12. Nelle acque di
Sarawak
I due trasporti, che si vedevano nell'impossibilità
di opporre qualsiasi resistenza, non possedendo che
delle artiglierie leggere, affatto innocue pei poderosi
fianchi del corsaro, avevano subito obbedito, abbassando
le bandiere.
Sulle loro coperte regnava una confusione
indescrivibile. I soldati, tre o quattrocento, credendo
che l'incrociatore si preparasse ad affondarli,
correvano all'impazzata pei ponti, affollandosi intorno
alle scialuppe.
- Vi accordo due ore per sgombrare le navi, - aveva
segnalato ancora il Re del Mare. - Dopo questo tempo
aprirò il fuoco. Obbedite!...
Le isole Romades non erano lontane che due
chilometri, mostrando le loro coste assolutamente
deserte, con pochi alberi e fiancheggiate da numerosi
banchi di sabbia e da scogliere.
I comandanti delle due navi, dopo un breve consiglio,
avevano risposto:
- Cediamo alla forza, per risparmiare un inutile
massacro.
Subito tutte le scialuppe disponibili erano state
messe in acqua, cariche di soldati fino quasi al punto
di affondare, perchè tutti vi si affollavano, per tema
che il corsaro aprisse il fuoco.
Vedendo che alcuni portavano dei fucili, Sandokan,
sempre inesorabile, aveva segnalato di gettarli in acqua
o di ritornarli a bordo, minacciando, in caso contrario,
di spazzar via le imbarcazioni.
Mentre si effettuava lo sbarco, fra grida,
imprecazioni, minacce e dispute, il Re del Mare girava
lentamente intorno alle due navi, colle artiglierie
sempre puntate.
- Che cosa ne farai, dopo, di quei trasporti? - aveva
chiesto Yanez.
- Li affonderemo, - aveva risposto freddamente
Sandokan. - Il mare è pronto a ricevere anche questi.
- Che peccato non poterli rimorchiare in qualche
porto!
- E dove? Non vi è alcun rifugio amico per le ultime
tigri di Mompracem. Si direbbe che tutti gli stati del
Borneo, dopo d'averci ammirati, hanno paura del leopardo
inglese, - disse Sandokan con profonda amarezza.
- Non importa, ne faremo a meno e affideremo le prede
al mare. Questo almeno non le rende più.
- Quanti tesori perduti inutilmente! - disse Darma.
- Così è la guerra, - rispose Sandokan,
asciuttamente. - Yanez, ordina di mettere in acqua le
scialuppe e di aprire i depositi del carbone. Il Re del
Mare avrà una buona provvista di combustibile.
I soldati, le cui imbarcazioni avevano fatti già
parecchi viaggi, si erano quasi tutti accampati sulla
spiaggia più prossima, pronti a rifugiarsi nei boschi
in caso di pericolo. Yanez fece imbarcare cinquanta
uomini, bene armati e comandati da due quartiermastri,
li mandò a occupare i due trasporti, prima che anche
gli equipaggi li abbandonassero, onde evitare un
tradimento.
Polvere a bordo ve ne doveva essere ed i comandanti
inglesi potevano, prima di andarsene, collocare delle
micce accese nella santabarbara e mandare all'aria i due
trasporti ed insieme a loro i depositi di carbone che
tanto premevano alle tigri di Mompracem.
Partito l'ultimo inglese, un altro drappello di
malesi al comando di Kammamuri si recò a bordo delle
due navi, per procedere allo scarico del combustibile e
delle munizioni da guerra.
I soldati, dalla spiaggia, guardavano con ansietà le
manovre dei pirati, stupiti di non vederli prendere a
rimorchio i due legni, come avevano dapprima sospettato.
Tutto il giorno gli uomini di Sandokan lavorarono
febbrilmente vuotando i pozzi ben forniti di
combustibile.
Verso sera novecento tonnellate di carbone giacevano
nei depositi del Re del Mare. I malesi ed i dayaki
cadevano pel sonno e per la fatica eccessiva, ma ormai i
pozzi dei due trasporti erano quasi vuoti.
