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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

6. Tremal-Naik
Quantunque fosse assai stanco, il
buon portoghese non fu capace di chiudere occhio in tutta la notte. Quel vecchio
bianco che guidava un drappello di dayachi e somigliava tanto allo zio
della moglie della Tigre, stato visto in vicinanza della città dal malese
Sambigliong l’aveva sempre nella mente e riempivagli l’animo di forti
inquietudini. Invano cercava di tranquillizzarsi, ripetendosi che forse il
malese si era ingannato, che il lord doveva essere ancora lontano, forse a Giava, forse in India, forse più lontano ancora, in Inghilterra. Parevagli
sempre di udire la voce del vecchionell’attiguo corridoio; parevagli sempre di
udire delle persone avvicinarsi alla sua stanza, un fragore d'armi risuonare nel
palazzo. Più volte, non sapendo dominare le sue inquietudini, scese dal letto
e aprì prudentemente le finestre, più volte socchiuse la porta della stanza,
temendo che fossero state appostate delle sentinelle per impedirgli la fuga. Si
addormentò verso l'alba, ma fu un sonno agitato da brutti sogni che durò un paio
d'ore al più. Si destò udendo un gong strepitare per la via. Si alzò, si
vestì, si cacciò nelle tasche un paio di corte pistole e si diresse verso la
porta. In quell’istesso istante veniva bussato. - Chi è? - chiese egli con
viva ansietà. - Il rajah vi aspetta nel suo gabinetto - disse una
voce. Yanez si sentì un brivido correre per le ossa. Aprì la porta e si trovò
dinanzi un indiano. - È solo il rajah? - chiese, coi denti
stretti. - Solo, milord - rispose l'indiano. - Che vuole da me? - Vi
attende per bere il thè. - Corro da lui - disse Yanez, dirigendosi verso lo
studio del principe. - Il rajah era seduto dinanzi al suo tavolino,
sul quale c'era un servizio da thè in argento. Vedendo Yanez entrare, si alzò
col sorriso sulle labbra, stendendogli la mano. - Buon giorno, milord! -
esclamò. - Siete rientrato tardi ieri sera. - Perdonate, Altezza, se ho
mancato al pranzo; ma la colpa non è mia - disse Yanez, rassicurato dal sorriso
del rajah - Che vi è accaduto? - Mi sono smarrito in mezzo ai
boschi. - Eppure avevate una guida. - Una guida! - Mi dissero che
eravate con un indiano che si spaccia per provveditore delle miniere di Poma. - Chi ve lo ha detto, Altezza? - chiese
Yanez, facendo uno sforzo
straordinario per conservare la calma. - Le mie spie, milord. - Altezza,
ai vostri servigi avete della brava gente. - Lo credo - disse il rajah
sorridendo. - L'avete incontrato dunque, quell'uomo? - Sì, Altezza. - Fino
dove vi ha accompagnato? - Fino ad un piccolo villaggio di dayachi - Indovinate chi era quell'uomo. - Chi era? - chiese
Yanez,
pronunciando con fatica quelle due parole. - Un pirata - disse il rajah - Un pirata!... È impossibile, Altezza. - Ve lo
assicuro. - E non mi ha ammazzato? - I pirati di Mompracem, milord,
qualche volta sono generosi, come il loro capo. - È generosa la Tigre della
Malesia? - Così si dice. Mi si racconta che parecchie volte regalò grossi
diamanti ai poveri diavoli che pochi momenti prima aveva moschettato e
sciabolato. - È un pirata molto strano, dunque! - È coraggioso e generoso
insieme. - Ma siete certo, Altezza, che quell'indiano facesse parte della
banda di Mompracem? - Sicurissimo, perché le mie spie lo videro parlare con
alcuni pirati della Tigre della Malesia. Ma non parlerà più con loro, ve lo
giuro. A quest'ora deve essere in mano dei miei. - In quell'istante, giù
nella strada, si udirono delle grida acute e un forte colpo di gong. Yanez
pallido, agitatissimo, si precipitò verso la finestra per vedere ciò che
accadeva, ma soprattutto per nascondere la propria commozione. - Per Giove! -
