CAPITOLO
PRIMO
La taverna "El Toro"
Quella sera la taverna El Toro, contrariamente al solito,
brulicava di persone, come se qualche importante avvenimento
fosse avvenuto o stesse per succedere.
Quantunque non fosse una delle migliori di Maracaybo,
frammiste a marinai, a facchini del porto, a meticci e ad
indiani caraibi, si vedevano - cosa piuttosto insolita - delle
persone appartenenti alla migliore società di quella ricca ed
importante colonia spagnola: grossi piantatori, proprietari di
raffinerie di zuccheri, armatori di navi, ufficiali della
guarnigione e perfino qualche membro del governo.
La sala, piuttosto ampia, coi muri affumicati, dall'ampio
camino, malamente illuminata da quelle incomode e famose
lampade usate sul finire del sedicesimo secolo, ne era piena.
Nessuno però beveva ed i tavolini, addossati alle pareti,
alla rinfusa, erano deserti. Invece la grande tavola centrale
di vecchio noce, lunga più di dieci metri, era circondata da
una quadrupla fila di personaggi, che parevano in preda ad una
vivissima agitazione e che scommettevano con un furore, che
avrebbe meravigliato anche un moderno americano degli Stati
dell'Unione.
"Venti piastre per Zambo!"
"Trenta per Valiente!"
"Valiente si prenderà una tale speronata che cadrà
al primo colpo!"
"Sarà Zambo a cadere!"
"E voi, don Raffaele?"
"Punterò su Plata, è più robusto dell'uno e
dell'altro e avrà la vittoria finale!"
"Canarios! Un poltrone quel Plata."
"Come vorrete, don Alonzo, ma io aspetto il suo
turno!"
"Basta!"
"Avanti i combattenti!"
"Chiusura! Chiusura!"
Un tocco di campana annunciò che le scommesse erano
terminate, e ai clamori assordanti di prima successe un
profondo silenzio.
Due uomini erano entrati nella sala per due porte diverse e
si erano collocati alle due estremità del tavolo. Portavano
fra le braccia due splendidi galli, uno tutto nero colle penne
a riflessi azzurro-dorati; l'altro rosso a striature bianche e
nere.
Erano due careadores ossia allevatori di galli combattenti,
professione anche oggidì assai lucrosa e molto apprezzata
nelle antiche colonie spagnole dell'America Meridionale.
In quell'epoca la passione per quello sport barbaro, aveva
raggiunto un vero fanatismo e si può dire che non passava
giorno senza che vi avvenissero combattimenti di galli. E non
mancavano perfino i giudici di campo, il cui giudizio era
inappellabile.
L'educazione dei galli battaglieri richiedeva però cure
minuziose, quanto quelle dei bulldog destinati ad affrontare i
tori, se non di più. Essi venivano abituati a misurarsi
ancora quand'erano pulcini. Avevano un nutrimento speciale,
composto per lo più di granoturco, il cui numero di granelli
era stabilito per ogni pasto. Per dare agli speroni maggior
forza ed impedire che potessero guastarsi, si proteggevano con
guaine di cuoio foderate di lana.
Alla comparsa dei due galli, un entusiastico evviva era
scoppiato fra gli spettatori:
"Bravo, Zambo!"
"Forza, Valiente!"
Il giudice di campo, un grosso raffinatore di zucchero, che
doveva conoscere le regole complicate di quel turf, pesò
minuziosamente i due volatili, misurò la loro alatura e la
lunghezza degli speroni onde eguagliare le condizioni di
combattimento, quindi una voce forte dichiarò che
l'eguaglianza era perfetta e che tutto andava benissimo.
I due galli furono subito lasciati liberi, collocandoli
alle due estremità della tavola.
Come abbiamo detto, erano entrambi bellissimi e di razza
andalusa, la migliore e la più battagliera.
Zambo era più alto di qualche pollice del suo avversario,
con un becco robusto, un po' arquato alla sua estremità come
quello dei falconi, cogli artigli piuttosto corti ed invece
assai acuminati. El Valiente appariva più robusto, più
tozzo, con gambe più grosse e speroni più lunghi, il becco
era invece più corto, ma più largo e aveva sulla testa una
bella cresta d'un rosso quasi violaceo e gli occhi più
brillanti, anzi più provocanti.
Appena messi in libertà, i due galli si rizzarono in tutta
la loro altezza, starnazzando le ali ed arruffando le penne
del collo e lanciarono quasi simultaneamente il loro grido di
guerra e di sfida.
