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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

7. La liberazione di Kammamuri
Mentre
Yanez,
lavorando con astuzia, preparava la salvezza di Tremal- Naik, il povero
Kammamuri, in preda a mille terrori e a mille angosce, tentava vanamente di
uscire dalla sua prigione. Non aveva paura di venire appiccato o fucilato come
un volgare pirata; temeva di venire sottoposto a qualche spaventevole supplizio
e di essere costretto a confessare ogni cosa, compromettendo contemporaneamente
la vita del suo padrone, dell'infelice Ada, della Tigre della Malesia, di Yanez
e di tutti gl'intrepidi di Mompracem. Appena rinchiuso, aveva tentato di
saltare dalle finestre, ma le aveva trovate difese da solidissime sbarre di
ferro, che era impossibile rompere senza una potente lima o una mazza; poi aveva
cercato di sfondare il pavimento, sperando di cadere in una stanza disabitata,
ma, dopo essersi rotte le unghie, era stato costretto a rinunciarvi. Da ultimo
aveva tentato di strangolare l'indiano che gli aveva portato il cibo, ma, sul
punto di riuscire, altri indiani erano accorsi a liberare il
compagno. Persuaso dell'inutilità dei suoi sforzi, si era accoccolato in un
angolo della stanza, risoluto a morire di fame piuttosto che assaggiare i cibi
che potevano contenere qualche misterioso narcotico; deciso a lasciarsi
strappare le carni a brano a brano piuttosto che pronunciare una sola
parola. Erano trascorse dieci ore senza che egli si muovesse. Il sole era
tramontato, dopo un brevissimo crepuscolo, e le tenebre avevano invaso la
stanza: a un tratto, un sibilo lamentoso, seguito da un colpo leggero, ferì suoi
orecchi. Si alzò senza far rumore, girando attorno uno sguardo indagatore, e
ascoltò attentamente. Non udì più nulla all'infuori delle grida rauche dei dayachi e dei malesi che passavano per la piazza. Si avvicinò
silenziosamente alla finestra e guardò attraverso le sbarre di ferro. Là, presso
una gigantesca arenga saccarifera che stendeva la sua ombra su buona
parte della piazza, stava un uomo con un gran cappello in testa ed una specie di
bastone in mano. Lo riconobbe a prima vista. - Padron Yanez -
mormorò. Sporse un braccio e fece alcuni gesti. Il portoghese alzò le mani e
rispose con altri gesti. - Ho compreso - disse Kammamuri. - Buon
padrone! Lasciò la finestra e camminò fino alla parete che gli stava di
fronte. La osservò attentamente, poi si chinò e raccolse una specie di
freccia all'estremità della quale era appesa una pallottola di carta. - Qui
dentro vi è la salvezza - mormorò. - A quanto pare, padron Yanez sa adoperare
bene la cerbottana. Spiegò la carta e vi trovò due pillole nere,
piccolissime, che mandavano un odore particolare. - Veleno o narcotico? - si
chiese. - Ah! la carta è scritta. Si avvicinò alla finestra e lesse
attentamente le seguenti righe:
Tutto procede di bene in
meglio. Tremal-Naik, se non sopraggiungono incidenti imprevisti, domani sera
sarà libero. Le pillole che ti unisco, sciolte nell'acqua, addormentano
istantaneamente. Cerca il mezzo di addormentare il guardiano e di fuggire.
Domani a mezzogiorno ti attendo nei pressi del fortino. Yanez.
- Buon
Yanez - mormorò il maharatto commosso. - Pensa a tutto. S'appoggiò
alle sbarre della finestra e si mise a meditare. Un leggero colpo dato alla
porta lo tolse dai suoi pensieri. - Eccolo! - esclamò. Si avvicinò
rapidamente, ma senza far rumore, ad un tavolo sul quale erano, oltre a una
zuppiera di riso e a parecchie frutta, due grandi tazze di tuwah, e vi
gettò dentro le pillole che istantaneamente si sciolsero. - Chi è la? -
chiese poi. - Guardia del rajah - rispose una voce. La porta si
aprì e un indiano armato di una larga scimitarra e di una lunga pistola col
calcio incrostato di madreperla entrò con precauzione. In una mano aveva una
lanterna di talco, simile a quelle che usano i cinesi, e nell'altra un paniere
pieno di provvigioni. - Non hai fame? - chiese la guardia, vedendo le tazze
piene, le frutta intatte e la zuppiera ancora colma. Il maharatto,
invece di rispondere, gli lanciò uno sguardo torvo. - Coraggio, amico -
continuò la guardia. - Il rajah è buono e non ti appiccherà. - Ma mi
avvelenerà - disse Kammamuri con finto terrore. - E come? - Col cibo e con
la bevanda che vedi. - È per questo che non hai assaggiato nulla? -
Certamente. - Hai torto, amico mio. - Perché? - Perché né il tuwah, né il riso, né le frutta contengono veleno alcuno. - Berresti
tu una tazza di quel liquore? - Se tu lo vuoi! Kammamuri afferrò la tazza
entro la quale aveva sciolto le pillole del portoghese e la porse alla
guardia. - Bevi - disse. L'indiano, che non aveva alcun sospetto, avvicinò
la tazza alle labbra e bevve buona parte del contenuto. - Ma... - disse
esitando. - Cos'hanno messo in questo tuwah? - Non lo so - disse il maharatto che lo guardava attentamente. - Un fremito strano agita le
mie... membra. - Ah!... - Toh! la testa mi gira, mi mancano le forze, non
ci vedo più, mi pare... Non finì. Traballò come fosse stato ferito in mezzo
al petto, alzò le mani, sbarrò gli occhi e cadde pesantemente a terra rimanendo
immobile. Kammamuri d'un salto gli fu sopra e gli strappò la pistola e la
scimitarra. Così armato s'avvicinò alla porta e tese gli orecchi. Temeva
che il fracasso prodotto dall'indiano nel cadere attirasse altre guardie.