esclamò con voce strozzata diventando maggiormente pallido. - Kammamuri! -
Che cosa succede? - chiese il rajah - Conducono qui il mio indiano,
Altezza - rispose con voce abbastanza calma. - Non mi ero ingannato,
io. Si curvò sul davanzale e guardò. Quattro guardie, armate fino ai
denti, conducevano verso il palazzo l'indiano Kammamuri, al quale erano state
legate strettamente le braccia con solide fibre di rotang. Il prigioniero
non opponeva alcuna resistenza, né sembrava atterrito. Procedeva con passo calmo
e guardava tranquillamente la folla di dayachi, cinesi e malesi che lo
seguiva schiamazzando. - Pover'uomo! - esclamò Yanez. - Lo compiangete,
milord? - chiese il rajah - Un po', lo confesso. - Eppure
quell'indiano è un pirata. - Lo so, ma con me fu assai gentile. Che ne
farete, Altezza? - Cercherò di farlo parlare innanzitutto. Se riesco a sapere
dove si cela la Tigre della Malesia... Radunerò le mie guardie e
l'assalirò. - L’assalirete? - Radunerò le mie guardie e l’assalirò. - E
se il prigioniero si ostina a non parlare? - Lo farò appiccare - disse
freddamente il rajah - Povero diavolo! - Tutti i pirati hanno
uguale trattamento, milord. - Quando lo interrogherete? - Quest'oggi non
ho tempo, perché devo ricevere un ambasciatore olandese, ma domani sarò libero e
lo farò parlare. Un lampo balenò negli occhi del portoghese. - Altezza -
disse, dopo un po' d'esitazione. - Potrò assistere all'interrogatorio? - Se
lo desiderate. - Grazie, Altezza. Il rajah scosse un campanello
d'argento che stava sul tavolo. Un cinese vestito di seta gialla, con una coda
lunga un buon metro, entrò portando una teiera di porcellana di Ming,
piena di thè fumante. - Il thè non vi spiacerà, spero - disse il rajah - Non sarei inglese - rispose
Yanez, sorridendo. Vuotarono
parecchie tazze della deliziosa bevanda, indi si alzarono. - Ove vi recate
oggi, milord? - chiese il rajah - A visitare i dintorni della città -
rispose Yanez. - Ho scorto un fortino e, con il vostro permesso, lo
visiterò. - Troverete dei compatrioti, milord. - Dei compatrioti! -
esclamò Yanez, fingendo di ignorare ogni cosa. - Raccolti da me alcune
settimane fa, mentre stavano per annegare. - Dei naufraghi dunque? -
Precisamente. - E che cosa fanno in quel forte? - Attendono l'arrivo di
una nave per imbarcarsi e nel medesimo tempo sorvegliano un thug indiano
che rinchiusi là dentro. - Che? Un thug! Un thug indiano! -
esclamò Yanez. - Oh! vorrei vedere uno di quei terribili strangolatori. - Lo
desiderate? - Ardentemente. Il rajah prese un foglio di carta,
scrisse alcune righe, lo piegò e lo consegnò al portoghese che lo prese con
vivacità. - Consegnatelo al luogotenente Churchill - disse il rajah.
Egli vi mostrerà il thug e, se desiderate, vi farà visitare l'intero
fortino che però non ha nulla di bello. - Grazie, Altezza. - Pranzerete
con me questa sera? - Ve lo prometto. - Arrivederci, milord. Yanez, che
non vedeva l'ora di uscire da quello studio, si diresse verso la propria
stanza. - Ragioniamo, Yanez mio - mormorò quando si trovò solo. - Si tratta
di fare un gran colpo senza essere scoperto. Si affacciò poi alla finestra,
immergendosi in profondi pensieri. Rimase lì, immobile, con gli occhi fissi
sul fortino, dieci o dodici minuti, corrugando di quando in quando la
fronte. - Ci siamo! - esclamò d'un tratto. - Mio caro Brooke, il buon Yanez
ti prepara un giochetto che, se ho tutto ben calcolato, sarà bellissimo. Per
Giove! Sandokan sarà contento del fratello bianco. S'avvicinò al tavolo,
prese una penna e, sopra un pezzettino di carta, scrisse:
Mi
manda il tuo fedele servo Kammamuri per salvarti. Tremal-Naik, se vuoi essere
libero e rivedere la tua Ada, ingoia verso la mezzanotte le pillole che qui
trovi, né prima né dopo, se puoi. Yanez, amico di Kammamuri.
