12. L'orgia dei dayaki
Dieci minuti dopo Yanez e Tremal-Naik, assicuratisi
che i dayaki avevano sgombrato anche la zona alberata e
che tutti si erano ripiegati sui loro accampamenti,
certi di non venire più disturbati, almeno per quella
notte, lasciavano la terrazza per raggiungere il
maharatto.
L'uragano stava per calmarsi. La nera nube si era
squarciata e attraverso uno strappo mostravasi la luna.
Solo in lontananza il tuono continuava a brontolare e
si udiva il vento ululare sinistramente sotto le folte
foreste che circondavano la pianura.
Trovarono Kammamuri nel salotto da pranzo, seduto
dinanzi alla tavola, che divideva fraternamente un pollo
arrostito colla tigre.
- È finita la battaglia, padrone? - chiese,
rivolgendosi a Tremal-Naik.
- E spero che non avranno più desiderio di ritornare
per qualche tempo, - rispose l'indiano. - È la seconda
sconfitta che subiscono.
- Quali nuove rechi da Mompracem? - chiese Yanez,
sedendosi di fronte al maharatto. - Io sono stupito di
averti veduto giungere senza una scorta. Gli uomini non
mancano a Mompracem.
- È vero, signor Yanez, ma anche là sono non meno
necessari di qui, - rispose il maharatto.
Il portoghese e anche Tremal-Naik avevano fatto un
gesto di stupore.
- Padrone, signor Yanez, io reco da Mompracem delle
gravi notizie.
- Spiegati meglio, - disse il portoghese. - Chi può
minacciare il covo delle tigri di Mompracem?
- Un nemico non meno misterioso del pellegrino,
appoggiato dagli inglesi di Labuan e dal nipote di James
Brooke, il nuovo rajah di Sarawak.
Yanez aveva lasciato cadere un pugno così
formidabile sul tavolo, da far traballare i bicchieri e
le bottiglie.
- Anche Mompracem minacciata! - esclamò.
- Sì, signor Yanez, e la cosa è più grave di
quello che credete. Il governatore di Labuan ha
notificato a Sandokan che deve prepararsi a sgombrare
l'isola.
- La nostra Mompracem? E per quale motivo?
- Egli ha scritto alla Tigre che la presenza degli
antichi pirati costituisce un pericolo permanente per la
tranquillità e per lo sviluppo della colonia inglese;
che l'isola è troppo vicina e troppo difesa; e che
infine serve d'incoraggiamento ai pirati bornesi i quali
cominciano ad alzare la testa e scorrere il mare,
contando sull'appoggio vostro.
- Menzogne! Noi da molti anni abbiamo rinunciato alle
nostre scorrerie e non prestiamo più appoggio ai
bornesi, che scorazzano i mari della Malesia.
- Sono infamie! - gridò Tremal-Naik. - È questa la
ricompensa che l'Inghilterra riserbava pei valorosi che
hanno liberata l'India dagli strangolatori? Hanno ben
ragione di chiamare quel governo l'insaziabile leopardo.
- E Sandokan, che cosa ha risposto a quell'insolente
governatore? - chiese Yanez.
- Che è pronto a difendere la propria isola e che
non cederà dinanzi ad alcuna minaccia.
- E sta fortificandosi?
- Ha fatto arruolare già cento dayaki di Sarawak e a
quest'ora li avrà ricevuti. Voi sapete che contate
ancora dei fidi amici fra gli antichi partigiani di Muda
Hassim, il competitore di James Brooke, lo sterminatore
dei pirati.
- Sì, vi son laggiù delle persone che si ricordano
ancora che fummo noi a rovesciare Brooke e rimandarlo in
Inghilterra senza una ghinea, - rispose Yanez. - E chi
è che ha mosso tutta questa guerra? Qui i dayaki
fanatizzati da un pellegrino che vogliono la testa del
tuo padrone; là gli inglesi aizzati da chissà chi,
giacchè fino a poche settimane or sono noi vivevamo in
buoni rapporti col governatore di Labuan.
