2. Il pellegrino della
Mecca
Se quel veliero appariva bellissimo all'esterno, tale
da poter gareggiare coi più splendidi yachts di
quell'epoca, l'interno, specialmente il quadro di poppa,
era addirittura sfarzoso.
La sala centrale sopratutto, che serviva da pranzo e
da ricevimento insieme, era ricchissima, con scaffali,
tavola e sedie in mogano con intarsi di madreperla e
filettature d'oro, con tappeti persiani in terra e
arazzi indiani alle pareti e tende di seta rosa con
frangie d'argento alle piccole finestre.
Una grande lampada, che pareva di Venezia, pendeva
dal soffitto e tutto all'intorno, negli spazi nudi, si
vedevano splendide collezioni d'armi di tutti i paesi.
Coricato su un divano di velluto verde, fasciato dal
capo alle piante e avvolto in una grossa coperta di lana
bianca, stava l'intendente di Tremal-Naik già medicato
e rinforzato da qualche buon cordiale.
- Sono cessati i dolori, mio bravo Tangusa? - gli
rispose Yanez.
- Kickatany possiede degli unguenti miracolosi, -
rispose il ferito. - Mi ha spalmato tutto il corpo e ora
mi sento molto meglio di prima.
- Raccontami come è successa la cosa. Innanzi tutto,
è sempre al kampong di Pangutaran, l'amico Tremal-Naik?
- Sì, signor Yanez, e quando l'ho lasciato stava
fortificandosi per resistere ai dayaki fino al vostro
arrivo. Quando è giunto a Mompracem il messo che vi
abbiamo spedito?
- Tre giorni or sono e come vedi noi non abbiamo
perduto tempo ad accorrere col nostro miglior legno.
- Che cosa pensa la Tigre della Malesia di questa
improvvisa insurrezione dei dayaki, che fino a tre
settimane or sono guardavano il mio padrone come il loro
buon genio?
- Abbiamo fatto insieme tante congetture e forse non
abbiamo indovinato il vero motivo che ha deciso i dayaki
a prendere le armi e a distruggere le fattorie che erano
costate tante fatiche a Tremal-Naik. Sei anni di lavoro
e più di centomila rupie spese forse inutilmente! Avete
qualche sospetto?
- Ecco, signore, quanto abbiamo potuto sapere. Un
mese fa e probabilmente anche prima, è sbarcato su
queste coste un uomo che non sembra appartenere nè alla
razza malese, nè a quella bornese, che si diceva
fervente mussulmano e portava in testa il turbante verde
come tutti coloro che hanno compiuto il pellegrinaggio
alla Mecca. Voi sapete, signore, che i dayaki di questa
parte dell'isola non adorano i geni dei boschi, nè gli
spiriti buoni e cattivi come i loro confratelli del sud
e che sono invece mussulmani, a loro modo s'intende e
non meno fanatici di quelli dell'India centrale. Che
cosa abbia dato ad intendere quell'uomo a questi
selvaggi, nè io nè il mio padrone siamo riusciti a
saperlo. Il fatto è che riuscì a fanatizzarli ed
indurli a distruggere le fattorie ed a ribellarsi
all'autorità del signor Tremal-Naik.
- Ma che istoria mi racconti tu! - esclamò Yanez,
che era al colmo della sorpresa.
- Una storia tanto vera, signor Yanez, che il mio
padrone corre il pericolo di morire abbruciato nel suo
kampong assieme alla signorina Darma, se voi non
accorrete in suo aiuto.
- L'uomo dal turbante verde ha aizzato quei selvaggi
non solo contro le fattorie...
- Anche contro il mio padrone e vogliono la sua
testa, signor Yanez.
Il portoghese era diventato pallido.
- Chi potrà essere quel pellegrino? Quale misterioso
motivo lo spinge contro Tremal-Naik? L'hai visto tu?
- Sì, mentre scappavo dalle mani dei dayaki.
- È giovane, vecchio...