Fortunatamente nessun passo si fece udire nel corridoio. - Sono salvo! -
esclamò respirando. - Fra dieci minuti sarò fuori della città. Levò i corti
calzoni, la giacca e la fascia che indossava l'indiano, e in un batter d'occhio
si vestì. Sulla testa si annodò un fazzoletto in modo da nascondere buona parte
della fronte e un po' gli occhi, poi cinse la scimitarra e passò nella cintura
la pistola. - Avanti - mormorò. - Passerò per una guardia del rajah Aprì senza far rumore la porta, percorse il corridoio che era
deserto e oscurissimo, scese la scala e, passando rapidamente dinanzi alla
sentinella, uscì sulla piazza. - Sei tu, Labuk? - chiese una voce. - Sì -
rispose Kammamuri, senza volgersi indietro per paura di venire riconosciuto da
colui che lo interrogava. - Che Siva ti protegga. - Grazie, amico. Il maharatto procedeva con passo rapido, guardando attentamente intorno a sé
e aguzzando l'orecchio: si teneva presso i muri delle case, celandosi quando in
fondo alle vie e alle viuzze gli sembrava di scorgere qualcuno che assomigliava
a una guardia del rajah Dopo dieci buoni minuti giungeva ai piedi
della collina sulla cui cima illuminato dalla luna, biancheggiava il fortino. Si
arrestò tendendo gli orecchi. Verso il fiume si sentivano i battellieri dayachi e malesi canticchiare monotoni ritornelli; nel quartiere cinese
si udivano gli acuti suoni dell'yo, specie di flauto a sei buchi e il
dolce tremolio del kine, una chitarra con le corde di seta. Verso la
piazza, ove rizzavasi gigante il palazzo del rajah, non giungeva nessun
rumore. - Sono salvo! - mormorò dopo alcuni istanti d'angosciosa attenzione.
- Non hanno ancora scoperta la mia fuga. Si cacciò in mezzo ai boschi di
mangostani altissimi, di mangifere di bellissimo aspetto e di cettings
che si arrampicavano disordinatamente su per la collina. Ora saltando da un
albero all'altro con l'agilità di una scimmia per far perdere le tracce, ora
entrando negli stagni di nere acque melmose ed ora sfondando cespugli, in meno
di un'ora giunse, senz'essere stato scorto da alcuno, ad un tiro di fucile dal
fortino. Si arrampicò su di un albero altissimo dal quale poteva scorgere chi
saliva e chi scendeva la collina e attese pazientemente l'arrivo del
portoghese. La notte passò senza incidenti. Alle quattro del mattino il sole
apparve improvvisamente all'orizzonte, illuminando il fiume che si smarriva fra
ubertose campagne e fitti boschi, la cittadina e le piantagioni
circostanti. Dall'alto del suo osservatorio il maharatto vide, qualche
ora dopo, due bianchi uscire dal fortino e lanciarsi a tutte gambe giù per il
sentiero. - Cosa succede? - mormorò Kammamuri. - Per mettersi a correre in
quel modo bisogna che sia accaduto qualche cosa di serio nel fortino. Per Siva!
Che quelli della città abbiano segnalato a questi uomini la mia fuga? Si
rannicchiò in mezzo al fogliame, per non essere scorto da quelli che passavano
pel sentiero, e attese, in preda ad una viva ansietà. Un'ora dopo i due
inglesi risalivano verso il fortino, seguiti da un ufficiale delle guardie e da
un europeo vestito di tela bianca, il quale aveva una scatoletta nera appesa
alla cintura. - Che sia un medico? - si chiese Kammamuri diventando pallido.