- E pare che vi sia anche il rajah di Sarawak della
partita, il nipote di Brooke, - aggiunse Kammamuri. -
Una nave di quel reame, senza alcun motivo plausibile,
ha affondato in questi giorni un praho di Sandokan
lasciando affogare l'intero equipaggio. Mandata la
Marianna a dargli la caccia e chiedere al comandante
spiegazioni e riparazioni, per tutta risposta
l'equipaggio ricevette l'intimazione di seguirlo a
Sarawak.
- Ciò che non avrà fatto, suppongo, - disse
Tremal-Naik.
- No, ma dovette ritornare più che in fretta a
Mompracem sotto il fuoco d'una nave a vapore giunta
improvvisamente per sostenere la prima, e che portava
pure sul picco le bandiere del rajah.
- Tremal-Naik, - disse Yanez che si era alzato e che
passeggiava nervosamente per la sala. - Mi viene un
sospetto.
- E quale?
- Che tutta questa congiura sia opera del rajah per
vendicare la caduta di suo zio e che si sia accordato
col governo inglese. Già noi siamo una spina per
Labuan, che è così prossima a Mompracem e che noi
molti anni fa per poco non abbiamo espugnata e
conquistata.
- Non solo, signor Yanez, vi è qualche altro nella
partita, - disse Kammamuri.
- E chi?
- Sapete che cosa mi ha raccontato l'ex servo del mio
padrone che mi ha aiutato ad attraversare gli
accampamenti dei dayaki e giungere qui inosservato?
- Che cosa? - chiesero ad una voce Yanez e
Tremal-Naik.
- Che il pellegrino che ha fanatizzato i dayaki e che
li ha armati e pagati largamente, non è un arabo, come
lo si è creduto finora, bensì un indiano.
- Un indiano! - esclamarono i due amici.
- E ho da dirvi qualche cosa di più grave ancora,
che vi farà aprire di più gli occhi e meglio
comprendere con quale nemico noi abbiamo da fare. L'ex
servo ha aggiunto d'averlo sorpreso una notte in una
capanna inginocchiato dinanzi ad una bacinella piena
d'acqua contenente dei piccoli pesci rossi, dei manghi
del Gange, di certo.
- Per Giove! - esclamò Yanez, fermandosi di colpo,
mentre Tremal-Naik balzava in piedi col viso alterato. -
Un bacino con dei pesci dentro!
- Sì, signor Yanez.
- Allora quell'uomo è un thug! - esclamò
Tremal-Naik con accento di terrore.
- Deve essere tale perchè solamente gli
strangolatori indiani adorano i manghi del Gange che,
secondo le loro credenze, incarnano l'anima della dea
Kalì, - rispose Kammamuri.
Per alcuni istanti nella sala regnò un profondo
silenzio. Perfino Darma, la superba tigre ammaestrata,
divorava la sua cena senza più brontolare, come se
avesse compresa la gravità eccezionale della
situazione.
- Udiamo, - disse ad un tratto Yanez, che aveva
riacquistato subito il suo sangue freddo. - Chi è
l'uomo che ti ha raccontato ciò?
- Karia, un dayako che fu ai nostri servigi e che ora
si trova nel campo dei ribelli, un uomo
intelligentissimo che corseggiò i mari parecchi anni.
Un giorno gli ho salvato la vita, mentre una tigre stava
per divorarlo ed ha conservato a me un po' di
riconoscenza. È stato lui, come vi dissi, a farmi
attraversare le linee dei ribelli.
- Dove lo avevi trovato? - chiese Tremal-Naik.
- Nella foresta, mentre io cercavo di accostarmi
inosservato al kampong. Invece di tradirmi e di
consegnarmi al pellegrino, mi guidò qui, dopo d'avervi
avvertiti, con una freccia ed un mio biglietto, della
mia presenza.
- Possiamo quindi fidarci di quanto ti ha narrato? -
disse Yanez.
- Pienamente; e poi non ha mai udito parlare dei
thugs indiani ed è rimasto molto meravigliato quando mi
udì a dire che se il pellegrino adorava di nascosto i
pesci non era mussulmano.
- Yanez, - disse Tremal-Naik, che era ancora in preda
ad una profonda agitazione, - che cosa pensi di fare?