- Vecchio, signore, alto di statura e magrissimo, un
tipo da vero pellegrino che ha fame e sete. E vi è di
più ancora che aggrava il mistero, - aggiunse il
meticcio. - Mi hanno detto che due settimane or sono è
giunta qui una nave a vapore che portava la bandiera
inglese e che il pellegrino ha avuto un lungo colloquio
con quel comandante.
- È partita subito quella nave?
- La mattina seguente ed ho il sospetto che, durante
la notte, abbia sbarcato delle armi, perchè ora non
pochi dayaki posseggono dei moschetti e anche delle
pistole, mentre prima non avevano che delle cerbottane e
delle sciabole.
- Che gli inglesi c'entrino in tutta questa faccenda?
- si domandò Yanez, che appariva molto preoccupato.
- Possibile, signor Yanez!
- Sai la voce che corre a Labuan? Che il governo
inglese abbia intenzione di occupare la nostra isola di
Mompracem col pretesto che noi costituiamo un pericolo
costante per la sua colonia e di mandarci a occupare
qualche altra terra più lontana.
- Gli inglesi che devono a voi tanta riconoscenza,
per averli sbarazzati dei thugs che infestavano l'India!
- Mio caro, credi tu che un leopardo possa avere
della riconoscenza verso una scimmia, supponiamo, che
l'ha sbarazzato degli insetti che lo tormentavano?
- No, signore, quei carnivori non hanno quel
sentimento.
- E non ne avrà nemmeno il governo inglese che viene
chiamato il leopardo dell'Europa.
- E voi vi lascerete cacciare da Mompracem?
Un sorriso comparve sulle labbra di Yanez. Accese una
sigaretta, aspirò due o tre boccate di fumo, poi disse
con voce calma:
- Non sarebbe già la prima volta che le tigri di
Mompracem si mettono in guerra col leopardo inglese. Un
giorno hanno tremato e Labuan ha corso il pericolo di
vedere i suoi coloni divorati da noi o cacciati in
acqua. Non ci lasceremo nè sorprendere, nè sopraffare.
- Sandokan ha mandato dei suoi prahos a Tiga ad
arruolare uomini? - chiese il meticcio.
- Che non varranno meno per coraggio, delle ultime
tigri di Mompracem - rispose Yanez. - L'Inghilterra ci
vuole scacciare dalla nostra isola, che da trent'anni
occupiamo? Si provi e noi metteremo la Malesia intera in
fiamme e daremo battaglia, senza quartiere,
all'insaziabile leopardo inglese. Vedremo se sarà la
Tigre della Malesia che soccomberà nella lotta.
In quel momento si udì la voce di Sambigliong, il
mastro della Marianna, a gridare:
- In coperta, capitano!
- Giungi in buon punto, malese mio, - rispose Yanez.
- Ho appena terminato ora il mio colloquio con Tangusa.
Che cosa c'è di nuovo?
- S'avanzano.
- I dayaki?
- Sì, capitano.
- Va bene.
Il portoghese uscì dal quadro, salì la scala e
giunse in coperta. Il sole stava allora per tramontare
in mezzo ad una nuvola d'oro, tingendo di rosso il mare,
che la brezza lievemente corrugava.
La Marianna era sempre immobile, anzi essendo quello
il momento della massima marea bassa, si era un po'
coricata sul fianco di babordo, in maniera che la
coperta rimaneva sbandata.
Verso le isolette che facevano argine all'irrompere
del fiume, una dozzina di grossi canotti, fra cui
quattro doppi, s'avanzava lentamente verso il mezzo
della baia, preceduta da un piccolo praho che era armato
d'un mirim, un pezzo d'artiglieria un po' più grosso
dei lilà, quantunque fuso allo stesso modo, con ottone
grossolano, rame e piombo.
- Ah! - fece Yanez, colla sua solita flemma. -
Vogliono misurarsi con noi? Benissimo, avremo polvere in
abbondanza da regalare, è vero Sambigliong?
- La provvista è copiosa, capitano, - rispose il
malese.
- Noto che s'avanzano molto adagio. Pare che non
abbiano nessuna fretta, mio caro Sambigliong!
- Aspettano che la notte scenda.
