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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

5. Narcotici e veleni
Due uomini si erano
improvvisamente rizzati dietro a un cetting, arbusto rampicante il cui
succo è talmente velenoso che uccide in pochi istanti un bue. Il primo era un
indiano alto, magro, nervoso, vestito di tela bianca e armato d'una lunga
carabina incrostata d'argento; l'altro era un dayaco di belle forme, con
le membra straordinariamente cariche di anelli di ottone e di perle di Venezia e
i denti anneriti col succo caldo del legno siuka. Un solo ciawat,
pezzo di stoffa di cotone copriva i suoi fianchi e un fazzoletto rosso la sua
testa, ma portava indosso un vero arsenale. La terribile cerbottana con le
frecce tinte nel succo dell'upas gli pendeva da una spalla; al fianco
aveva il formidabile parang, pesante sciabola dalla larga lama intarsiata
con pezzi d'ottone, della quale i dayachi si servono per decapitare i
nemici; il laccio, che essi sanno adoperare forse meglio dei thugs
indiani, gli stringeva la vita. Non mancava nemmeno il kriss, dalla lama
serpeggiante e avvelenata. - Alto là! - ripeté l'indiano, facendosi
innanzi. Il portoghese fece a Kammamuri un rapido gesto e si avanzò con le
dita della mano destra sulla batteria del fucile. - Che vuoi e chi sei tu? -
chiese all'indiano. - Sono una guardia del rajah di Sarawak - rispose
l'interrogato. - E voi? - Lord Gilles Welker, amico di James Brooke, tuo rajah L'indiano e il
dayaco presentarono le armi. -
Quell'uomo è al vostro servizio, milord? - chiese l'indiano indicando Kammamuri. - No - rispose
Yanez. - L'ho incontrato nella foresta e avenfo
egli paura delle tigri, ha chiesto di seguirmi. - Dove vai? - domandò
l'indiano al maharatto - Ti ho detto anche stamane che sono
provveditore dei placers di Poma - rispose Kammamuri. - Perché
domandarmi anche adesso dove vado? - Perché il rajah così vuole. -
Di' al tuo rajah che io sono un suo fedele suddito. -
Passa. Kammamuri raggiunse Yanez che aveva continuata la sua via, mentre le
due spie tornavano ad imboscarsi sotto l'arbusto velenoso. - Cosa pensate,
signor Yanez, di quegli uomini? - chiese il maharatto quando fu certo che
non potevano né udirlo né vederlo. - Penso che il rajah è astuto come
una volpe. - Deviamo? - Deviamo, Kammamuri. Quelle due spie possono avere
qualche sospetto e seguirci per un buon tratto. - Faremo perdere le nostre
tracce. Kammamuri abbandonò il sentiero fino allora seguito e piegò a
sinistra, seguito dal cavallo e dal portoghese. La via divenne ben presto
difficilissima. Migliaia e migliaia d'alberi, dritti gli uni, piegati e contorti
gli altri, e cespugli e rampicanti si ammassavano in modo da impedire spesso il
passaggio, se non agli uomini, almeno al cavallo. Qui vi erano colossali
alberi della canfora, che dieci uomini non sarebbero stati capaci di
abbracciare; là arenghe saccarifere che, incise, danno un liquore zuccherino e
inebriante se lasciato fermentare; più oltre superbe palme pinang che
piegavano sotto il peso delle noci formanti grandi grappoli; poi bellissimi
mangostani, alti quanto un ciliegio, le cui frutta, grosse come aranci, sono le
più gustose e le più delicate che sui trovino sulla terra, e areche dalle foglie
grandissime; uncaria cambir e isonandra guta e giunta wan,
piante, queste ultime, che danno il caucciù. E come se tutti questi vegetali non
bastassero a rendere difficile il cammino, smisurati rotang, che nel
Borneo tengono il luogo delle liane e nepentes correvano da un albero
all'altro formando vere e proprie reti che il maharatto e il portoghese
erano costretti a tagliare a colpi di kriss Percorso mezzo miglio
descrivendo lunghi giri per trovare un passaggio, saltando alberi atterrati,
sfondando cespugli, tagliando radici e gomene vegetali a destra e a manca, i due
pirati giunsero sulle rive di un canale d'acqua nera e putrida. Kammamuri tagliò
un ramo e misurò la profondità. - Due piedi - disse. - Salite sul cavallo,
padron Yanez. - Perché? - Entreremo nel canale e lo risaliremo per un buon
tratto. Se le due spie ci seguono, non troveranno più le nostre tracce. -
