3. Un combattimento
terribile
Sandokan attendeva Yanez ed i prigionieri sulla cima
della gradinata, a fianco d'una bellissima fanciulla
dalla pelle leggermente abbronzata, i lineamenti dolci e
fini, gli occhi nerissimi ed i capelli assai lunghi,
intrecciati con nastrini di seta e che indossava il
pittoresco costume delle donne indiane.
Alcuni uomini dalla tinta olivastra, che indossavano
le bianche divise della marina da guerra, illuminavano
la scala con delle grosse lanterne.
Yanez pel primo era giunto sulla tolda, tendendo una
mano al terribile pirata e l'altra alla giovane indiana.
- Nulla? - aveva chiesto la Tigre della Malesia con
ansietà.
- Eccoli, - avea risposto Yanez.
Sandokan avea mandato un grido e si era slanciato
verso Tremal-Naik, mentre Darma si gettava fra le
braccia della giovane indiana, esclamando:
- Surama! Non credevo più mai di rivederti!
- Nel quadro, miei cari amici, - disse Sandokan, dopo
d'essersi stretto al petto l'indiano e di aver baciato
sulle gote Darma. - Abbiamo mille cose da dirci.
- Un momento, Sandokan, - disse Yanez, arrestandolo.
- Fa' mettere la prora al nord e risaliamo a piccolo
vapore verso la seconda foce del Redjang. Vi è un
leopardo nero che ci aspetta lassù e che se non lo
assaliamo ci guasterà i nostri piani. Si dice che sia
molto forte.
- Una nave?
- Sì e che a quest'ora si prepara per darci la
caccia.
- Ah! - fece Sandokan, quasi con noncuranza. - Domani
ci sbarazzeremo di quell'importuno.
Chiamò Sambigliong e l'ingegnere di macchina e diede
loro alcuni ordini, poi scese nell'elegante salotto del
quadro con Tremal-Naik, Darma e Surama che s'appoggiava
dolcemente a Yanez, il suo sahib bianco.
Quando ebbe appreso l'esito della spedizione e
quand'ebbe spiegato a Tremal-Naik tuttociò che era
accaduto dopo il combattimento avvenuto sulle coste del
Borneo, dell'acquisto della potente nave americana e
della dichiarazione di guerra lanciata
contemporaneamente all'Inghilterra ingenerosa ed al
nipote di James Brooke, disse:
- Non sono già le squadre inglesi, che non
tarderanno a darci la caccia, nè la flottiglia del
rajah di Sarawak che m'inquietano: è sempre il mistero
che avvolge il figlio del tuo antico nemico, mio caro
Tremal-Naik. Dove si nasconde quell'uomo che ha dato una
rara prova della sua potenza, distruggendo per opera del
pellegrino, le tue piantagioni e le tue possessioni?
Quando ci assalirà? Che cosa sta tramando costui? Io
non temo nessuno, eppure quell'uomo che non abbiamo mai
veduto, che non sappiamo nè dove sia nè che cosa stia
preparando, mi preoccupa, più che la presenza d'una
squadra inglese.
- Non avete raccolta nessuna notizia su di lui? -
chiese Tremal-Naik, che pareva non meno preoccupato del
formidabile pirata.
- Abbiamo interrogato parecchie persone durante la
nostra corsa verso il sud avendo fermato parecchi
velieri di Sarawak, e senza riuscire a sapere dove sia
quell'uomo.
- Non sarà già uno spirito.
- Si mostrerà una volta o l'altra, - disse Yanez. -
Se vuole farci la guerra e vendicare la morte di suo
padre, non rimarrà già eternamente nascosto.
- Che cosa conti di fare intanto, Sandokan? - chiese
Tremal-Naik.
- Di cominciare le ostilità col dare battaglia a
quella nave che si tiene ancorata alla foce del Redjang.
Giacchè abbiamo dichiarata la guerra diamo segno di
farla davvero.
- Volete affondarla? - chiese Darma con un tono di
voce che fece trasalire Yanez.
- La distruggerò, Darma, - rispose freddamente
Sandokan.
Il portoghese, che la guardava attentamente, la vide
leggermente impallidire e gli parve che un lieve sospiro
le fosse uscito dalle labbra, ma fu tutto, poichè la
fanciulla non ribattè parola alla terribile sentenza di
morte pronunciata dal formidabile pirata contro la nave
di sir Moreland.
Tutti si erano alzati per risalire in coperta. Surama
aveva presa per una mano Darma, dicendole:
- Lasciamo fare agli uomini e tu vieni a riposarti
nella mia cabina. Ho fatto preparare un bel lettino per
te, perchè ero sicura di rivederti presto.