Il portoghese, appoggiato alla tavola, con una mano
sulla fronte e la testa china, pareva che meditasse
profondamente.
- Siamo stati degli stupidi, - disse ad un tratto. -
Io mi chiedo come mai non abbiamo pensato che quel
dannato pellegrino potesse essere un thug! Eppure l'odio
che ha contro di te, Tremal-Naik, che hai rapito prima
loro la Vergine della pagoda e poi hai strappato pur
loro tua figlia Darma, che doveva surrogare sua madre,
doveva bastare per aprirci gli occhi.
Poi, dopo un breve silenzio, aggiunse:
- Se noi non avessimo veduto Suyodhana, il loro capo,
spirare sotto il pugnale di Sandokan, si potrebbe
credere che tutto ciò è opera sua, ma noi tutti
abbiamo constatata la sua morte ed abbiamo veduto il suo
cadavere gettato nella gran fossa comune assieme ai
ribelli di Delhi.
- Chi può essere quel pellegrino? Uno dei
luogotenenti di Suyodhana?
- Yanez, che cosa dobbiamo fare? - chiese per la
seconda volta Tremal-Naik. - Ora che sappiamo che vi è
la mano dei thugs che noi credevamo per sempre
annichiliti, io tremo per la vita della mia Darma.
- Non ci resta che andarcene al più presto da qui e
raggiungere Sandokan. Qui non abbiamo più nulla da fare
ed io e Sandokan sapremo compensarti largamente di ciò
che abbandoni nelle mani dei dayaki.
- Sono ancora abbastanza ricco e ho, tu lo sai, delle
fattorie anche nel Bengala. Vorrei invece sapere come
potremmo noi fuggire cogli assedianti alle costole.
- Il mezzo lo troveremo. Si dice che la notte porti
consiglio. Già che i dayaki ci lasciano un momento
tranquilli, andiamo a riposare. Sambigliong
s'incaricherà di disporre gli uomini di guardia.
Chissà che domani il mio cervello non abbia trovato
qualche buona idea.
Certi che gli assedianti, colla terribile batosta
ricevuta, non sarebbero tornati alla riscossa, i tre
uomini che erano stanchissimi si ritrassero nelle loro
stanze non certo lieti, specialmente il portoghese e
Tremal-Naik, della brutta piega che prendevano le cose.
La notte passò tranquilla. I dayaki, scoraggiati e
anche addolorati per le gravi perdite subite, non
avevano più osato lasciare i loro accampamenti che
dovevano rigurgitare di feriti.
Gli uomini di guardia del kampong udirono fino
all'alba rullare i tamburoni e i lamenti dei parenti dei
morti rimasti nei fossati delle cinte, che nessuno aveva
levati di là.
Al mattino seguente Yanez, che aveva dormito male e
pochissimo, angosciato dalle tristi notizie recate dal
maharatto, era già in piedi prima ancora che il sole
fosse spuntato all'orizzonte.
Pareva che fosse tormentato da qualche idea, perchè,
invece di scendere nella sala per farsi servire il thè
come faceva tutte le mattine, raggiunse il terrazzo su
cui esisteva ancora un pezzo della torretta di legno che
le artiglierie nemiche avevano demolito e di lassù si
mise ad osservare attentamente le cinte e la
disposizione interna del kampong.
La fattoria formava un vasto parallelogrammo,
tagliato a metà dal bengalow e dalle tettoie e da una
palizzata in modo da poter dividere la difesa.
La prima parte, dove trovavasi la saracinesca,
comprendeva i fabbricati in muratura: la seconda le aie
e le abitazioni della servitù e dei campieri e i
recinti degli animali. Fu quella disposizione, prima non
attentamente notata, che colpì il portoghese.
- Per Giove! - mormorò, stropicciandosi allegramente
le mani. - Ciò si presta meravigliosamente al mio
progetto. Tutto dipende dalla provvista delle cantine
del mio amico Tremal-Naik. Se il bram abbonda il colpo
è fatto. I dayaki non sono meno golosi dei negri e
anche su loro i forti liquori esercitano un fascino
irresistibile. Cane d'un pellegrino! Ti preparerò un
tiro da maestro.