- Ed ora, - disse Sandokan, - prendi, mare, le prede
che ti offro. Quando anche noi coleremo a fondo, sii
clemente.
Prima di abbandonare le due navi, i malesi avevano
accese delle miccie presso i barili di polvere lasciati
nelle santebarbare.
Sandokan, Yanez e Tremal-Naik si erano appoggiati
alla murata poppiera, guardando tranquillamente i due
trasporti. Dinanzi, sul bastingaggio, avevano collocato
un cronometro.
- Tre minuti, - disse ad un tratto Sandokan
volgendosi verso i suoi compagni. - Ecco la fine!
Un momento dopo una formidabile esplosione rimbombava
sul mare, seguìta a breve distanza da un'altra non meno
assordante. Le due navi, squarciate dallo scoppio,
affondavano rapidamente fra le urla furiose dei soldati
e degli equipaggi, che si trovavano sulle coste
dell'isola.
- Ecco la guerra, - disse Sandokan, con un sorriso
sarcastico. - L'hanno voluta? Paghino!... E questo non
è che un principio del dramma!
Quindi, volgendosi verso Yanez, aggiunse:
- Andiamo a Sarawak ora: quel golfo sarà il campo
delle nostre future imprese e le prede laggiù saranno
più abbondanti, che qui: lo vedrai.
Il Re del Mare abbandonava rapidamente i paraggi
delle Romades, prendendo la corsa verso il sud. Colle
carboniere piene, ed un sopraccarico di combustibile
nella stiva, poteva sfidare alla corsa tutte le navi che
gli alleati dovevano aver radunate nelle acque di
Sarawak.
Il poderoso incrociatore che divorava miglia su
miglia, due giorni dopo avvistava già il capo
Tanjong-Datu, passando dinanzi alla medesima rada dove
erasi rifugiata la Marianna. Nulla avendo incontrato in
quei paraggi, riprese senza indugio la corsa verso il
sudest, per raggiungere la foce del Sedang.
Sandokan voleva innanzi a tutto accertarsi se
l'equipaggio della sua piccola nave era riuscito nella
missione affidatagli, ossia di armare e di sollevare i
suoi vecchi alleati, i dayaki dell'interno, che lo
avevano così vigorosamente aiutato contro James Brooke,
il famoso sterminatore dei pirati.
Quarant'otto ore dopo, il Re del Mare, che non aveva
rallentata la sua velocità, avvistava il monte Matang,
un picco colossale che si erge presso la costa di
ponente dell'ampia baia di Sarawak e che lancia la sua
vetta verdeggiante a duemila novecento e settanta piedi,
e l'indomani navigava dinanzi alla foce del fiume che
bagna la capitale del rajah.
Era il momento di aprire per bene gli occhi, poichè
da un istante all'altro delle navi inglesi o del rajah
di Sarawak potevano mostrarsi.
Certo la comparsa del corsaro doveva essere stata
segnalata alle autorità di Sarawak ed i migliori
incrociatori dovevano aver preso il largo, onde
proteggere da un improvviso assalto le navi che
lasciavano il fiume, dirette a Labuan o a Singapore, che
potevano venire facilmente catturate o affondate dagli
audaci pirati di Mompracem.
Perciò una rigorosa sorveglianza era stata ordinata
a bordo dell'incrociatore. Giorno e notte dei gabbieri
si tenevano costantemente sulle piattaforme superiori,
muniti di cannocchiali di lunga portata, pronti a dare
l'allarme nel caso che qualche colonna di fumo apparisse
all'orizzonte.
Sandokan e Yanez, per maggiore precauzione, avevano
anche comandato che dopo il calar del sole più nessun
lume si accendesse a bordo, nemmeno nelle cabine che
avevano le finestre sui bordi esterni, e nemmeno i
fanali regolamentari. Volevano passare dinanzi la foce
del Sarawak inosservati, per non farsi inseguire sulle
coste orientali e compiere le loro operazioni senza
venire disturbati.
Sentivano per istinto che li cercavano e che navi
inglesi e del rajah dovevano scorazzare quei paraggi.
