16. La dichiarazione di guerra
La flottiglia della Tigre della Malesia, pur fuggendo
dinanzi al nemico, si batteva furiosamente, rispondendo
vigorosamente coi quattro pezzi da caccia postati sulla
tolda della Marianna e le grosse spingarde dei prahos.
Si componeva di otto velieri, muniti di vele immense
e montati da equipaggi numerosi, ma solo quello montato
dalla Tigre, che era ancora più grosso di quello che
Yanez aveva perduto sul Kabatuan, era in grado di
tenere, almeno per qualche tempo, testa agli avversari.
Gli altri non erano che dei semplici navigli malesi, un
po' più grossi dei prahos comuni, senza bilancieri e
forniti invece di ponte e di murate piuttosto alte per
meglio proteggere i fucilieri.
La squadra nemica, che doveva prima aver cacciate le
tigri di Mompracem dalla loro isola, era di molto più
forte e anche meglio armata, componendosi di due piccoli
incrociatori che battevano bandiera inglese, di quattro
cannoniere e di un brigantino di tonnellaggio quasi
eguale a quello della Marianna.
Tuttavia quelle diverse navi non osavano abbordare i
velieri di Sandokan ed avevano molto da fare a tener
testa alle formidabili scariche di moschetteria dei
pirati, ai pezzi da caccia ed ai colpi di mitraglia dei
prahos che spazzavano, come uragani micidiali, i loro
ponti.
La comparsa improvvisa della magnifica e poderosa
nave americana, aveva interrotto per un momento la pugna
e sospeso il combattimento, ignorando tanto gli
inseguiti quanto gli inseguitori a quale nazione
appartenesse, non essendo stata innalzata alcuna
bandiera sull'asta di poppa, nè al pomo della mezzana.
Una voce formidabile che s'alzò dal ponte di comando
della nave, avvertì le tigri di Mompracem che avevano
un formidabile protettore.
- Viva Sandokan! Hurrà per Mompracem.
Poi seguì il comando:
- Fuoco di bordata sugli inglesi!
I setti pezzi di babordo della nave americana, tutti
i pezzi di grosso calibro, e di lunga portata,
avvamparono quasi nell'istesso tempo, con un rimbombo
spaventevole che si ripercosse fino in fondo alla stiva,
facendo tremare perfino i puntali, e quella tempesta di
proiettili rovinò addosso ad uno dei piccoli
incrociatori demattandolo d'un colpo solo,
squarciandogli il fianco di tribordo e facendogli
scoppiare le caldaie. Un uragano di fuoco e di fumo
irruppe tosto dalla sala delle macchine, seguìto da un
fragore formidabile che pareva prodotto dallo scoppio
delle casse di munizioni e di barili di polvere.
La nave, arrestata di botto, si piegò sul fianco
ferito, mentre l'equipaggio si gettava in acqua,
urlando.
- Ebbene, signor de Gomera, - disse l'americano che
gli stava presso, sulla plancia di comando. - Che cosa
ne pensate delle vostre artiglierie?
- Ve lo dirò più tardi, - rispose il portoghese. -
Gettiamoci fra i prahos e le cannoniere e diamo
battaglia. Artiglieri! Fuoco di tribordo! Giù il
brigantino!
Una seconda scarica seguì quel comando, mentre i
prahos delle tigri di Mompracem si riparavano dietro la
nave americana, scaricando le loro grosse spingarde.
Il brigantino, che si era portato innanzi per
proteggere coi suoi pezzi da caccia l'altro
incrociatore, prese una tale fiancata che tutte le sue
murate si sfasciarono, mentre l'albero maestro, spaccato
due piedi sopra la tolda, precipitava attraverso la
prora con orrendo fracasso, sfondando parte del castello
ed ammazzando o storpiando una mezza dozzina di
gabbieri.
Urla formidabili si levarono dai ponti dei prahos
della Tigre della Malesia, frammisti a poderose scariche
di mitraglia. I pirati di Mompracem si prendevano la
loro rivincita e mercè l'aiuto di quella nave potente,
sul cui picco era stata subito spiegata la bandiera
dell'antico scorridore del mare, tutta rossa con tre
teste di tigre, infliggevano a loro volta agli
assalitori vittoriosi una dura lezione.
Le cannoniere, vistesi impotenti a sostenere il fuoco
contro un così terribile avversario, che possedeva
delle artiglierie di una potenza e di un calibro quasi
sconosciuto in quell'epoca, raccolti in furia i marinai
dell'incrociatore e gettata una gomena al brigantino che
si trovava nell'impossibilità di rimettersi alla vela,
batterono rapidamente in ritirata in direzione di
Mompracem, salutati da un'ultima scarica fatta dai pezzi
da caccia della Marianna e dalle spingarde dei prahos.