Ridiscese visibilmente soddisfatto e trovò
Tremal-Naik e Kammamuri nel salotto, che stavano
vuotando alcune tazze di thè.
- Hai trovato nessuna buona idea che ci permetta di
andarcene? - chiese, rivolgendosi al padre della
fanciulla.
- Ho tormentato invano tutta la notte il mio
cervello, - rispose Tremal-Naik che sembrava assai
abbattuto. - Non vi sarebbe che un solo tentativo da
fare, un tentativo disperato.
- Quale?
- Di aprirci il passo attraverso le file degli
assedianti coi parangs in pugno.
- E farci probabilmente massacrare, - rispose Yanez.
- Trenta contro trecento, avendo ormai dieci o dodici
uomini feriti che non varranno gran che in una lotta
corpo a corpo; brutto affare.
- Non ho trovato altro di meglio.
- Di quanti vasi di bram disponi? - chiese
bruscamente Yanez.
- A che cosa potrebbe servirci quel liquore? -
chiesero ad una voce Tremal-Naik e Kammamuri guardandolo
con sorpresa.
- Per farci scappare, amici miei.
- Scherzi, Yanez.
- No, Tremal-Naik. D'altronde il momento sarebbe male
scelto. Sei ben provvisto?
- Le mie cantine sono piene, provvedendo io tutte le
tribù dei dintorni.
- I dayaki sono buoni bevitori, vero?
- Come tutti i popoli selvaggi.
- Se trovassero sui loro passi un centinaio di vasi
di quel liquore, a loro disposizione, credi tu che si
fermerebbero per vuotarli?
- Non glielo impedirebbe nemmeno il cannone, -
rispose Tremal-Naik.
- Allora, miei cari amici, il pellegrino è giocato,
- disse Yanez.
- Non ti comprendiamo.
- Il kampong è diviso in due dalla palizzata
interna?
- Sì, l'ho fatto appositamente costruire per opporre
maggiore resistenza nel caso che il nemico avesse potuto
forzare la saracinesca, - rispose Tremal-Naik.
- L'idea è stata buona, amico mio, e ci servirà
magnificamente in questo momento. Noi concentreremo
tutte le nostre difese verso le aie e le abitazioni dei
servi, lasciando ai dayaki il passo libero e
abbandonando loro il bengalow e le tettoie.
- Come! - esclamò Tremal-Naik. - Tu cederesti loro
le nostre migliori opere di difesa?
- Non ci servirebbero più dal momento che abbiamo
deciso di evacuare la piazza, - rispose Yanez. - Anzi
abbatteremo una parte della cinta che guarda la
saracinesca per attirare meglio i dayaki.
- La palizzata interna non è molto solida.
- Mi basta che resista qualche ora e poi i dayaki non
si affaticheranno ad abbatterla. Preferiranno bere il
tuo bram, - disse Yanez ridendo. - Noi collocheremo nel
cortile tutti i vasi che contiene la tua cantina e
vedrai che quella barriera li arresterà meglio di
qualunque altra.
- Si ubriacheranno, ne sono certo.
- È quello che desidero; perchè noi ne
approfitteremo per andarcene, dopo d'aver incendiato il
bengalow e le tettoie. Protetti dalla barriera di fuoco,
nessuno ci molesterà almeno per alcune ore.
- Tippo Sahib, il Napoleone dell'India non sarebbe
certo capace di architettare un simile piano.
- Quella non era una tigre di Mompracem, - disse
Yanez con comica serietà.
- Cadranno nel laccio i dayaki.
- Non ne dubito. Appena si accorgeranno che la
saracinesca è aperta e che le terrazze sono state
abbandonate e disarmate, non indugieranno ad assalirci.
Sotto gli arbusti spinosi non mancano delle spie che si
affretteranno ad avvertirli.
- A quando il colpo? - chiese Kammamuri.
- Tutto deve essere pronto per questa sera. Le
tenebre ci sono necessarie per fuggire senza essere
veduti.
- All'opera Yanez, - disse Tremal-Naik. - Io ho piena
fiducia nel tuo piano.
- Hai un cavallo per Darma?
- Ne ho quattro e buoni.
- Va benone, faremo correre i dayaki fino alla costa.
