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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE PRIMA
LA TIGRE DELLA
MALESIA

4. Un terribile dramma
Kammamuri non se lo fece
ripetere due volte. Si sedette in mezzo ad un mucchio di velluti sgualciti,
bruttati qua e là di macchie, e, dopo essere rimasto alcuni istanti silenzioso,
come per raccogliere le idee, disse: - Tigre della Malesia, avete udito parlare
delle Sunderbunds del sacro Gange? - Non conosco quelle terre -
rispose il pirata, - ma so cos'è il delta di un fiume. Tu vuoi parlare dei
banchi che ostruiscono la foce della grande fiumana. - Sì, dei grandi ed
innumerevoli banchi coperti di canne giganti e popolati di feroci animali che si
estendono per molte miglia dalla foce dell'Hugly a quella del Gange. Il mio
padrone era nato là in mezzo, in un'isola che si chiama la jungla nera.
Era bello, era forte, era prode, il più prode che io abbia incontrato nella mia
vita avventurosa. Nulla lo faceva tremare: né il veleno del cobra-capello, né la forza prodigiosa del pitone, né gli artigli della
grande tigre del Bengala, né il laccio dei suoi nemici. - Il suo nome? -
chiese il pirata. - voglio conoscere questo eroe. - Si chiamava Tremal-Naik, il cacciatore di tigri e serpenti della jungla nera La
Tigre della Malesia a quel nome si alzò, guardando fisso il maharatto - Cacciatore di tigri, hai detto? - domandò. - Sì. -
Perché tale soprannome? - Perché cacciava le tigri della jungla -
Un uomo che affronta le tigri non può essere che un coraggioso. Senza
conoscerlo, sento già di amare quel fiero indiano. Tira avanti: divento
impaziente. - Una sera Tremal-Naik ritornava dalla jungla. Era una
sera magnifica, una vera sera del Bengala; dolce e profumata era l'aria, ancor
fiammeggiante l'orizzonte e debolmente stellato il firmamento. Aveva già
percorso un lungo tratto senza incontrare anima viva, quando gli si rizzò
dinanzi, a meno di venti passi, fra un cespuglio di mussenda, una giovinetta di
meravigliosa bellezza. - Chi era? - Era una creatura dalla carnagione
rosea, coi capelli neri e gli occhi immensi. Lo fissò per un istante con
sguardo malinconico, poi sparve. Tremal-Naik fu così vivamente toccato da
quell'apparizione che arse d'amore per la fanciulla sconosciuta. Pochi giorni
dopo un delitto veniva commesso sulle rive di un'isola che si chiama Raimangal.
Uno dei nostri, che si era recato colà a cacciare la tigre, veniva trovato
cadavere con un laccio al collo. - Oh!... - esclamò il pirata, al colmo della
sorpresa. - Chi poteva aver strangolato un cacciatore di tigri? - Siate
paziente e lo saprete. Tremal-Naik, come vi dissi, era un uomo coraggioso. Mi
prese con sé e sbarcammo a mezzanotte a Raimangal, risoluti a vendicare lo
sventurato nostro compagno. Dapprima udimmo rumori misteriosi che uscivano di
sotto terra, poi dal tronco di un gigantesco banian sbucarono parecchi
uomini nudi, bizzarramente tatuati. Quegli uomini erano gli assassini del povero
cacciatore di tigri. - Ebbene? - chiese il pirata, i cui occhi brillavano di
gioia. - Tremal-Naik non esitava mai. Un colpo di carabina bastò per gettare
a terra il capo di quegli indiani, poi fuggimmo. - Bravo Tremal-Naik! -
esclamò la Tigre con entusiasmo. - Continua. Mi diverto più a udire questa
storia che ad abbordare un vascello carico di minerale giallo. - Il mio
padrone, per far perdere le tracce a quegli uomini che ci inseguivano, si separò
da me e si rifugiò in una grande pagoda dove ritrovò... indovinate chi? - La
