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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

8. Yanez in trappola
Quando Yanez, verso le 10 di
sera, rientrò in Sarawak, rimase sorpreso dallo straordinario movimento che
regnava in tutti i quartieri. Per le vie e per le viuzze passavano e ripassavano
frotte di cinesi in abito da festa, dayachi, malesi, macassaresi,
bughisi, giavanesi e tagali, gridando, ridendo e urtandosi gli uni con gli
altri. Si dirigevano tutti verso il piazzale dove sorgeva l'abitazione del rajah. Senza dubbio avevano avuto sentore della festa che dava il loro
principe e vi accorrevano in massa, certissimi di divertirsi non poco e di fare
delle buone bevute anche rimanendo in piazza. - Buono - mormorò il
portoghese, stropicciandosi allegramente le mani. - Sandokan potrà passare
presso la città senz'essere visto da alcun abitante. Mio caro Principe, ci aiuti
molto bene. Te ne sarò grato. Facendosi largo coi gomiti e non di rado coi
pugni, dopo cinque minuti giungeva nella piazza. Innumerevoli torce resinose
ardevano qua e là illuminando fantasticamente le case, gli alti e bellissimi
alberi e la palazzina del rajah, che era circondata da una doppia fila di
guardie ben armate. Una folla considerevole, parte allegra e parte ubriaca,
si accalcava in quello spazio mettendo urla indiavolate e agitandosi
continuamente. I buoni cittadini di Sarawak, udendo l'orchestra che suonava
nelle stanze della palazzina, danzavano furiosamente pigiandosi contro le case e
contro gli alberi, urtando e rompendo le file delle guardie le quali erano
talvolta costrette a mettere le armi in resta. - Giungiamo un po' in ritardo
- disse Yanez, ridendo. - Il principe sarà inquieto per la mia prolungata
assenza. Si fece riconoscere dalle guardie, salì le scale ed entrò nella sua
stanza per fare un po' di toeletta e per deporre le armi. - Si divertono? -
chiese all'indiano che il rajah aveva messo a sua disposizione. -
Molto, milord - rispose l'interrogato. - Chi sono gli invitati? - Europei,
malesi, dayachi e cinesi. - Un miscuglio, dunque. Non ci sarà bisogno
d'indossare l'abito nero, che del resto non ho. Si spazzolò gli abiti, depose
le armi cacciandosi però una corta pistola in una tasca e si diresse verso la
sala da ballo, sulla cui soglia si arrestò con la più viva sorpresa dipinta sul
viso. La sala non era vasta, ma il rajah l'aveva fatta addobbare con
un certo gusto. Numerose lampade di bronzo, di provenienza europea,
pendevano dal soffitto spargendo una viva luce; grandi specchiere di Venezia
ornavano le pareti, stuoie dayache dipinte a vivi colori coprivano il suolo e
sui tavolini facevano bella mostra grandi vasi di porcellana di Cina, contenenti
peonie di un rosso vivissimo e grandi magnolie che profumavano, fors'anche
troppo, l'aria. Gli invitati non erano più di cinquanta: ma quanti costumi e
quanti tipi diversi! Vi erano quattro europei tutti vestiti di tela bianca, una
quindicina di cinesi vestiti di seta, con crani così pelati e così lucenti che
sembravano zucche, dieci o dodici malesi dalla tinta verde scura, insaccati in
lunghe zimarre indiane; cinque o sei capi dayachi con le loro donne, più
nudi che vestiti, ma adorni di centinaia di braccialetti e di collane di denti
di tigre. Gli altri erano macassaresi, bughisi, tagali, giavanesi che si
dimenavano come ossessi e che vociavano violentemente ogni qualvolta l'orchestra
cinese, formata da quattro suonatori di piene-kin (istrumento formato da
sedici pietre nere) e da una ventina di flautisti, intonava una marcia che non
impossibile a danzarsi. - Che festa è mai questa? - chiese Yanez ridendo. -
Se una delle nostre signore d'Europa la vedesse, scommetterei cento sterline
contro u penny che pianterebbe su due piedi S.A. Brooke e la sua diabolica
orchestra. - Entrò nella sala e si diresse verso il rajah, l'unico che
indossava l'abito nero, il quale stava chiacchierando con un grosso cinese,
senza dubbio uno dei principali negozianti della città. - Si divertono qui -
disse. - Ah! - esclamò il rajah volgendosi verso di lui. - Siete qui,
milord? Vi aspetto da un paio d'ore. - Ho fatto una passeggiata sino al
fortino e nel ritorno ho smarrito la strada. - Avete assistito al funerale
del prigioniero? - No, Altezza. Le cerimonie lugubri non mi vanno troppo a
sangue. - Vi piace questa festa? - C'è un po' di confusione, mi pare. -
Mio caro, siamo a Sarawak. I cinesi, i malesi e i dayachi non sanno far
di meglio. Prendete qualche dayaca e fate un giro di danza. - Con questa
musica è impossibile, Altezza. - Ne convengo - disse il rajah
ridendo. In quell'istante verso la porta echeggiò un grido che coprì il
baccano che regnava nella sala. Il rajah si volse bruscamente e, come
lui, si volse Yanez. Ebbero appena il tempo di vedere un individuo vestito di
bianco, con una lunga barba grigiastra, il quale prontamente si trasse
indietro. - Che cosa accade? - chiese il rajah Alcune persone si
diressero verso la porta, ma ritornarono quasi subito. - Aspettatemi qui,
milord - disse il rajah Yanez non rispose né si mosse. Quel grido, che
forse non udiva per la prima volta, gli era sceso fino in fondo all'anima. Un
leggero pallore coprì il suo viso e i suoi lineamenti, ordinariamente così
calmi, per alcuni istanti si alterarono. - Quale grido! - mormorò finalmente.