Bravo, Kammamuri. Il portoghese salì in sella e dietro di lui salì il
maharatto. Il cavallo dopo aver un po' esitato, entrò in quelle acque che
spandevano un fetore insopportabile e rimontò, traballando e scivolando sul
fondo melmoso, la corrente. Fatti ottocento passi, riguadagnò la riva. Yanez
e il maharatto discesero e stettero in ascolto coll'orecchio appoggiato a
terra. - Non odo nulla - disse Kammamuri. - E nemmeno io - aggiunse il
portoghese. - È lontano il campo? - Un miglio e mezzo almeno. Affrettiamoci,
padrone. Un sentieruzzo, aperto fra i cespugli e i rotang dagli
animali, spariva nel folto della foresta. I due pirati lo raggiunsero allungando
il passo. Una mezz'ora dopo, altri due uomini s'alzavano dietro una macchia,
intimando ai due pirati di arrestarsi. Kammamuri gettò un fischio. - Avanti -
risposero le due sentinelle. Erano due pirati di Mompracem armati fino ai
denti. Vedendo Yanez, mandarono grida di gioia. - Capitano Yanez! -
gridarono, correndogli incontro. - Buon giorno, ragazzi - disse il
portoghese. - Vi credevamo morto, capitano. - Le tigri di Mompracem hanno
la pelle dura; dov'è Sandokan? - A trecento passi da qui. - Fate buona
guardia, amici. Vi sono delle spie del rajah nel bosco. - Lo
sappiamo. - Bravi, tigrotti. Il portoghese e il maharatto
raddoppiarono il passo e ben presto giunsero all'accampamento piantato presso un
kampong in rovina. Del villaggio, che un tempo doveva essere stato
abbastanza grosso, non rimaneva intatta che una sola capanna di foglie di nipa, posta sopra pali alti più di trenta piedi, fuori di portata dagli
assalti delle tigri e anche dagli assalti degli uomini. I pirati però stavano
ricostruendo altre capanne e piantando solide palizzate per mettersi al coperto
e, nel caso di un attacco improvviso da parte delle truppe del rajah di Sarawak, poter resistere. - Dov'è
Sandokan? - chiese Yanez, entrando
nell'accampamento accolto dalle grida di gioia di tutta la banda. - Lassù,
nella capanna aerea - risposero i pirati. - Avete incontrato i soldati del rajah, capitano
Yanez? - Ciò che ho detto alle sentinelle lo dirò
anche a voi, tigrotti- disse il portoghese. - State in guardia: vi sono delle
spie del rajah nel bosco. Ne ho vista più di una. - Che si mostrino! -
gridò un malese, impugnando un pesantissimo parang ilang con la punta
fatta a doccia. - I tigrotti di Mompracem non temono i cani del rajah - Capitano Yanez - disse un altro, - se incontrate una di quelle
spie, ditele che siamo accampati qui. Sono cinque giorni che non combattiamo e
le nostre armi cominciano ad arrugginire. - Fra poco, ragazzi, avrete da
lavorare - rispose Yanez. - M’incarico io di mandarvi della gente. - Viva il
capitano Yanez! - urlarono i tigrotti. - Ehi! fratello mio! - gridò una voce
che veniva dall'alto. Il portoghese alzò gli occhi e vide Sandokan ritto
sulla piccola piattaforma della capanna aerea. - Che cosa fai lassù? - gridò
il portoghese, ridendo. - Mi sembri un piccione appollaiato su di un
albero. - Sali Yanez. Tu hai qualche cosa d’importante da dirmi - Certo.
- Il portoghese si slanciò verso una lunga pertica che presentava delle
tacche e con sorprendente agilità giunse sulla piattaforma della capanna, ma qui
si trovò piuttosto imbarazzato. Il suolo era formato da bambù, distanti l'uno
dall'altro un buon palmo, e i piedi del povero Yanez non riuscivano a trovare
uno stabile appoggio. - Ma questa è una trappola! - esclamò. - Costruzione
dayaca, fratello mio - disse Sandokan ridendo. - Ma che piedi hanno quei
selvaggi? - Forse più piccoli dei nostri. Un po' di equilibrio,
diamine! Il portoghese, traballando e saltando di trave in trave, giunse
nella capanna. Era discretamente vasta, divisa in tre camerette di cinque
piedi di altezza e altrettanti di larghezza, col pavimento pure formato da bambù
lontani l'uno dall'altro parecchi centimetri, ma coperto da stuoie. - Che
cosa mi rechi? - chiese Sandokan. - Molte novità, fratello mio - rispose
Yanez sedendosi. - Ma dimmi, innanzitutto, dov'è la povera Ada, che non ho
veduta nel campo? - Questo luogo non è molto sicuro, Yanez. Le guardie del rajah possono assalirci da un istante all'altro. - Comprendo, fratello