- Prima che la luce se ne fugga vediamo che musi
sono. - Prese il cannocchiale e lo puntò sul piccolo
praho che precedeva sempre la flottiglia delle
scialuppe.
Vi erano quindici o venti uomini a bordo, che
indossavano l'abito guerresco; pantaloni stretti,
abbottonati all'anca e al collo dei piedi, sarong
cortissimo, in testa il tudung, un curioso berretto con
lunga visiera e molte piume. Alcuni erano armati di
fucile; i più avevano invece dei kampilang, quelle
pesanti sciabole a doccia d'un acciaio finissimo, dei
pisau-raut, ossia specie di pugnali dalla lama larga e
non serpeggiante come i kriss malesi, e avevano dei
grandi scudi di pelle di bufalo di forma quadrata.
- Bei tipi, - disse Yanez colla sua solita calma.
- Sono molti, signore.
- Ouff! Un centinaio e mezzo, mio caro Sambigliong.
Si volse guardando la tolda della Marianna.
I suoi quaranta uomini erano tutti ai loro posti di
combattimento. Gli artiglieri dietro ai due cannoni da
caccia e alle quattro spingarde, i fucilieri dietro alle
murate i cui bordi erano coperti di fasci di spine
acutissime e gli uomini di manovra, che pel momento non
avevano nulla da fare essendo il veliero sempre arenato,
sulle coffe muniti di bombe da lanciare a mano e armati
di carabine indiane di lunga portata.
- Vengano a trovarci! - mormorò, visibilmente
soddisfatto degli ordini impartiti da Sambigliong.
Il sole stava per scomparire, diffondendo i suoi
ultimi raggi e bagnando di luce aurea o rossastra le
coste dell'immensa isola e le scogliere contro cui si
frangevano rumoreggiando le onde che venivano dal largo.
Il grande globo incandescente calava superbamente in
acqua, incendiando un gran ventaglio di nubi al di sopra
delle quali s'innalzavano grandi zone d'oro e lembi ampi
di porpora, smaglianti sull'azzurro chiaro del cielo.
Finalmente s'immerse, quasi bruscamente, infiammando
per alcuni istanti tutto l'orizzonte, poi quell'onda di
luce si attenuò rapidamente, non essendovi crepuscoli
sotto quelle latitudini, la grande fantasmagoria solare
si estinse e le tenebre piombarono avvolgendo la baia,
le isole e le coste bornesi.
- Buona notte per gli altri e cattiva per noi, -
disse Yanez, che non aveva potuto fare a meno di
contemplare quello splendido tramonto.
Guardò la flottiglia nemica. Il piccolo praho, le
doppie scialuppe e quelle semplici affrettavano la
corsa.
- Siamo pronti? - chiese Yanez.
- Sì, - rispose Sambigliong per tutti.
- Allora, Tigrotti di Mompracem, non vi trattengo
più.
Il piccolo praho era a buon tiro e copriva le
scialuppe che lo seguivano in fila, l'una dietro
all'altra, per non esporsi al fuoco delle artiglierie
della Marianna.
Sambigliong si curvò su uno dei due pezzi da caccia
piazzati sul cassero che erano montati su perni giranti
onde potessero far fuoco in tutte le direzioni e, dopo
aver mirato per qualche istante, fece fuoco, spezzando
netto l'albero di trinchetto, il quale cadde sul ponte
assieme all'immensa vela.
A quel colpo veramente meraviglioso, urla furiose
s'alzarono sulle scialuppe, poi la prora del legno
mutilato a sua volta avvampò.
Il mirim del piccolo veliero aveva risposto al fuoco
della Marianna, ma la palla, male diretta, non aveva
fatto altro danno che quello di forare il contro fiocco
che Yanez non aveva fatto ammainare.
- Quei bricconi tirano come i coscritti del mio
paese, - disse Yanez, che continuava a fumare
placidamente, appoggiato alla murata di prora.
A quel secondo sparo tenne dietro una serie di
detonazioni secche. Erano i lilà delle doppie scialuppe
che appoggiavano il fuoco del piccolo praho.
Quei cannoncini non erano fortunatamente ancora a
buon tiro e tutto finì in molto baccano e molto fumo
senza nessun danno per la Marianna.