giovanetta forse? - Sì, la giovanetta che era prigioniera di quegli
uomini. - Ma chi erano? - Gli adoratori di una divinità feroce che altro
non brama che vittime umane. Si chiama Kalì. - La terribile dea dei thugs indiani? - La dea degli strangolatori. - Quegli uomini sono
più feroci delle tigri. Oh! io li conosco - disse il pirata. - Ne ebbi qualcuno
nella mia banda. - Un thug nella tua banda? - esclamò il maharatto, rabbrividendo. - Sono perduto. - Non aver paura, Kammamuri;
un tempo ne ebbi qualcuno, ma ora non ne ho più. Continua il tuo racconto. -
La fanciulla, che amava ormai il mio padrone, conoscendo quali pericoli lo
circondavano, lo scongiurò di partire all'istante; ma egli non era uomo da aver
paura. Rimase là in attesa dei feroci thugs, risoluto a misurarsi con
loro e, potendo, a rapire la prigioniera. Ma ohimè! Aveva troppo confidato nelle
sue forze. Poco dopo dodici uomini armati di laccio entravano e si scagliavano
contro di lui e, malgrado la sua ostinata difesa, veniva atterrato, legato e poi
pugnalato dal capo degli strangolatori, il feroce Suyodhana. - E non morì? -
chiese Sandokan, che si interessava al racconto. - No - continuò Kammamuri, -
non morì poiché più tardi io lo ritrovai in mezzo alla jungla,
insanguinato, col pugnale ancora infisso nei petto, ma vivo. - E perché lo
avevano gettato nella jungla? - chiese Yanez. - Perché le tigri lo
divorassero. Lo portai nella nostra capanna e dopo molte cure guarì, ma il suo
cuore era rimasto ferito dagli occhi neri della giovinetta... Un giorno, dopo
essere scampato a parecchi agguati tesigli dai thugs, risolvette di
partire per Raimangal, deciso a tutto pur di rivedere l'amata creatura.
C'imbarcammo di notte, durante un uragano, scendemmo il Mangal e approdammo
all'isola. Nessun uomo vegliava all'entrata dei banian e ci
sprofondammo sotto terra addentrandoci in oscurissimi corridoi. Avevamo saputo
che i thugs, non essendo riusciti ad estirpare dal cuore della giovinetta
dagli occhi neri l'amore per Tremal-Naik, avevano deciso di bruciarla viva, per
calmare l'ira della mostruosa dea, e noi correvamo a salvarla. - Ma perché
era proibito a quella donna di amare? - chiese Yanez. - Perché era la
guardiana della pagoda consacrata alla dea Kalì e, come tale, doveva mantenersi
pura. - Che razza di bricconi! - Continuo: dopo aver percorso lunghi
corridoi, uccidendo le sentinelle, ci trovammo in una immensa sala sostenuta da
cento colonne e illuminata da una infinità di lampade che spandevano all'intorno
una luce spettrale. Duecento indiani, coi lacci in mano, erano seduti
all'intorno. In mezzo si ergeva la statua di Kalì: dinanzi a lei, il bacino dove
nuota un pesciolino rosso, che si dice contenga l'anima della dea; e più oltre
si levava un gran rogo. Alla mezzanotte ecco apparire il capo Suyodhana coi
suoi sacerdoti che trascinavano l'infelice ragazza, ubriacata di oppio e di
misteriosi profumi. Ella non opponeva più alcuna resistenza. Già non distava
che pochi passi dal rogo; già un uomo aveva acceso una fiaccola e i thugs
avevano intonato la preghiera dei defunti, quando io e Tremal-Naik ci slanciammo
come leoni in mezzo all'orda, scaricando le nostre armi a destra e a sinistra.
Sfondare quella muraglia umana, strappare la giovinetta dalle mani dei sacerdoti
e fuggire attraverso le oscure gallerie, fu l'affare di un sol momento. Dove
fuggivamo? Nessuno di noi lo sapeva, non ci si pensava in quel supremo istante.