Intanto un uomo era disceso sulla piattaforma della
scala della nave americana, che era stata subito
abbassata e si era slanciato sulla coperta cadendo fra
le braccia aperte di Yanez.
Era di statura piuttosto alta, stupendamente
sviluppato, con una testa bellissima, d'aspetto fiero ed
energico, colla pelle assai abbronzata, gli occhi
nerissimi che pareva avessero dentro un fuoco e la
capigliatura folta, ricciuta e nera come l'ala d'un
corvo, che cadevagli sulle spalle. La barba invece,
appariva un po' brizzolata mentre sulla fronte si
disegnavano alcune rughe che non dovevano essere
precoci.
Vestiva all'orientale, con una casacca di seta
azzurra a ricami d'oro e maniche ampie, stretta alla
cintura da un'alta fascia di seta rossa sorreggente una
splendida scimitarra e due pistole dalle canne
lunghissime e arabescate ed i calci ad intarsi d'avorio
e d'argento; aveva calzoni larghi, alti stivali di pelle
gialla a punta rialzata e sul capo un turbantino di seta
bianca con un pennacchio fermato da un diamante grosso
quasi come una noce.
Una bellissima fanciulla, che indossava un costume di
donna indiana, lo seguiva.
- Sandokan! - aveva esclamato Yanez, stringendoselo
al petto. - Tu, battuto! E anche tu, mia Surama!
Un lampo ardente balenò negli sguardi del comandante
della squadriglia dei velieri, mentre il suo viso
assumeva una terribile espressione d'odio e nel medesimo
tempo di dolore.
- Sì, battuto per la seconda volta e ancora dal
medesimo nemico, - disse poi con voce sorda. - Cacciato
da Mompracem!
- Non l'avrei certo lasciata per far piacere a loro,
Yanez.
- Tutto perduto?
- Hanno distrutto tutto, quei cani. I villaggi sono
in fiamme, la popolazione è stata massacrata senza
risparmiare nè le donne, nè i fanciulli, colla ferocia
ben nota degli inglesi quando si sentono più forti e si
trovano dinanzi a delle genti di colore. Anche la nostra
casa non sussiste più.
- Ma perchè questo assalto improvviso?
Sandokan, invece di rispondere aveva volto lo sguardo
in giro, guardando la tolda della magnifica nave che si
copriva di marinai americani.
- Dove hai trovato questo incrociatore? - chiese
poscia. - Che
cos'hai fatto in questi giorni? E Tremal-Naik? E
Darma? E la Marianna? E chi sono questi uomini bianchi
che prendono le difese delle tigri di Mompracem?
- Sono avvenute delle cose gravissime, fratellino
mio, dopo la mia partenza pel Kabatuan, - rispose Yanez.
- Ma prima che ti racconti ciò, dimmi dove ti recavi
ora.
- In cerca di te, innanzitutto, poi di un nuovo
asilo. Non mancano le isole al nord del Borneo dove
potersi posare e prepararsi alla vendetta, - disse
Sandokan. - La Tigre della Malesia farà udire ancora il
suo ruggito sulle spiagge di Labuan e anche su quelle di
Sarawak.
Yanez fece un segno al capitano che stava fermo a
pochi passi, in attesa di ricevere gli ordini del nuovo
proprietario della nave, poi, dopo averlo presentato a
Sandokan, gli chiese:
- Dov'è che desiderereste sbarcare, capitano?
- Possibilmente a Labuan, dove mi sarà più facile
trovare imbarchi per Pontianak e poi ho due uomini
laggiù che potrebbero darvi delle preziose
informazioni, signor de Gomera.
Rimarranno a vostra disposizione fino a che ne avrete
bisogno, tutto il personale di macchina che ha accettato
le vostre proposte e due quartiermastri artiglieri onde
istruire i vostri malesi nel servizio dei pezzi. Sarei
ben lieto di rimanere in vostra compagnia e prendere
parte alla campagna, che non ne dubito, inizierete
contro quei signori dalle bandiere rosse inquartate.
- Avanzatevi lentamente su Labuan in modo da potervi
giungere di notte. I prahos potranno seguirci senza
difficoltà, essendo il vento fresco, - ordinò Yanez.
Poi, passato un braccio sotto il destro di Sandokan,
lo trasse verso poppa e scesero entrambi nel quadro,
seguìti dalla giovane indiana.