- Demolisci il praho, innanzi tutto, Sambigliong, -
disse Yanez, - e cerca di smontare il mirim che è il
solo che possa danneggiarci. Sei uomini ai due pezzi da
caccia e accelerate il fuoco più...
Si era bruscamente interrotto ed aveva lanciato un
rapido sguardo verso poppa. Ad un tratto trasalì e fece
un gesto di sorpresa.
- Sambigliong! - esclamò, impallidendo.
- Non temete, signor Yanez, il praho fra due minuti
sarà fracassato o per lo meno rasato come un pontone.
- È il pilota che non vedo più.
- Il pilota! - esclamò il malese lasciando il pezzo
di caccia che era già puntato. - Dov'è quel briccone?
Yanez aveva attraversata rapidamente la tolda, in
preda ad una visibile emozione.
- Cerca il pilota! - gridò.
- Capitano, - disse un malese che era al servizio dei
due pezzi di poppa, - l'ho veduto or ora scendere nel
quadro.
Sambigliong, che forse aveva avuto il medesimo
sospetto del portoghese, si era già precipitato giù
per la scaletta, impugnando una pistola. Yanez lo aveva
subito seguìto mentre i due cannoni da caccia tuonavano
contro la flottiglia, con un rimbombo assordante.
- Ah! cane! - udì gridare.
Sambigliong aveva afferrato il pilota che stava per
uscire da una cabina, tenendo in mano un pezzo di corda
incatramata accesa.
- Che cosa facevi, miserabile? - urlò Yanez
precipitandosi a sua volta sul malese che tentava di
opporre resistenza al mastro.
Il pilota, vedendo il comandante che aveva pure
impugnata una pistola e che pareva pronto a fargli
scoppiare la testa, era diventato grigiastro, ossia
pallido, pure rispose con una certa calma:
- Signore, sona disceso per cercare una miccia per le
spingarde...
- Qui, le micce! - gridò Yanez. - Tu, briccone,
cercavi d'incendiarci la nave!
- Io!
- Sambigliong, lega quest'uomo! - comandò il
portoghese. - Quando avremo battuto i dayaki avrà da
fare con noi.
- Non occorrono corde, signor Yanez, - rispose il
mastro. - Lo faremo dormire per una dozzina d'ore, senza
che ci dia alcun fastidio.
Afferrò brutalmente per le spalle il pilota che non
cercava più di opporre resistenza, e gli compresse coi
pollici tesi la nuca, poi gli affondò nel collo, un po'
al disotto degli angoli mascellari, gli indici ed i medi
in modo da stringergli le carotidi contro la colonna
vertebrale. Allora si vide una cosa assolutamente
strana. Padada stralunò gli occhi e spalancò la bocca
come se si fosse manifestato un principio d'asfissia, la
respirazione gli divenne improvvisamente affannosa, poi
rovesciò il capo indietro e s'abbandonò fra le braccia
del mastro, come se la morte lo avesse colto.
- L'hai ucciso! - esclamò Yanez.
- No, signore, - rispose Sambigliong. - L'ho
addormentato e prima di dodici o quindici ore non si
sveglierà.1
- Dici davvero?
- Lo vedrete più tardi.
- Gettalo su qualche branda e saliamo subito. Il
cannoneggiamento diventa vivissimo.
Sambigliong alzò il pilota, che pareva non desse
più alcun segno di vita, e lo adagiò su un tappeto,
poi tutti e due salirono rapidamente sulla tolda, nel
momento in cui i due cannoni da caccia tornavano a
tuonare con tale fragore da far tremare tutto il
veliero.
Il combattimento fra la Marianna e la flottiglia si
era impegnato con grande ardore.
Le scialuppe doppie, che, come abbiamo detto, erano
armate di lilà, si erano disposte su una fronte
piuttosto larga, a destra e a sinistra del praho, onde
dividere maggiormente il fuoco del veliero e si erano
impegnate risolutamente a proteggere le altre
imbarcazioni che, quantunque più piccole, portavano
equipaggi più numerosi, riserbati certamente per
l'attacco finale.
