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I PIRATI DELLA MALESIA
di: Emilio Salgari
PARTE PRIMA
LA TIGRE DELLA
MALESIA

1. Il naufragio della
Young-India
- Mastro Bill, dove siamo? - In piena
Malesia, mio caro Kammamuri. - Ci vorrà molto tempo prima di arrivare a
destinazione? - Birbone, ti annoi forse? - Annoiarmi no, ma ho molta
fretta e mi pare che la Young-India cammini adagio. Mastro Bill, un
marinaio sui quarant'anni, alto più di cinque piedi, americano puro sangue,
sbirciò con occhio torvo il suo compagno. Questi era un bell'indiano di
ventiquattro o venticinque anni, di alta statura, d'una tinta molto abbronzata,
di lineamenti belli, nobili, fini, cogli orecchi adorni di pendenti e il collo
di monili d'oro che gli ricadevano graziosamente sul nudo e robusto petto. -
Corpo di un cannone! - gridò l'americano indignato. - La Young-India
cammina adagio? Questo è un insulto, maharatto mio. - Per chi ha
fretta, mastro Bill, anche un incrociatore che fila quindici nodi all'ora va
adagio. - Diavolo, cos'è tutta questa fretta? - domandò il mastro,
grattandosi furiosamente la testa. - Ohé, briccone, c'è qualche eredità da
raccogliere? - Altro che eredità!... se sapeste... - Di' su,
giovanotto... - Non ci odo da questo lato. - Capisco, tu vuoi fare il
sordo. Uhm!... Chissà che cosa c'è sotto!... Quella ragazza che hai con te...
Uhm!... - Ma!... Dite, mastro, quando arriveremo? - Dove? - A Sarawak. - L'uomo propone e Dio dispone, ragazzo mio. Potrebbe piombarci
addosso un tifone e mandarci a bere nella gran tazza tutti. - Eppoi? -
Eppoi potrebbero giungere addosso i pirati e mandarci al diavolo con due braccia
di corda per cravatta e un kriss piantato fra le costole. - Eh! -
esclamò l'indiano, facendo una smorfia. - Ci sono dei pirati qui? - Come ci
sono degli strangolatori nel tuo paese. - Dite davvero? - Guarda laggiù,
dritto al bompresso. Che cosa vedi? - Un'isola. - Bene, quell'isola è un
nido di pirati. - Come si chiama? - Mompracem. Mette i brividi solo
nominarla. - Davvero? - Laggiù, mio caro, vive un uomo che ha insanguinato
il mare della Malesia. - Come si chiama? - Porta un nome terribile. Si
chiama la Tigre della Malesia. - Se ci assalisse, che cosa accadrebbe? -
Un massacro generale. Quell'uomo è ancor più feroce delle tigri della jungla. - E gl'inglesi non vanno a distruggere la sua orda? - chiese
l'indiano, sorpreso. - Distruggere i tigrotti di Mompracem è affare serio -
rispose il marinaio. - Alcuni anni or sono, nel 1850, gl'inglesi con una
poderosa flotta bombardarono l'isola, la occuparono e fecero prigioniera la
terribile Tigre; ma, prima di arrivare a Labuan, il pirata, non si sa come,
scappò. - E ritornò a Mompracem? - Non subito. Per due anni non si fece
più vedere, poi, al principio del 1852, riapparve alla testa di una nuova banda
di pirati malesi e dayaki della più terribile razza. Massacrati i pochi inglesi
stabilitisi nell'isola, vi si insediava ricominciando le sue sanguinarie
imprese. In quell'istante un colpo di fischietto risuonò sul ponte della Young-India, accompagnato da uno sbuffo di vento fresco che fece gemere i
tre alberi. - Oh! oh! - fece mastro Bill alzando vivamente la testa. - Fra
poco si ballerà disperatamente. - Lo credete, mastro? - chiese l'indiano con
inquietudine. - Vedo laggiù una nuvola nera coi margini color di rame che non
pronostica di certo la calma. - Corriamo pericolo forse? - La Young-India, giovanotto mio, è un legno solido che se ne ride dei colpi
di mare. Orsù, alla manovra; la gran tazza comincia a bollire. Mastro Bill non
s'ingannava. Il mare della Malesia, sino allora terso come un cristallo,
cominciava ad incresparsi come fosse scosso da una commozione sottomarina e a
prendere una tinta plumbea che nulla prometteva di buono. All'est, verso la
grande isola di Borneo, s'alzava una nube nera come il catrame, con le frange
tinte di un rosso ardente, e a poco a poco oscurava il sole prossimo al
tramonto. Per l'aria giganteschi albatros, in preda ad una viva inquietudine,
svolazzavano sfiorando le onde ed emettendo rauche strida. Al primo colpo di
vento era seguita una specie di calma che metteva in maggior apprensione gli
animi dei naviganti, poi all'est cominciò a rullare il tuono. - Sgombrate il
ponte! - gridò il capitano Mac Clintock ai passeggeri. Tutti, a malincuore,
obbedirono scendendo per i boccaporti di prua o di poppa. Uno però era rimasto
sul ponte, e quest'uomo era l'indiano Kammamuri. - Olà, sgombrate! - tuonò il
capitano. - Capitano, - disse l'indiano facendosi innanzi con passo fermo -
corriamo pericolo? - Lo saprai quando la tempesta sarà cessata. - Bisogna
che io sbarchi a Sarawak, capitano. - Sbarcherai, se non coliamo a
picco. - Ma io non voglio andare a picco, mi capite. A Sarawak ho una persona
che... - Olà, mastro Bill, levatemi dai piedi quest'uomo. Non è questo il
momento di perdere tempo. L'indiano fu trascinato via e cacciato giù nel
boccaporto di prua. Era tempo. Il vento soffiava già dall'est con grande
violenza ruggendo su tutti i toni fra l'attrezzatura della nave. La nube nera
aveva preso proporzioni gigantesche coprendo quasi interamente la volta celeste.