In quel momento le cannoniere, il brigantino e
l'incrociatore scomparivano fra le nebbie
dell'orizzonte.
- Narrami che cosa è successo a Mompracem,
innanzitutto, - disse Yanez, mentre sturava una
bottiglia di whisky e fissava sorridendo Surama. -
Perchè ti sono piombati addosso? Kammamuri che era
giunto alla fattoria di Tremal-Naik mi aveva già
narrato che il governatore di Labuan desiderava
prenderti l'isola.
- Sì, e col pretesto che la mia presenza costituiva
un continuo pericolo per quella colonia ed incoraggiava
i pirati bornesi, - rispose Sandokan. - Non credevo
però che spingesse le cose tanto oltre verso di noi,
che abbiamo reso all'Inghilterra un così grande
servigio sbarazzando l'India dalla setta dei thugs.
Invece quattro giorni or sono un messo inglese mi recò
l'ordine di sgombrare l'isola entro quarantott'ore,
sotto la minaccia di cacciarmivi colla forza.
Scrissi allora al governatore che l'isola da
vent'anni era stata occupata da me e che per diritto mi
apparteneva e che la Tigre della Malesia era tale uomo
da difenderla a lungo; quand'ecco che ieri sera, senza
alcuna dichiarazione di guerra, mi vedo piombare addosso
la squadra che tu hai trattata così bene, mentre
un'altra, composta di piccoli velieri, sbarcava sulle
rive occidentali quattro compagnie di cipai con quattro
batterie di artiglieria.
- Canaglie! - esclamò Yanez, indignato. - Ci hanno
considerati come fossimo ancora dei pirati!
- Peggio, come degli antropofagi, - disse Sandokan,
con voce fremente. - A mezzanotte i villaggi sorpresi
erano in fiamme ed i loro abitanti massacrati con
inaudita ferocia, mentre la squadra apriva un fuoco
terribile contro le nostre trincee della piccola baia,
distruggendomi buona parte dei prahos.
Quantunque preso fra due fuochi, fra i pezzi delle
navi e le batterie dei cipai, ho resistito
disperatamente fino all'alba, respingendo più di
quattordici attacchi; poi, quando vidi che ogni
resistenza era inutile, mi sono imbarcato cogli avanzi
delle mie bande ed a colpi di cannone mi sono aperto il
passo fra gli incrociatori e le cannoniere, riuscendo a
fuggire in tempo.
- Ed ora che cosa intendi fare?
La Tigre della Malesia alzò la destra agitandola
come se impugnasse qualche arma e si preparasse a
vibrare un colpo mortale, poi, contraendo le labbra come
la belva di cui portava il nome, disse con uno scoppio
d'ira spaventevole:
- Che cosa penso di fare? Come vent'anni or sono ho
fatto tremare Labuan, tornerò a spargere il terrore su
tutte le sue coste. Dichiaro la guerra all'Inghilterra
ed a Sarawak insieme.
- Od al figlio di Suyodhana?
Sandokan aveva fatto un soprassalto.
- Che cosa hai detto, Yanez? - gridò, guardandolo
con profonda sorpresa.
- Che l'uomo che ha sollevati i dayaki del Kabatuan,
che ha fatto muovere il governatore di Labuan e quello
di Sarawak per cacciarci da Mompracem è il figlio della
Tigre dell'India che tu hai uccisa a Delhi.
Sandokan era rimasto muto: pareva che quella
inaspettata rivelazione lo avesse fulminato.
- Aveva un figlio, il capo degli strangolatori
indiani! - esclamò finalmente.
- E molto abile e molto risoluto e deciso a vendicare
la morte di suo padre, - aggiunse Yanez. - Noi abbiamo
perduta già la nostra isola, tutte le fattorie di
Tremal-Naik sono state distrutte e quel caro amico e
Darma si trovano in sua mano.
- Te li hanno rapiti! - gridò Sandokan.
- Dopo un combattimento terribile che sarebbe
terminato colla morte di tutti, senza l'arrivo
provvidenziale di questa nave.
Sandokan si era messo a girare pel salotto cogli
scatti d'una belva rinchiusa in una gabbia, la fronte
burrascosamente aggrottata e le mani raggrinzite sul
petto.
- Narrami tutto, - disse ad un tratto, fermandosi
dinanzi al portoghese e vuotando d'un fiato solo una
tazza di whisky.
Yanez, più brevemente che potè, raccontò le
diverse avventure toccategli dopo la partenza da
Mompracem e che già noi conosciamo.