Quanto hai impiegato tu, Kammamuri, a raggiungerla?
- Tre giorni, signore.
- Cercheremo di arrivare prima. I villaggi di
pescatori non mancano e qualche praho o delle scialuppe
sapremo trovarle.
L'audace progetto fu subito comunicato ai difensori
del kampong e da tutti approvato senza obiezioni.
D'altronde, non vi era nessuno che non fosse disposto a
fare un supremo tentativo per liberarsi da quell'assedio
che cominciava a pesare e demoralizzare la piccola
guarnigione.
I preparativi vennero cominciati. Le spingarde
vennero ritirate e piazzate dietro la palizzata interna,
su terrazze frettolosamente costruite, essendo la
fattoria fornita di legname, poi le cantine furono
vuotate portando tutto il bram nel cortile che si
estendeva dinanzi al bengalow.
Vi erano più di ottanta vasi, della capacità di due
e anche tre ettolitri ciascuno; tanto liquore da
ubriacare un esercito, essendo quella mistura
fermentata, di riso, di zucchero e di succhi di palme
diverse, eccessivamente alcolica.
Verso il tramonto, la guarnigione abbattè una parte
della cinta e dopo aver isolate le terrazze, le
incendiò per meglio attirare i dayaki e far loro
credere che il fuoco fosse scoppiato nel kampong.
Terminati quei diversi preparativi e preparate delle
cataste di legna sotto le tettoie e nelle stanze terrene
del bengalow, abbondantemente innaffiate di resine e di
caucciù onde ardessero immediatamente, la guarnigione
si ritrasse dietro la palizzata in attesa del nemico.
Come Yanez aveva preveduto, gli assedianti attratti
dai bagliori dell'incendio che divorava le terrazze
contro cui si erano fino allora infranti i loro sforzi e
fors'anche avvertiti dai loro avamposti celati sotto gli
arbusti spinosi, che le cinte erano state sfondate, non
avevano indugiato a lasciare i loro accampamenti per
muovere ad un ultimo assalto.
Presa fra il fuoco ed i kampilang, la guarnigione del
kampong non doveva tardare ad arrendersi.
Calavano le tenebre quando le sentinelle che
vegliavano sui due angoli posteriori della fattoria
annunciarono il nemico.
I dayaki avevano formato sei piccole colonne
d'assalto e s'avanzavano di corsa, mandando clamori
assordanti. Si tenevano ormai certi della vittoria.
Quando Yanez li vide entrare fra gli arbusti, fece dare
fuoco alle cataste di legna accumulate sotto le tettoie
e nelle stanze del bengalow, poi appena vide che i suoi
uomini erano in salvo, fece tuonare le spingarde per
simulare una disperata difesa.
I dayaki erano allora davanti alle cinte. Vedendole
in parte abbattute ebbero un momento di esitazione
temendo qualche agguato, poi passarono correndo sotto le
terrazze che finivano di ardere e si rovesciarono
all'impazzata nel kampong, urlando a squarciagola,
pronti a sgozzare i difensori a colpi di kampilang.
Yanez vedendoli slanciarsi verso gli enormi vasi che
formavano come una doppia barriera dinanzi al bengalow,
aveva dato ordine di sospendere il fuoco per non
irritare troppo gli assalitori.
Vedendo quei recipienti, i dayaki per la seconda
volta si erano arrestati. Un resto di diffidenza li
tratteneva ancora non sapendo che cosa potessero
contenere.
L'alcol che si sprigionava dai coperchi, che erano
stati appositamente smossi, non tardò a giungere ai
loro nasi.
- Bram! Bram!
Fu il grido che uscì da tutte le gole. Si erano
precipitati sui vasi, strappando i coperchi e tuffando
le mani nel liquido.
Urla di gioia scoppiarono tosto fra gli assedianti.
Una bevuta s'imponeva, tanto più che i difensori
avevano sospeso il fuoco.
Un sorso, solo un sorso e poi avanti all'attacco! Ma
dopo le prime gocce tutti avevano cambiato parere. Era
meglio approfittare dell'inazione della guarnigione del
kampong; d'altronde era infinitamente migliore,
quell'ardente liquore, delle palle di piombo.
