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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE SECONDA IL RAJAH DI
SARAWAK

1. La Taverna
Cinese
- Olà! Bell'uomo! - Milord! - Al diavolo i
milord. - Sir!... - All'inferno i sir. - Mastro!... - Che ti colga
il crampo. - Monsieur?... Señor!... - Appiccati. Che pranzo è questo? -
Cinese, señor, cinese come la trattoria. - E tu vuoi farmi mangiare alla
cinese! Cosa sono queste bestioline che si muovono? - Gamberi del Sarawak
ubriacati. - Vivi? - Pescati mezz’ora fa, milord. - E tu vuoi ch'io
mangi i gamberi vivi? Corpo d'un cannone! - Cucina cinese, monsieur. - E
questo arrosto? - Cane giovane, señor. - Che cosa? - Cane giovane. -
Corpo d'una spingarda! E tu vuoi che io mangi del cane? E questo stufato? - È
gatto, señor. - Tuoni e fulmini! Un gatto! - Un boccone da mandarino,
sir. - E questa frittura? - Topi fritti nel burro. - Cane d'un cinese!
Tu vuoi farmi crepare! - Cucina cinese, señor. - Cucina infernale, vuoi
dire. Corpo d'un cannone! Gamberi ubriachi, frittura di topi, cane arrosto e
gatto in stufato per pranzo! Se mio fratello fosse qui riderebbe tanto da
scoppiare. Orsù, non bisogna essere schifiltosi. Se i cinesi mangiano questa
roba, può mangiarla anche un bianco. Animo, portoghese mio! Il brav'uomo che
così parlava si accomodò sulla sedia di bambù, trasse dalla cintura un magnifico
kriss coll'impugnatura d'oro ornata di magnifici diamanti, e fece a pezzi
il cane arrosto che mandava un profumo appetitoso. Fra un boccone e l'altro
si mise a osservare il locale nel quale si trovava. Era una stanzaccia bassa,
colle pareti dipinte a draghi mostruosi, a fiori strani, a lune sorridenti, ad
animali che vomitavano fuoco. Tutto all'intorno v'erano sedili e stuoie sulle
quali russavano dei cinesi dal volto giallo, il cranio pelato, la coda
lunghissima e i baffi pendenti; qua e là, senza ordine, c'erano tavole di tutte
le dimensioni, occupate da brutti malesi dalla pelle olivastra e i denti neri e
da bellissimi dayachi seminudi con le membra coperte di anelli di ottone,
armati di pesanti parangs, coltellacci lunghi mezzo metro. Alcuni di
quegli uomini masticavano il siri, composto di foglie di betel e
di noci d'areca, lanciando sul pavimento sputi sanguigni; altri bevevano grandi
vasi di arak o di tuwak e altri ancora fumavano lunghe pipe
cariche di oppio. - Hum - borbottò il nostro uomo sventrando il gatto. - Che
brutte facce! Non so come quel briccone di James Brooke riesca a dominare questi
birbanti. Deve essere un gran volpone e un... Un fischio acuto, che veniva
dall'esterno della taverna, gli troncò la parola. - Oh! - esclamò. Accostò
due dita alle labbra e imitò quel fischio. - Señor! - gridò il taverniere,
occupato a scuoiare un cane grosso appena scannato. - Che il tuo Confucio ti
impicchi. - Ha chiamato, monsieur? - Silenzio. Scuoia il tuo cane e
lasciami in pace. Un indiano alto, di belle forme, quasi nudo, con un laccio
di seta stretto attorno alle reni e un kriss sospeso al fianco destro,
entrò, girando attorno i suoi grandi occhi neri. Il nostro uomo che stava
spolpando una zampa di gatto, scorgendo il nuovo arrivato si alzò,
mormorando: - Kammamuri! Stava per lasciare il suo posto, quando un rapido
cenno dell'indiano, accompagnato da uno sguardo supplichevole, lo arrestò: -
C'è qualche pericolo in aria - tornò a mormorare. - In guardia,
amico. L'indiano, dopo aver un po' esitato, si sedette di fronte a lui. Il
taverniere accorse. - Una tazza di tuwak! - chiese il nuovo
avventore. - E da mettere sotto i denti? - La tua coda Il cinese volse
le spalle e fece portare una tazza e un vaso di tuwak - Spiati? -
chiese con un fil di voce l’uomo che gli stava davanti, continuando a
divorare. L'indiano fece col capo un cenno affermativo. - Che appetito,
signore! - esclamò poi a voce alta - Non mangio da ventiquattro ore, mio caro
- rispose il nostro uomo che, come il lettore si sarà immaginato, era il bravo
Yanez, l'amico indivisibile della Tigre della Malesia. - Venite da
lontano? - Dall'Europa. Eh! taverniere di casa del diavolo, un po' di tuwak! - Vi offro del mio, se non vi spiace - disse Kammamuri. -
Accettato, giovanotto. Siedi vicino a me a da' un colpo di dente a tutta questa
roba che mi sta dinanzi. Il maharatto non si fece pregare e si sedette
accanto al portoghese mettendosi a mangiare. - Possiamo parlare - disse
Yanez. - Nessuno può ora sospettare che noi siamo amici. Vi siete salvati
tutti? - Tutti, padron Yanez - rispose Kammamuri. - Prima che spuntasse
l'alba, un'ora dopo la vostra partenza, lasciammo i fitti boschetti della riva e
ci rifugiammo in una vasta palude. Il rajah aveva mandato soldati a
perlustrare la foce del fiume, ma non sono riusciti a scoprire le nostre
tracce. - Sai, Kammamuri, che siamo stati bravi a sfuggire al rajah? - Un mezzo minuto di ritardo e saremmo saltati in aria tutti