mio; tu l'hai nascosta in qualche luogo. - Sì, Yanez. L'ho fatta condurre
verso la costa. - Chi ha con sé? - Due uomini che mi sono
fedelissimi. - È ancora pazza? - Sì, Yanez. - Povera Ada! - Guarirà,
te lo assicuro. - In qual modo? - Quando si troverà dinanzi a Tremal-Naik
proverà una scossa così forte che riacquisterà la ragione. - Lo credi? -
Lo credo, anzi ne sono certo. - Possano le tue speranze avverarsi. - Dimmi
ora, Yanez, che cos'hai fatto a Sarawak in questi giorni? - Molte cose. Sono
diventato amico del rajah - E come? Il portoghese in poche parole
lo informò di quello che aveva fatto, gli narrò ciò che gli era accaduto e ciò
che aveva udito. Sandokan lo ascoltò attentamente, senza interromperlo, ora
sorridente e ora pensieroso. - Dunque tu sei amico del rajah - disse,
quando Yanez ebbe terminato. - Amico intimo, fratello mio. - Non ha alcun
sospetto? - Non credo; ma, come ti ho detto, sa che tu sei qui. - Bisogna
affrettarsi a liberare Tremal-Naik. Ah! se potessi nel medesimo tempo
schiacciare per sempre quel dannato Brooke! - Lascia il rajah, Sandokan. - Egli fu troppo feroce,
Yanez, verso i nostri fratelli. Darei metà
del mio sangue per vendicare le migliaia di malesi uccisi da quell'uomo
terribile e spietato. - Bada, Sandokan; non abbiamo che sessanta
uomini. Un lampo sinistro balenò negli occhi della Tigre della Malesia. -
Tu sai, Yanez, di quanto io sia capace - disse con un tono di voce che faceva
fremere. - Il mio passato tu lo conosci. - Lo so, Sandokan, che tu hai
sfidato l'ira di regni ed imperi europei. Ma la prudenza non è mai troppa. -
E sia: sarò prudente. Mi accontenterò di liberare Tremal-Naik. - Cosa forse
più difficile dell'altra, Sandokan. - Perché? - Ci sono sessanta bianchi
nel fortino e molti pezzi di cannone. - Cosa sono sessanta uomini? -
Aspetta un po’, fratellino mio. Mi dimenticavo di dirti che il fortino è
vicinissimo alla città. Al primo colpo di cannone tu avrai i bianchi dinanzi e
le truppe del rajah alle spalle. Sandokan si morse le labbra e fece un
gesto di dispetto. - Eppure bisogna salvarlo - disse. - Che cosa dobbiamo
fare? - Giocheremo d'astuzia. - Hai un piano? - Sono bornese e, come i
miei compatrioti, ho sempre amato i veleni. Con una sola goccia si uccide un
uomo per quanto sia forte; con un'altra goccia lo si addormenta, lo si fa
credere morto, o lo si fa impazzire. Il veleno, come vedi, è un'arma potente,
terribile. - So che durante il nostro soggiorno a Giava tu ti occupavi molto
di veleni. E mi ricordo che una volta un potente narcotico ti salvò dalla
forca. - Ecco che i miei studi e le mie ricerche cominciano a fruttare -
disse Sandokan. - Ascoltami, Yanez. Frugò in una tasca interna della sua
giacca e ne trasse una scatoletta di pelle ermeticamente chiusa. L'aprì e mostrò
al portoghese dieci o dodici microscopiche boccettine, piene di liquidi bianchi,
verdastri e neri. - Per Giove! - esclamò Yanez. - Non è tutto - disse
Sandokan, aprendo una seconda scatoletta contenente piccolissime pillole che
esalavano un acuto odore. - Questi sono altri veleni. - E cosa vuoi fare con
quei liquidi e quelle pillole? - Ascoltami con attenzione, Yanez. Tu mi hai
detto che Tremal-Naik è prigioniero nel forte. - È vero. - Credi di poter
entrare nel forte, chiedendo il permesso al rajah? - Lo spero. Ad un
amico non si nega un favore così piccolo. - Tu dunque entrerai e chiederai di
vedere Tremal-Naik. - E quando l'avrò veduto, cosa farò? Sandokan levò
dalla seconda scatola alcune pillole nere e gliele mise in mano. - Queste
pillole contengono un veleno che non uccide, ma che sospende la vita per
trentasei ore. - Ora comprendo il tuo piano. Io dovrò farne inghiottire una a
Tremal- Naik. - O scioglierne una nella brocca dell'acqua. - Tremal-Naik
non darà più segno di vita, lo crederanno morto e lo seppelliranno. - E noi,
nella notte, andremo a disseppellirlo - aggiunse Sandokan. - Il progetto è
stupendo, Sandokan - disse il portoghese. - Tenterai il colpo? Tu non corri,
mi pare, alcun pericolo. - Io lo tenterò, purché mi si permetta di entrare
nel forte. - Se non ti permettono, corrompi qualche marinaio. Hai