- Che qualcuno sia ammalato? Là dentro c'è il mio padrone!... Signore Yanez,
venite, fate presto! - Si lasciò scivolare fino a terra e strisciò verso il
sentiero, risoluto ad interrogare qualcuno. Fortunatamente batterono le dodici,
poi l'una, le due, le tre, senza che alcun marinaio o alcuna guardia passassero
di là. Verso le cinque, però, un uomo con un largo cappellaccio di paglia e
un paio di pistole alla cintura apparve ad una svolta del sentiero. Kammamuri lo
riconobbe subito. - Padron Yanez! - esclamò. Il portoghese, che saliva con
passo lento guardando attentamente a destra e a sinistra come se cercasse
qualcuno, a quella chiamata si arrestò. Scorgendo Kammamuri, affrettò il passo
e, quando l'ebbe raggiunto, lo spinse nel fitto di un macchione dicendogli: -
Se qualche guardia ti scorgeva, eri spacciato e questa volta per sempre; bisogna
essere prudenti, mio caro. - È successo qualche cosa di grave al fortino,
padron Yanez - disse il maharatto. - Un sospetto mi è balenato alla mente
e ho lasciato il mio nascondiglio. - Un sospetto!... E quale? - Che il mio
padrone sia rinchiuso là dentro e che sia moribondo. Ho visto un bianco recarsi
lassù e mi è sembrato un medico. - È proprio il tuo padrone che ha messo in
moto i soldati del fortino. - Il mio padrone!... - Sì, mio caro. - E
sta male? - È morto. - Morto! - esclamò il maharatto
traballando - Non spaventarti, piccino mio. Lo credono morto, ma invece è
vivo. - Ah! padron Yanez, quale paura mi avete fatto provare! Gli avete dato
da bere qualche potente narcotico? - Gli ho dato delle pillole che sospendono
la vita per trentasei ore. - E lo crederanno morto? - Fulminato. - E
come faremo a salvarlo? - Questa sera, se non m'inganno, lo
seppelliranno. - Capisco - disse il maharatto. - Seppellito che sia,
noi lo disseppelliremo e lo porteremo al sicuro. Ma dove lo porteranno? - Lo
sapremo. - E come? - Quando usciranno dal forte noi li seguiremo. - E
quando faremo il colpo? - Questa notte. - Noi due? - Tu e
Sandokan. - Dovrò avvertirlo dunque. - Certamente. - E voi non verrete
con noi? - Non posso. - Perché? - Il rajah questa sera dà un
ballo in onore dell'ambasciatore olandese e, come capirai, non posso mancare
senza destare dei sospetti. - Aho! - esclamò il maharatto, alzando
vivamente la testa verso il fortino. - Che hai? - Degli uomini escono dal
forte. - Per Giove! Scostò con le mani i rami del fitto cespuglio e guardò
la cima della collina. Due marinai erano usciti portando sopra una barella un
corpo umano chiuso in una specie di amaca. Dietro a loro uscirono altri due
marinai armati di zappe e di vanghe, e una guardia del rajah -
Prepariamoci a partire - disse Yanez. - Che strada prendono? - chiese
Kammamuri, con viva ansietà. - Scendono il colle dal lato opposto. - Vanno
a seppellirlo nel cimitero! - Non lo so. Giriamo il bosco, ma bada di non far
rumore. Uscirono dalla macchia e si cacciarono sotto la boscaglia che copriva
quasi tutta la collina. Scavalcando tronchi atterrati, sfondando intricati
cespugli e tagliando lunghe radici, girarono attorno al forte e si trovarono sul
versante opposto. Yanez si arrestò. - Dove sono? - si chiese. - Eccoli
laggiù - disse il maharatto Il drappello infatti era in vista.
Scendeva uno stretto sentiero che menava ad una piccola prateria circondata da
superbi alberi. Nel mezzo, cinto da una bassa palizzata, c'era uno spazio irto
di cippi e di tavolette di legno. - Quello dev'essere il cimitero - disse
Yanez. - Si dirigono verso quel luogo? - chiese Kammamuri. - Sì. -
Respiro, padron Yanez. Temevo che gettassero il mio povero padrone nel
fiume. - Anche a me era venuto questo pensiero. I marinai erano entrati
nel cimitero e si erano arrestati nel mezzo, deponendo a terra Tremal-Naik.
Yanez li vide girare per qualche istante fra i Cippi, come se cercassero qualche
cosa, poi uno di essi alzò la zappa e cominciò a scavare. - E là che lo
sotterreranno - disse il portoghese al maharatto. - La terra smossa di
fresco vi indicherà il luogo dove è sepolto - C'è pericolo che il mio padrone
muoia asfissiato? - chiese Kammamuri. - No, amico mio. Ora corri subito da
Sandokan, ordinagli di radunare i suoi, di venire qui e dissotterrare il tuo
padrone. - E poi? - Poi tornerete nel bosco e domani verrò a raggiungervi.
Domani sera potremo lasciare questi luoghi per sempre. Va', amico, va'. Il maharatto non se lo fece dire due volte. Impugnò la pistola e scomparve
sotto gli alberi con la rapidità di un daino.
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