La figlia di Tremal-Naik sorrise senza rispondere e
la seguì nell'interno del quadro.
Quando Sandokan, Tremal-Naik e Yanez furono in
coperta, tutti gli uomini erano ai loro posti di
combattimento, avendo Sambigliong avvertito le tigri di
Mompracem che l'incrociatore si preparava ad assalire
una grande nave nemica. I fanali di posizione erano
stati accesi e le batterie illuminate e raddoppiato il
personale del timone. I quattro enormi pezzi da caccia,
disposti in barbetta, a prora e a poppa entro torri
giranti difese da piastre di ferro di spessore
considerevole, erano già stati caricati.
Un colpo di vento avendo dispersi nuovamente i vapori
che ingombravano il cielo, cacciandoli verso il sud, le
stelle erano riapparse, sicchè un vago chiarore si era
diffuso nelle nere acque del vasto golfo di Sarawak,
chiarore che permetteva di poter facilmente distinguere
una nave, anche se navigasse coi fanali spenti.
Il Re del Mare s'avanzava a piccolo vapore, per non
consumare troppo combustibile, anzi Sandokan, per
maggior economia, aveva fatto spiegare le vele basse sul
trinchetto e sull'albero maestro, essendo il vento
abbastanza fresco e non del tutto sfavorevole. Dopo i
consigli del capitano americano, il formidabile pirata
era diventato eccessivamente economico nel consumo del
combustibile, non potendo provvedersi in alcun porto
dopo l'audace dichiarazione di guerra, e durante la
traversata fra Labuan e il golfo di Sarawak non aveva
fatto uso che delle vele, manovra d'altronde più
familiare ai suoi uomini, quantunque non pochi di loro
fossero stati già istruiti nel servizio delle macchine
dagli americani rimasti a bordo.
Yanez e Tremal-Naik, appoggiati alla murata di prora,
il cui capo di banda era stato imbottito da amache
arrotolate per riparo dei fucilieri, scrutavano
attentamente l'orizzonte, mentre Sandokan visitava le
batterie e i pezzi per vedere se tutto era in ordine.
A levante le coste apparivano confusamente,
diventando sempre più elevate di miglio in miglio che
s'avvicinavano al dirupato e altissimo promontorio di
Sirik, che chiude verso occidente la vasta baia o golfo
di Sarawak. Nessun lume però brillava, quantunque in
quei luoghi si trovasse la cittadella di Redjang.
La notte trascorse così in una continua
esplorazione, senza risultato alcuno, ma appena
cominciò a diffondersi un po' di luce, si udì subito
la voce della vedetta installata sulle crocette del
trinchetto a gridare a squarciagola:
- Fumo a levante!
Yanez, Tremal-Naik e Sandokan si erano subito issati
sulle griselle di babordo del trinchetto, innalzandosi
fino alla coffa e videro subito, là dove il mare pareva
confondersi col cielo, un pennacchio di fumo alzarsi
nettamente nella limpida atmosfera mattutina.
- Viene dalla foce del Redjang, - disse Yanez. -
Scommetterei cento sterline contro una sigaretta che
quella è la nave di sir Moreland.
- L'hai veduta tu quella nave? - chiese Sandokan a
Tremal-Naik.
- No, - rispose l'indiano. - Mi hanno detto però che
stava completando le sue provviste di carbone alla foce
del secondo braccio del Redjang.
- Vi è un deposito di combustibili colà?
- Udii a parlare d'un praho carico di carbone mandato
da Sarawak. Non deve esservi nemmeno una misera borgata
su quelle spiaggie.
- Peccato, - disse Sandokan.
- Ma io ho udito a raccontare che ve n'è uno alla
foce del Sarawak invece, su di un'isoletta e dove va a
provvedersi la squadra del rajah.
- Chi te lo ha detto?
- sir Moreland.
- Se ci va la squadra del rajah, possiamo bene
andarci anche noi, è vero Yanez?
- E senza pagarlo, - rispose il portoghese, che non
dubitava mai di nulla. - Ecco la prora che comincia ad
emergere. Muovono su di noi, Sandokan, ed a tutto
vapore. Devono aver scorto anche essi il nostro fumo.
Sandokan si levò da una tasca un cannocchiale, lo
allungò più che potè e lo puntò sulla nave il cui
scafo si cominciava a distinguere anche a occhio nudo.
- Una bella nave infatti, - disse. - Lo si direbbe un
incrociatore e di forte tonnellaggio. Vedo molti uomini
a bordo.
