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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

2. Una notte in prigione
Quelle grida emesse da cinesi in un
quartiere cinese, dovevano ottenere lo stesso effetto che ha un gong battuto in
una via di Canton o di Pekino. Infatti, in meno di due minuti, un duecento
coduti figli del Celeste Impero, armati di bambù, di coltelli, di sassi e di
ombrelli, si trovavano riuniti dinanzi alla porta della taverna mandando grida
spaventevoli. - Dàlli al ladro! - gridavano gli uni, roteando minacciosamente
bastoni e ombrelli. - Impicca il bianco! - urlavano gli altri mostrando i
coltelli. - Gettalo nel fiume! - salassate quel cane! - Accopalo!
Ammazzalo! Annegalo! Abbrucialo! Apppiccalo! I bevitori, spaventati da quel
baccano e temendo di venire lapidati, sgombrarono in fretta la taverna, chi
uscendo dalla porta e mescolandosi alla banda, chi saltando dalle finestre, che
fortunatamente non erano troppo alte. Lì non rimase che il portoghese, il quale
rideva a crepapelle, come se assistesse ad una brillantissima farsa. - Bravi!
bene! bis! bis! - gridava egli, armando però le pistole e tirando dalla cintura
il kriss Un cinese che parlava più di tutti, in prima fila, gli tirò
una sassata: ma il ciottolo andò a spezzare un gran fiasco di sam-sciù,
il cui liquore si sparse per terra. - Ehi! mariuolo! - gridò il portoghese -
tu rovini il taverniere. Raccolse il ciottolo e lo rimandò all'aggressore che
n'ebbe rotto un dente. Urla ancora più acute rimbombarono nel quartiere,
facendo accorrere altri cinesi, alcuni dei quali armati di vecchi archibugi. Tre
o quattro, incoraggiati dai compagni del taverniere, tentarono di entrare, ma
alla vista delle pistole che il portoghese puntava verso di loro si affrettarono
a mostrare le suole di feltro dei loro zoccoli. - Lapidiamolo! - gridò una
voce. - E la mia taverna? - gemette il taverniere. Una grandine di
ciottoli entrò nella taverna fracassando le lanterne, i fiaschi, i piatti, le
terrine ed i vasi. Il portoghese, visto che il tumulto aumentava
pericolosamente, scaricò in aria le sue due pistole. Ai due spari tennero
dietro sette archibugiate sparate nella via, ma senz'altro effetto che quello
d'ingrossare il baccano. D'improvviso si udirono varie voci gridare: -
Largo!... Largo!... - Le guardie del rajah! Il portoghese respirò.
Quel frastuono, i bastoni agitati in aria, i coltelli, le grandinate di
ciottoli, i moschettoni e il continuo affluire della folla cominciavano ad
inquietarlo. - Facciamo baccano, ora che non c'è più alcun pericolo -
disse. Si slanciò verso una tavola e la rovesciò mandando in frantumi tutti i
fiaschi, i vasi, i tondi che vi erano sopra. - Arrestatelo! Arrestatelo! -
urlò il taverniere. - Quel bianco mi fracassa tutto. - Largo! Largo alle
guardie! - gridarono alcuni. La folla si divise e sulla porta della taverna
apparvero due uomini di colore, alti, robusti, con giacca e calzoni di tela
bianca e una draghinassa in pugno. - Indietro! - gridò il portoghese,
puntando su di loro le pistole. - Un europeo! - esclamarono le due guardie,
meravigliate. - Dite un inglese - precisò Yanez. Le due guardie
ringuainarono le draghinasse. - Non vogliamo farvi alcun male - disse uno dei
due. - Siamo al servizio del rajah Brooke vostro compatriota. - E che
cosa volete da me? - Liberarvi da questa turba. - E condurmi in qualche
carcere? - A questo penserà il rajah - Mi condurrete da lui? -
Senza dubbio. - Se è così, vengo. Dal rajah Brooke non ho nulla da
temere. Le due guardie lo presero in mezzo e tornarono a sguainare le
draghinasse, onde proteggerlo dalla rabbia dei cinesi che era giunta al
colmo. - Largo! - gridarono. - I cinesi, in numero grandissimo, a quella
intimazione non ubbidirono: volevano ad ogni costo linciare l'europeo, giacchè
le due guardie non l’avevano infilzato come avevano sperato. Le due guardie
però non si perdettero d'animo. Distribuendo piattonate a destra e a sinistra e
vigorosi calci, riuscirono a fare un po' di largo e trassero il prigioniero in
una stretta stradicciola, giurando di ammazzare quanti li avrebbero
seguiti. Quella minaccia ebbe un buon successo I cinesi, dopo aver urlato
su tutti i toni e lanciato imprecazioni contro Yanez, contro le guardie e contro
lo stesso rajah che accusavano di proteggere i ladri, si dispersero,
lasciando soli il taverniere e i suoi quattro sguatteri malconci. Sarawak non
e una città molto vasta: le due guardie, in meno di cinque minuti, giunsero alla
palazzina del rajah, costruita in legno, come tutte le abitazioni dei
bianchi che coronano le collinette dei dintorni. Sulla cima ondeggiava una
bandiera che al portoghese parve rossa come quella inglese: dinanzi alla porta
stava impalato un indiano armato di fucile e baionetta. - Mi condurrete
subito dal rajah? - È troppo tardi - risposero le guardie. - Il rajah dorme. - E dove passerò la notte? - Vi daremo una