Sandokan le aveva ascoltate in silenzio, senza
interromperlo.
- Ah! Questa nave è nostra? - disse quando Yanez
ebbe finito. - Sta bene: faremo guerra all'Inghilterra,
a Sarawak, al figlio di Suyodhana, a tutti!
- E dei nostri prahos che cosa ne farai? Non
potrebbero seguire questa nave che fila come un pesce
veliero. Vorresti affondarli?
- Li manderemo nella baia d'Ambong. Colà abbiamo
degli amici e terranno in consegna i nostri velieri fino
al nostro ritorno, mantenendo un equipaggio solo sulla
Marianna.
- Che ci seguirà?
- Potremmo averne bisogno più tardi.
Lasciarono il quadro e salirono in coperta, dove
Kammamuri, il prode maharatto, e Sambigliong li
attendevano.
La nave filava a piccolo vapore verso oriente,
seguìta a breve distanza dalla Marianna di Sandokan e
dai prahos, i quali avevano il vento in favore.
In lontananza si profilavano debolmente le alture di
Labuan, indorate dagli ultimi raggi del sole, prossimo
ormai al tramonto.
Alle nove di sera l'incrociatore s'arrestava a mezzo
miglio dalla spiaggia, di fronte al luogo ove aveva
sbarcato i due marinai potendo darsi che il segnale
venisse fatto quella notte istessa.
Nessuno aveva acceso i fanali, nemmeno la poderosa
nave onde non attirare l'attenzione delle cannoniere
inglesi a guardia dell'isola.
Erano trascorse quattro ore, quando un razzo verde,
s'alzò sulla cima d'una scogliera. Yanez, Sandokan,
l'americano e la giovane indiana che stavano
chiacchierando sulla plancia di comando, seduti su delle
poltrone a dondolo, si erano bruscamente alzati.
- Il segnale dei miei uomini! - aveva esclamato lo
yankee. - Sapevo che erano due furbi quelli e che non
avrebbero perduto il loro tempo nelle taverne di
Victoria.
Ad un suo comando un marinaio lanciò un razzo rosso
a cui i due americani risposero subito con un altro
d'eguale colore.
Poco dopo una sottile linea oscura si staccava dalla
scogliera, lasciandosi dietro una scia fosforescente. Il
mare, saturo di nottiluche, luccicava sotto i colpi dei
remi come se dei getti di zolfo fuso scorressero sotto
la scialuppa.
Yanez aveva fatto abbassare la scala.
Dieci minuti dopo l'imbarcazione abbordava la grossa
nave e i due americani salivano frettolosamente.
- Dunque? - chiesero ad una voce Yanez ed il
comandante, con ansietà.
- Siamo riusciti al di là delle nostre speranze,
signori, - rispose uno dei due.
- Sbrigati a spiegarti, Tom, - disse lo yankee. - Sai
dove sono state condotte quelle persone?
- Sì, capitano. L'ho saputo da un nostro
compatriotta che montava quella scialuppa a vapore di
cui vi ha parlato il signore, - disse, accennando a
Yanez.
- Si è fermata a Labuan quella scialuppa? - chiese
il portoghese.
- Solo pochi minuti per rinnovare la provvista di
carbone e per sbarcare quel nostro compatriotta a cui
una palla aveva spezzato un braccio, - rispose il
marinaio. - Mi disse quell'uomo che a bordo vi era un
indiano, una fanciulla e cinque malesi.
- E dove li hanno condotti?
- A Redjang, nel fortino di Sambulu.
- Nel sultanato di Sarawak! - esclamò Sandokan. -
Allora è stato quel rajah che li ha fatti rapire?
- No, signore. Il nostro compatriotta ci ha detto che
è stato un uomo che si fa chiamare il Re del Mare ma
che pare abbia l'appoggio, più o meno velato, del
governatore di Labuan e del rajah.
- Non sa chi è costui? - chiese Yanez.
- Lui stesso lo ignora, non avendolo mai veduto. Ma
tuttavia ha assicurato che quell'uomo è potente e che
è amico del rajah - disse il marinaio.
Si volse verso il comandante americano:
- Volete sbarcare qui? - gli chiese.
- Preferirei piuttosto qui che su di un'altra costa.
- Non avrete dei fastidi da parte degli inglesi, dopo
quello che avete fatto?
- Nessuno mi conosce, signore, e poi sono suddito
americano e gli inglesi non oseranno molestarmi.
D'altronde inventerò una storiella qualunque per
spiegare la mia presenza sulle coste di Labuan: un
naufragio per esempio avvenuto molto al largo, la presa
della mia nave da parte dei pirati bornesi o
qualcos'altro. Non inquietatevi per me.