Nel suo seno brontolava incessantemente il tuono correndo all'impazzata da
levante a ponente. La Young-India era un magnifico tre-alberi che
portava ancora bene i suoi quindici anni. La sua costruzione leggera ma
solida, lo sviluppo veramente enorme di vele, lo scafo a prova di scoglio
ricordavano uno di quegli audaci violatori di blocco che ebbero una parte così
importante, e che può chiamarsi leggendaria, nella guerra americana. Partito
il 26 agosto del 1856 da Calcutta con un carico di rotaie di ferro destinato a
Sarawak e montato da quattordici marinai, da due ufficiali e dai sei passeggeri,
grazie alla sua velocità e ai buoni venti era giunto in meno di tredici giorni
nelle acque del mar malese e precisamente in vista della temuta isola di
Mompracem, un covo di pirati da cui bisognava ben guardarsi. Sfortunatamente.
La tempesta stava per scoppiare. Il mare esigeva il suo tributo prima che la
traversata si completasse, e si vedrà in seguito quale sorta di tributo! Alle
otto di sera l'oscurità era quasi completa. Il sole era scomparso in mezzo alle
nuvole e il vento cominciava a soffiare con veemenza estrema, facendo udire
ruggiti formidabilmente. Il mare, agitato sino agli estremi limiti
dell'orizzonte, montava rapidamente. Ondate enormi, irte di spuma, si formavano
come per incanto cozzando e ricadendo, infrangendosi rabbiosamente contro
Mompracem, la quale ergeva la sua massa cupa e sinistra fra le tenebre. La
Young-India correva bordate, ora lanciandosi sulle mobili montagne a
squarciare coi suoi alberetti la caliginosa massa delle nubi, ora precipitandosi
negli avvallamenti dai quali penava ad uscire. I marinai scalzi, coi capelli
al vento, i volti contratti, mormoravano in mezzo all'acqua che non trovava
sfogo sufficiente negli ombrinali. Comandi e bestemmie si mescolavano ai sibili
della tempesta. Alle nove di sera il tre-alberi, sballottolato come un
giocattolo, anzi come un semplice fuscello di paglia, era nelle acque di
Mompracem. Malgrado tutti gli sforzi di mastro Bill, che rompevasi le mani
sulla ribolla del timone, la Young-India fu trascinata tanto vicina alla
costa irta di scogliere, d'isolotti madreporici e di bassi fondi, da temere che
vi si infrangesse contro. Il capitano Mac Clintock, con suo grande terrore,
scorse numerosi fuochi accesi fra le sinuosità della spiaggia, e, al chiaror di
un lampo, ritto sull'estremo ciglione d'una gigantesca rupe che cadeva a piombo
sul mare scorse pure un uomo d'alta statura, con le braccia incrociate sul
petto, immobile fra gli elementi scatenati. Gli occhi di quell'uomo, che
sfolgoravano come carboni accesi, si fissarono su di lui in modo strano. Gli
parve anzi che alzasse un braccio e gli facesse un gesto amichevole.
L'apparizione del resto durò pochi secondi. Le tenebre tornarono a farsi fitte e
un colpo di vento allontanò rapidamente la Young-India dall'isola. -
Che il buon Dio ci salvi! - esclamò mastro Bill, che aveva pure scorto
quell'uomo. - Quello era la Tigre della Malesia. La sua voce fu soffocata da
uno scoppio spaventevole di tuono che si ripercosse nella profondità del cielo.