Chissà, forse avevano indovinato le loro intenzioni o
peggio ancora, qualcuno poteva averli informati dei loro
progetti. Ed infatti, contrariamente alle loro
abitudini, i due ex pirati apparivano assai preoccupati.
Si vedevano passeggiare per delle ore intere sul ponte,
colla fronte increspata, poi arrestarsi per interrogare,
con una certa ansietà, l'orizzonte. Specialmente di
notte abbandonavano di rado la coperta, accontentandosi
di riposare solo poche ore dopo il levar del sole.
- Sandokan, - disse Tremal-Naik, quando già il Re
del Mare aveva oltrepassata la seconda bocca del Sarawak
di qualche dozzina di miglia, - mi sembri molto
inquieto.
- Sì, - rispose la Tigre della Malesia, - non te lo
nascondo, mio caro amico.
- Temi qualche incontro?
- Io sono certo di essere seguìto o preceduto, e un
marinaio difficilmente s'inganna. Si direbbe che io
senta odor di fumo e di fumo di carbon fossile.
- E da chi? Da squadre inglesi o da quelle del rajah?
- Di quelle del rajah non mi occupo troppo, perchè
l'unica nave che poteva misurarsi colla mia, ora giace
sventrata in fondo al mare.
- Quella di sir Moreland?
- Sì, Tremal-Naik. Le altre che possiede il rajah
sono vecchi incrociatori di ordine secondario, che non
valgono assolutamente nulla come navi da battaglia. È
la squadra di Labuan che mi preoccupa.
- Sarà forte?
- Molto forte no, numerosa di certo. Potrebbe
prenderci nel mezzo e crearci molti fastidi, quantunque
io ritenga il nostro incrociatore così poderoso d'aver
ragione di essa. I migliori, l'Inghilterra se li tiene
in Europa.
- Sono ben lontani da noi, - disse Tremal-Naik.
- E chi mi assicura che non ne mandi alcuni a darci
la caccia? Mi hanno detto che ve ne sono dei poderosi
anche nell'India. Quando si apprenderà quali danni noi
abbiamo recato alle loro linee di navigazione, gli
inglesi non esiteranno a lanciare su questi mari il
meglio della loro squadra indiana.
- E allora? - chiese Tremal-Naik.
- Faremo quello che potremo, - rispose Sandokan. - Se
il carbone non ci mancherà la faremo correre e molto.
- È sempre il carbone il nostro punto nero.
- Di' il nostro lato debole, Tremal-Naik, perchè a
noi tutti i porti sono chiusi. Fortunatamente la marina
inglese è la più numerosa del mondo e piroscafi ne
troveremo sempre, dovessimo andarli a cercare perfino
nei mari della Cina. Ah! Cala la nebbia! È una fortuna
per noi, che stiamo per passare dinanzi alle coste del
sultanato.
- Quanto distiamo dal Sedang?
- Forse duecento miglia. Queste sono le acque più
pericolose. Se questa notte non facciamo alcun incontro,
domani troveremo la Marianna. Apriamo gli occhi,
Tremal-Naik ed aumentiamo la nostra velocità. Tanto
peggio a chi tocca se taglieremo qualche legno.
Pareva che la fortuna proteggesse le ultime tigri di
Mompracem, perchè poco dopo il tramonto del sole una
folta nebbia era cominciata a scendere sul golfo, in
dense ondate.
Il Re del Mare aveva quindi maggiori possibilità di
sfuggire alla caccia delle navi alleate, ammesso che si
fossero realmente messe in moto per sorprenderlo.
Nondimeno Sandokan e Yanez avevano dati gli ordini
per tenersi tutti pronti. Qualche nemico poteva
comparire, impegnare subito la lotta e colle sue
cannonate attirare l'attenzione della squadra.
L'incrociatore, che aveva aumentata la sua velocità
portandola a tredici miglia, muoveva rapido attraverso
il nebbione che sempre più si addensava.
Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l'ingegnere americano
erano tutti sul cassero, presso i timonieri, cercando,
ma invano, di distinguere qualche cosa attraverso le
ondate caliginose che il vento, di quando in quando,
scompaginava.
Gli artiglieri erano dietro i loro mostruosi pezzi o
accanto alle piccole artiglierie; i malesi ed i dayaki
dietro le murate.
Tutti tacevano ed ascoltavano attentamente. Non si
udivano che i rauchi muggiti del vapore ed il gorgoglìo
prodotto dalle eliche e dallo sperone fendente le acque.
La seconda foce del Sarawak doveva essere stata
oltrepassata di una cinquantina di miglia, quando tutto
d'un tratto si udì a echeggiare una sirena.
- Una nave esplora il mare e segnala la sua presenza
ad altre, - disse Yanez a Sandokan. - Sarà mercantile o
da guerra?
- Suppongo che sia qualche avviso del rajah, -
rispose la Tigre della Malesia. - Ci aspettavano?
- Fa' puntare verso levante.
- Vorrei però prima conoscere con quale avversario
abbiamo da fare.
- Con questa nebbia non sarà cosa facile, Sandokan,
- disse Tremal-Naik. - Quando potremo giungere alla foce
del Sedang?
- Fra cinque o sei ore. Vedi nulla, Yanez?
- Null'altro che nebbia, - rispose il portoghese.
- Non devieremo: tanto peggio per chi si caccerà
sotto il nostro sperone.
Poi, accostandosi al tubo che comunicava colla sala
della macchina, gridò con voce poderosa:
- Signor Horward! Avanti a tutto vapore, a tiraggio
forzato!
Il Re del Mare continuava la sua corsa, aumentandola
rapidamente.
Da tredici nodi era salita a quattordici all'ora, e
non bastava ancora. L'ingegnere americano aveva
comandato il tiraggio forzato per raggiungere
possibilmente i quindici.
Era ben vero che il carbone se ne andava rapidamente,
però ne avevano in quantità sufficiente per tenere il
mare alcune settimane senza bisogno di provvedersi.
Erano già trascorse due ore, quando tutto d'un
tratto la nebbia s'illuminò come se un gran fascio di
luce l'attraversasse.
Luce lunare non doveva essere, perchè assai più
intensa e brillante e poi non ne aveva l'immobilità.
Veniva dall'est e scorreva dal sud al nord, facendo
scintillare vivamente le acque.
- Un fanale elettrico! - esclamò Yanez, trasalendo.
- Ci si cerca.
- Sì, ci cercano, - disse Tremal-Naik. - Che siano
in molti?
Sandokan non aveva aperto bocca; la sua fronte però
si era bruscamente aggrottata.
Trascorsero alcuni minuti ancora.
- Macchina indietro! - tuonò ad un tratto la Tigre
della Malesia.
Il Re del Mare trasportato dal proprio slancio,
s'avanzò per due o trecento metri, poi s'arrestò
lasciandosi cullare dall'onda larga del golfo.
Una nave e forse non sola, si trovava dinanzi
all'incrociatore ed esplorava il mare, proiettando
dovunque fasci di luce.
- Che la squadra di Sarawak si sia accorta della
nostra presenza? - chiese Tremal-Naik.
- Dobbiamo essere stati segnalati da qualche veliero,
forse da qualche praho che è sfuggito alla nostra
sorveglianza, - disse Sandokan.
- Che cosa farai, Sandokan?
- Aspetteremo, per ora, poi passeremo, dovessi
fracassare dieci navi a colpi di sperone. Il Re del Mare
ha la prora a prova di scoglio e le macchine d'una
solidità tale che non si sconquasseranno per l'urto.
Il fascio di luce continuava a scorrere lentamente
dal nord al sud, tentando di forare la nebbia,
fortunatamente sempre foltissima.
D'improvviso, un secondo ne apparve dal lato opposto,
ossia verso la poppa dell'incrociatore, poi altri due al
nord e uno al sud.
Una sorda imprecazione sfuggì dalle labbra del
portoghese, il quale stava a guardia dei timonieri.
- Ci hanno ben circondati! Alla malora quegli squali!