Non cercavamo che di guadagnare strada sui thugs, i quali, rimessisi
dallo spavento, si erano subito lanciati sulle nostre tracce! Corremmo per una
buona ora addentrandoci sempre più nelle viscere della terra finché, trovato un
pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di
risalire era troppo tardi: i thugs ci avevano rinchiusi dentro! -
Maledizione! - esclamò Sandokan. - Di' su, maharatto mio; la tua storia è
interessantissima. Dimmi, siete fuggiti? - No. - Mille tuoni! - Ci
assediarono strettamente, ci assetarono accendendo attorno alla caverna immensi
fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono irrompere su di noi un getto
d'acqua alla quale era stato mescolato non so quale narcotico. Appena ci fummo
dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti da sincope e cademmo senza
resistenza nelle mani dei nostri nemici. Eravamo ormai rassegnati a morire,
poiché nessuno di noi ignorava che la pietà è sconosciuta ai thugs,
nondimeno fummo risparmiati. La morte sarebbe stata troppo dolce per noi e nella
mente infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un
terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta
l'amore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone, che avrebbe potuto
diventare per loro un formidabile nemico. Dovete sapere che a quel tempo un uomo
prode, risoluto, cui era stata rapita la figlia dai thugs, faceva loro
una guerra accanita. Quell'uomo era un inglese e si faceva chiamare capitano
Macpherson. Centinaia e centinaia di thugs erano caduti per sua mano,
e giorno e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente aiutato dal
governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei più fanatici
settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano avuto
successo contro di lui. Suyodhana, che lo temeva assai, gli lanciò contro
Tremal-Naik promettendogli per compenso la mano della vergine della pagoda
d'Oriente, così infatti aveva nome la fanciulla dai capelli neri amata dal
mio padrone. La testa del capitano doveva essere il regalo di nozze! - E
Tremal-Naik accettò? - chiese la Tigre, con viva ansietà. - Egli amava troppo
la Vergine e accettò l'orribile patto di sangue impostogli dal padre delle
sacre acque del Gange, lo spietato Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che
egli tentò, tutti i pericoli in cui incorse per poter avvicinare quel
disgraziato capitano. Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di
diventare uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai
per ricuperare la libertà e salvare la vita. Non rinunziò tuttavia ad
effettuare l'impresa impostagli dai thugs ed un giorno riuscì ad
imbarcarsi su di una nave che il capitano Macpherson guidava verso le Sunderbunds per assalire nel loro covo i seguaci della sanguinaria
dea. L'istessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella cabina del
capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non commettere un
delitto, perché la vita di quell'uomo doveva essere sacra per lui, ed il suo
sangue si ribellava; pure era deciso, poiché solamente uccidendo quel
formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata: o almeno così credeva,
non conoscendo ancora l'infernale perversità del fanatico Suyodhana. - E lo
uccise? - chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà. - No - disse Kammamuri. -
In quel supremo istante il nome della donna amata sfuggì dalle labbra del mio
padrone e fu udito dal capitano che stava per risvegliarsi. Quel nome fu un
colpo di fulmine per entrambi: risparmiò un assassinio ed un raccapricciante
delitto, poiché quel capitano era il padre della donna amata dal mio
padrone. - Per Giove!... - esclamò Yanez. - Quale storia tremenda ci
narri!... - La verità, signor Yanez. - Ma il tuo padrone non conosceva il
nome della sua fidanzata?... - Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per
non far comprendere ai thugs che egli lottava per riavere la figlia,
perché temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero. - Continua - disse
Sandokan. - Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone confessò
tutto: aveva finalmente compreso l'infernale astuzia di Suyodhana. Si offerse al
capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a Raimangal, il mio
padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con sé la testa del
capitano e, quando poté rivedere la fanciulla amata, gl'inglesi piombarono sui thugs.
Suyodhana, però, uscì vivo dall'assalto improvviso dei nemici, e
quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i soldati lasciarono i
sotterranei per ritornare alla nave, lo udirono gridare con voce
minacciosa: "Ci rivedremo nella jungla!...". E quell'uomo sinistro