"Assisteremo ad una bella lotta" disse un
ufficiale della guarnigione.
"Io ritengo invece che sarà breve" disse don
Raffaele "e che la vittoria la deciderà Plata."
"Silenzio!" gridarono tutti.
I due galli stavano per accostarsi, tenendo la testa bassa,
quasi rasente alla superficie del tavolo, quando due passi
pesanti ed uno strascinare di spadoni, li fece arrestare.
"Chi disturba la lotta?" chiede il giudice di
campo, con stizza.
Tutti si erano voltati corrugando la fronte e brontolando.
Due uomini erano entrati nella taverna, aprendo
fragorosamente la porta, non immaginandosi certo di disturbare
quelle brave persone e tanto meno i due galli combattenti.
Erano due tipi di bravacci o di avventurieri, personaggi
che si trovavano allora di frequente nelle colonie spagnole
d'oltre Atlantico. D'aspetto piuttosto brigantesco, portavano
vesti un po' sgualcite, cappellacci di feltro dalle tese ampie
con piume di struzzo quasi senza barbe, alti stivali di cuoio
giallo, a tromba molto larga, e posavano fieramente la
sinistra su certi spadoni, che dovevano mettere i brividi
indosso a più d'un tranquillo borghese di Maracaybo.
Uno era di statura molto alta, coi lineamenti piuttosto
angolosi, coi capelli d'un biondo rossastro; l'altro invece
più basso e più membruto, con barba nera ispida.
Tanto l'uno che l'altro poi avevano la pelle assai
abbronzata, arsa dal sole e dai venti del mare.
Udendo gli spettatori a mormorare e vedendosi addosso tutti
quegli sguardi un po' crucciati, i due avventurieri alzarono i
loro spadoni e s'avviarono in punta dei piedi verso un tavolo
situato nell'angolo più oscuro, ordinando ad un garzone, che
era prontamente accorso, un boccale di Alicante.
"C'è numerosa compagnia qui" disse l'uomo più
basso a mezza voce. "Troveremo forse in questa taverna
quanto ci occorre."
"Sii prudente, Carmaux."
"Non temere, amburghese."
"Toh!... Ecco un bellissimo spettacolo! Un
combattimento di galli! Da un pezzo non ne vedevo."
"Bisognerebbe abbordare qualcuno di quegli
spettatori."
"Basta che non sia un ufficiale."
"Prenderò un borghese, Wan Stiller" disse
Carmaux. "Al capitano poco importa, purché sia un
maracaybino."
"Guarda là quell'uomo panciuto, che mi ha l'aria di
essere un qualche ricco piantatore o qualche raffinatore di
zuccheri."
"Che possa saperne qualche cosa, quell'uomo?"
"Tutti questi grossi piantatori e commercianti sono in
relazione col governatore. E poi, chi non ricorda il Corsaro
Nero qui? Ne abbiamo fatte di belle con quel valoroso
gentiluomo."
"Maledette guerre!" esclamò Carmaux "Se
invece di tornare nel suo Piemonte, fosse rimasto qui, forse
sarebbe ancora vivo."
"Taci, Carmaux" disse l'amburghese. "Tu mi
rattristi troppo. Mi sembra impossibile che sia morto. E se il
capitano Morgan fosse stato male informato?"
"Egli lo ha saputo da un compatriota del Corsaro Nero,
che ha assistito alla sua fine."
"Dove l'hanno ucciso?"
"Sulle Alpi, mentre combatteva valorosamente contro i
francesi che minacciavano d'invadere il Piemonte. Si dice
però che quel prode la cercasse la morte."
"Perché, Carmaux? Tu non me lo hai mai detto prima
d'ora."
"Non lo seppi che ieri dal signor Morgan."
"Quale motivo lo spingeva a giuocare pazzamente la
vita?" chiese l'amburghese.
"Il dolore d'aver perduta la moglie, la duchessa di
Wan Guld, morta nel dare alla luce la bambina."
"Povero signor di Ventimiglia! Così valoroso, così
leale, così generoso... Verranno altri filibustieri, ma come
lui no, mai."
Uno scoppio fragoroso di grida li fece alzare entrambi. Gli
spettatori che circondavano il tavolo parevano in preda ad una
vera frenesia. Alcuni acclamavano, altri imprecavano, tutti si
agitavano, sbracciandosi e pestando i piedi.