Gli spari si succedevano agli spari e le palle,
quantunque tutte di piccolo calibro, fischiavano in gran
numero sulla Marianna, smussando qualche pennone,
forando le vele, maltrattando il sartiame e scheggiando
le murate. Alcuni uomini erano stati già feriti e
qualcuno ucciso, nondimeno gli artiglieri di Mompracem
facevano freddamente il loro dovere, con una calma ed un
sangue freddo meraviglioso.
Le spingarde, essendo ormai la distanza diminuita,
avevano pure cominciato a tuonare, lanciando sulla
flottiglia bordate di mitraglia, composta per la maggior
parte di chiodi, che si piantavano nella pelle dei
dayaki, facendoli urlare come scimmie rosse.
Nonostante quelle scariche formidabili, la flottiglia
non cessava di avanzare. I dayaki, che sono generalmente
coraggiosi non meno dei malesi e che non temono la
morte, davano dentro ai remi furiosamente, mentre quelli
che erano armati di fucile, mantenevano un fuoco
vivissimo, quantunque poco efficace, non avendo molta
pratica di quelle armi, che forse adoperavano per la
prima volta.
Erano già giunte le scialuppe a cinquecento passi,
quando il praho su cui si era concentrato il fuoco dei
pezzi da caccia della Marianna, si coricò su un fianco.
Aveva ormai perduto i suoi due alberi, il bilanciere
era stato fracassato di colpo da una palla tiratagli da
Yanez e le sue murate erano state ridotte in così
cattivo stato, che non esistevano quasi più.
- Smonta il mirim, Sambigliong! - gridò Yanez,
vedendo una doppia scialuppa accostarsi al praho coll'evidente
intenzione d'impadronirsi del pezzo d'artiglieria, prima
che il piccolo veliero affondasse.
- Sì, comandante, - rispose il malese, che serviva
al pezzo da caccia di babordo.
- E voi altri mitragliate l'equipaggio prima che
venga raccolto, - aggiunse il portoghese, che dall'alto
del cassero seguiva attentamente le mosse della
flottiglia, senza levarsi dalle labbra la sigaretta.
Una bordata colpì il praho, bordata di pezzi da
caccia e di spingarde, smontando il mirim il cui
carrello fu fracassato di colpo e spazzando il ponte da
prora a poppa, con un uragano di mitraglia che storpiò
e ferì la maggior parte dell'equipaggio.
- Bel colpo! - esclamò il portoghese, colla sua
flemma abituale. - Eccone uno che non ci darà più
fastidio.
Il piccolo veliero non era ormai che un rottame che
si empiva rapidamente d'acqua. Gli uomini che erano
sfuggiti a quella tremenda bordata, si erano gettati in
mare e nuotavano verso le scialuppe, mentre i pontoni
tiravano furiosamente coi lilà con non troppa fortuna,
quantunque la Marianna, colla sua mole ed immobilizzata
come era, offrisse un ottimo bersaglio.
Ad un tratto il legno si capovolse bruscamente,
rovesciando in acqua morti e feriti e rimase colla
chiglia in aria.
Urla feroci s'alzarono dalle scialuppe, vedendo il
praho andarsene alla deriva in quello stato.
- Gridate come oche, - disse Yanez. - Ci vuole ben
altro per vincere le tigri di Mompracem, miei cari.
Fuoco sulle scialuppe! Avanti, fucilieri! L'affare
diventa caldo.
Sebbene privati del praho che col suo pezzo poteva
contrabbattere i cannoni da caccia, la flottiglia aveva
ripreso la corsa e s'avvicinava rapidamente alla
Marianna.
Le tigri di Mompracem non facevano economia nè di
palle nè di polvere. Colpi di cannone e di spingarda si
alternavano a nutrite scariche di fucileria che facevano
dei larghi vuoti fra gli equipaggi delle scialuppe e dei
pontoni.