manteneva la parola. A Raimangal si erano radunate parecchie centinaia di
strangolatori essendo già stati informati della spedizione del capitano
Macpherson. Guidati da Suyodhana piombarono, venti volte più numerosi, sugli
inglesi. L'equipaggio della nave invano accorse in aiuto del suo capitano. Tutti
caddero fra le erbe giganti della jungla, schiacciati dal numero, e il
capitano per primo. Perfino la nave fu presa, incendiata e fatta saltare in
aria. Solo Tremal-Naik e la sua fidanzata erano stati risparmiati. Aveva
rimorso, Suyodhana, a spegnere anche il mio padrone che tanto aveva fatto per
quegl'infami, oppure sperava di fare di lui un thug? Io non lo seppi
mai. Ma, tre giorni dopo, il mio padrone, che era stato fatto impazzire
mediante la somministrazione di un liquore misterioso, veniva arrestato dalle
autorità inglesi presso il forte Williams. Era stato denunciato come thug
ed i testimoni non erano mancati, poiché quella setta conta numerosi seguaci
anche a Calcutta. Fu risparmiato perché era pazzo, ma condannato alla
deportazione perpetua nell'isola di Norfolk, una terra al sud d'una regione
chiamata Australia, così mi dissero. - Quale spaventevole dramma!- esclamò la
Tigre, dopo alcuni istanti di silenzio. - Così intensamente Suyodhana odiava lo
sventurato Tremal- Naik? - Il capo dei settari voleva, facendo decapitare il
capitano dal mio padrone, spegnere per sempre la passione che ardeva nel cuore
della vergine della pagoda - Era un mostro quel feroce capo dei thugs - Ma il tuo padrone è ancora pazzo? - chiese Yanez. - No, i
medici riuscirono a guarirlo. - E non si difese? Non svelò tutto?... - Lo
tentò, ma non fu creduto. - Ma perché si trova a Sarawak?... - Perché il
legno che lo trasportava a Norfolk naufragò presso Sarawak. Disgraziatamente
nelle mani del rajah non ci starà molto. - E perché? - Perché la
nave è già partita dall'India e fra sei o sette giorni, se i miei calcoli non
m'ingannano, giungerà a Sarawak. Quella nave è diretta a Norfolk. - Come si
chiama quella nave? - L'Helgoland - L'hai vista tu? - Prima di
lasciare l'India. - E dove ti recavi colla Young-India? - A Sarawak
a salvare il mio padrone - disse Kammamuri con fermezza. - Solo? -
Solo. - Sei un giovanotto audace, maharatto mio - disse la Tigre della
Malesia. - E della vergine della pagoda d'Oriente cosa fece il terribile
Suyodhana? - La tenne prigioniera nei sotterranei di Raimangal, ma la
disgraziata, dopo il sanguinoso assalto dei thugs nella jungla,
era impazzita. - Ma come fuggì dalle mani dei thugs? - chiese
Yanez. - È fuggita? - domandò Sandokan - Sì, fratellino. - E dove si
trova? - Lo saprai più tardi. Narrami, Kammamuri, in che modo fuggì - disse
Yanez. - Ve lo dirò in due parole - disse il maharatto. Io ero rimasto
coi thugs anche dopo l'atroce vendetta di Suyodhana, e vegliavo
attentamente sulla vergine della pagoda. Saputo, dopo parecchio tempo,
che il mio padrone era stato condannato alla deportazione nell'isola di Norfolk
e che la nave che lo trasportava era naufragata a Sarawak, meditai la fuga.
Comperai un canotto, lo nascosi in mezzo alla jungla, e una sera d'orgia,
mentre i thugs, ubriachi fradici, non erano più in grado di uscire dai
loro sotterranei, mi recai alla pagoda sacra, pugnalai gl'indiani che la
custodivano, afferrai fra le mie braccia la Vergine e fuggii. All'indomani io
ero a Calcutta e quattro giorni dopo a bordo della Young-India - E la
Vergine? - chiese Sandokan. - È a Calcutta - s'affrettò a dire Yanez. - È
bella? - Bellissima - disse Kammamuri. - Ha i capelli neri e splendidi occhi
scuri. - E si chiama? - La vergine della pagoda, vi ho detto. -
Non ha nessun altro nome? - Sì. - Dimmelo. - Si chiama Ada
Corishant. A quel nome la Tigre della Malesia aveva fatto un balzo, gettando
un urlo terribile. - Corishant!... Corishant!... Il nome dell'adorata madre
della mia povera Marianna!... Dio!... Dio!... - urlò con accento
disperato. Poi piombò sul tappeto con la faccia orribilmente sconvolta e le
mani contratte sul cuore. Un rauco singhiozzo, che parve un ruggito, lacerò il
suo petto. Kammamuri, spaventato, sorpreso, si era alzato per accorrere in
aiuto del pirata, che pareva fosse stato colpito a morte, ma due mani robuste lo
arrestarono. - Una parola - gli disse il portoghese, tenendolo stretto per le
spalle. - Come si chiamava il padre di quella giovinetta? - Harry Corishant -
rispose il maharatto - Gran Dio!... Ed era? - Capitano dei sipai. - Esci di qui! - Ma perché?... Che cosa è accaduto?... -
Silenzio, esci di qui! E, riafferrandolo per le spalle, lo spinse bruscamente
fuori della porta, che richiuse con un doppio giro di
chiave.
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