denaro? Il portoghese aprì la giacca, il panciotto, alzò la camicia, e mostrò
una fascia un po' rigonfia che gli cingeva i fianchi. - Ho sedici diamanti
che tutti insieme valgono un milione. - Se ne vuoi altri, parla. La mia
cintura contiene il doppio della tua e a Batavia abbiamo tanto oro da acquistare
la flotta intera del Portogallo. - Lo so, Sandokan, che il denaro non ci
manca. Per ora mi accontenterò dei miei sedici diamanti. - Nascondi ora
queste pillole e anche quelle due boccettine - disse Sandokan. - Una, la verde,
contiene un narcotico che non sospende la vita, ma che addormenta profondamente
per dodici ore; l'altra, la rossa, contiene un veleno che uccide istantaneamente
e senza lasciare traccia. Chissà: possono esserti utili. Il portoghese
nascose le pillole e le boccettine, si gettò a bandoliera il fucile e si
alzò. - Te ne vai? - Sarawak è lontana, fratello mio. - Quando farai il
colpo? - Domani. - Mi farai subito avvertire da Kammamuri? - Non
mancherò; addio, fratello. Scese la pericolosa scala, salutò i tigrotti e
tornò a cacciarsi sotto la foresta, cercando di orizzontarsi. Aveva percorso sei
o settecento metri, quando fu raggiunto dal maharatto - Altre novità?
- chiese il portoghese, arrestandosi. - Una e forse grave, signor Yanez -
disse il maharatto. - Un pirata è tornato or ora al campo ed ha riferito
alla Tigre di aver veduto, a tre miglia da qui, una banda di dayachi
guidata da un vecchio bianco. - Se lo incontrerò gli augurerò buon
viaggio. - Aspettate un po', signor Yanez - disse il maharatto. - Il
pirata ha detto che quel vecchio dalla pelle bianca somigliava all'uomo che ha
giurato di appiccare la Tigre e voi. - Lord James Guillonk! - esclamò Yanez,
impallidendo. - Sì, padron Yanez, quell'uomo somigliava allo zio della
defunta moglie di Sandokan. - È impossibile!... È impossibile!... Chi è il
pirata che lo ha visto? - Il malese Sambigliong. - Sambigliong!... -
balbettò Yanez. - Questo malese era con noi quando rapimmo la nipote di lord
James, anzi, se la memoria non m'inganna, affrontò lo stesso lord che stava per
spezzarmi il cranio. Per Giove!... Io corro un gran pericolo. - Quale? -
chiese il maharatto - Se lord Guillonk viene a Sarawak io sono
perduto. Mi vedrà, mi riconoscerà, quantunque siano trascorsi sei anni
dall'ultima volta che ci siamo incontrati, e mi farà arrestare e appiccare.
- Ma il malese non ha detto che quel vecchio era il Lord. Somigliava e nulla
pi. - Ti ha mandato Sandokan ad avvertirmi? - Sì padron Yanez! - Gli
dirai che starò in guardia, ma che cerchi d'impadronirsi di quel vecchio dalla
pelle bianca. Addio, Kammamuri, domani mattina ti attendo alla taverna
cinese. Il portoghese, molto inquieto, si rimise in marcia, guardandosi
attentamente attorno e tendendo gli orecchi, timoroso di trovarsi da un istante
all'altro dinanzi a quel vecchio. Fortunatamente non udivasi, sotto la
gigantesca boscaglia, alcuna voce umana, né alcun segnale. I soli rumori che
rompevano il silenzio erano le grida degli argus giganti, magnifici
fagiani che svolazzavano a centinaia, quelle non meno acute delle cacatue nere e
quelle rauche delle scimmie dal naso lungo, così chiamate perché il loro naso è
molto prominente e rosso come quello di Bacco. Camminò così, con grandi
precauzioni, fra cespugli inestricabili e gigantesche macchie, ora piegando a
destra e ora a sinistra, per cinque ore. Non giunse a Sarawak che al calar del
sole, affranto dalla fatica e affamato come un lupo. Pensò che fosse troppo
tardi per recarsi a pranzare dal rajah e si recò alla taverna del cinese.
Dopo un lauto pranzo, annaffiato da parecchie bottiglie, fece ritorno alla
palazzina. Alla sentinella, prima di entrare, chiese se un vecchio dalla pelle
bianca fosse giunto, ma, avutane risposta negativa, salì nella sua camera. Il
rajah si era ritirato nella sua stanza da qualche ora. - Meglio così -
mormorò Yanez. - Un cacciatore che torna senza un pappagallo può allarmare
quella vecchia volpe sospettosa. Andò poi a dormire mettendo le pistole e il
kriss sotto il capezzale.
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