Vi mise
dentro due piccole pillole verdastre e fece una pallottolina che nascose in un
taschino della sua giacca. - Domani gli inglesi lo crederanno morto e domani
sera lo seppelliranno - mormorò, stropicciandosi allegramente le mani, e ad
avvertire il mio caro fratello manderemo Kammamuri. Ah! mio caro James Brooke,
non sai ancora di che cosa sono capaci i tigrotti di Mompracem. Si cacciò in
testa un cappellaccio di paglia a forma di fungo, si passò nella cintura il
fedele kriss e lasciò la stanza scendendo lentamente le
scale. Passando per un corridoio, vide dinanzi ad una porta un indiano armato
di carabina con baionetta in canna. - Che cosa fai lì? - chiese il
portoghese. - Sono di guardia - rispose la sentinella. - A chi fai la
guardia? - Al pirata arrestato stamane. - Bada che non ti sfugga, amico. È
un uomo pericoloso. - Terrò gli occhi sempre aperti, milord. - Bravo
ragazzo. Lo salutò con la mano, scese la scala ed uscì in strada con un
sorriso ironico sulle labbra. Il suo sguardo subito si fissò sulla collina che
gli stava di fronte, in cima alla quale, fra il verde cupo delle piante,
spiccava la massa biancastra del fortino. - Animo, Yanez - mormorò. - C'è
molto da fare. Attraversò con passo tranquillo la città, invasa da una fitta
folla di superbi dayachi, di orrendi malesi e di caudati cinesi che
schiamazzavano su tutti i toni, vendendo frutta, armi, vesti e giocattoli di
Canton, e prese un sentiero, ombreggiato da altissimi durion e da areche, che
menava al fortino. A mezza costa s'imbatté in due marinai inglesi che
scendevano alla città, forse per ricevere qualche ordine del rajah, o
forse per informarsi se qualche nave aveva gettato l'ancora alla foce del
fiume. - Olà, amici - disse Yanez salutandoli. - È lassù il comandante
Churchill? - L'abbiam lasciato che fumava alla porta del fortino - rispose
uno dei due. - Grazie, amici. Si rimise in cammino e dopo un lungo giro
sboccò in un largo piazzale in mezzo al quale si levava il fortino. Sulla porta,
appoggiato ad un fucile, stava un marinaio, occupato a masticare un pezzo di
tabacco, e a pochi passi, sdraiato in mezzo alle erbe, fumava un luogotenente di
marina, di statura alta, con lunghi baffi rossi. Yanez si arrestò. - Toh! un
bianco! - esclamò il luogotenente scorgendolo. - E che cerca di voi - disse
il portoghese. - Di me? - Sì! - E che cosa desiderate? - Ho una
lettera per il luogotenente Churchill... - Sono io, signore, il luogotenente
Churchill - disse l'ufficiale, alzandosi e muovendogli incontro. Yanez
estrasse la lettera dal rajah e la porse all'inglese il quale l'aprì e la
lesse attentamente. - Sono ai vostri ordini, milord - disse, quand'ebbe
letto. - Mi farete vedere il thug? - Se lo vorrete. -
Accompagnatemi da lui, adunque. Ho sempre desiderato vedere uno di quei
terribili strangolatori. Il luogotenente si mise in tasca la pipa ed entrò
nel fortino, seguito da Yanez. Attraversarono un piccolo cortile, in mezzo al
quale arrugginivano quattro vecchi cannoni di ferro, ed entrarono nel fabbricato
costruito con robustissimo legno di teck, capace di resistere ad una
palla di sei e anche otto libbre. - Ci siamo, milord - disse Churchill,
fermandosi dinanzi ad una solida porta sprangata. - Il thug è qui
dentro. - È tranquillo o feroce? - È mansueto come una tigre addomesticata
- rispose l'inglese sorridendo. - Non occorre quindi entrare armati. - Non
ha mai fatto male ad alcuno di noi, però non entrerei senza le mie
pistole. Levò le due spranghe ed aprì con precauzione la porta, sporgendo la
testa. - Il thug sonnecchia - disse. - Entriamo, milord. Yanez
provò un brivido, non già perché avesse paura dello strangolatore, ma per tema
che questi lo tradisse. Infatti l'indiano poteva respingere il bigliettino e le
pillole e svelare così ogni cosa al luogotenente Churchill. - Coraggio e
sangue freddo - mormorò, - non è il momento di ritirarsi. Varcò la soglia ed
entrò. Si trovò in una cella piuttosto piccola, con le pareti di legno di teck, rischiarata da un finestrino a solidissime inferriate. In un
angolo, steso su di un letto di foglie secche e avvolto in un corto mantello di
tela, stava il thug Tremal-Naik, il padrone dell'indiano Kammamuri, il
fidanzato dell'infelice Ada. Era un superbo indiano, alto cinque piedi e sei
pollici, color del bronzo. Largo e robusto aveva il petto, muscolose le braccia
e le gambe, fieri i lineamenti del volto e regolarissimi. Yanez, che aveva visto
cinesi, malesi, giavanesi, africani, indiani, bughisi, macassaresi e tagali, non
si ricordava di aver incontrato un uomo di colore così bello e così vigoroso.