Fra poco qui farà caldo!
La Tigre della Malesia aveva seguìto attentamente la
direzione di quei diversi fasci di luce. La sua nave che
occupava il centro, non poteva essere stata ancora
scorta, però non poteva slanciarsi innanzi nè
retrocedere senza farsi scoprire. Con un gesto chiamò
Yanez e l'ingegnere americano.
- Si tratta di forzare il passo, - disse. - Dinanzi,
presumibilmente, non abbiamo che una sola nave. Il
nostro carico è stato ben stivato?
- Assaliremo collo sperone? - chiese l'americano.
- Ne ho l'intenzione, signor Horward. Fate
raddoppiare il personale delle macchine.
- Bene, comandante, - rispose lo yankee. - I miei
compatriotti non agirebbero diversamente in simile
frangente.
- Sono tutti ai pezzi gli artiglieri?
- Sì, - rispose Yanez.
- Avanti a tutto vapore! Passeremo a qualunque costo.
I fasci di luce elettrica continuavano ad incrociarsi
in tutti i sensi e a poco a poco diventavano più
luminosi.
Probabilmente i comandanti di quelle navi dovevano
aver scorta l'ombra immensa del Re del Mare e si
preparavano ad assalire, dirigendosi verso uno stesso
punto.
Il momento stava per diventare terribile; tuttavia
malesi, dayaki ed americani conservavano anche in quel
supremo momento, una calma ammirabile.
- Tutti nelle batterie! - gridò Sandokan, entrando
nella torretta di comando con Yanez e con Tremal-Naik.
Il Re del Mare balzò avanti. La sua velocità
aumentava di momento in momento ed il fumo usciva
turbinando dalle due ciminiere abbattendosi sui ponti in
causa della nebbia.
Un fremito sonoro lo scuoteva tutto, mentre gli
alberi delle eliche raddoppiavano i giri ed il vapore
muggiva nelle caldaie.
L'incrociatore attraversò come un gigantesco
proiettile la zona luminosa, ma appena rientrato nella
nebbia oscura, altri fasci di luce lo raggiunsero,
diventando rapidamente più luminosi.
Le navi nemiche si erano messe in caccia e cercavano
di rinchiuderlo in un cerchio di ferro e fuoco.
Sandokan non si sgomentava e lasciava che la sua nave
corresse sempre verso l'est.
Alcune cannonate rimbombarono al largo e si udì in
aria il rauco sibilo dei proiettili.
- Pronti pel fuoco di bordata!... - gridò Yanez. -
Per Giove!... E le fanciulle?
- Sono al sicuro nel quadro, - rispose Tremal-Naik.
- Manda qualcuno ad avvertirle che non si spaventino
se succede un urto, - disse Sandokan.
Delle ombre gigantesche si muovevano fra la nebbia
che i riflettori elettrici rendevano sempre più
luminosa.
La squadra nemica stava per piombare
sull'incrociatore delle tigri di Mompracem per tentare
di sbarrargli il passo.
Ad un certo momento una massa nera comparve
bruscamente dinanzi la prora, sulla dritta del Re del
Mare, a meno di quattro gomene di distanza. Era
impossibile arrestare lo slancio dell'incrociatore.
- Speronate! - gridò Sandokan con voce tuonante.
Il Re del Mare si precipitava sul legno nemico come
un ariete.
Un rombo assordante, spaventevole, seguìto da urla
d'angoscia echeggiò fra la nebbia perdendosi lontan
lontano sul mare.
Lo sperone dell'incrociatore era entrato tutto dentro
la nave avversaria, producendole uno squarcio immenso...
Il Re del Mare s'arrestò un momento inclinandosi a
prora, mentre degli scoppi accadevano sulla nave
investita e colpita a morte da quella terribile
speronata. Le caldaie scoppiavano.
- Macchina indietro! - gridò l'ingegnere americano.
Si udirono a prora dei sordi scricchiolii, poi il Re
del Mare con una brusca scossa liberò il suo sperone
indietreggiando e virando a babordo.