- Corre su di noi? - chiese Yanez.
- A tiraggio forzato, credo. Teme che noi scappiamo.
No, mio caro, non ne abbiamo alcun desiderio. È qui che
noi cominceremo le ostilità.
- Lo caleremo a fondo?
- Mi rincresce pel capitano, - disse Tremal-Naik. -
Contraccambiamo molto male la sua ospitalità.
- Dorata, ma senza libertà, - disse Yanez.
- Prepariamoci, - disse Sandokan.
Scesero in coperta, dove s'incontrarono con Darma e
con Surama che erano allora salite.
- Ci attaccano, mio sahib6?- chiese l'indiana a Yanez.
- E farà molto caldo qui fra poco, Surama, - rispose
il portoghese.
- Noi vinceremo, è vero?
- Come abbiamo vinti i thugs di Suyodhana.
- È la nave di sir Moreland? - chiese Darma, con una
certa ansietà, che non isfuggì all'astuto portoghese.
- Almeno lo supponiamo.
Poi, prendendola per un braccio e traendola verso la
torre di prora, le chiese, sorridendo:
- Che cos'hai Darma? È già la terza volta che,
udendo parlare del capitano, mi sembri commossa.
- Io! - esclamò la fanciulla, arrossendo
leggermente. - Vi siete ingannato, signor Yanez.
- Per Giove! Che la vecchiaia mi abbia indebolita la
vista?
- Oh no, ci vedete ancora troppo bene.
- Allora?
Darma volse il capo verso il mare, fissando i suoi
sguardi sulla nave nemica, che forzava la sue macchine e
dicendo:
- È una grossa nave anche quella.
- Che non varrà la nostra - rispose Yanez.
- Costringetela ad arrendersi piuttosto che
affondarla. Potrebbe esservi utile.
- Se è comandata da sir Moreland non abbasserà la
bandiera. Quell'uomo, quantunque giovane, deve essere un
valoroso e si batterà finchè tutto il suo equipaggio
non sarà distrutto.
- E non accorderete quartiere a nessuno?
- Quando la nave calerà a picco vedremo di salvare i
superstiti, te lo prometto, Darma. Ritirati nella cabina
con Surama. Qui stanno per piovere le granate.
La voce formidabile, sonora come lo squillo d'una
tromba, della Tigre della Malesia, echeggiò in quel
momento sul ponte:
- A tutto vapore, ingegnere di macchina! Pronti pei
fuochi di bordata! Dietro le brande i fucilieri!
La nave avversaria che doveva essere fornita di
macchine poderose, non era più che a duemila metri e
muoveva diritta sul Re del Mare delle tigri di Mompracem,
come se avesse avuto intenzione di speronarlo o per lo
meno di abbordarlo.
Era un bell'incrociatore e fornito di sperone, con
tre alberi e due ciminiere. Pareva che fosse
potentemente armato a giudicarlo dal numero dei suoi
sabordi e anche in coperta si scorgevano parecchi pezzi,
ma non protetti da torri blindate come quelli delle
tigri di Mompracem.
Dietro le murate e perfino sulle coffe si vedevano
numerosi fucilieri e sul ponte di comando parecchi
ufficiali.
- Ah! - disse Sandokan, che lo contemplava con occhio
tranquillo. - Vuoi misurarti pel primo colle tigri di
Mompracem? Siamo pronti a riceverti.
Mentre le due fanciulle sgombravano rapidamente la
coperta rifugiandosi nel quadro di poppa, Sandokan,
Yanez e Tremal-Naik si ritrassero nella torretta di
comando dove potevano mettersi in comunicazione col
personale di macchina.
Gli artiglieri americani, assieme ai migliori
puntatori malesi, attendevano dietro ai loro pezzi col
cordone tira-fuoco in mano.
Ad un tratto una detonazione scoppiò al largo,
mentre un getto di fuoco sfuggiva da uno dei due pezzi
di prora dell'incrociatore. Si udì un rauco sibilo, che
s'avvicinava rapidissimo attraverso gli strati d'aria,
poi una vampa s'alzò sull'orlo della prima torretta di
babordo del Re del Mare, mentre delle schegge passavano
sibilando sopra i fucilieri appiattati dietro le murate.
- Granata da dodici pollici! - aveva esclamato Yanez.
- Buon tiro!
La voce di Sandokan si fece udire subito.
- Artiglieri, non vi trattengo più!
I due pezzi da caccia di prora avvamparono nell'istesso
tempo, mentre quelli della batteria di tribordo,
trovandosi a buon tiro, tuonavano a loro volta con
rimbombo tale da far tremare tutta la nave.
