erano gettati nelle braccia aperte di Tremal-Naik.
Kammamuri, che era disceso silenziosamente nella
saletta, piangeva in un angolo, di commozione.
- Signor Yanez, signor Sandokan, - disse sir Moreland,
- dove desiderate che vi conduca? Noi torneremo in India
e voi?
La Tigre della Malesia stette un istante pensieroso,
poi rispose:
- Mompracem ormai è perduta, ma abbiamo a Gaya i
nostri prahos ed i nostri uomini e là abbiamo amici
devoti. Conduceteci in quell'isola, se non vi rincresce.
Fonderemo una nuova colonia lassù, lontani dalle
minaccie degli inglesi.
Poi, dopo un'altra breve pausa, continuò:
- Chissà che non ci rivediamo un giorno nell'India.
Da tempo accarezzavo un sogno.
- Quale? - chiesero Tremal-Naik, Darma e sir Moreland.
Sandokan fissò i suoi sguardi su Surama quindi
rispose:
- Tu sei figlia di rajah e t'hanno rubato il posto
che ti aspettava. Perchè non daremo a te, fanciulla, un
trono da dividere con Yanez, che diverrà fra giorni tuo
sposo? Ne riparleremo, mia buona Surama.
1 I malesi per addormentare le persone, ricorrono a
quella strana compressione, e l'uomo così trattato,
durante quel sonno, è in preda ad una anestesia
completa.
2 È la divinità protettrice dei cacciatori di nidi
di rondini salangane.
3 Vengono chiamati con tale nome dai malesi.
4 Nel 1844, un piroscafo da guerra olandese, mandato
dal governatore di Macassar a castigare i pirati del
Cotti, diede una terribile lezione a quel sultanato.
Arse mille case della capitale, impose una taglia di
120.000 fiorini, il risarcimento dei danni subiti dalle
navi mercantili assalite e volle ostaggi fino al
pagamento completo delle somme fissate.
5 Questa tortura crudelissima, fu largamente usata
dai soldati americani del generale Smith contro gli
insorti delle isole Filippine.
6 Mio signore.
7 Un tipo di alghe brune.
8 In America, nello stabilimento elettrico di Davson,
sono riusciti con una corrente elettrica a far scoppiare
cinquanta punds di polvere alla distanza di 800 metri. |