Quello scoppio parve il segnale d'una musica assordante, indescrivibile. Lo
spazio s'infiammò illuminando sinistramente il mare in tempesta. Le folgori
cadevano descrivendo per l'aria mille angoli bizzarri, mille curve diverse,
inabissandosi fra le onde e roteando vertiginosamente attorno alla nave, seguite
da scrosci spaventosi. Il mare, quasi volesse gareggiare con quei tuoni,
s'alzò enormemente. Non erano più onde, ma montagne d'acqua scintillanti
sotto la vivida luce dei lampi, che si slanciavano furiosamente verso il cielo,
come attratte da una forza soprannaturale, e che s'accavallavano le une sulle
altre, cangiando forma e dimensione. Il vento entrava talora a far parte di
quella terribile gara, ruggendo furiosamente e cacciando innanzi a sé nembi di
pioggia tiepida. Il tre-alberi, sbandato spaventosamente ora sul tribordo ed
ora a babordo, aveva un gran da fare a tenere testa agli elementi scatenati.
Gemeva come se si lagnasse di quei formidabili colpi di mare che lo coprivano da
prua a poppa, atterrando l'equipaggio; s'alzava, traballava, sferzava le acque
col suo bompresso, veniva ora respinto a nord e ora respinto a sud, malgrado gli
sforzi disperati del timoniere. Vi erano momenti in cui i marinai non
sapevano se galleggiassero ancora o se stessero colando a picco, tale era la
massa d'acqua che balzava sopra le semi-infrante murate. Per colmo di
sventura, a mezzanotte il vento che soffiava sempre più tremendo da nord, balzò
improvvisamente all' est. Non era più possibile lottare. Tirare innanzi col
tifone che assaliva a prua era tentare la morte. Quantunque nessun approdo si
presentasse sulla via dell'ovest, eccettuate le temute sponde di Mompracem, il
capitano Mac Clintock dovette rassegnarsi a porsi alla cappa e fuggire con tutta
la celerità che permettevano le poche vele ancor rimaste spiegate. Due ore
erano scorse da che la Young-India aveva virato di bordo, inseguita con
accanimento senza pari dai marosi che pareva avessero giurato la sua
perdita. I lampi erano diventati assai rari e l'oscurità tanto fitta da non
permettere di vedere a duecento passi di distanza. Ad un tratto agli orecchi
del capitano giunse quel fragore caratteristico delle onde quando s'infrangono
contro le scogliere, fragore che il marinaio sa distinguere anche in mezzo alle
più spaventevoli burrasche. - Guarda a prua! - tuonò egli, dominando con la
voce il fracasso delle onde ed i fischi del vento. - Mare rotto! - gridò una
voce. - I frangenti! Tuoni!...- urlò un'altra voce. Il capitano Mac
Clintock si avventò a prua aggrappandosi allo straglio del trinchettino per
issarsi sulle murate. Non si scorgeva nulla; tuttavia tra le raffiche si
udiva distintamente il muggire della risacca. Non v'era da ingannarsi. A poche
gomene dal tre-alberi s'ergeva una catena di frangenti, forse una diramazione di
quelli di Mompracem. - Attenti a virare! - urlò egli. Mastro Bill, unendo
tutte le forze, tirò vivamente a sé la ribolla. Quasi nel medesimo istante la
nave toccò. L'urto però era stato appena sensibile. Solamente una parte della
falsa chiglia era stata strappata dalle punte aguzze delle madrepore che
formavano le cime dei frangenti. Disgraziatamente il vento soffiava sempre da
poppa e le onde spingevano innanzi. L'equipaggio, che in quel terribile
momento conservava uno straordinario sangue freddo, riuscì a virare di bordo. La
Young-India poggiò al largo con una bordata di duecento metri, sfuggendo
le scogliere attorno alle quali urlavano, come molossi affamati, le onde. Pareva
che tutto dovesse andar bene. La sonda, filata in furia, aveva dato a prua
quattordici braccia di profondità. La speranza di salvare la nave cominciava
a nascere nell'animo dell'equipaggio, quando, d'improvviso, il fragore della
risacca tornò a farsi udire dritto l'asta di prua. Il mare si sollevava con
maggior violenza di prima segnalando una nuova barriera di frangenti. -
Poggia tutto, Bill! - tuonò il capitano Mac Clintock. - I frangenti sotto
prua! - urlò un marinaio che era sceso fino alla dolfiniera del bompresso. La
sua voce non giunse fino a poppa. Una montagna di acqua si rovesciò sul tribordo
respingendo violentemente il tre-alberi a babordo, atterrando l'equipaggio
aggrappato ai bracci delle vele e sfondando le imbarcazioni contro le
gru. S'udì un muggito formidabile, uno schianto come di legni infranti, poi
un cozzo spaventevole che fece oscillare gli alberi da poppa a prua. La Young-India era stata sventrata d'un colpo dalle punte aguzze dei
frangenti, e sei marinai, strappati dalle onde, erano stati gettati contro le
scogliere.
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