Quei vecchi guerrieri, che un giorno avevano fatto
tremare gli inglesi di Labuan, che avevano vinto e
rovesciato James Booke, il rajah di Sarawak, e che
avevano distrutti, dopo formidabili combattimenti, i
terribili thugs indiani, si difendevano con accanimento
ammirabile, senza nemmeno prendersi la briga di
ripararsi dietro i bordi.
Anzi, sprezzanti d'ogni pericolo, nonostante i
consigli del portoghese che ci teneva a conservare i
suoi uomini, erano saliti tutti sulle murate per mirare
meglio e di là, e anche dalle coffe, facevano un fuoco
infernale sulle scialuppe, decimando crudelmente i loro
equipaggi.
Gli assalitori però erano così numerosi, che quelle
gravi perdite non li scoraggiavano. Altre scialuppe,
uscite dal fiume, avevano raggiunta la flottiglia e
anche quelle cariche di guerrieri. Erano almeno trecento
selvaggi, sufficientemente armati, che muovevano
all'abbordaggio della Marianna, risoluti, a quanto
pareva, ad espugnarla e massacrare i suoi difensori fino
all'ultimo, non potendosi sperare quartiere da quei
barbari sanguinari che non hanno che un solo desiderio:
quello di fare raccolta di crani umani.
- La faccenda minaccia di diventare seria, - mormorò
Yanez, vedendo quelle nuove scialuppe. - Tigrotti miei,
date dentro più che potete o noi finiremo per lasciare
qui le nostre teste. Quel cane d'un pellegrino li ha
fanatizzati per bene e li ha fatti diventare idrofobi.
S'accostò al pezzo da caccia di tribordo, che in
quel momento era stato scaricato e allontanò
Sambigliong che stava pigliando la mira.
- Lascia che mi scaldi un po' anch'io, - disse. - Se
non sfasciamo i pontoni e mandiamo in acqua i loro lilà,
fra tre minuti saranno qui.
- Le spine li tratterranno, capitano.
- Eh, non so, mio caro. I loro kampilang avranno buon
gioco.
- Ed i nostri gabbieri non ne avranno meno colle loro
granate.
- Sia, ma preferisco che non giungano qui.
Diede fuoco al pezzo e, come al solito, non mancò il
colpo. Uno dei pontoni, formati da due scialuppe riunite
da un ponte, andò a catafascio. Le prore, spaccate a
livello d'acqua, in un momento si riempirono ed il
galleggiante affondò.
Un secondo fu pure gravemente maltrattato, ma al
terzo colpo di cannone sparato da Yanez le scialuppe
erano già quasi sotto.
- Impugnate i parangs e portate le spingarde a poppa!
- gridò, abbandonando il pezzo che ormai diventava
inutile. - Sgombrate la prora!
In un baleno quei comandi furono eseguiti. I
fucilieri si ammassarono sul cassero, lasciando soli i
gabbieri nelle coffe, mentre Sambigliong con alcuni
uomini sfondava a colpi di scure due casse lasciando
scorrere per la coperta una infinità di pallottoline
d'acciaio irte di punte sottilissime.
I dayaki, resi furiosi dalle gravi perdite subite,
avevano circondata la Marianna urlando spaventosamente e
cercavano di arrampicarsi, aggrappandosi alle bancazze,
alle sartie, ai paterazzi ed alla dolfiniera del
bompresso.
Yanez aveva impugnata una scimitarra e si era messo
in mezzo ai suoi uomini.
- Stringete le file attorno alle spingarde! - gridò.
I fucilieri che stavano presso le murate non avevano
cessato il fuoco, fulminando a bruciapelo i dayaki dei
pontoni e quelli che cercavano di montare
all'abbordaggio.
Le canne dei fucili e delle carabine indiane erano
diventate così ardenti che scottavano le mani dei
tiratori.
I dayaki arrivavano, inerpicandosi come scimmie. Ad
un tratto atroci urla di dolore scoppiarono fra gli
assalitori.
Avevano posate le mani sui fasci di spine che
coprivano le murate e che erano dissimulati dalle brande
stese sopra i bastingaggi, straziandosi orribilmente le
dita e non reggendo a così atroce dolore si erano
lasciati cadere addosso ai compagni, travolgendoli nella
loro caduta.