stanza. - Purché non sia una cantina. - Un compatriota del rajah
non si mette in una cantina. Il portoghese fu fatto entrare: salirono una
scala, poi Yanez fu introdotto in una stanzetta con le finestre difese da grosse
stuoie di foglie di nipa, il cui arredamento era costituito da un'amaca
di filamenti di cocco, da qualche mobile di provenienza europea e da una lampada
che era stata già accesa. - Per Giove! - esclamò, stropicciandosi
allegramente le mani. - Dormirò come un babirussa. - Desidera nulla? - chiese
una delle guardie. - Che mi si lasci dormire - rispose Yanez. Una guardia
uscì, ma l'altra si sedette presso la porta mettendosi in bocca una noce di
areca avvolta in una foglia di betel - Approfitterò per farlo cantare;
ci sono molte cose che ignoro e che quest'uomo senza dubbio sa - pensò
Yanez. Arrotolò una sigaretta, l'accese, aspirò alcune boccate di fumo e
avvicinandosi alla guardia: - Giovanotto, sei indiano? - chiese. -
Bengalese, sir - rispose la guardia. - È da molto tempo che sei qui.? -
Due anni. - Hai udito parlare di un pirata che si chiama la Tigre della
Malesia? - Sì. Yanez represse a stento un gesto di gioia. - È vero che
la Tigre è qui? - domandò. - Non lo so, ma si dice che i pirati hanno
assaltato un vascello a venti o trenta miglia dalla costa e che poi sono
sbarcati. - Dove? - Non si sa precisamente in qual luogo, ma lo
sapremo. - In qual modo? - Il rajah ha delle brave spie. -
Dimmi, è vero che alcuni mesi or sono è naufragato un vascello inglese presso il
capo Tanjong-Datu? - Sì - rispose l'indiano. - Era un vascello da guerra
proveniente da Calcutta. - Chi corse in suo aiuto? - Il nostro rajah col suo
schooner, il Realista - Fu salvato
l'equipaggio? - Tutto, compreso un indiano condannato alla deportazione
perpetua, non ricordo più in quale isola. - Un indiano condannato alla
deportazione perpetua! - esclamò Yanez, fingendo la massima sorpresa. - E chi
era costui? - Si chiamava Tremal-Naik. - E qual delitto aveva commesso? -
chiese Yanez, trepidante. - Mi si disse che aveva ucciso degli inglesi. -
Che brigante! Ed è ancora qui questo indiano? - È rinchiuso nel fortino. -
In quale? - Quello che è sul colle. Non ve n'è che uno a Sarawak. - Ha
guarnigioni il fortino? - Vi sono i marinai del legno naufragato. -
Molti? - Una sessantina al massimo. Yanez fece una smorfia. - Sessanta
uomini! - mormorò. - E forse vi saranno anche dei cannoni. Si mise poi a
camminare per la stanza, meditabondo. Passeggiò così per alcuni minuti, poi si
sdraiò sull'amaca, pregò la sentinella di abbassare la fiamma della lampada e
chiuse gli occhi. Quantunque prigioniero e con molti pensieri pel capo, il
portoghese dormì tranquillo come se fosse stato a bordo della Perla di
Labuan o nella capanna della Tigre della Malesia. Quando si svegliò, un
raggio di sole penetrava attraverso le foglie di nipa che servivano da
persiane. Guardò verso la porta, ma la sentinella non c'era più. Vedendolo
dormire e fors'anche udendo russare, se n'era andata, certa che un prigioniero
di quel genere non sarebbe saltato dalle finestre. - Benissimo - disse il
portoghese. - Approfittiamone. Balzò giù dall'amaca, fece un po' di toilette, alzò la stuoia e si affacciò alla finestra, respirando a pieni
polmoni l'aria fresca del mattino. Sarawak presentava un bel colpo d'occhio
con le sue palazzine di legno circondate da verdeggianti boschetti, col suo
grande fiume ombreggiato da superbi alberi e solcato da piccoli prahos,
da svelte piroghe, da leggeri e lunghi canotti, con le bizzarre casette dal
tetto arcuato e dipinte a smaglianti colori, del quartiere cinese, con le
capanne di foglie di nipa, piantate su pali di rispettabile altezza, del
quartiere dayaco e le viuzze affollate di cinesi, di dayachi, di
bughisi e di macassaresi. Il portoghese percorse, con un rapido sguardo, la
città e arrestò gli sguardi sulle colline. Come si disse, v’erano eleganti
palazzine di legno abitate dagli europei. Più oltre, però, si vedeva una
graziosa chiesetta e, a non grande distanza, un forte solidamente costruito e
con molte feritoie. Il portoghese lo guardò con attenzione profonda. - È
la che vi è Tremal-Naik - mormorò. - Come liberarlo? In quello stesso istante
una voce dietro di lui diceva: - Il rajah vi attende. Yanez si
volse e si trovò dinanzi il bengalese. - Ah! siete voi, amico? - disse
sorridendo. - Come sta rajah Brooke? - Vi attende, sir. - Andiamo a
stringergli la mano. Uscirono, salirono un'altra scala ed entrarono in un
salotto, le cui pareti scomparivano sotto un vero strato d'armi di tutte le
grandezze e di tutte le forme. - Entrate in quel gabinetto - disse il
bengalese. - Che cosa racconterò? - mormorò il portoghese. - Coraggio, Yanez.
hai una vecchia volpe dinanzi. Spinse la porta ed entrò risolutamente nello
studio in mezzo al quale davanti ad una tavola ingombra di carte geografiche,
stavasene seduto il rajah di Sarawak.
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