Invano i capi si sfiatavano per cacciarli innanzi. I
dayaki erano diventati ostriche attaccate al loro banco
colla differenza che si erano invece incrostati ai vasi.
Ottanta vasi di bram! Quale orgia! Mai si erano
trovati a simile festa.
Avevano gettato perfino gli scudi ed i kampilang e
bevevano a crepapelle, sordi alle grida e alle minacce
dei capi.
Yanez e Tremal-Naik ridevano allegramente, mentre i
loro uomini staccavano senza troppo rumore alcuni
tavoloni dalla cinta per prepararsi la ritirata.
Intanto le tettoie cominciavano ad ardere e dalle
finestre del bengalow uscivano torrenti di fumo nero.
Fra pochi istanti una barriera di fuoco doveva
frapporsi fra gli assedianti e gli assediati.
I dayaki non parevano preoccuparsi dell'incendio che
minacciava di divorare l'intero kampong.
Insaziabili bevitori continuavano a dare dentro ai
vasi, urlando, ridendo, cantando, e contorcendosi come
scimmie. Bevevano colle mani, coi panieri destinati a
contener le teste dei vinti nemici, con gusci di noci di
cocco trovati per il cortile.
I loro stessi capi avevano finito per imitarli. Il
terribile pellegrino dopo tutto era al campo e non
poteva vederli. Perchè non avrebbero approfittato di
quell'abbondanza, dal momento che gli assediati si
mantenevano tranquilli?
E gli uomini cadevano, come fulminati, pieni da
scoppiare, intorno ai vasi, mentre le fiamme s'alzavano
altissime facendo piovere su di loro una pioggia di
scintille.
Il bengalow era tutto in fuoco e le tettoie, piene di
provviste, ardevano come zolfanelli, illuminando i
bevitori.
Era il momento di andarsene. I dayaki non si
ricordavano forse di non aver più dinanzi il nemico,
tanto la loro ubriachezza era stata rapida.
- In ritirata! - comandò Yanez. - Abbandonate tutto
fuorchè le carabine, le munizioni ed i parangs.
Aiutando i feriti, lasciarono silenziosamente la
palizzata, attraversarono la cinta e si slanciarono a
corsa sfrenata attraverso la pianura, preceduti da
Tremal-Naik e da Kammamuri che cavalcavano a fianco di
Darma.
La tigre li seguiva spiccando salti immensi,
spaventata dalla luce dell'incendio che diventava sempre
più intensa.
Raggiunto il margine della boscaglia che si estendeva
verso ponente, il drappello che si componeva di
trentanove persone, compresi sette feriti, s'arrestò
per prendere fiato e anche per osservare ciò che
succedeva nel kampong e negli accampamenti dei dayaki.
La fattoria pareva una fornace. Il bengalow che era
costato tante fatiche al suo proprietario, ardeva dalla
base alla cima come una fiaccola immensa, lanciando in
aria fitte nubi di fumo e sprazzi di scintille.
Le cinte avevano pure preso fuoco e rovinavano
assieme alle terrazze. Si udivano gli scoppi delle
spingarde che erano state abbandonate ancora cariche.
Degli uomini s'aggiravano affannosamente trascinando i
guerrieri che si erano ubriacati e che correvano il
pericolo di essere bruciati accanto ai vasi di bram.
Il pellegrino doveva aver tenuto alcuni drappelli di
riserva per appoggiare le colonne d'assalto nel caso che
non fossero riuscite a penetrare nel kampong e, non
udendo più nè spari nè grida di guerra, erano
certamente accorsi per vedere che cosa era successo dei
loro compagni.
- Che l'inferno bruci tutte quelle canaglie, - disse
Yanez inforcando uno dei quattro cavalli che gli era
stato condotto da Tangusa. - Solo mi spiace andarmene
senza aver potuto mettere le mani su quel cane di
pellegrino. Spero di ritrovarlo un giorno sul mio
cammino e allora guai a lui!
- Un giorno? - disse ad un tratto Kammamuri, che
aveva volti gli sguardi verso il nord. - Gambe, signori!
Siamo stati scoperti e ci danno la caccia!
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