Non c'era che Sandokan che potesse superarlo. Quell'uomo dormiva, ma il suo
sonno non era tranquillo. Il petto gli si sollevava affannosamente, la sua ampia
e bella fronte si corrugava, le labbra di un rosso vivo, ardente, fremevano e le
sue mani, piccole come quelle di una donna, si aprivano e si chiudevano, come se
volessero afferrare qualche cosa e stritolarla. - Bell'uomo! - esclamò Yanez. - Zitto, parla - mormorò il luogotenente. Un rauco accento
straziante era uscito dalle labbra dell'indiano. - Mia! - aveva
esclamato. La sua faccia, d'un tratto, divenne burrascosa. Una vena che gli
solcava la fronte s'ingrossò improvvisamente. - Suyodhana - mormorò, con
accento d'odio, l'indiano. - Tremal-Naik! - disse il luogotenente. A quel
nome l'indiano si scosse, si alzò di scatto e fissò sul luogotenente uno sguardo
che scintillava come quello di un serpente. - Che cosa vuoi? - chiese. -
Un signore vuol vederti. L'indiano guardò Yanez che stava qualche passo
indietro a Churchill. Un sorriso sdegnoso sfiorò le sue labbra mettendo a
nudo i denti bianchi come l'avorio. - Sono una belva forse? - chiese. -
Che... Si arrestò e trasalì. Yanez che, come si disse, stava dietro al
luogotenente, gli aveva fatto un rapido cenno. Senza dubbio aveva compreso che
gli stava dinanzi un amico. - Come ti trovi qui dentro? - chiese il
portoghese. - Come può trovarsi un uomo che nacque e visse libero nella jungla - disse Tremal-Naik con voce triste. - È vero che tu sei un
thug? - No. - Eppure hai strangolato delle persone. - E vero, ma
non sono un thug - Tu menti. Tremal-Naik si alzò digrignando i
denti e con gli occhi fiammeggianti; ma un nuovo gesto del portoghese lo
calmò. - Se tu mi lasciassi alzare il mantellino, ti mostrerei il tatuaggio
che distingue i thug - Alzalo, - disse Tremal-Naik. - Non
accostatevi, milord! - esclamò il luogotenente. - Non ho arma alcuna - disse
l'indiano. - Se io alzo un braccio, scaricami in petto le tue pistole. Yanez
s'avvicinò al letto di foglie e si curvò sull'indiano. - Kammamuri - mormorò
con voce appena distinta. Un rapido lampo brillò negli occhi dell'indiano. Con
un gesto alzò il mantellino e raccolse il biglietto contenente le pillole che il
portoghese aveva lasciato cadere. - L'avete visto il tatuaggio? - chiese il
luogotenente che aveva, per precauzione, armato una pistola. - Non lo ha -
rispose Yanez, raddrizzandosi. - Non è un thug dunque? - Chi può
dirlo? I thugs hanno tatuaggi in più parti del corpo. - Non ne ho -
disse Tremal-Naik. - Da quanto tempo si trova qui, luogotenente? - chiese
Yanez. - Da due mesi, milord. - Dove lo si condurrà? - In qualche
penitenziario dell'Australia. - Povero diavolo! Usciamo, luogotenente. Il
marinaio aprì la porta. Yanez ne approfittò per volgersi indietro e fare a
Tremal-Naik un ultimo gesto che significava "obbedite". - Volete visitare il
fortino? - chiese il luogotenente quand'ebbe chiusa e sprangata la porta. -
Mi pare che non abbia nulla di attraente - rispose Yanez. - Arrivederci dal rajah, signore. - Arrivederci, milord.
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