Se non erano pel momento riusciti a scavalcare le
murate di babordo e di tribordo, quelli che si erano
issati sulle trinche del bompresso, erano stati invece
più fortunati, avendo trovato subito un appoggio
sull'albero istesso.
Accortisi delle spine, a gran colpi di kampilang
staccarono i fasci gettandoli in mare, ed in dieci o
dodici irruppero sul castello di prora mandando urla di
vittoria.
- Dentro colle spingarde! - gridò Yanez che li aveva
lasciati fare.
Le quattro bocche da fuoco lanciarono una bordata di
chiodi su quel gruppo, spazzando tutto il castello.
Fu una scarica terribile. Nessuno degli assalitori
era rimasto in piedi, quantunque non vi fosse nemmeno un
morto.
Quei disgraziati, che avevano ricevuto in pieno
quella bordata, si rotolavano pel castello, dibattendosi
e mandando urla spaventevoli e gemiti strazianti.
I loro corpi, foracchiati in cento luoghi dai chiodi,
parevano schiumarole gocciolanti sangue.
La vittoria era nondimeno ancora ben lungi. Altri
dayaki salivano da tutte le parti, disperdendo prima le
spine coi kampilang e rovesciandosi in coperta, malgrado
il fuoco vivissimo delle tigri di Mompracem.
Là un altro ostacolo però, non meno duro delle
spine, attendeva gli assalitori: erano le pallottole
d'acciaio che coprivano tutta la tolda e le cui punte
non si potevano sfidare senza i pesanti stivali di mare.
Per di più, i gabbieri delle coffe avevano
cominciato a lanciare le granate che scoppiavano con
fragore, lanciando intorno frammenti di metallo.
I dayaki, presi fra due fuochi, impossibilitati ad
avanzare, si erano arrestati; poi un subitaneo terrore,
accresciuto da un'altra bordata di mitraglia che ne
gettò a terra parecchi, li prese e si precipitarono
confusamente in acqua, nuotando disperatamente verso i
pontoni e le scialuppe.
- Pare che ne abbiano finalmente abbastanza, - disse
Yanez, che durante la lotta non aveva perduto un atomo
della sua flemma. - Ciò v'insegnerà a temere le
vecchie tigri di Mompracem.
La disfatta degli isolani era completa. Pontoni e
scialuppe fuggivano a forza di remi verso le isolette
che si estendevano dinanzi al fiume, senza più
rispondere al fuoco del veliero, fuoco che ben presto fu
fatto cessare dal portoghese, ripugnandogli di
massacrare delle persone che ormai non si difendevano
più.
Dieci minuti dopo, la flottiglia, le cui scialuppe
facevano per la maggior parte acqua, scompariva entro il
fiume.
- Se ne sono andati, - disse Yanez. - Speriamo che ci
lascino tranquilli.
- Ci aspetteranno nel fiume, signore, - disse
Sambigliong.
- E vi daranno nuovamente battaglia, - aggiunse
Tangusa, che ai primi colpi di cannone era pure salito
in coperta per prendere parte alla difesa, quantunque
esausto di forze.
- Lo credi? - chiese il portoghese.
- Ne sono certo, signore.
- Daremo loro un'altra lezione che leverà loro, e
per sempre, la voglia d'importunarci. Troveremo acqua
sufficiente per spingerci fino alle scale del kampong?
- Il fiume è profondo per un tratto lunghissimo e
purchè il vento sia favorevole non troverete
difficoltà a salirlo.
- Quanti uomini abbiamo perduto? - chiese Yanez a
Kickatany, il malese che funzionava da medico a bordo.
- Ve ne sono otto nell'infermeria, signore, fra cui
due gravemente feriti e quattro morti.
- Che il diavolo si porti quei maledetti selvaggi ed
il loro pellegrino! - esclamò Yanez. - Orsù, così è
la guerra, - aggiunse poi con un sospiro.
Quindi volgendosi verso Sambigliong che pareva
aspettasse qualche ordine:
- La marea sta per raggiungere la sua massima
altezza. Cerchiamo di trarci da questo maledetto banco.
|