Carmaux e l'amburghese, vuotate d'un fiato le tazze, si
erano accostati agli spettatori, mettendosi specialmente
dietro al grasso piantatore o raffinatore di zucchero, che era
quel señor Raffaele che voleva riservare le sue scommesse per
il Plata.
I due galli, dopo una serie di finte e di salti, si erano
attaccati con furore e Zambo aveva ricevuto un colpo di
sperone sulla testa perdendo parte della sua bella cresta e
anche un occhio.
"Bel colpo!" mormorò Carmaux, che pareva se
n'intendesse.
Il careador si era subito impadronito del vinto,
bagnandogli le ferite coll'acquavite, onde arrestarne almeno
per qualche istante il sangue.
El Valiente, tronfio della vittoria riportata, cantava a
piena gola, pavoneggiandosi e starnazzando le sue belle ali.
La lotta non era però che cominciata, perché Zambo non si
poteva ancora considerare fuori combattimento. Anzi, malgrado
fosse cieco di un occhio, poteva disputare a lungo la vittoria
ed anche riuscire a strapparla all'avversario.
Si capisce che ormai il favorito era El Valiente che aveva
dato un così bel saggio della sua bravura.
Perfino don Raffaele si era sentito tentare. Dopo un po' di
esitazione aveva gridato:
"Cinquanta piastre sul Valiente. Chi tiene?
chi..."
Un colpetto sulla spalla destra gl'interruppe la frase e lo
fece voltare indietro.
Carmaux non aveva ancora alzata la mano.
"Che cosa volete, señor?" chiese il raffinatore
o piantatore che fosse, aggrottando la fronte e mostrandosi un
po' offeso per quella familiarità.
"Volete un consiglio?" disse Carmaux.
"Puntate sul gallo ferito."
"Siete forse un careador?"
"A voi poco deve importare se lo sia o no. Se volete,
punto duecento piastre su quello..."
"Su Zambo?" chiese il piantatore, facendo un
gesto di sorpresa. "Avete del denaro che vi pesa troppo
nelle tasche?"
"Niente affatto, anzi sono venuto qui per
guadagnarne."
"E puntate su Zambo?"
"Sì, e vedrete come, fra poco, concerà l'altro.
Scommettete con me, señor."
"Sia" disse il grasso piantatore, dopo qualche
esitazione "Se perdo mi rifarò con Plata."
"Scommettiamo insieme?"
"Accetto."
"Trecento piastre per Zambo!" gridò Carmaux.
Tutti gli sguardi si erano fissati su quell'avventuriero,
che scommetteva una somma relativamente grossa su un gallo
ormai semi-sconfitto.
"Tengo io!" gridò il giudice di campo.
"Avanti i combattenti."
Un momento dopo i due campioni si ritrovavano l'uno di
fronte all'altro.
Zambo, quantunque così mal conciato e sanguinante, assalì
per primo, saltando molto in alto, ma anche questa volta
sbagliò il colpo e fu respinto.
El valiente che si teneva pronto, s'alzò in tutta la sua
altezza, poi con uno slancio improvviso si precipitò
sull'avversario tentando di cadergli sul cranio per
spaccarglielo con un buon colpo d'artiglio.
Zambo però, si era prontamente rimesso, si teneva in
guardia colle ali pronte alla parata e la testa ritirata, e
gli rispose con un colpo di becco così bene assestato, da
strappargli di colpo uno dei due barbigli della gola.
"Bravo gallo! Gallo fino!" gridò il piantatore.
Aveva appena pronunciate queste parole, quando El Valiente
che perdeva sangue in abbondanza, si precipitò sul rivale
colla velocità e l'impeto del falcone.
I due volatili si videro per alcuni istanti dibattersi,
uniti strettamente, poi rotolarsi sulla tavola, poi diventare
immobili come se si fossero uccisi reciprocamente. Zambo era
rimasto sotto l'avversario e non si scorgeva quasi più.
Don Raffaele si era voltato verso Carmaux, dicendogli con
accento secco:
"Abbiamo perduto."
"Chi ve lo dice?" chiese l'avventuriero.
"Ah! Guardate! Trecento piastre sono già nelle nostre
tasche, señor."
Zambo non era affatto morto, anzi tutt'altro. Quando gli
spettatori cominciavano a disperarsi, con una mossa improvvisa
era sfuggito di sotto all'avversario e si era alzato, cantando
a piena gola e piantando gli speroni nel corpo del vinto.