- Dove l'ho udito?... Scoppierebbe una catastrofe proprio ora che abbiamo tratto
la nave in porto? Cacciò una mano nella tasca dei calzoni e silenziosamente
armò la pistola, risoluto a servirsene se fosse stato necessario. In quel
momento rientrò il rajah. Yanez vide subito che una ruga gli solcava la
fronte. Trasalì e divenne inquieto. - Ebbene, Altezza? - chiese facendo uno
sforzo straordinario per sembrare calmo. - Che è successo? - Nulla, milord -
rispose il rajah con pacatezza. - Ma quel grido?... - insisté
Yanez. - Lo emise un mio amico. - Per qual motivo? - Perché fu colto da
un malore improvviso. - Eppure... - Volete dire? - Quel grido non era
di dolore. - Vi siete ingannato, milord. Orsù, prendete qualche dayaca e, se
è possibile, danzate una polka. Il rajah passò oltre, mettendosi a
discorrere con uno degli invitati. Yanez invece rimase lì, seguendolo con uno
sguardo inquieto. - C'è sotto qualche cosa - mormorò. - Sta' in guardia,
Yanez. Finse di allontanarsi e andò invece a sedersi dietro a un gruppo di
malesi. Di là vide il rajah volgersi indietro e guardare all'intorno come
se cercasse qualcuno. Yanez tornò a trasalire. - Cerca me - disse. - Ebbene,
mio caro Brooke, ti giocherò un bel tiro prima che tu possa giocarlo a
me. S'alzò affettando la massima calma, girò due o tre volte attorno alla
sala, poi si fermò a due passi dalla porta. Lì c'era un servo del rajah.
Gli fece cenno di avvicinarsi. - Chi ha gettato poco fa quel grido?- gli
chiese. - Un amico del rajah - rispose l'indiano. - Il suo
nome? - Lo ignoro, milord. - Dove si trova ora? - Nello studio del rajah - È ammalato? - Non lo so. - Posso recarmi a
visitarlo? - No, milord. Due sentinelle vegliano dinanzi alla porta dello
studio con l'ordine di non lasciare passare nessuno. - E non conosci
quell'uomo? - Di nome no. - È un inglese? - Sì. - Da quanto tempo è
a Sarawak? - Arrivò subito dopo il combattimento avvenuto alla foce del fiume
- disse poi. - Contro la Tigre della Malesia? - Sì. - È un nemico della
Tigre? - Sì, perché lo cercò per i boschi. - Grazie, amico - disse Yanez
mettendogli in mano una rupia. Uscì dalla sala e si diresse verso la sua stanza.
Era pallido e pensieroso. Appena entrato, chiuse per bene la porta, staccò
dalla parete un paio di pistole e un kriss dalla punta avvelenata, indi
aprì la finestra curvandosi sul davanzale. Una doppia fila di indiani, armati
di fucili, circondava l'abitazione. Più in là, un duecento o trecento persone
danzavano disordinatamente emettendo grida selvagge. - La fuga per di qua è
impossibile - disse Yanez. - Eppure bisogna che io lasci questo palazzo al più
presto. Sento che un gran pericolo mi minaccia e che... - Si arrestò
improvvisamente, colpito da un sospetto balenatogli alla mente. - Quel grido...
mormorò, tornando ad impallidire. - Sì, deve averlo emesso lui... sì, lord
Guillonk, il nostro nemico... Ora mi ricordo che Sambigliong disse di averlo
veduto, alla testa di una banda di dayachi, nella foresta dove si cela
Sandokan... E lui, sì, è lui!... Si precipitò verso il tavolo e impugnò le
pistole dicendo: - Yanez non ucciderà lo zio di Marianna Guillonk, ma
difenderà la propria vita. Si avvicinò alla porta e tirò il catenaccio, ma non
fu capace di aprirla. Vi appoggiò contro una spalla e fece forza, ma senza
miglior esito. Una sorda esclamazione gli irruppe dalle labbra: - M'hanno
chiuso dentro - disse. - Ormai sono perduto. Cercò un'altra uscita, ma non vi
erano che le due finestre e sotto di esse stavano le guardie del rajah e
più oltre la folla. - Maledetta sia questa festa! - esclamò con rabbia. In
quell'istante udì battere alla porta. Alzò le pistole, gridando: - Chi
è? - James Brooke - rispose il rajah dal di fuori. - Solo o
accompagnato? - Solo, milord, e senz'armi. - Entrate, Altezza - disse
Yanez con accento ironico. Si mise le pistole alla cintura, incrociò le braccia
sul petto e a testa alta, con lo sguardo calmo, attese la comparsa del
formidabile avversario.
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