quanti. Buon per noi che la notte era tanto oscura che quei birbanti non ci
videro nuotare verso la riva. - La povera Ada ha sofferto nulla? - Nulla
affatto, padron Yanez. Aiutato da Sambigliong, potei trasportarla a terra con
tutta facilità. - Dove si trova ora Sandokan? - A otto miglia da qui, nel
mezzo di un fitto bosco. - Al sicuro dunque. - Non lo so. Ho visto delle
guardie del rajah aggirarsi nella foresta. - Diavolo! - E voi, non
correte alcun pericolo? - Io! Chi sarà quel pazzo che mi prenderà per un
pirata? Io, un bianco, un europeo? - State però in guardia, signor Yanez. Il
rajah deve essere un uomo assai furbo. - Lo so, ma noi siamo più furbi
di lui. - Sapete nulla di Tremal-Naik? - Nulla, Kammamuri. Ho interrogato
parecchie persone, ma senza esito. - Povero padrone - mormorò Kammamuri. -
Lo salveremo, te lo prometto - disse Yanez. - Questa sera mi metterò
all'opera. - Che cosa volete fare? - Cercare di avvicinare il rajah
e diventare suo amico. - E come? - L'idea l'ho e mi pare buona. Provocherò
un tafferuglio, farò del baccano, fingerò di voler accoppare qualcuno e mi farò
arrestare dalle guardie del rajah - E poi? - Quando mi avranno
arrestato inventerò qualche amena storiella e mi spaccerò per un nobile lord,
per un baronetto... - E io che cosa dovrò fare? - Nulla, mio caro maharatto. Andrai difilato da Sandokan e gli dirai che tutto cammina di
bene in meglio. Domani però verrai a ronzare attorno all'abitazione del rajah. Forse avrò bisogno di te. Il
maharatto si alzò. - Un
momento - disse Yanez, traendo di tasca una borsa ben gonfia e
porgendogliela. - Che cosa devo fare? - Per effettuare il mio progetto
bisogna che non abbia un soldo in saccoccia. Dammi anzi il tuo kriss, che
non ha alcun valore, e prendi il mio che ha troppo oro e troppi diamanti. -
Ehi! taverniere del demonio, sei bottiglie di vino di Spagna. - Volete
ubriacarvi? - chiese Kammamuri. - Lascia fare a me e vedrai. Addio mio
caro. L'indiano gettò sulla tavola uno scellino e uscì, mentre il portoghese
stappava le bottiglie che certo costavano assai care. Tracannò due o tre
bicchieri e il rimanente lo diede a bere ai malesi che gli erano vicini, ai
quali non parve vero di aver trovato un europeo così generoso. - Ehi,
taverniere! - gridò ancora il portoghese, - portami dell'altro vino e qualche
piatto di lusso. Il cinese, tutto contento di fare così grassi affari e
pregando in cuor suo il buon Buddha di mandargli ogni giorno una dozzina di
simili avventori, portò nuove bottiglie e una terrina di delicatissimi nidi di
salangana, conditi con aceto e sale, un cibo che solo i ricconi possono
gustare. Il portoghese, quantunque avesse mangiato per due, tornò a lavorare
di denti, a bere e a regalare vino a tutti i vicini. Quando finì, il sole era
tramontato da una buona mezz'ora e nella taverna erano state accese gigantesche
lanterne di talco, che spandevano sui bevitori la loro scialba luce, cara ai
caudati figli del Celeste Impero. Accese la sigaretta, esaminò la batteria
delle sue pistole e si alzò mormorando: - Andiamocene, caro Yanez. Il
taverniere farà un baccano indiavolato, io ne farò più di lui, accorreranno le
guardie del rajah ed io verrò arrestato. Sandokan, ne sono certo, non
avrebbe ideato un piano migliore. Gettò in aria due o tre boccate di fumo e
si diresse tranquillamente verso la porta. Stava per varcarla, quando si sentì
prendere per la giacca. - Monsieur! - disse una voce. Yanez si volse
accigliato e si trovò dinanzi il taverniere. - Che cosa vuoi, mascalzone? -
chiese, fingendosi offeso. - Il conto, señor. - Quale conto? - Voi non
mi avete pagato, gentleman. Mi dovete tre sterline, sette scellini e
quattro penny. - Vattene al diavolo. Non ho un soldo in tutte le dieci
tasche. Il cinese, da giallo che era, divenne cinereo. - Ma voi mi
pagherete - gridò aggrappandosi ai panni del portoghese. - Lascia il mio
vestito, canaglia! - urlò Yanez. - Mi dovete tre sterline, sette scellini
e... - E quattro penny, lo so: ma io non ti pagherò, briccone... Va' a
scuoiare il tuo cane e lasciami in pace. - Siete un ladro, gentleman?
Io vi farò arrestare! - Prova! - Aiuto! Arrestate questo ladro! - urlò il
cinese furibondo. Quattro sguatteri si precipitarono in aiuto del loro
padrone armati di casseruole, di pentole e di schiumarole. Era quello che
desiderava il portoghese, che ad ogni costo voleva far baccano. Con mano di
ferro abbrancò il taverniere per la gola, l'alzò da terra e lo scagliò fuori
della porta a rompersi il naso sui ciottoli della via. Indi caricò i quattro
sguatteri, dispensando con rapidità meravigliosa tali calci che i disgraziati,
in meno che non si dica, si trovarono stesi per terra accanto al
padrone. Urla indemoniate scoppiarono tosto. - Aiuto, compatriotti! -
urlava il taverniere. - Al ladro! All'assassino! Accoppalo! Ammazzalo! -
urlavano gli sguatteri.
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