L'incrociatore, che aveva già guadagnato altri
cinquecento metri e che manovrava in modo da presentare
all'avversario il suo fianco di babordo, fu sollecito a
rispondere.
Palle e granate cominciavano a cadere in gran numero
su entrambi i vascelli, scrosciando lungo i fianchi di
ferro e scheggiando i ponti, smussando i pennoni e
massacrando le manovre.
Le granate, scoppiando, lanciavano in alto getti di
fuoco, minacciando ad ogni istante di incendiare le
alberature.
I fucilieri, coricati dietro le murate, a loro volta
avevano aperto il fuoco, facendo delle scariche nutrite.
Una fitta nuvola di fumo avvolgeva le due navi, rotta
da lampi, mentre il fracasso era diventato così
formidabile da soffocare la voce dei comandanti.
La nave americana, meglio protetta, meglio armata e
anche più rapida, e montata da un equipaggio ormai
incanutito fra il fumo delle battaglie, aveva buon gioco
contro l'avversario.
Le sue poderose artiglierie battevano terribilmente
l'incrociatore, coprendolo di fuoco e di ferro,
demolendogli le murate, massacrando le sue manovre e
aprendogli fori considerevoli nello scafo.
Invano la povera nave, che aveva creduto di
annientare facilmente i pirati di Mompracem, cercava di
tener testa a quell'uragano di ferro che cadeva sui suoi
ponti con un orrendo frastuono, facendo strage degli
artiglieri della coperta e dei fucilieri. Le sue palle
rimbalzavano sulle piastre metalliche del Re del Mare e
le sue granate non riuscivano a demolire le torri
blindate, dietro le quali gli artiglieri di Mompracem,
sotto la direzione dei quartiermastri americani,
sparavano al sicuro.
Sandokan aveva fatto ritirare sotto coperta i suoi
fucilieri, avendo compresa l'inutilità di quegli
uomini, necessari sui prahos, ma non su simili navi, e
aveva dato il comando di muovere addosso
all'incrociatore per dargli l'ultimo colpo.
Il Re del Mare, quasi ancora incolume, nonostante il
furioso e ininterrotto cannoneggiamento dell'avversario,
si era slanciato innanzi descrivendo una immensa curva
attorno all'incrociatore che si era fermato.
A quattrocento metri gli scaricò addosso una
terribile bordata coi pezzi del ponte e quelli di
babordo, demattandolo e rasandolo come un pontone.
Perfino le due ciminiere erano rovinate in coperta,
divelte da due granate scoppiate alla loro base.
- È finito, - disse Yanez. - Intimiamogli la resa.
- Se si arrenderanno, - rispose Sandokan.
Lasciò che il vento diradasse il fumo e fece
innalzare sulla cima dell'alberetto maestro la bandiera
bianca. La risposta fu una bordata che fulminò metà
dei timonieri del Re del Mare.
- Non ne avete abbastanza? - gridò Sandokan. -
Calatelo a fondo! Fuoco! Fuoco senza tregua!
Il cannoneggiamento ricominciò con un crescendo
spaventevole. Il Re del Mare continuava la sua rapida
corsa circolare opprimendo il disgraziato incrociatore
sotto un fuoco spaventevole.
La nave americana faceva meraviglie. Pareva un
vulcano avvampante, pronto a tutto distruggere.
L'incrociatore nondimeno opponeva una resistenza
eroica, quantunque ormai fosse ridotto ad un ammasso di
rovine. I due pezzi della coperta, smontati da quella
grandine di granate, non rispondevano più.
Il ponte era pieno di morti e di feriti mescolati a
pezzi di murate, a pennoni spaccati, a lembi di manovre
cadute dalle alberature sotto gli ultimi uragani di
mitraglia ordinati da Sandokan.
Getti di fuoco correvano da prora a poppa,
illuminando sinistramente il mare, mentre dagli
ombrinali di babordo e di tribordo sfuggivano getti di
sangue.
La nave si sfasciava sotto i colpi furiosi, mortali
del Re del Mare.
- Basta! - gridò ad un tratto Yanez, che dalla torre
di comando assisteva a quella strage. - Cessate il
fuoco! Le scialuppe in mare!
Sandokan che guardava freddamente, terribilmente
impassibile, si volse verso il portoghese, dicendogli:
- Che cosa comandi, fratello?
- Che il massacro cessi.
La Tigre della Malesia ebbe un momento di esitazione,
poi rispose:
- Hai ragione: salviamo i superstiti. Quegli uomini o
meglio il loro comandante è un eroe! Mettete in acqua
le scialuppe!
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