El Valiente era morto e giaceva inerte col cranio spaccato.
"Ebbene señor, che cosa ne dite?" chiese Carmaux,
mentre attorno alla tavola scoppiava una salva d'imprecazioni
all'indirizzo del vinto.
"Dico che voi avete avuto un colpo d'occhio
ammirabile" rispose il piantatore, con accento lieto.
Carmaux ritirò le trecento piastre e ne fece due mucchi
eguali, dicendo:
"Centocinquanta per ciascuno, señor. La partita non
è stata cattiva."
"No, v'ingannate" disse don Raffaele.
"E perché?"
"Non ho scommesso che cinquanta piastre."
"Perdonate, ma noi abbiamo giuocato in società.
Raccogliete le vostre piastre che sono state guadagnate
lealmente contro il giudice di campo che ha puntato sul
morto."
"Siete molto ricco voi per essere così
generoso?" chiese il piantatore guardandolo con molto
stupore.
"Non ci tengo al denaro: ecco tutto" rispose
Carmaux.
"Voglio farvi guadagnare anch'io, señor. Puntate sul
gallo che porteranno ora."
"Vedremo."
Un altro careador era in quel momento entrato, deponendo
sulla tavola un gallo di forme splendide, più alto di Zambo,
con una coda magnifica e le penne tutte bianche a riflessi
argentei.
Era El Plata.
"Che ne dite señor?" disse fon Raffaele,
volgendosi verso Carmaux.
"Bellissimo senza dubbio" rispose l'avventuriero,
che lo guardava attentamente.
"Puntate?"
"Sì, cinquecento piastre su Zambo."
"Sul Plata volete dire."
"Señor, cinquecento piastre per Zambo. Chi ci
tiene?" gridò.
"È una follìa."
"Scommettete con me?"
"Che sia invincibile quel Zambo?"
"Questa sera sì!"
"Siete il diavolo, voi?"
"Se non sono veramente Belzebù, sarò un suo prossimo
parente" rispose Carmaux, ironicamente. "Orsù, ci
tenete con me?"
"Sì, per la metà. El Plata, che era il mio favorito,
a mare."
Le scommesse erano finite ed il silenzio era tornato
nell'ampia sala.
I due galli, appena trovatisi di fronte, si erano assaliti
con furore, sbattendo le ali e strappandosi mazzetti di penne.
Parevano entrambi della stessa forza e Zambo, quantunque
semi-cieco, non accordava tregua all'avversario.
Ben presto il sangue cominciò a macchiare la tavola. I due
combattenti si erano già trafitti parecchie volte cogli
speroni ed El Plata aveva la bella cresta violacea a
brandelli.
Di tanto in tanto, come di comune accordo, s'arrestavano
per riprendere lena e scuotere i grumi di sangue che li
acciecavano, poi tornavano alla carica con maggior furia di
prima. Al quinto attacco El Plata rimase sotto a Zambo.
Un coro d'imprecazioni rimbombò nella sala, giacché i
più avevano scommesso per il nuovo gallo. El Plata però, con
una scossa improvvisa riuscì a liberarsi dalla stretta, ma
non riuscì a parare un colpo di becco dell'avversario che gli
strappò un occhio.
"Così almeno sono pari" disse Carmaux.
"L'uno e l'altro ne hanno perduto uno."
Il careador si era precipitato verso El Plata. Gli fece
ingoiare un sorso d'acquavite, gli lavò la testa colla spugna
per sbarazzarlo dai grumi di sangue, gli sprizzò nell'orbita
vuota un po' di succo di limone, poi tornò a lanciarlo sulla
tavola, dicendo:
"Su, mio bravo."
Aveva avuto troppa fretta. Il povero gallo, ancora
stordito, non poté far fronte al fulmineo attacco del prode
Zambo e cadde quasi subito colla testa spaccata da un furioso
colpo di becco.
"Che cosa vi avevo detto, señor?" disse Carmaux,
volgendosi verso don Raffaele.
"Che voi siete uno stregone, od il migliore careador
dell'America."
"Con tutte queste piastre che abbiamo guadagnato,
possiamo permetterci il lusso di vuotare una bottiglia di
Xeres. Ve l'offro io, se non vi rincresce."
"Lasciate a me questo onore."
"Come volete, señor."
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