La nave sventrata calava a fondo a vista d'occhio,
fra i clamori assordanti del suo equipaggio.
Il Re del Mare aveva ripresa la corsa, passando a
poppa della nave sommergentesi, gettandosi nuovamente
tra mezzo alla nebbia.
Altre ombre pure apparivano a babordo e a tribordo.
Le navi della squadra, approfittando di quel momento di
sosta, avevano raggiunto il Re del Mare e gli
proiettavano sul ponte fasci di luce.
- Fuoco accelerato! - comandò Yanez.
L'incrociatore s'infiamma come un vulcano in
eruzione, con un rimbombo orrendo. I giganteschi pezzi
delle torri hanno fatto fuoco quasi simultaneamente,
facendo tremare la nave dalla chiglia alla punta degli
alberi, scagliando sulle navi nemiche i loro grossi
proiettili, poi i pezzi di medio calibro delle batterie
hanno seguìto l'esempio, tempestando i nemici.
Gli inseguitori non parvero spaventarsi, quantunque
quella tremenda scarica delle più grosse artiglierie
moderne dovesse aver prodotto danni gravi e forse, per
qualche piccolo e maldifeso legno, irrimediabili.
Da tutte le parti i lampi spesseggiano. I proiettili
delle granate che si spaccano sulla solida blindatura
della nave corsara, scoppiano sui ponti lanciando
dovunque schegge di metallo.
Colpiscono il tribordo ed il babordo, piombano a
poppa ed a prora, scivolando sui ponti e rimbalzano
sulle cime delle torri.
Il Re del Mare nondimeno non s'arresta, anzi risponde
con una furia spaventevole, mandando palle a destra, a
sinistra e dietro la poppa.
Una piccola nave, che fila con una velocità
vertiginosa, emerge bruscamente fra la nebbia e con una
pazza temerità corre addosso all'incrociatore.
È una grossa scialuppa a vapore che porta a prora
una lunga asta, l'antica torpediniera Horward.
L'ingegnere americano, che conosce quell'arme micidiale,
manda un grido:
- Badate, cercano di torpedinarci!
Sandokan e Yanez erano balzati fuori della torretta
di comando. La scialuppa, che era illuminata dalle
lampade elettriche delle altri navi, muoveva veloce
verso il Re del Mare, cercando di raggiungerlo. Un uomo,
il comandante, stava a prora, dietro l'asta.
- sir Moreland! - gridarono ad una voce.
Era infatti l'anglo-indiano che cercava, con una
pazza temerità, di torpedinare l'incrociatore.
- Arrestate quella scialuppa! - aveva gridato
Sandokan.
- No, nessuno faccia fuoco! - urlò invece Yanez.
- Che cosa fai, fratello? - chiese la Tigre della
Malesia, stupita.
- Non uccidiamolo: Darma piangerebbe troppo. Lascia
fare a me.
A tribordo vi erano parecchi pezzi di medio calibro.
Yanez s'appressò al più vicino che era stato già
puntato sulla scialuppa, corresse rapidamente la mira,
poi diede uno strappo al cordone tirafuoco.
La scialuppa non si trovava allora che a trecento
metri, non riuscendo a guadagnare via sull'incrociatore.
Il proiettile la colpì con matematica precisione a
poppa, asportandole ad un tempo il timone e l'elica e
fermandola, per modo di dire, in piena volata.
- Buon viaggio, sir Moreland! - gli gridò il valente
artigliere, con voce ironica.
L'anglo-indiano aveva fatto un gesto di minaccia, poi
il vento portò fino agli orecchi delle tigri di
Mompracem queste parole:
- Fra poco incontrerete il figlio di Suyodhana!...
V'aspetta nel golfo!...
L'incrociatore aveva allora oltrepassata la zona
luminosa e si rituffava nella nebbia. Scaricò un'ultima
volta i suoi pezzi da caccia in direzione delle navi
nemiche, che non potevano gareggiare colle sue macchine
e sparve verso l'est, mentre i malesi ed i dayaki
urlavano a squarciagola:
- Viva la Tigre della Malesia!... |