- V'incarichereste di affidare una lettera
all'ufficio postale di Victoria pel governatore di
Labuan?
- Figuratevi se vi negherei un tal favore, signore.
- Vi avverto che si tratta d'una dichiarazione di
guerra.
- Me l'ero immaginato, - rispose l'americano. - Mi
guarderò dall'avvertire il governatore di averla
impostata io.
- Yanez, - disse Sandokan, volgendosi all'amico, -
preleva dalla mia cassa, che si trova nella mia cabina
della Marianna, mille sterline che regalerai
all'equipaggio americano e fa' preparare le scialuppe
onde sbarchi. Scendo un momento nel quadro a scrivere la
lettera pel governatore.
Quando tornò sul ponte, l'equipaggio americano che
doveva lasciare la nave, escluso il personale di
macchina ed i due quartiermastri cannonieri che avevano
già firmato l'arruolamento, lo salutò con un
formidabile:
- Hurrà alla Tigre della Malesia! Hurrà! Hipp!
Hipp! Hipp!
Sandokan reclamò con un gesto un breve silenzio, poi
fatti salire a bordo della nave i comandanti dei prahos
e la maggior parte dei suoi Tigrotti, lesse ad alta
voce:
Noi Sandokan, soprannominato Tigre della Malesia, ex
principe di Kini-Ballon e Yanez de Gemerà legittimi
proprietarii dell'isola di Mompracem, notifichiamo al
signor governatore di Labuan che da oggi dichiariamo la
guerra all'Inghilterra, al rajah di Sarawak ed all'uomo
che è da loro protetto.
Da bordo del Re del Mare: 24 maggio 1868.
SANDOKAN E YANEZ DE GOMERA
Un urlo terribile, selvaggio, si scatenò come un
uragano dai petti delle terribili tigri di Mompracem.
- Viva la guerra! Morte ed esterminio alle giacche
rosse!
- Signore, - disse il comandante americano, tendendo
a Sandokan la destra, - vi auguro di dare a quel
prepotente di John Bull una dura lezione. Della potenza
della nave che v'ho venduto, ne rispondo pienamente e
nessun'altra che si trovi in questi mari potrà tenervi
testa. Prima però di lasciarvi vi voglio fare una
domanda e darvi un consiglio.
- Parlate, - disse Sandokan. - La nave non possiede
che cinquecento tonnellate di carbone, provvista che,
anche economizzata, non potrà durarvi più d'un mese.
Servitevi più che potete delle vele, perchè dopo la
vostra dichiarazione di guerra, avrete chiusi i porti
olandesi e del sultanato di Bruni che si manterranno
indubbiamente neutrali e che si rifiuteranno di
provvedervi.
- Avevo già pensato a questo, - rispose Sandokan.
- Mandate, quindi, prima che la guerra scoppi, la
vostra Marianna a caricare carbone a Bruni e datele un
appuntamento in qualche punto della baia di Sarawak onde
la vostra nave non rimanga senza combustibile in sul
più bello della guerra. Il carbone per voi non sarà
meno prezioso della polvere, ricordatevelo.
- In caso disperato andrò a saccheggiare i depositi
che gli inglesi hanno su certe isole pel rifornimento
delle loro squadre, - rispose Sandokan.
- Ed ora, signori, buona fortuna, - disse
l'americano, stringendo energicamente le mani ai due
antichi pirati di Mompracem.
Mise la lettera nel portafoglio e scese la scala.
Il suo equipaggio aveva già preso posto nelle
imbarcazioni che erano guidate da numerosi pirati.
La squadriglia prese subito il largo, dopo un altro
fragoroso urrah.
Mezz'ora dopo, le imbarcazioni, sbarcato l'equipaggio
americano sulla spiaggia di Labuan, fecero ritorno.
La Marianna ed i prahos avevano sciolte le vele,
pronti a salpare pel nord e raggiungere il porto amico
di Ambong, con equipaggi ridotti, essendo la maggior
parte dei loro marinai passati sull'incrociatore.
- Ed ora, - disse Sandokan, quando ebbe dato gli
ultimi ordini ai comandanti dei legni e che questi si
misero in marcia, - andiamo a liberare Tremal-Naik ed
abbattere la potenza del rajah di Sarawak, suoi alleati
e protetti.
Un momento dopo, il Re del Mare, come era stata
battezzata la poderosa nave americana, si slanciava a
tutto vapore verso il sud, per raggiungere la baia di
Sarawak. |